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Orgia

Il racconto n°666

By 9 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

(‘) Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza

calcoli il numero della bestia:

essa è, infatti, un numero d’uomo.

E il suo numero è seicentosessantasei.

S. Giovanni, Apocalisse

Principium

Lacrimosa dies illa’
Praga, piazza della Città Vecchia

alba del 21 giugno dell’anno del Signore 1621

La figura comparve d’un tratto sul maestoso Ponte di Pietra.

Diretta verso la piazza della Città Vecchia, sollevò all’improvviso il bavero del suo lungo mantello nero ed allungò il passo. Non c’era alcun dubbio: anche questa volta sarebbe giunta in perfetto orario all’appuntamento.

Più in basso, nel suo letto secolare, la Moldava scorreva lenta e silenziosa. Da quasi tre secoli, ormai, lambiva i 17 piloni portanti di quel ponte ammirevole che, a metà del 1300, Carlo IV aveva fatto ricostruire dopo che l’azione distruttrice del tempo aveva annientato il ponte precedente, quello detto di Judita.

L’eternità. Forse era stato proprio questo desiderio utopico a spingere Carlo IV a commissionare la costruzione di un ponte che, tirato su dai praghesi con una malta giuncata rafforzata da innumerevoli uova sode e quantità di formaggio, si era presto conquistato la fama di poter durare oltre i secoli.

Con una pretesa d’eternità certamente maggiore, la Moldava, dunque, scorreva lenta e silenziosa sotto quel ponte non ancora intitolato a Carlo. Eppure, in quell’alba d’inizio estate, dal suo letto piattissimo sembrava emanare un’aria stranamente triste e sinistra.

La figura si raccolse ancora di più nel suo mantello nero come l’inchiostro, passando per il punto dal quale, il 16 maggio del 1383, gli sgherri del crudele re Venceslao IV – figlio di Carlo – avevano gettato in acqua il canonico Jan Nepomucky, reo di non aver rivelato al re i segreti confessionali della regina.

‘Che stupidi gli uomini’, pensò la figura. Poi fu colta da un improvviso conato di vomito, prevedendo che quell’insignificante canonico, poco più d’un secolo dopo, sarebbe stato fatto santo con grande pompa nella cattedrale di San Vito, passando così alla storia col nome di San Giovanni il Nepomuceno’

Superato il ponte, la figura scorse finalmente in lontananza l’affollatissima piazza della Città Vecchia. Lo spettacolo era sublime. Un palco enorme, innalzato nottetempo da mani e menti ingegnose, dominava la scena levandosi superbo verso il cielo. Era ricoperto interamente di panno nero ed un piccolo ponticello, costruito appositamente, lo collegava ad un balcone del Municipio. Al centro del palco, di nero vestito, troneggiava di ghiaccio Jan Mydlar: sua maestà il boia.

Le cinque. I colpi di cannone sparati dal Castello, immobile sull’alta collina di Hradcany, dichiararono aperte le esecuzioni. In meno di quattr’ore, accompagnata dal costante rullare dei tamburi, la spada-mannaia del medico Mydlar calò infallibile sul collo di 24 dei 27 nobili condannati dopo la disfatta della Montagna Bianca. Ai rimanenti tre nobili il boia riservò tutt’altra fine: uno lo appese in mezzo alla piazza della Città Vecchia e due ad una trave sporgente del Municipio.

Sempre avvolta nel suo lungo mantello nero, la figura giunta dal ponte seguì con estrema attenzione tutte le fasi del macabro spettacolo. Era fiera di quel suo servo, Jan Mydlar. Quasi commossa da tanta perfezione e dispiaciuta di doverselo portare via, così, all’improvviso. Poi, a cerimonia ultimata, la figura stirò le sue labbra sottili in un sorriso inquietante e si allontanò in direzione del boia. Anche questa volta, come del resto era sempre accaduto nei secoli dei secoli, sarebbe arrivata puntualissima all’appuntamento.

Si avviò. Ma non si accorse di avere addosso a sé lo sguardo di quel fanciullo dagli occhi dorati’ – occhi tristi, e umidi di lacrime.

‘qua resurget ex favilla judicandus homo reus

Torino, Cappella del Guarini

tarda sera dell’11 aprile dell’anno del Signore 1997

Questa volta il servo era un genio dell’elettronica.

Passando per il Palazzo Reale, nel pomeriggio era riuscito a spingersi fin nei pressi della Cappella del Guarini, la prestigiosa costruzione attigua al Duomo che Carlo Emanuele II di Savoia, nel 1667, aveva commissionato all’omonimo regio architetto quale prezioso scrigno degno di contenere’..la reliquia delle reliquie.

L’uomo si era sentito ispirato, mentre collegava con grazia sinistra il dispositivo di sua invenzione. Sapeva di non poter sbagliare: all’ora prestabilita, quel piccolo gioiello avrebbe innescato ‘l’incendio ‘purificatore’.

Adesso, fermo in macchina proprio nei pressi del Duomo, l’uomo guardava eccitato l’orologio ed aspettava trepidante che le fiamme si alzassero alte. Poi avrebbe cercato la figura in nero nel luogo convenuto e, lasciandosi guidare da quella, avrebbe raggiunto finalmente ‘la perfezione.

Le 23.29. Fu appena un soffio, appena una scintilla e l’incendio, d’un tratto sviluppatosi, prese a propagarsi rapidamente in ogni direzione. Il grande evento stava per compiersi, finalmente.

In quella notte torinese, l’uomo vide sopraggiungere a sirene spiegate, una dietro l’altra, le autopompe dei Vigili del Fuoco, le volanti di Polizia e Carabinieri e, infine, le auto blu di chissà quali innominabili autorità. Quindi, nel trambusto generale, chiuse gli occhi e fece qualche rapido calcolo. Molto presto, la preziosa teca protetta dal vetro a prova di proiettile sarebbe stata raggiunta dal fuoco e totalmente divorata nel giro di pochi minuti’

‘Spettacolo sublime’, pensò l’uomo in macchina. La sua missione era compiuta.

Avviò il motore e si allontanò in fretta dalla zona del Duomo, che già ‘scottava’ e veniva transennata.

‘All’interno della Cappella, frattanto, il fanciullo dagli occhi dorati sapeva che non era più tempo di versare altre lacrime. Doveva agire subito. Le fiamme si propagavano sempre più alte e la bellissima cupola sarebbe potuta cadere in qualunque momento, seppellendo sotto di sé il simbolo più alto della cristianità.

Dapprima osservò con trepidazione i tentativi delle squadre dei Vigili del Fuoco di liberare la preziosa teca dalla sua sicurissima prigione di vetro. Poi, all’improvviso, sacrificò se stesso e si fece energia pura per la mazza del coraggioso vigile Mario Trematore’

GENESIS

Cefalù, Tempio di Diana

alba dell’11 agosto dell’anno del Signore 1999

Gli adepti giunsero da parti differenti. Il buon senso suggeriva loro di non destare i sospetti dei primi pescatori che rientravano al porto di Presidiana.

Molti non si erano mai incontrati prima personalmente, ma il piccolo pentagono tatuato sul loro avambraccio sinistro rappresentava, inequivocabile, un sicuro segno di comunione e aderenza al sommo culto. Proprio in virtù di quel piccolo pentagono, sarebbe stato ragionevole definirli dei neo-pitagorici, se non fosse stato che il pensiero che condividevano era di natura assai diversa di quella del puro amore per il numero.

Il sole stava iniziando a sorgere ed il mare era piatto come uno specchio, quando i confratelli si radunarono nella parte più alta della rocca formando un grande cerchio. Colui che doveva essere il Gran Maestro del gruppo prese subito la parola.

‘Il nostro tempo sta per giungere, fratelli. Oggi, intorno alle 12,40, mentre l’ultima eclissi di sole del millennio raggiungerà il suo culmine, il nostro Gran Signore e Padrone ingraviderà attraverso il seme di uno di noi la qui presente sorella Badàr. A tal fine, a partire da mezzogiorno ciascuno di noi dovrà congiungersi carnalmente a lei, spandendo la propria linfa vitale nel suo ventre.

Sorella Badàr rimarrà gravida di un figlio maschio, il tempo scorrerà diversamente per lei e la creatura vedrà la luce tra poco più di quattro mesi a partire da oggi, la notte del prossimo 24 di dicembre’ Tale maschio, inoltre, crescerà in misura di dieci anni per ogni anno che sarà passato’ e quando l’anno diverrà simmetrico, il male e la perversione che lui porterà sulla terra raggiungeranno il loro culmine ed un nuovo regno nascerà per tutti noi.

Così è stato scritto. Così sarà, fratelli. Prepariamoci all’evento rimanendo uniti in preghiera’.

Subito il gruppo si raccolse attorno ad una pietra grande e bassa, sulla cui superficie era inciso un pentagono color Magenta, ed attese impaziente l’ora prefissata. Sulla pietra, la presenza di piccole coppelle testimoniava che quello non era un luogo qualunque, ma un luogo in cui parecchie altre volte, in un passato remotissimo, erano stati celebrati riti in onore del Gran Signore e Padrone.

I primi riti dovevano risalire, presumibilmente, addirittura ai tempi dei romani, quando la cittadina portava il nome di Cephaloedium, ma di sicuro molti altri dovevano esserne stati celebrati anche in seguito, in epoca medievale e perfino durante il regno del religiosissimo Ruggero II, il monarca che, trovato rifugio dalla furia del mare nella baia ai piedi del promontorio che domina Cefalù, nel XII secolo aveva ordinato la costruzione del celebre Duomo quale segno di ringraziamento.

Le 11.35. In cielo il sole procedeva nella sua lenta salita che ad un certo momento lo avrebbe portato a ‘nascondersi’ dietro la luna.

Finalmente, poco prima di mezzogiorno il Gran Maestro ruppe il cerchio che fino ad allora aveva formato insieme agli adepti, e subito sorella Badàr, rimasta per tutto quel tempo muta e in disparte, si fece avanti. Aveva capelli neri lunghissimi, occhi scintillanti ed indossava soltanto una leggera tunica di seta bianca assolutamente trasparente.

Due adepti le si avvicinarono e la bloccarono per le braccia. Altri due la bloccarono invece per le gambe e tutti e quattro la portarono di peso sopra la grande pietra attorno alla quale il gruppo era rimasto in preghiera. La donna fu legata per i polsi e le caviglie e, a quel punto, il Gran Maestro dichiarò aperta la cerimonia.

Uno degli adepti distribuì ai compagni una strana bevanda. La donna fu costretta a bere, invece, attraverso un piccolo imbuto.

‘Fratelli’ – gridò il Gran Maestro osservando il cielo – ‘l’ora tanto attesa sta per giungere. Accoppiatevi come bestie prive di laccio con sorella Badàr. L’eclissi è vicina al suo culmine. Il fondatore di un nuovo regno sta per essere generato’.

Tutti gli uomini, già inebriati dall’effetto della bevanda, liberarono il proprio sesso e cominciarono a divorare con gli occhi il corpo sinuoso di sorella Badàr. Gli adepti presero a girarle intorno: a turno, ciascuno di loro si sarebbe accoppiato con la donna.

Il Gran Maestro si avvicinò per primo. Dopo aver proferito alcune parole in una lingua sconosciuta, le strappò di dosso la leggerissima tunica e rimase un attimo ad osservare la sua splendida nudità.

Legata e nuda sopra la pietra, sorella Badàr sembrava un verme bellissimo che si dimeni in preda alle convulsioni. Si trattava, comunque, di una scena già vista. Era come se, sul finire del millennio, qualcuno stesse riportando in vita gli antichi riti celebrati in passato da Aleister Crowley, il mago spiritista inglese che dal 1920 al 1923 aveva dimorato a Cefalù fondandovi la comunità Thelema, una comunità dedita al sesso di gruppo e all”esaltazione’ ‘ si fa per dire – della donna.

‘Si porti il gallo’ ‘ gridò il Gran Maestro. Subito uno degli adepti tirò fuori da un sacco di juta un piccolo gallo nero e lo porse al suo superiore insieme ad un coltello. In un attimo, l’uomo sgozzò l’animale e ne versò il sangue caldo sopra il corpo della donna.

‘Ti prenderò per primo, sorella Badàr. Che possa essere io colui che ti ingraviderà del fondatore del Nuovo Regno’.

Il Gran Maestro si denudò e montò sulla donna. Il suo sesso era piuttosto tozzo, non lungo ma straordinariamente grosso. Con qualche sforzo, riuscì a penetrare la donna strappandole delle urla da indemoniata. E subito cominciò a muoversi leccando il sangue precedentemente versato.

Sorella Badàr si dimenava e grugniva di piacere. Presto la sua testa cominciò ad agitarsi nell’aria ed il suo bacino a ruotare freneticamente. Non era più possibile distinguere chi stesse possedendo chi. Il Gran Maestro lei oppure lei il Gran Maestro?

‘Tappatele la bocca’, ordinò ad un certo punto l’uomo.

Subito un nuovo adepto si fece avanti e montò a cavalcioni sopra il collo della donna. Le sollevò la testa tirandola per la nuca e le diede in bocca il suo sesso durissimo. Sorella Badàr non si lasciò scomporre dalla nuova situazione. Mentre il Gran Maestro continuava a sbatterla pronunciando versi in una lingua sconosciuta, lei prese a succhiare il membro dell’adepto con ardore animalesco. Poi il Gran Maestro le riempì il ventre del suo seme e lasciò il posto ad un altro uomo. Questi, inaspettatamente, sciolse i legacci alle caviglie della donna e si portò le sue lunghe gambe sopra le scapole. La prese con forza e cominciò a sbatterla con colpi lenti ma vigorosi.

Molto presto l’altro uomo, quello che aveva ‘tappato’ la bocca della donna, venne costringendola a bere fino all’ultima goccia: sapeva che durante quel sabba lei poteva essere ingravidata attraverso uno qualunque dei suoi orifizi!

Quest’ultimo uomo si allontanò e subito si avvicinarono altri due adepti. Uno dei due slegò i legacci ai polsi della donna e l’altro, di concerto con quello che ancora la scopava, la costrinse a cavalcioni su quest’ultimo. Sorella Badàr cominciò allora una lunga cavalcata che eccitò ancora di più tutti i presenti.

Uno dei due nuovi adepti si inginocchiò sulla pietra e attirò sopra il suo sesso la bocca della donna, che quindi si sporse in avanti sollevando il bacino. L’altro approfittò subito della nuova posizione e le si piazzò dietro dando inizio ad una sodomia lenta ma profonda.

La donna sembrava non accorgersi neppure di quanto le stava accadendo. Tre grossi cazzi erano dentro di lei, aprivano ed allargavano la sua carne come un fendente nel burro, eppure lei continuava a dimenarsi per il piacere senza opporre la benché minima resistenza’

Ad un certo momento, nel cielo il disco solare si ridusse ad una falce sottile. L’eclissi stava raggiungendo il suo culmine ed ogni istante sarebbe stato quello buono per il concepimento.

Subito, tutti gli adepti si gettarono sulla donna simili a dei lupi famelici sopra una preda. Ognuno di loro voleva raggiungere l’eternità permettendo al Gran Signore e Padrone di ingravidare la donna per il suo tramite.

Fu un’orgia indescrivibile, con schizzi di sperma che raggiunsero sorella Badàr in ogni parte e da ogni parte’ Poi, alle 12,41 un soffio leggero penetrò nel corpo di un robusto confratello dagli occhi azzurri e i capelli biondi, divenne seme del suo seme e, attraverso il suo sesso, finì con l’esplodere sinistro nel ventre della donna.

Puntuale come ogni volta, il Gran Signore e Padrone era giunto ed aveva ingravidato sorella Badàr per il tramite di quell’uomo.

Una nuova éra aveva appena avuto inizio.

Arcanum

Liber scriptus proferetur…

Nei pressi di Cefalù, camera da letto di Shining.

Una notte di luglio dell’anno del Signore 2002

‘Questa volta il fanciullo dagli occhi dorati cercava di dirgli qualcosa, ma non parlava.

Con una mano reggeva penna, carta e calamaio, con l’altra indicava muto l’antico libro dell’Apocalisse’

Lo scrittore cercava di raggiungerlo, di chiedergli il perché, di avere spiegazioni. Ma il fanciullo dagli occhi dorati era ormai appena un’ombra che indicava con l’indice della mano libera la sua tempia’

Shining si destò di colpo immerso in un bagno di sudore. Ancora una volta il fanciullo dagli occhi dorati gli era comparso in sogno. Questa volta, però, gli aveva lanciato dei segnali inequivocabili e l’aveva invitato a pensare’ Come spiegare, altrimenti, l’indice puntato ad indicare la propria tempia?

In quell’istante, si accorse che Nettuno aveva drizzato le orecchie e lo guardava fisso negli occhi.

Lo scrittore aveva preso con sé quel cane alcuni anni prima, quando era appena un cucciolo che qualcuno aveva pensato di eliminare gettando in mare in un sacchetto di cellofan ben chiuso. Lui lo aveva salvato e chiamato con l’unico nome che gli era sembrato più appropriato: Nettuno, appunto!

Si rivolse al cane per tranquillizzarlo e dare ‘spiegazioni.

‘E’ successo’ ancora una volta. Ho sognato nuovamente il fanciullo dagli occhi dorati’ Sono sicuro che cercava di dirmi qualcosa”

Il cane sembrò guardare perplesso il suo padrone. Quindi tornò ad accucciarsi, mentre lo scrittore si spostava impaziente in un’altra stanza – qualcosa si era acceso improvvisamente nella sua mente ed ora lo stava portando verso la sua invidiabile biblioteca’

La biblioteca di Shining era una stanza con una splendida libreria che lo scrittore si era fatto costruire da un artigiano sul motivo della Sezione Aurea. Ogni scaffale, ogni ripiano, ogni dettaglio di quel capolavoro in legno era stato progettato dal suo proprietario richiamando il fascino irresistibile del numero. Vi si trovava di tutto: oltre ai molti libri – alcuni per la verità antichi e preziosi – anche riviste, pubblicazioni, videocassette, intere collezioni di compact disc – con particolare attenzione a Mozart! -, piccoli pezzi d’antiquariato, piccoli reperti archeologici ricevuti in dono da ‘amici tombaroli attivi nella Valle dei Re, in Egitto!

Ridestatosi completamente da quel sonno agitato, Shining aveva cominciato subito a rovistare in uno degli scaffali più alti della libreria, uno scaffale ricco di libri e articoli di giornale.

In altre occasioni, negli ultimi mesi, l’enigmatico fanciullo dagli occhi dorati aveva turbato il suo sonno. La prima volta lo aveva sognato sullo sfondo di Praga, proprio sulla Piazza del Municipio. La piazza era deserta, il famoso orologio segnava le 5 esatte ed il fanciullo, in lacrime, gli indicava una montagna innevata.

Una seconda volta, sempre in sogno, il fanciullo si trovava in Piazza Duomo a Torino. Anche in quel sogno la piazza era deserta, ma questa volta la docile creatura gli sorrideva e tendeva verso di lui la sua mano destra, con l’indice ed il medio tenuti divaricati in modo da formare una ‘V’.

In un altro sogno ancora, il fanciullo gli era comparso in cima al Tempio di Diana, sul promontorio che domina Cefalù, ma proprio non appena lui aveva cercato di parlargli, il sole si era oscurato e tutt’intorno erano calate le tenebre’

Adesso, infine, quest’ultimo sogno. Qualcosa gli diceva che non ce ne sarebbero stati degli altri: era arrivato il momento di mettere assieme tutti i tasselli. Proprio per questo Shining si era improvvisamente precipitato nella sua biblioteca.

Dopo un’attenta ricerca, lo scrittore tirò fuori dallo scaffale un vecchio saggio su Praga e due articoli di giornale. Consultò velocemente il saggio e appuntò una data. Poi diede una rapida occhiata ai due articoli e, anche in questo caso, appuntò per ciascuno una data. Sentiva di avere davanti a sé una specie di codice da decifrare.

Rimase in silenzio ad osservare, allineate, le tre date e lasciò che il suo pensiero si perdesse nell’infinito regno dei numeri, alla ricerca della giusta chiave di lettura. Dopo alcuni tentativi, un brivido attraversò veloce la sua schiena: quanto leggeva, poteva essere una semplice coincidenza?’

D’un tratto, ricordò le celebri parole scritte da S. Giovanni a chiusura del capitolo 13 del libro dell’Apocalisse, e le ripeté tra sé a voce alta, quasi per darsi coraggio: ”Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: esso è, infatti, un numero d’uomo. E il suo numero è” , ma a quel punto le parole gli morirono in gola: non si trattava affatto di una semplice coincidenza! Finalmente, il tutto cominciava ad avere un preciso significato. Decise di non rimettersi a letto, tanto non avrebbe comunque più chiuso occhio.

Analizzando le tre date, Shining era riuscito a decifrare il significato di quei sogni. Non a caso il fanciullo gli era comparso in tre particolari momenti storici, ciascuno corrispondente ad una speciale data, e non a caso, nell’ultimo sogno, la creatura reggeva in mano penna, carta e calamaio’ In pratica, aveva cercato d’invitarlo a scrivere un altro dei suoi tanti racconti erotici, ormai non aveva alcun dubbio. Ma un racconto particolare, da pubblicare proprio al già vicino n. 666 del sito di Milù.

Lo scrittore spiegò la faccenda al suo editore nonché amico Rupescissa e fu felice di apprendere che quest’ultimo si dichiarava disponibile a cedergli quel numero così ambito.

Che un grande evento stesse forse per compiersi? Per scoprirlo, non gli restava che cominciare a scrivere’

Conclusio

‘in quo totum continetur

Sul finire di agosto, Shining aveva terminato quasi completamente quello che sarebbe stato ‘Il racconto n. 666′. Era un racconto diverso da tutti gli altri, lo sentiva, nato da motivazioni sicuramente diverse. Neppure lui sapeva bene sotto quale influsso l’avesse scritto’ Intanto, era già il 27 di agosto e lui non aveva ancora trovato un’ispirazione per il finale.

Come accadeva sempre quando gli si presentava un problema da risolvere, scese in spiaggia ad osservare il mare. Il pomeriggio stava lasciando il posto ad una calda sera di fine estate e a quell’ora la spiaggia era quasi deserta. Sulla battigia, un giovane stava preparando la sua tavola a vela per un’ultima cavalcata sopra l’acqua.

Mentre osservava in silenzio il sole ormai prossimo al tramonto, lo scrittore si ritrovò a riflettere sulla relatività dei concetti di Bene e di Male. Concetti antichi come il mondo, difficilmente riconducibili a definizioni univoche. Tuttavia, come ogni uomo, anche lui aveva delle sue idee in proposito.

Poteva sembrare strano, eppure le aveva maturate solo dopo aver compreso fino in fondo la bellezza concettuale del cosiddetto Teorema d’incompletezza di G’del (1931), la più dirompente tra le asserzioni matematiche di tutti i tempi – un teorema dal quale, in buona sostanza, consegue che addirittura in Matematica, in certi casi, non esiste alcuna via per conseguire la certezza’ Beato colui che avesse colto davvero le rilevanze concettuali di quel teorema! Per lo scrittore costituiva addirittura la forza stessa della Matematica’

Ma che nesso poteva mai avere tutto ciò con i concetti di Bene e di Male ?

Secondo Shining, il Male era presumibilmente il lato oscuro di ciascun essere umano, il desiderio di spingersi al di là con la presunzione di possedere sempre e comunque delle certezze – nulla di più sbagliato! Solo l’umiltà di non possedere alcuna certezza poteva controbilanciare tale lato oscuro, e questa umiltà costituiva per lo scrittore appunto il Bene. Com’era sottile, però, la differenza! Nel nuovo racconto, almeno, la caratterizzazione dei personaggi non lasciava adito a dubbi: la figura in nero rappresentava il Male, il fanciullo dagli occhi dorati rappresentava il Bene’

Il cielo cominciava a tingersi d’arancio e violetto, mentre il sole, ormai basso sull’orizzonte, si preparava ad inseguire, nel suo eterno ed apparente cammino, l’oriente ‘ o l’occidente, a seconda dei punti di vista. Un vento leggero soffiava da terra verso mare.

Lo scrittore si avviò verso casa e all’improvviso il suo sguardo cadde sopra quel giovane che, ormai in mezzo al mare, iniziava ad allontanarsi sopra la sua tavola a vela. Un giovane biondo, sui trent’anni, di poco più giovane di lui.

Osservandolo bene, Shining ebbe la sensazione, anzi fu quasi certo di scorgere nell’azzurro dei suoi occhi un anomalo riflesso d’orato’ Poteva mai essere? Un pensiero inquietante attraversò fulmineo la sua mente’

Scosse però il capo. E preferì convincersi che si fosse trattato solo di un bizzarro gioco di luce.

”Dunque tu chi sei?’

‘Una parte di quella forza che vuole

costantemente il Male e opera costantemente

il Bene’

GOETHE, Faust

Post Scriptum

Culpa rubet voltus meus

Mentre un sole pallido comincia a sorgere lentamente nel cielo sopra Palermo, all’alba di questo venerdì, 6 settembre dell’anno del Signore 2002, sento il dovere di scrivere queste righe conclusive ed inviarle al più presto al fedelissimo Rupescissa. Sarà lui, appellandosi alla sua profonda saggezza, a valutare se sia il caso – come in verità io spero – di pubblicarle in coda a questo racconto che ormai non ho più l’animo di ritornare a leggere o anche solo di nominare.

Le mie mani corrono veloci sulla tastiera del portatile e sento a fiumi l’adrenalina scorrermi tra le vene, mentre a fatica mi sforzo di dominare il terrore che la terra, come è già accaduto alle ore 3,21 di questa notte, ricominci in modo raccapricciante la sua ‘danza macabra’.

Se sono qui, seduto a scrivere nella fioca luce solare che solo da qualche minuto ha ricominciato ad illuminare la mia stanza ed anche i miei pensieri, è perché, evidentemente, sento che non è ancora giunto il momento di mettere ‘punto’ a questa assurda storia’

Sul finire del racconto, avevo sottolineato con grande enfasi come, secondo Shining, nella vita non esistano certezze. Eppure, solo ora che le forze della natura ‘ o forse ben altre innominabili forze? – mi hanno ‘scosso’ in tutti i sensi dal mio profondo sonno e tranquillo, capisco d’aver peccato inconsapevolmente di presunzione e sento, con non poca vergogna, che il mio volto ‘arrossisce per la colpa’. La colpa d’aver pensato – proprio io! ‘ di poter possedere ‘la certezza’ in merito all’interpretazione dei segni e del significato di ogni data, addirittura in un modo così definitivo e perfetto da poter scrivere ‘Conclusio’ in fondo all’ultima pagina. Ed invece, ahimé, mi sbagliavo!

Evidentemente, la convinzione generata dalla gioia d’aver trovato le giuste risposte agli interrogativi che si celavano in quegli inquietanti sogni estivi, mi ha reso cieco ai molti altri segnali che ancora, invece, rimanevano da decifrare. Pochissima attenzione, ad esempio, ho prestato all’alluvione che ha flagellato questa estate la mia adorata Praga, oppure ai violenti temporali abbattutisi negli ultimi giorni su Torino. Un insieme di eventi ‘anomali’ che, se confrontato con i tre ‘quadri’ che costituiscono il ‘Principium’ del racconto, non poteva che culminare in qualcosa di ancor più terribile e devastante: il forte terremoto di questa notte, il cui epicentro è stato individuato, guarda caso, proprio in quel mar Tirreno a pochi chilometri dalla costa tra Palermo e Cefalù!

Ma c’è dell’altro’

Le prime notizie parlano di un punto d’origine del terremoto distante all’incirca quaranta chilometri da Palermo in direzione dell’isola eoliana di Alicudi. Ho già fatto qualche indagine sull’atlante del pc, dotato di notevoli strumenti virtuali per la misurazione di distanze ed il rilevamento di posizioni, e ciò che ho scoperto mi lascia ancor più senza parole. L’epicentro, in pratica, pare essere situato sulla congiungente Palermo’Alicudi in un punto egualmente distante dalla capitale e da Cefalù. Forse farnetico, è vero, ma non riesco a fare a meno di vedere in tutto ciò, magistralmente criptato, una specie di messaggio indirizzato a me solo.

Le 3,21. Immagino le onde sismiche propagarsi dal profondo del mare da quel punto preciso ed evolvere secondo perfette geometrie coniche; sollevare un vento sinistro in superficie e raggiungere, infine, nello stesso istante – proprio in virtù della posizione simmetrica delle due città rispetto all’epicentro – sia Palermo sia Cefalù.

Riascolto, agghiacciante, quella specie di boato, quell”urlo’ che qualcosa, o ‘qualcuno’, ha lanciato nella notte affinché mi destassi e prendessi coscienza della ‘sua’ forza. Ed ecco decriptato il messaggio: quella forza immane, capace di colpire ed annientare contemporaneamente proprio i due luoghi tra i quali mi sono mosso quest’estate mentre elaboravo il racconto, costituisce un avvertimento per il sottoscritto. è giunta l’ora che umilmente mi fermi e metta punto.

Solo adesso rileggo in chiave anche le ‘strane’ difficoltà che io ho incontrato durante la stesura del racconto e Rupescissa, invece, al momento della pubblicazione degli altri racconti, di altri autori, che avrebbero preceduto il mio nella lunga lista di ‘Milù’.

Tutto procedeva, in pratica, esattamente come se una forza imperscrutabile lavorasse in silenzio per dilatare nel tempo – almeno fino a questo 6 di settembre – la comparsa on-line del mio nuovo racconto. Ma né io, né Rupescissa, troppo distratti dal fascino della fabula, siamo stati in grado ‘ nostra ‘summissima culpa’ – di dare in questi giorni il giusto nome alle cose’

Il sole è ormai alto. In strada riprende lentamente la vita, ma il grosso della gente, stremata, è rientrata in casa e forse in questo momento si è lasciata vincere dal sonno. Un insolito silenzio mi giunge dall’esterno, mentre in città, probabilmente, le autorità competenti stanno per iniziare la valutazione dei danni agli edifici del centro storico. Mi auguro solo che non ci siano dei morti’

Nell’anomalo silenzio di quest’alba settembrina, vedo i numeri danzare un’ultima volta davanti ai miei occhi, mentre la mia mente, con la poca lucidità che ancora le rimane, lavora freneticamente alla ricerca di nuove risposte.

Penso esterrefatto che ‘6’ è la data di questo infausto venerdì e che ‘6’ è, ad un tempo, anche la somma ed il prodotto dei primi tre numeri naturali: 3, 2, 1- l’ora in cui la terra ha tremato, ma anche una sequenza sinistra che risuona dentro di me come un inquietante conto alla rovescia’ -, numeri non a caso scritti al contrario, perché proprio quello è il modo, infame, in cui da sempre ama esprimersi il Gran Signore e Padrone.

Tre ‘6’, dunque. Appaiono nuovamente dinanzi ai miei occhi, e con la loro tentatrice bellezza sembrano ulteriormente sfidarmi e farsi beffa di ogni umana logica.

Sono esausto. Non ho più nulla da aggiungere.

Nettuno, il mio fedele amico, continua a fissarmi con quei suoi occhi tristi e lucidi che pare vogliano suggerirmi qualcosa – e che mi ricordano quelli, ‘dorati’, del fanciullo sognato più volte ultimamente. Ma in verità sono ‘i miei’, questa volta, gli unici ‘occhi tristi’ e ‘umidi di lacrime’.

Rimetto queste mie righe conclusive alla lettura, attenta e paziente, del mio editore ed amico Giovanni da Rupescissa. Solo lui deciderà quale sia la cosa migliore da fare nelle prossime ore.

Infine, chiedo umilmente perdono all’Altissimo ed Onnipotente.

Malgrado non ci sia stata alcuna malizia da parte mia, mi rendo conto ‘ ‘mea culpa’ – d’aver dimenticato troppe volte, durante la recente stesura dell”innominabile’ racconto, di essere e rimanere pur sempre un comune mortale.

In fede, segue firma dell’autore

[Spedito da Palermo all’alba di venerdì,

6 settembre dell’anno del Signore 2002′]

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