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Racconti Gay

La stazione di Sesto

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Forse quello che vi racconterò &egrave solo un sogno.

La stazione di Sesto San Giovanni era quasi sempre deserta a certe ore del giorno, in quegli anni. Oh, era una stazione triste, sapete, di quelle in cui fermavano solo pochi treni, e passavano dei merci lunghi e vuoti quanto la malinconia! Lo stridere delle ruote, il rullio dei vagoni, il volto annoiato del capostazione, il fuggire delle locomotive, i rari passeggeri intirizziti, accarezzati soltanto dal gelido vento d’inverno’ Sogni!

Ma vi ho detto che a certe ore del giorno e della notte era una stazione molto movimentata’ Cazzo!

Oh, e la mamma, la mia buona mamma, mi aveva detto di non andarci, perché c’erano i fantasmi, i fantasmi, che mi potevano fare tanto male’ Ma io c’ero andato lo stesso.

Ragazzaccio!

E m’ero incamminato lungo un binario desolato, in un posto dove c’erano soltanto degli scatoloni di cartone, vuoti, che qualcuno doveva aver preso a calci più volte, per sfogare la propria rabbia di gioventù, e i cessi, dove quasi più nessuno andava a pisciare.

Ma ecco giungermi dei rumori strani’ Oh, non era un treno che partiva, non erano, no, gli addii commossi delle spose, delle sorelle in lacrime’ No, erano i versi dei ricchioni che scopavano, scopavano, e scopavano!

C’era anche una gran siepe di rododendri. Mi volli soffermare per un istante su quei meravigliosi cespugli, ma cosa vidi, uh! Erano il nascondiglio di spinelli, mozziconi e preservativi usati, tutte glorie di gioventù.

Ma torniamo a noi. Oh, quei versi mi avevano davvero eccitato, tanto che volli appoggiare un orecchio alla porta della ‘toilette’, per sentire: ‘ah’ ah’ aha! Spaccami spaccami spaccami! Così, ancora’ Godo”

Erano due gay, anzi, due lesbiche, di cui una portava un dildo, di cui si serviva per penetrare e scopare l’altra. E la scopava per il culo.

Mi &egrave sempre piaciuta quella gente. Non che sia omosessuale omosessuale, però’ Comunque mi piacciono le donne.

Le osservavo per il buco della serratura, e non vi nascondo che nel frattempo mi stavo facendo’ ma lasciamo perdere! E non fatemi ridere, ragazzi, perché quello che vi racconto &egrave una cosa seria.

La stazione di Sesto San Giovanni era un gran bel porto di mare. Ci venivano i ragazzoni con i motorini, a fare chiasso, le lesbiche, con degli enormi tatuaggi sulle tette e sulle braccia nude, oltre che sulle caviglie, e delle gran chiome che arrivavano fino al culo, i signori degli spinelli, che facevano sempre un mucchio di fumo, e a volte giocavano a rincorrersi, o a chi sbraitava più forte.

E cavoli, che cazzate, dopo la mezzanotte!

La stazione di Sesto San Giovanni era così fuori mano e triste’ Oh, ed era per questo che c’erano sempre delle puttanelle, che facevano finta di aspettare un treno che non arrivava mai, e a volte si ritiravano in sala d’aspetto con i clienti. Oh, quelle sale d’aspetto grigie grigie, dove sembrava abitare soltanto il silenzio, la solitudine, il ricordo!

E invece’

Che scopate’

La stazione di Sesto San Giovanni sembrava morta. Vi abitavano soltanto le tortore e i merli’ Oh, sì, ma non solo quelli, anche il divertimento e il sesso sfrenato. Pensate che c’era gente che veniva con l’amante, per non far sapere niente alla moglie cornuta, o si faceva lo scambio di coppie, c’erano intrecci a due, a tre, a quattro e anche a cinque.

Che frustate!

Che orge’

Credetemi, non dava fastidio a nessuno. E nessuno mai aveva pensato di indagare in merito a quali fossero i passatempi preferiti dei passeggeri di quella stazione un po’ fuori mano. Erano dei passeggeri che non salivano quasi mai sui treni, o meglio, salivano sui vagoni dimenticati sui binari, dove facevano quello che facevano.

E la mia mamma diceva che quelli erano fantasmi’ Oh, diceva di non andarci, perché dopo la mezzanotte specialmente si mettevano a fare buuuuh!

A volte veniva anche una donna sola soletta, truccata come una bambola, con le scarpe rosse coi tacchi a spillo e le calze a rete. Si chiudeva nella toilette e si masturbava cento volte. Come godeva! Poi la sentivo tirare l’acqua, e la vedevo uscire, mezza ubriaca, attaccata alla sua bottiglia d’acquavite. Guardava il cielo e i treni, ebbra d’orgasmo.

Una volta, mentre gironzolavo fumandomi la mia brava sigaretta, vidi da lontano un grosso energumeno, che avrebbe potuto fare la guardia del corpo, tanto aveva le braccia muscolose e la testona pelata, era seminudo e portava dei tatuaggi terribili!

Non era solo. Anzi, stringeva forte un malcapitato mingherlino mingherlino, e c’era anche una donnaccia con una parrucca bionda, coi tacchi a spillo e la minigonna.

Sbrigati, Frida! Che gli facciamo un bel servizio!

Sì, buchiamolo e sfondiamolo. Pezzente, meriteresti che ti gettassimo dentro il water!

Ti pago, giuro che ti pago’

La stazione era deserta a quell’ora. Che paura ebbi! Mi sembrava di essere improvvisamente entrato in un film poliziesco.

Il miserabile era destinato a sorbirsi un’iniezione di droga fuori misura, o forse ad essere davvero scaraventato nel cesso. Lo sentii gridare. Ma poi mi giunsero anche altre voci’ Era l’energumeno dalle braccia enormi, che si scopava quella che aveva chiamato Frida.

Ah, e credetemi, quella femmina non era niente male. Li spiai dal buco della serratura.

Avanti, sfondami’ Sbrigati, su’ ahaaa!

Il povero ometto mingherlino giaceva con la testa nel water.

La donnaccia si era invece tirata su la sottana e l’energumeno le aveva strappato via le mutandine. Ella ebbe appena il tempo di infilare un preservativo su quel fallo enorme, che già lui la penetrava, la penetrava e la penetrava. L’aveva adagiata contro il muro, e la menava con forza. S’era tolto i pantaloni e gli si vedeva il sedere nudo. Si capiva che la femmina era visibilmente emozionata, rideva e s’emozionava sempre più, colpo dopo colpo, mandava dei gemiti e dei versi eccitanti. Aveva perso una scarpa, per la violenza con cui veniva sottoposta al rapporto sessuale, e con le gambe attirava sempre più il corpo del maschio al suo. Si lamentava come una di quelle’ L’orgasmo si avvicinava, capii che era il caso di allontanarmi alla svelta, per non essere scoperto.

Ricordo che in quegli anni io non ero cattivo. A dire il vero, non lo sono mai stato. Dico soltanto che non ero uno di quei ragazzacci rompicoglioni che si fanno gli spinelli, vanno a puttane e rubano le radio dalle macchine. Oh, no, non ero uno di quelli che spacciavano o si davano ai furterelli’ Non ero un briccone, credetemi. E comunque poi ho anche smesso di fumare.

Non che fossi una checca.

Ma mi eccitavo quando, all’una di notte, passavo nei paraggi della vecchia stazione di Sesto, e vedevo dei gay con la testa rapata, alti di statura, che andavano a fottere. Una volta ne vidi tre, alla luce dei lampioni. Era di gennaio, e c’era un vento freddo, che’

I tre ricchioni portavano tutti l’orecchino e avevano dei muscoli impressionanti. Dovevano essere ubriachi, date le sciocchezze che dicevano, e gli scherzi che si facevano.

E che, minchione! Quanti preservativi hai riempito in vita tua? Beato te!

Ma lo vuoi un cazzotto nel culo?

Dai, che devo pisciare!

Giuro che non rividi mai nulla di simile. Oh, credetemi, &egrave davvero raro vedere un maschio essere scopato da due altri maschi a quel modo, gridando come una femminuccia. Gli inglesi lo chiamano ‘barebacking’. L’avevano fatto piegare in avanti, con la testa nell’orinatoio. Furono due i rapporti anali che dovette subire, e con gran piacere. Due gli uomini che gli inondarono l’intestino con il loro sperma.

Era un mattino d’inverno. State tranquilli, la mia voce roca non vi narrerà altre cose spiacevoli, ma altre e nuove favole, forse un po’ tristi.

Tristi, come quegli stormi di passeri che s’alzavano in volo al mio passaggio, per poi posarsi sulle mie braccia, chiedendo a un povero e caritatevole mortale le briciole di pane che li sfamavano.

Cinguettavano.

Non c’era nessuno accanto a me. Soltanto il silenzio. E la mia anima era sola e malinconica, perché non aveva mai conosciuto la dolcezza di una donna.

Chiusi i miei occhi. Il vento freddo mi sfiorava. Ed era come se quelli fossero abbracci appassionati, oh, sì, avevo la tenera sensazione che accanto a me vi fosse una giovane dai lunghi capelli rossi o biondi, che mi regalasse il suo affetto.

Qualcosa mi baciava ‘ Una voce non si stancava di sussurrarmi ‘ti amo’, e due labbra rosse e carnose non si stancavano di posarsi sulle mie, e di riscaldare il mio corpo.

Non avevo più freddo.

Riaprii i miei occhi, travolto dalla pallida illusione del sogno.

Un angelo era seduto su una panchina deserta. Poteva avere vent’anni, dei lunghi boccoli biondi le ricoprivano le spalle, e le sue mani bianche erano fatte soltanto per carezzare.

Sollevò il volto e mi guardò con quei suoi grandi occhi di perla, che avevano il colore dei cieli di primavera, e la tristezza delle grigie giornate d’autunno.

Hai freddo? ‘ le chiesi.

E da allora la incontrai altre mille volte. Le dicevo di non avere paura, perché non le avrei mai fatto del male.

Lei mi disse di essere l’angelo della stazione, di non avere un nome, ma di essere nata soltanto per amare e per baciare. E ci abbracciavamo sempre, per riscaldarci a vicenda, a volte potevamo salire su un vagone deserto e trascorrere delle ore a guardarci negli occhi. L’angelo piangeva, ma non aveva mai voluto rivelarmene il vero perché.

Le tue labbra non mi consoleranno’

Mi disse anche di essere condannata a rimanere in quella stazione per altri trecento anni, prima di poter ascendere al Regno dei Cieli. Le regalavo le caldarroste e riempivo le sue tasche di biglietti di banca, ma lei non voleva, diceva che tanto era inutile, e che l’unica cosa che avessi potuto fare per lei era amarla appassionatamente.

Non so quanto rossetto portassero le sue labbra’

La ragazza non aveva mai conosciuto il sesso. E mi chiese di farne con lei. Lo facemmo mille volte, nei vagoni merci, dimenticati sui binari morti. Lei sotto, io sopra, che penetravo quel suo corpo di statua, giocavo con le sue gambe lunghe, e carnose, facevo ballare quei suoi seni enormi, di cui succhiavo i capezzoli, la prima volta che l’avevamo fatto lei aveva gridato, perché le avevo fatto male.

Nessuno ci aveva mai scoperti’

Lei diceva che dovevo riempirle la vagina di sperma, che voleva un bambino’ lacerandole l’imene l’avevo fatta mia.

Eppure, ci eravamo giurati soltanto affetto, soltanto amore appassionato e spirituale, che venne poi ucciso dalla nostra carnalità. La prima volta che l’avevamo fatto le avevo scoperto quel tatuaggio alla caviglia, che sembrava un giuramento di carne, proferito per rendere schiavi.

Uno dopo l’altro, i treni passavano lungo i binari della stazione di Sesto, senza fermarsi mai, senza fermarsi mai, come la vita, dolce e triste, come la vita. Oh, mamma, te la ricordi?

Ma che cazzo, non piangete, era una stazione di gay!

E ci venivano ragazzoni muscolosi con i motorini, donnacce che portavano il nome di Frida, o di Lolita, pezzi da novanta col valigione pieno di denaro sottobraccio, studenti che facevano chiasso, raccontavano di scopate, si facevano le seghe e fumavano chissà che; sì, tanta, tanta gente, in fondo.

Erano quelli che la mia cara mamma chiamava i fantasmi, i fantasmi! Quelli che nelle cupe notti di gennaio ululavano nei cessi.

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