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Racconti Gay

Due giovani gay, un autobus…

By 2 Settembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Ci sedemmo accanto, sull’autobus.
Avremmo evitato entrambi: c’era, tra noi, una sorta di strano imbarazzo. Forse, inconsapevolmente, ci rendevamo conto che, dietro la reciproca ostilità che ci rendeva impossibile qualsiasi tentativo di amicizia, si celavano gli atti iniziali di una nascente attrazione. Eravamo all’ultimo anno di liceo classico, appena maggiorenni. A stare vicini ci costringeva il docente di filosofia, nel disperato tentativo di dimostrare, più a se stesso che a noi, che il dialogo dialogico possa risolvere qualsiasi dialettica. Pensava, insomma, che potessimo fare amicizia, anche a dispetto di noi stessi. Così, in classe come sull’autobus che ci portava in Sicilia per l’ultima gita del quinquennio, ci trovammo seduti l’uno accanto all’altro. Lo ammiravo molto, in realtà. Lo sentivo uguale a me e forse, proprio per questo, lo temevo. Temevo la sua intelligenza, il suo acume, la profondità del suo pensiero. E temevo la sua bellezza, la vitalità del suo corpo giovane, la plasticità dei suoi movimenti, la grazia della sua estetica. Non riuscivo ad accettare il brivido che il pensiero di lui non riusciva a non darmi, e preferivo decidere che mi fosse nemico. Rivale. Ma lo desideravo, lo volevo. Aspiravo a lui come si aspira alla bellezza, tendevo a lui come si tende a uno specchio in cui poter guardare la propria stessa immagine, riflessa. Insomma, mi stavo innamorando di lui. Sapevo la cosa essere reciproca, e questo serviva ad accrescere il sentimento di ostilità nei suoi confronti. temevo quello che era, quello che avrebbe potuto essere. Sedemmo dietro, in fondo all’autobus. Occupavamo il posto adiacente al finestrino e quello limitrofo; ci sedevano accanto, sul lato opposto del bus, lasciando un sedile vuoto tra noi e loro, due ragazzi. Viaggiavamo di notte, lungo la costa calabrese. Avevo ancora l’immagine di quel mare, di quel cielo illuminato dagli ultimi raggi di un meraviglioso sole al tramonto. Non dormivo, la vicinanza di lui mi irritava. Mi irritava perché mi emozionava, mi emozionava in modo indefinibile, inafferrabile: mi gettava addosso un’inquietudine strana, un turbamento che non riuscivo a spiegarmi. Eravamo stati in silenzio tutto il giorno, da quando eravamo partiti. Me ne stavo con gli occhi chiusi, lasciavo che le note cantate da Guccini mi cullassero, come sul fluire della corrente di un fiume. Percepii qualcosa, alla mia sinistra, come fosse un fruscio… Sentii sfiorarmi: delicatamente, con lentezza, ma con decisione. Era lui, erano le sue dita: stava carezzando il mio sesso, seguendone la forma, senza fare pressione. Ebbi un fremito, mi sentii gelare. Non pensai, non pensai nulla. Finsi di dormire, non aprii gli occhi… Mi lasciai andare, mi abbandonai. Aveva aperto la mano, aveva aperto la mano sul mio sesso: mi carezzava col palmo, poi si fermava, apriva e chiudeva, stringeva con le dita, fino ai coglioni. Poi, di nuovo, seguiva il profilo del mio cazzo con la punta del medio, stavolta facendo pressione, con gentilezza. Cercavo di non muovermi, avessi potuto avrei evitato di respirare: non volevo che smettesse, avevo sensazioni talmente intense, forti, che neanche riuscivo a rendermi conto che fossero le mie. Capii che la sua mano stava risalendo fino a raggiungere la cerniera dei miei jeans, la stava afferrando, la stava tirando giù… Riprese a toccarmi, sfregando le dita sul cazzo, protetto soltanto da uno slip ormai intriso dal liquido prespermatico che colava dal mio sesso. Continuò, come prima, a masturbarmi: muoveva la mano, su e giù, scendeva a stringere i coglioni. Lo sentii cercare lo spacco, sullo slip, che serve a tirare fuori il cazzo per pisciare. Si intrufolò, con due dita, e mi strinse il sesso, proprio alla base. Poi lo afferrò, ai lati, con indice e pollice: scendeva fin giù, fino al glande, poi risaliva. Andò avanti così, per minuti… Poi mi resi conto che stava prendendomi il cazzo in mano, voleva tiralo fuori: lo fece. Sapevo dei due ragazzi seduti vicino a noi, affianco. L’idea che potessero intuire che il mio compagno omosessuale mi stesse masturbano su un autobus che ospitava una scolaresca, che stessi godendo come mai era capitato, che adesso il mo cazzo svettasse fuori dai pantaloni gonfio, eretto, che colava… beh, ecco, l’idea di tutto questo mi dava alla testa, mi stava facendo impazzire. Avrei voluto che stesero guardando: avrei voluto che tutti potessero accorgersi del mio orgasmo ormai prossimo. Avrei voluto che il professore di filosofia mi fissasse, attonito, il cazzo, mentre venivo. All’improvviso fece violenza alla stoffa, mi lacerò lo slip… Ero nudo, il mio sesso era nudo, fino ai coglioni. Ritrasse la mano, avvicino la bocca al mio glande: lo prese tra le labbra. Stette immobile, solo la lingua leccava la cappella. Poi si fermava: dava colpetti, con la lingua. Poi inizio un lento su e giù, lungo tutta l’asta, fino alla base. Con la mano palpava i coglioni, carezzandoli e stringendoli con forza, fino a farmi male. Strinse forte, con le labbra a coprire i denti, la base del glande. Poi ne stuzzico, ancora una volta con la lingua, il piccolo foro, al centro. Succhio, come a volerne tirar fuori latte: come se fosse il capezzolo di una donna. Spinse la mano sotto le mie natiche, mi sollevai per non ostacolarne il passaggio… Lo sentii intrufolarsi, divaricare le pieghe dei miei glutei: il suo dito, il medio, cercò il mio ano, frugandolo. Lo carezzò per un po’, poi fece pressione: stava entrando, piano, ma con decisione. Era dentro… Mi sentii violato, preso. Provavo dolore, ma la sensazione di essere “sfondato” era qualcosa di mai provato prima, mi faceva godere: credetti che quello, quello soltanto, avrebbe potuto condurmi all’orgasmo. Il suo dito, intanto, massaggiava il mio glande. Sentivo di essere sul punto di venire. Dovette rendersene conto, perché accelerò il ritmo del suo andare su e giù: gli ero in bocca fino ai coglioni. Si muoveva, succhiando: forsennatamente. Mugolava, era come una supplica: credo smaniasse dal desiderio di bermi. Implorava il mio sperma, credo avesse sete di me. Gli eiaculai in bocca: sentivo che deglutiva, rumorosamente.

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