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Racconti Gay

Il vecchio

By 25 Gennaio 2017Dicembre 16th, 2019No Comments

Nonostante fossi molto giovane, appena maggiorenne (e dimostravo ancora meno), da anni lo prendevo nel culo.
Del tutto simile ad una ragazza, i miei paesani più marpioni ed interessati, maschioni di tutte le età, mi avevano insegnato molto presto a sculettare, ad esibirmi davanti a loro, magari mentre indossavo un minuscolo completino intimo, con il pisello coperto da un perizomino di pizzo, il filo interdentale fra le chiappe lisce e rotonde, poi, col tempo, a soddisfarli in qualsiasi modo gli venisse in mente.
Piuttosto conosciuto ‘nell’ambiente’, venivo abbordato nei modi più disparati.
Giorgio, però, frequentava la mia famiglia da sempre. Adesso era un settantenne serio e distinto, ancora un bell’uomo, amico di mio nonno che partecipava, con la moglie, alle nostre riunioni in casa sua, come se fosse un parente ed anche di più. Abitava lì vicino, nel centro del paese.
Loro due si chiamavano, tra loro, ‘vecchio’, questo fin da quando vecchi non erano affatto, forse perché la loro amicizia era veramente antica.
A volte portava con se le nipotine, due ragazzine della mia età. Io giocavo con loro assieme a mia sorella. Ero una perfetta femminuccia e fin da allora Giorgio ci veniva a guardare, rammento che mi osservava in maniera strana, mentre stavo lì, con un grembiulino addosso, un cerchietto sui capelli ed una bambola in mano.
Faceva delle battutine sul mio aspetto, soprattutto sul fatto che ero indistinguibile dalle altre ragazzine, che mi piacevano le cose da femmina etc. Non avrebbe mai smesso. Però c’era la particolarità che queste frasi le diceva solo a me, nell’orecchio, senza farsi ascoltare dagli altri e che sembrava provare un grande piacere nel farlo. Era il nostro piccolo segreto.
Gli anni passavano e Giorgio ci veniva a trovare ogni volta che eravamo dal nonno. Nel frattempo io ero stato sverginato ed aveva avuto inizio la mia precoce carriera di troietta travesta rottainculo.
La casa di mio nonno era molto grande, vecchia di secoli, piena di saloni, stanze e stanzette, sottoscala, ripostigli e cantine. Gli ambienti susseguivano uno dietro l’altro, senza soluzione di continuità. Era molto facile nascondersi. Si trovava a qualche chilometro dalla mia residenza abituale, in un paese vicino a quello dove allora vivevo assieme alla mia famiglia.
Andavo lì spessissimo, mi fermavo sovente a dormire, quasi ci vivevo.
Tra l’altro quello fu un periodo particolare in quei posti, dove si era creato un giro notevole di mettinculo, anche padri di famiglia amanti dei culetti come il mio, gente omertosa che si era organizzata bene per goderne. Questo gruppo, per vari motivi, successivamente andò quasi a scomparire.
Io avevo impiegato poco tempo ad entrare anche in questo sottobosco delle troiette col pisello e diventare ‘famosa’, c’erano alcuni tizi ai quali piacevo molto.
Era pazzesco, c’era il mondo di tutti i giorni, con la solita quotidianità, poi c’era quello parallelo, dove ero una femmina. Questo era diventato molto presto per me quello preminente, era la normalità, dove c’erano i dominatori che cercavano quelli come me, ai quali insegnavano ad obbedire. Qui io, assieme anche ad altre ‘amichette’ ero cosa loro e prendevo cazzi da tutte le parti, di continuo, quando possibile indossando capi femminili che loro stessi mi procuravano. Infatti era da un po’ che ricevevo dei regali (anche soldi) per le mie prestazioni, non sempre ma succedeva. Mi fermavano per strada, mi telefonavano, oppure si appostavano vicino casa, mi chiamavano ed io andavo con loro. Addirittura avevo degli appuntamenti fissi. Ero una puttana anche se non ne avevo ancora la consapevolezza
Quando ero ‘di là’, invece, era come niente fosse.
Il passaggio era continuo, anzi ormai i due mondi si mescolavano in continuazione. Un attimo prima stavo studiando, con un tizio che mi dava ripetizioni di matematica, subito dopo ero in qualche posto con una vestaglietta di pizzo addosso ed il suo cazzo nel culo.
Quel pomeriggio Giorgio e la moglie erano venuti a pranzo, erano arrivati presto e lui aveva preso a bombardarmi con le sue battute, che si erano rivelate più pesanti del solito, diverse: ‘Ehi, fighetta’ ti prude?’ oppure: ‘Chissà, cosa combini con quella boccuccia” e via così.
Pensai subito che doveva esserci qualcosa sotto.
Comunque io avevo un appuntamento nel pomeriggio, smaniavo perché l’uomo che mi aspettava mi piaceva, era il padre di un mio compagno di scuola, mi scopava da parecchio, però era dolce e non si divertiva, come molti altri, a farmi male ed a trattarmi come una troia. Mi pagava.
Appena potei sgattaiolai nella camera che avevo adibito a spogliatoio segreto quando ero a casa dei nonni, una sottotetto in disuso da molti anni, vi si accedeva attraverso una vecchia scala in legno, seminascosta da un armadio.
Avevo portato con me un bel completino nuovo, bordeaux, corredato da autoreggenti.
Dopo averlo messo avrei coperto tutto con i jeans ed il maglione per poi farlo riapparire di fronte al mio amante. La piccola trousse era nello zaino, con il tubino e le scarpe col tacco.
Ero quasi nudo (dovrei dire nuda perché in quei momenti veniva fuori la femmina totale) ed avevo appena fatto salire le autoreggenti, le mutandine trasparenti a mezza coscia ed il cazzettino duro, mi eccitavo sempre quando sentivo il fruscio dell’intimo, quando Giorgio apparve sulla porta, lo sguardo allucinato: ‘Ma allora &egrave vero! Io l’ho sempre saputo che eri una frocetta, una troia!’.
Io ero rimasto senza parole, spaventatissimo.
Mi aveva seguito fino lì ed ora eravamo l’uno davanti all’altra.
‘E’ proprio vero che gli interessati sono gli ultimi a saperlo! Pensa se tuo padre o tuo nonno venissero qui ora”.
Beh, mi avrebbero ucciso, pensai.
‘Potrei chiamarli, farli salire’ pronunciava quelle a parole con un tono preoccupato. Gli occhi osservavano la mia nudità.
‘Che cavolo! Conciato così sembri proprio una ragazza!’ Esclamò.
Non li chiamare, faccio tutto quello che vuoi’ implorai.
‘Sai ho sentito parlare di te al Caff&egrave Milly qualche giorno fa, ero seduto a leggere il giornale. Nemmeno mi si vedeva. Questi due erano lì vicino, ridacchiavano mentre conversavano sul fatto di scoparsi qualcuno tutti e due assieme, che si sarebbero divertiti. Io pensavo fosse qualche puttanella del paese, perché parlavano di mutandine, reggiseni e cose del genere da regalare ad una certa R’ poi, invece, si sono lasciati scappare il nome di tuo padre”
Arrossii violentemente.
”si chiedevano come facesse a non accorgersi di niente”.
Sapevo di chi parlava, effettivamente un po’ di giorni prima avevo fatto una cosa tre, due autisti dell’autobus di linea che passava dai paesi e che prendevo tutti i giorni, mi avevano aperto come una cozza, sui sedili di una corriera, parcheggiata in fondo al deposito. Mi avevano pagato con il prezioso completino firmato che stavo mettendo in quel momento. Conoscevano molto bene tutta la mia famiglia. Sapevo che erano due bastardi che si divertivano a soffocarmi con i loro cazzi ed a spaccarmi il culo di brutto, ma non pensavo che fossero così coglioni da sputtanarsi nei bar.
” se devo essere sincero non mi sono sorpreso più di tanto, l’ho sempre pensato che tu fossi così, fin quando giocavi con le mie nipoti, non si vedeva la differenza’ una ragazzina come loro’.
Nel frattempo si avvicinava, io mi ero seduto sulla vecchia cassapanca, per riprendermi dallo shock. Le preziose culottes ferme all’altezza delle ginocchia,
Quando mi fu vicino allungai le mani, tanto lo sapevo cosa voleva, lo volevano tutti.
Infatti provò un attimo a tirarsi indietro, non ci riuscì.
Gli slacciai i pantaloni e scostai i boxer, uscì fuori un grosso cazzo venoso che svettava fra la folta peluria grigia.
Lui sospirò mentre io aprivo la bocca e mi accostavo: il membro stagionato che, comunque, era già venuto duro come il ferro mi scivolò in bocca, scorrendo sulla lingua.
Mentre lo succhiavo gli tremavano le ginocchia: ‘Accidenti! Che bocca che hai, neppure le puttane che ho conosciuto erano brave come te!’ esclamò mentre mi impegnavo a fondo, lavorando di bocca come se fosse stata l’ultima volta che lo facevo.
A me tutto questo andava bene, nel momento stesso in cui l’avevo toccato lui non poteva più spifferare nulla a nessuno, se mi scopava diventava mio ‘complice’.
Prima che potesse crollare mi staccai, poi mi girai con il culo verso di lui, appoggiato alla panca, misi un po’ di saliva nel buco del culo, con le dita.
Feci tutto io, appena avvertii il membro che si appoggiava sul buco spinsi all’indietro per farlo entrare.
Solo allora Giorgio mi afferrò i fianchi e me lo buttò dentro, mi usci un gridolino, un misto di piacere e dolore.
‘Sei proprio frocio! Una cagna sfondata… tieni! Tieni!’.
Mi scopava con rabbia, quasi suo malgrado, arandomi il canale senza pietà.
‘Ti dovrei sfondare, picchiarti…’ ripetendo che i miei non se lo meritavano e cose del genere, pero mi inculava a sangue.
In effetti mi faceva male, ma non importava, ero indifferente al dolore, come ho detto questo per me era normale, quotidiano. Totale assuefazione.
Solo un altro cazzo.
Venne dopo pochi minuti, non molto abbondante, l’età si faceva sentire.
Continua… Dopo che gli ebbi ripulito il cazzo con la bocca (lui non voleva, lo trovava degradante ma io desideravo fargli il servizio completo), Giorgio si ricoprì e sgattaiolò via senza dire altro. Sembrava frastornato.
Io rimasi un attimo lì per riordinare le idee poi andai nel bagno più vicino, mi svuotai, mi diedi una sistemata e mi fiondai fuori, avevo un appuntamento, ero ancora in tempo perché anche se era sembrata un’eternità, il mio incontro ravvicinato con Giorgio era durato, in tutto, circa un quarto d’ora.
Appena dietro una curva, fuori dalla visuale della casa del nonno, notai la macchina del padre del mio compagno di scuola, mi avvicinai poi entrai velocemente. Si lamentò appena del mio breve ritardo.
Andammo a casa sua, era separato e viveva solo. Lui entrava dal portone principale del palazzo, io da una porta laterale.
Avevamo un rituale, in auto non dicevamo quasi nulla, poi salivamo in casa, io andavo in uno stanzino e mi cambiavo. Uscivo da lì trasformato, completamente (tra)vestito. Ero diventato R., la fighetta ninfomane.
Minigonne inguinali, tubini (come in questo caso), minuscoli shorts’ ciglia finte, phards, rossetto’ ciò che avevo a disposizione in quel momento. Quello che non mancava mai erano le mutandine di pizzo, lo mandavano in estasi.
Appena pronto venni fuori, mi aspettava sul divano, mi sedetti sulle ginocchia e lo baciai, toccandogli la patta.
Scopammo per tutto il pomeriggio, come ad ogni nostro incontro terminai con il culo gocciolante che non si chiudeva più e la mandibola indolenzita, tra l’altro mi disse che sembravo ‘più calda ed umida della altre volte’, forse la sveltina con Giorgio mi aveva attizzato più di quanto pensassi.
Nonostante possedesse un cazzo bello grosso, venticinque per diciannove circa, come ho già detto era dolce e delicato, cercava di non farmi male (generalmente agli altri piaceva sentirmi strillare), viste le dimensioni non sempre ci riusciva, ero piuttosto delicato e curiosamente, nonostante i continui amplessi, continuavo a provare un po’ di dolore ogni volta che mi entravano nel culo.
Era trascorso un anno dalla prima volta che ero stato a casa sua, anche se, il primo pompino glielo tirai in macchina, quando ci conoscemmo. Era venuto a prendere il figlio che, curiosamente quel giorno era assente. Si era avvicinato a me per domandarmi che fine aveva fatto, quando gli dissi che non c’era mi offrì un passaggio che accettai.
Ovviamente non era lì per caso, qualcuno che mi conosceva gli aveva ‘parlato’ del compagno del figlio, puttanella dalla boccuccia calda e con il culetto senza fondo. Per lui era stata una bella scoperta perché gli piacevano quelli come me, li cercava.
Aveva cominciato subito ad alludere ed avevo capito immediatamente, era gentile e gli dissi io stesso dove imboscare la macchina. Lì lo succhiai a modo e bevvi la sua sborra, senza pormi alcun problema. Mi disse che gli avevano raccontato di R. e che voleva di più e da lì i nostri pomeriggi infuocati.
Lui non lo sapeva e non glielo dissi mai, ma con suo figlio c’eravamo inchiappettati a vicenda, o meglio lui inchiappettava me (cerebralmente passivo) molto di più di quanto facessi io, per molto tempo, quando ci incontravamo per i compiti, fin da ragazzini, ed uno come me con cui sfogare gli ormoni galoppanti era oro colato. Ora non succedeva più, avevamo preso strade diverse e lui si era dedicato alle ragazze, anche se eravamo rimasti molto amici.
Dopo l’ultima ciucciatina al cazzo ed un bacetto sulla guancia, tornai nei miei panni usuali, mi diede un passaggio fin nei pressi della casa dei miei genitori dove dovevo tornare quella sera e dopo avermi allungato dei soldi: ‘Un regalo per gli abitini’ diceva lui, se ne andò.
Dopo un paio di giorni sbucò nuovamente fuori Giorgio. Io non avevo neppure avuto tempo di ripensare a ciò che era successo fra noi, o meglio avevo cercato di non pensarci.
Conoscendo le abitudini di casa mia, telefonò in momento in cui mi trovavo da solo, quindi non fu costretto a chiedere di me a nessuno.
Per cominciare mi fece una ramanzina sul fatto che quello che avevamo fatto non era giusto e cose del genere, però poi mi chiese quando potevamo vederci con calma per parlare di queste cose a quattrocchi. Allora mi venne un’idea, gli dissi che il sabato sarei andato a fare un giro a P., una città ad una sessantina di chilometri di distanza, col treno e che potevamo vederci lì. Il vecchio fu subito d’accordo ma sarebbe venuto in macchina e ci saremo incontrati in un bar piuttosto famoso verso le tre del pomeriggio.
Mi piaceva andare in città, dove non mi conoscevano e trasformarmi totalmente, per strada, senza nascondermi.
Non accadeva spesso, mentre ‘sotto’ portavo cose da donna, soprattutto le mutande e le calze, in particolare quando mi dovevo fare sbattere, esternamente ciò non accadeva, ma quel giorno volevo fare una sorpresa a Giorgio, fargli conoscere R..
Appena sceso da treno corsi al diurno, col mio zaino.
Vi restai circa una mezzora, quando venni fuori ero lei.
Minigonna di jeans bianca, stivali con tacco, maglioncino attillato color malva, piumino leggero, nero.
Sotto perizoma bianco, invisibile, reggisenino prima misura, che mi dava un minimo di forma. completamente plausibile, calzettoni sopra il ginocchio che evidenziavano le mie gambe chilometriche. Le cosce nude.
Capelli sciolti, trucco deciso.
Non avevo bisogno di parrucche, portavo i capelli lunghi, boccolosi.
Occhiali scuri, irriconoscibile.
Dimostravo sedici anni o giù di lì, una giovane troietta, del resto allora pesavo cinquanta chili.
Vi giuro e stragiuro che nessuno avrebbe potuto immaginare che non ero una ragazza.
Entrai nel bar, lui era già lì, nei pressi del bancone. Non mi riconobbe minimamente, quando lo chiamai sussurrandogli nelle orecchie: ‘Ciao, nonno, sono qui’, strabuzzò gli occhi e rimase lì impalato, lo presi per un braccio e lo portai ad un tavolo appartato.
‘Sei’ sei’ bellissima, accidenti! Assomigli alle mie nipoti, non ti avevo proprio riconosciuto!’.
‘Ta’ riconosciuTA, vorrai dire, io sono R.’ risposi, civettuola.
‘R .!?! Vabb&egrave, se ti piace ti chiamo così’.
Prendemmo da bere, il cameriere mi sorrise ammiccante, sorrisi anch’io e lui ringrazio il ‘nonno’ mentre questo pagava.
Ridacchiai mentre Giorgio diventava tutto rosso.
Provò ad intavolare un discorso sulla mia doppia personalità e robe del genere, ma non appena gli presi una mano da sotto il tavolo e me la appoggiai sulla coscia nuda ammutolì.
‘Dai, vecchio, andiamo’.
Mi seguì come un cagnolino. In macchina guidava nervosamente, io ad un certo punto allungai le mani e lo tastai, era eccitato, forse suo malgrado.
Andammo in un hotel di periferia, sembrava uno di quei motel americane, dove parcheggi davanti alla camera. Era ed &egrave un posto dove si scopa e gli impiegati si fanno i cazzi loro, accontentandosi del documento del conducente, pagamento anticipato.
Come R. c’ero già stata altre volte, per soddisfare ampiamente alcuni cazzi piuttosto esigenti.
Entrammo in camera ed io: ‘Dai spogliati, questa volta facciamo le cose con calma’.
Si spogliò lentamente, poi si stese sul letto. Tutto sommato, per l’età che aveva, era messo ancora piuttosto bene.
Io mi ero tolto gli stivali, la gonna ed il maglione, rimanendo in mutande, calzettoni e reggiseno.
Mi misi a cavalcioni sulle sue gambe, poi presi a leccarlo, partendo dai capezzoli, che sbucavano nel folto pelo grigio.
Ancora adesso mi domando cosa avessi allora nella testa, che razza di troia perversa fossi: poco più che diciottenne stavo leccando un vecchio peloso, un settantenne grande amico di mio nonno, praticamente uno della famiglia che mi conosceva fin da bambino, che fra un momento me l’avrebbe spinto nel culo e stavo provando piacere.
Andai avanti a leccare, dappertutto, attorno al cazzo, sulle cosce, poi gli succhiai le palle.
L’asta, che vibrava come un diapason, la lasciavo stare.
Lui stava impazzendo.
‘Ne’nessuno’ mi.. mi’ ha mai fa’ fatto così!’ balbettava.
Quando glielo presi in bocca gemette, guaì come un cagnolino.
Lo afferrai con la mano destra, stringevo la verga mentre lasciavo scorrere la cappella scoperta fra le labbra, ogni tanto una succhiata potente, che lo faceva sussultare. Poi giù, fino in gola, poi su, poi di nuovo giù, fino all’epiglottide.
Mi mise una mano sulla testa, da dominatore, come piaceva a me.
Passai la lingua sul prepuzio sul frenulo, tutto attorno.
Smisi improvvisamente, lasciandolo lì, tremante.
Sfilai le mutandine e davanti a lui mi girai con il culo dalla sua parte, poi mi abbassai sulle ginocchia, con la testa sul letto.
Glielo porsi.
Questa cosa piaceva moltissimo, questa improvvisa torsione, questa ‘offerta’ del mio posteriore ad un uso incondizionato ed illimitato mandava in visibilio i miei momentanei padroni.
Le mie natiche, l’orifizio gocciolante, tutto a loro completa disposizione.
C’era chi mi scopava subito, chi, invece, si divertiva, magari sculacciandomi, leccandomi, penetrandomi con le dita o con qualche oggetto che aveva con se, andava tutto bene, bastava non esagerare.
Giorgio appoggiò il cazzo sul solco, allora io allargai le chiappe con le mani per mostrare l’apertura pulsante in tutto il suo fulgore.
Mi penetrò lentamente, indirizzandolo con le mani, mi usci un gridolino di piacere.
Ero carichissima, venni dopo pochi istanti, gocciolando sborra sul lenzuolo, mentre Giorgio mi scavava sbuffando come un toro.
Faceva avanti e indietro con foga, senza dire nulla.
Al contrario del nostro rapido amplesso in casa del nonno, questa volta ci mise parecchio a venire.
Ad un certo punto ebbe un lieve calo ed uscì fuori, allora mi voltai e mi appoggiai sulla schiena, le gambe completamente tirate indietro (agilissimo) il buco spalancato, questa posizione lo rinvigorì e rientrò immediatamente dentro, con facilità, ci guardavamo negli occhi mentre mi sbatteva, io mi lamentavo debolmente con la bocca socchiusa.
Me lo prese in mano ed cominciò a masturbarmi, venimmo praticamente insieme, lui si accasciò, io urlai, era la seconda e fu fortissima.
Per chi non lo ha mai vissuto, quando vieni con il culo pieno l’orgasmo &egrave moltiplicato. Provare per credere.
Lo baciai sul cazzo e glielo leccai ancora un pochino, lo presi di nuovo in bocca, ma non succedeva nulla.
Ci facemmo la doccia, ognuno per conto suo.
Non parlammo finché non fummo in macchina, lui voleva portarmi a casa, ma io gli dissi di andare alla stazione, che dovevo cambiarmi.
Aggiunse che gli era piaciuto tantissimo, che aveva preso per la prima volta un cazzo in mano che non fosse il suo, ripetendo di nuovo che non andava bene, che lui era troppo grande e che io dovevo essere un maschio, avanti così.
Prima di scendere dall’auto lo baciai, questa volta sulla guancia: ‘Ciao, vecchio, alla prossima’.
Fui felice che non mi avesse offerto qualcosa, dei soldi o altro, lui era quasi un nonnino per me e non avrei comunque voluto nulla.
La nostra ‘storia’ durò circa tre mesi, ogni volta, però, che ci incontravamo lui andava in paranoia e si distruggeva con i sensi di colpa.
Decidemmo di non farlo più.

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