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Racconti Gay

Primavera

By 1 Febbraio 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Era la primavera del 1980, avevo 19 anni all’epoca, studente universitario al primo anno, con tutto l’entusiasmo e l’incoscienza delle matricole.
Vivevo in un bilocale in pieno centro, un appartamentino bellissimo e confortevole in un palazzo d’epoca interamente di proprietà di Alfonso, un vecchio libraio che, da qualche anno, si era ritirato dall’attività dedicandosi esclusivamente alla sua collezione di libri antichi.
Alfonso aveva, allora, una settantina d’anni, era un uomo piuttosto sgradevole fisicamente, di altezza media, molto grasso, radi capelli bianchi untuosi e scompigliati, pelle giallognolo a flaccida e denti ingialliti dalla nicotina lasciata dalle oltre quaranta sigarette che fumava ogni giorno.
Per contro io ero quello che veniva definito un gran bel ragazzo, non altissimo, ma longilineo, capelli castano scuro, occhi verdi, un bel viso, pelle chiara e delicata e, nonostante fossi ormai non più un adolescente gli unici peli evidenti del mio corpo erano quelli delle ascelle e del pube, per il resto ero quasi glabro.
Sapevo che su Alfonso giravano voci di una presunta omosessualità, sapevo anche altrettanto bene che io rappresentavo, per un certo tipo di omosessuale, una tentazione notevole, ma non me ne curavo, mi sentivo al di sopra e al di fuori e il mio successo con le ragazze mi faceva ritenere addirittura intoccabile anche alla benché minima ipotesi di un rapporto sessuale con un uomo. Ma il destino se ne frega delle nostre convinzioni e alle volte gioca brutti scherzi. A me capitò con una partita a poker fra amici, iniziata bene e finita malissimo, con le tasche vuote e senza una lira a casa per pagare l’affitto mensile ormai in scadenza.
Ero disperato, chiedere ai miei voleva dire raccontare della mia nottata attorno ad un tavolo da gioco, pensavo a come risolvere la situazione, ma, per quanto mi sforzassi, non trovavo una soluzione accettabile. Passai giorni sopravvivendo con prestiti di amici, fino a quando, un giovedì sera, sentii suonare al campanello, era, naturalmente, Alfonso. Lo feci entrare ed accomodare sul divano, io rimasi in piedi davanti a lui, mi disse senza mezzi termini che ero in ritardo con l’affitto, imbarazzato gli spiegai la situazione, lui mi ascoltò, sorrise e poi, a voce bassa, mi disse.
– Vieni giù da me fra una decina di minuti, troveremo una soluzione ‘
Non ero un ingenuo, quando rimasi solo pensai che forse il vecchio aveva qualche mezza idea su di me, ma cercai di scacciare quel pensiero, sperando che la soluzione ipotizzata fosse, magari, la mia disponibilità a fargli qualche lavoretto in casa.
Quando dieci minuti dopo entrai a casa sua capii, mio malgrado, che di lavoretto si sarebbe trattato, ma non certo appendere quadri o fare le pulizie.
Lui mi aspettava con addosso solo una veste da camera di seta verde lasciata aperta, non potevo non vedere il suo cazzo flaccido e biancastro spuntare fra le pieghe grasse dell’inguine e la peluria candida, era rivoltante, una specie di salsicciotto con due coglioni grossi e cadenti.
– Vieni bel fighetto, se non hai soldi vorrà dire che l’affitto lo pagherai in natura vero? ‘ mi disse il porco con tono schifosamente laido.
– No, parliamone, io non’ –
– Tu non cosa? Caro, hai poco da scegliere, o mi paghi l’affitto in contanti o mi fai godere, altrimenti dico tutto ai tuoi e non saranno contenti vero? Dai, non perdiamo tempo, vieni in camera, ho una voglia di chiavarti che neppure te lo immagini ‘
Tremavo per lo schifo e per la paura, il maledetto mi prese per un braccio e con insospettata energia mi trascinò in camera, si tolse la vestaglia rivelando il suo corpo ciccioso e si gettò sul letto.
– Forza caro, spogliati e vieni qui, fammelo venire duro puttanello ‘
Mi veniva da piangere, ma capivo perfettamente che non avevo scelta, pagavo, amaramente, la mia cazzata, speravo solo che la cosa finisse in fretta, cominciai a spogliarmi mentre il vecchio bastardo non mi toglieva gli occhi di dosso e si toccava il ributtante uccello.
– Quanto cazzo sei buono mmmmm, vieni qui dai stronzetto, fammi vedere come sei bravo ‘
In silenzio lo raggiunsi a letto, subito lui mi mise una mano sulla nuca e mi spinse mettendomi la testa sull’inguine e mi ritrovai così col suo uccello floscio in faccia, era disgustoso, molliccio, odoroso di orina, faceva schifo. Lui si accorse della mia smorfia e ridacchiò.
– Non fare lo schizzinoso troietto, apri la boccuccia e lavora di lingua, fai il bravo su ‘
Vincendo il ribrezzo aprii la bocca e me lo lasciai scivolare fra le labbra, sentii il gusto acre e il tepore di quel cazzo di vecchio riempirmi il palato, presi fiato e comincia a leccare tenendo gli occhi chiusi.
– Ohhhh, ma che bravo, su tesoruccio, fammelo diventare bello duro che dobbiamo fare tante cosine io e te ‘ sogghignò il bastardo e per sottolineare la mia sottomissione mi piazzò la mano sul sedere cominciando a palparmi il culo con violenza.
– Ma che bel culetto che hai, morbido, liscio, su dai, bagnami bene il cazzo amore, fammi sentire quella bella linguetta sulla cappella e con quelle belle manine di seta toccami i coglioni fai il bravo dai ‘
Umiliato e rassegnato sempre più ubbidii, lo lavoravo di lingua e con le mani gli carezzavo le palle mentre il bastardo sempre più eccitato mi faceva scivolare due dita fra le chiappe e me le infilava nel buchino.
– Che bella Rosellina stretta che sento qui, mmmmmmmhhhhh, fantastica davvero, bella carnosa, che bel puttanello che sei, dai continua a succhiare che mi sta venendo duro ‘
Era vero, quella specie di verme che aveva al posto del cazzo si stava indurendo, la cappella era ormai scoperta e mentre la leccavo sentivo già l’umidiccio appiccicoso della sua eccitazione e l’asta era bella dura e soda. Con sorpresa mi accorsi che era proprio un bel cazzo, non lunghissimo, ma grosso e tosto e anche le palle, carezzate da me, si erano come gonfiate riempiendo ben bene lo scroto. Non credevo a quello che mi stava capitando, mi resi conto con stupore che leccare l’uccello di Alfonso mi piaceva, che provavo gusto nel sentirlo in bocca, nel bagnarlo con la mia saliva, nel succhiare e slinguare e che mi piaceva pure sentire le sue dita frugarmi il buco di culo.
Lui, vecchio omosessuale esperto, si accorse subito della mia trasformazione e diventò d’improvviso, stranamente, più duro.
– Bravo piccolo puttanello, vedo che cominci a godere eh finocchio, lo sapevo che ti sarebbe piaciuto, si vedeva che ci voleva poco per farti diventare un frocetto pronto a tutto vero stronzetto? ‘
Anziché offendermi i suoi insulti mi eccitavano di più, sentivo che anche il mio cazzo era duro ormai e continuavo a spompinarlo con sempre maggiore foga e a muovere il culo per meglio godere del lavoretto che mi stava facendo con le dita.
– Ora basta, basta, fermati tesoro! ‘ mi intimò estraendo il cazzo dalla mia bocca.
Era bello, rosso, duro, con la cappella lucente della mia saliva.
– Mettiti a pecorina, voglio sverginarti il culo forza ‘ mi disse rudemente.
Lo guardai.
– Farà male? ‘ chiesi
– Non rompere i coglioni, certo che farà male, ma che cazzo me ne frega, mettiti giù e stai zitto che ho i coglioni che scoppiano, forza non discutere, giù puttana! ‘
Era passato addirittura al femminile, provai un brivido di eccitazione, mi misi a pecorina, allargai le gambe e attesi.
– Cazzo, non mi facevo un culo così bello da anni’mmmhhh, ok troia, ora fammi godere come si deve, sei pronta? ‘
– Si ‘ sussurrai.
– Brava puttana che non sei altro, ecco qui, che belle chiappe che hai, adesso ti inculo bello mio ‘
Era incredibile, usava maschile e femminile come a voler sottolineare la mia condizione di omosessuale passivo e puttana, mi piaceva!
Sentii la cappella sul buco, chiusi gli occhi, dopo un attimo sentii che provava ad entrare. Il mio buco era strettissimo, faceva fatica ad entrare e faceva anche male, mi sfuggì un lamento.
– Ahhhh, piano per favore ‘
– Non rompere le palle troia. Sei stretto, cazzo, strettissimo, faccio fatica, non ti muovere, non fare cazzate, dopo la cappella poi entra facile il cazzo, adesso! ‘
Diede un colpo secco e feroce, provai un dolore assurdo, lancinante mentre i primi centimetri del suo uccello mi entravano nel culo, urlai.
– Ahiaaaa, piano! Ahiaaaaa! Nooo! ‘
– E stai zitto! ‘ urlò lui dandomi una terribile pacca sul culo ‘ Ora sono dentro, non farmi incazzare, hai capito! Ahhhhhhhh, che bello, che culo di panna che hai puttana! ‘
Lo sentivo, era dentro e spingeva, il suo cazzo mi entrava nel culo lentamente ma inesorabilmente, con colpi rapidi, decisi, dolorosi, le sue mani sudate mi strizzavano le chiappe, con la voce rotta smozzicava insulti e frasi volgari.
– Si, te lo metto tutto dentro, ti spacco il culo frocietto, sei tutto mio, che goduria incularti come una troia di strada, che bello sentire il cazzo che ti apre il buco, dimmi che ti piace puttana, dimmelo che sei la mia troia ‘
– Si, sono la tua troia si ‘
– Dimmi che ti piace essere inculato dai che lo voglio sentire, forza stronzo! ‘
– Si, mi piace essere inculato, siiiii ‘ era vero, mi faceva ancora male, ma la sensazione del suo uccello che mi pompava il culo era anche piacevole e stavo godendo.
Ormai era dentro al massimo, cominciò a muoversi avanti e indietro, con rabbia, con violenza, sempre insultandomi e massacrandomi le chiappe con palpate feroci, ma mi piaceva, ero pieno di quel cazzo di vecchio duro come un sasso e cominciai a farmi una sega.
Dopo un tempo che non saprei dire lo sentii irrigidirsi.
– Siiiiiiii, godooooooooo, ti sborro nel culo troiaaaaaaaaa! ‘ avvertii con stupore il fiotto caldo della sua sborra, lo sentii dentro, vischioso, abbondante e contemporaneamente venni anch’io, un orgasmo bellissimo che mi strappò un urlo di goduria.
Ci sdraiammo esausti, lui sopra di me, con l’uccello che, rilassandosi, lentamente mi usciva dal culo, lo sentivo ora fra le chiappe, quasi molle, bagnato, tiepido, non seppi resistere , mi voltai e glielo presi in bocca succhiando avidamente i residui della sua sborrata.
– Sei fantastico’ho idea che andremo d’accordo io e te, ti insegnerò tante belle cosine, vedrai ‘
E fu così che cominciò.

Da quella prima volta divenni, consapevolmente e senza remora alcuna l’amante, la troia, lo schiavo sessuale di Alfonso.
Il mio padrone e mentore amava che il suo giocattolino sessuale fosse, per così dire, un maschio-femmina, non un travestito, ma un maschio che però avesse certe caratteristiche femminili.
Mi voleva totalmente depilato anche nel pube e così avevo imparato a farmi la ceretta da solo, dolorosa certo, ma era l’unico modo per avere il corpo perfettamente privo di peli. Ogni giorno andavo a rasarmi da un barbiere, in modo da avere un viso sempre liscio, da solo poi, verso sera, mi ritoccavo la rasatura.
Usavo creme emollienti della Bottega degli Speziali e cosmetici che rendevano la pelle vellutata e luminosa e naturalmente facevo uso anche di creme per le mani e per i piedi.
Tutti i giorni ero a casa di Alfonso, arrivavo verso le sette, si mangiava assieme e si scopava ogni volta che lui ne aveva voglia, il che nonostante l’età, avveniva spesso. Capitava in ogni momento e in ogni situazione, potevo essere intento a preparare la tavola e lui mi arrivava da dietro, mi tirava giù rapidamente i pantaloni, mi faceva chinare e mi inculava rapidamente, oppure mentre si era a tavola mi diceva di mettermi sotto il tavolo, si tirava fuori il cazzo e mentre lui continuava la cena io dovevo fargli un bocchino. A letto si andava sempre abbastanza presto, Alfonso mi diceva cosa dovevo indossare, solitamente pigiami di raso, ma alle volte si divertiva anche a farmi indossare babydoll, culottes o camicie da notte da donna, tutto rigorosamente in raso od anche in seta.
Mi piaceva indossare quel tipo di abbigliamento, era molto eccitante sentirlo sulla pelle e sentirmi toccare, palpare, con quelle cose addosso.
I nostri rapporti erano sostanzialmente quelli di una coppia, la cosa mi sembrava strana, all’inizio Alfonso mi aveva promesso, o minacciato a seconda dei punti di vista, di farmi provare ogni tipo di sensazione, anche le più perverse e la cosa, oltre a spaventarmi, mi eccitava.
Naturalmente di affitto non si parlava più, ma le cose cambiarono in maniera inaspettata verso la fine di maggio.
Era una sera, mi trovavo a casa di Alfonso, avevo appena finito di fargli l’ennesimo pompino quando lui mi disse che di lì a pochi minuti sarebbe arrivato un suo amico per una proposta interessante.
Il tizio arrivò dopo una mezz’ora, si chiamava Carlos, un colosso sudamericano, sulla quarantina, mulatto, non seppi mai da dove arrivasse, ma dall’accento penso fosse brasiliano, era vestito in maniera pacchiana, parlava un buon italiano.
Si sedettero entrambi sul divano, Alfonso mi disse di andare a preparare il caff&egrave.
Ero in cucina, armeggiavo con la caffettiera quando sentii un rumore dietro di me, mi voltai, era Carlos appoggiato allo stipite della porta, che mi osservava in silenzio e sorrideva. Imbarazzato sorrisi a mia volta, lui cominciò ad avvicinarsi, il suo sorriso cominciò a mutare, non era più molto amichevole, si passò la lingua sulle labbra, capii che stava per succedere qualcosa.
– Alfonso ‘ urlai e come se il mio grido fosse lo sparo della pistola di uno starter Carlos mi si catapultò addosso.
Mi afferrò saldamente cingendomi il corpo col braccio sinistro mentre con la mano destra mi tappava la bocca. Divincolarmi era inutile, non avevo alcuna possibilità contro quel gigante, ero letteralmente terrorizzato, il bastardo, sottovoce, mi parlò, aveva un alito schifoso, sapeva di sigaretta e aglio.
– Buono fighetta, ho pagato bene per te ‘
Rimasi di stucco, avevo capito benissimo quello che Carlos aveva detto, ma non riuscivo a credere che fosse possibile, lui se ne accorse, sorrise con cattiveria.
– Si fighetta, lui ti vende’andiamo che ho voglia del tuo culo ‘ e così dicendo cominciò a trascinarmi fuori dalla cucina. Passammo in sala, Alfonso se la rideva.
– Devi farmi guadagnare troietto, mica pensavi che bastasse prenderlo nel culo per non pagare l’affitto vero? ‘
Carlos mi liberò la bocca (lo fece sicuramente apposta), guardai Alfonso con odio.
– Bastardo! ‘ urlai mentre venivo trascinato via.
In camera Carlos mi buttò sul letto senza troppi complimenti e mi saltò addosso.
Mi bloccò le braccia mettendovisi sopra con le gambe, si aprì la patta e si tirò fuori l’uccello sbattendomelo in faccia, mi sentii male, era enorme. Lungo, grosso, scuro, duro come un sasso, un cazzo mai visto, una bestia lucida con due palle grosse e piene come mandarini.
Me lo mise sulle labbra, che potevo fare? Aprii la bocca e me lo ritrovai infilato dentro fino alla gola. Mi sentivo soffocare, cominciai a leccare e succhiare in preda al panico, lui lo spingeva giù, mi veniva da rigettare, la bocca mi si riempiva di saliva mentre quell’uccello mostruoso mi invadeva e godeva della mia lingua, delle mie labbra.
Il bastardo sopra di me pronunciava frasi smozzicate.
– Si bello, succhia finocchio, bagna bene che entra meglio nel culo, si, dai, stronzo, dai fammi pompino ‘
Quelle parole erano panico allo stato puro per me, pensare di prendere nel culo quel bastone orribile di carne mi faceva star male, mi ero abituato al cazzo rispettabile di Alfonso, ma quello era mostruoso.
Andammo avanti così per un tempo che mi sembrò infinito, poi me lo tolse di bocca, lo guardai, aveva una cappella gigantesca, rossa, lucida di saliva così come tutto il cazzo che era bagnato e grondante.
– Ora il culo, girati ‘
Esitai, lui no, mi prese per i fianchi e mi rovesciò a pancia in giù, cercai di resistere, ma era perfettamente inutile, con una mano mi teneva ferme le braccia dietro la schiena mentre con l’altra mi slacciava i pantaloni.
In pochi secondi mi ritrovai con pantaloni e mutande abbassati sino alle ginocchia e il culo nudo.
Mi si stese sopra, col corpo mi schiacciò giù, mi lasciò le braccia, tanto ormai non potevo scappare, sentii il suo cazzo infilarsi nel solco delle chiappe, le sue mani divaricarmele leggermente e poi la cappella bestiale puntata sul buco.
– Bel culo bianco ‘ sogghignò il bastardo cominciando a spingere.
Fu terribile, non avrei mai pensato di poter provare un dolore così forte, era come se un palo mi fosse cacciato a forza nel culo, non potei fare a meno di urlare come una bestia scannata, mi agitai e commisi l’errore di irrigidire le chiappe, sentii il suo cazzo scivolare fuori e subito dopo lui sbraitò una bestemmia e mi colpì con uno schiaffo.
– Brutto stronzo, che cazzo fai finocchio ‘ mi urlò in faccia ‘ Adesso ti aggiusto ‘ si alzò di scatto ed uscì, rimasi lì, col culo in fiamme e la guancia altrettanto, capii che non potevo ribellarmi per non passare un brutto quarto d’ora, avevo un vuoto allo stomaco al pensiero del dolore che avrei provato.
Quando Carlos rientrò io ero pronto, mi ero spogliato e lo aspettavo a pecorina, con le gambe allargate.
– Scusami ‘ dissi ‘ farò il bravo adesso ‘
– Si lo so ‘ rispose lui ‘ però voglio essere sicuro, metti le mani dietro la schiena ‘
Capii che stava per succedere qualcosa, ubbidii, immediatamente mi accorsi che con una corda mi stava legando i polsi, lo fece rapidamente, poi con del nastro adesivo da pacchi mi tappò la bocca, mi voltò mettendomi di schiena, si sputò sul cazzo e lo lubrificò, poi con lo stesso sistema mi bagnò il buco del culo, mi afferrò per le caviglie e mi sollevò le gambe appoggiandosi i talloni sulle spalle, mi puntò la cappella sul buco e poi con cattiveria e violenza diede un colpo secco e furioso inculandomi di botto.
Non fossi stato imbavagliato il mio urlo lo avrebbero sentito fino a chissà dove. Mi sentii letteralmente squartare, il culo aperto senza pietà e l’uccello mostruoso dentro di me, violento, implacabile che mi entrava senza pietà fino a quando non sentii i coglioni sfiorarmi le coscie.
Fu un’esperienza allucinante, sragionavo, mi sembrava di vivere in una bolla di sapone, il dolore era allucinante mentre quell’asta inverosimile di carne scura entrava ed usciva con colpi secchi, devastanti e quelle mani enormi mi martoriavano le chiappe tastandomele e affondando le dita nella carne morbida.
Non veniva mai, continuava a sbattermi mentre i miei lamenti venivano soffocati dal bavaglio, pregavo che finisse tutto in fretta. Capii che l’incubo stava terminando quando lo vidi irrigidirsi, gridò, diede due ultimi allucinanti affondi infilandomi il cazzo dentro fino alle palle e poi iniziò a sborrarmi dentro. Lo sentivo schizzare, sborra calda che mi colava fuori e mi bagnava le gambe, che mi riempiva il culo, lo tirò fuori, ancora duro, grondante di sborra bianca, mi strappò il bavaglio e me lo appoggiò sulle labbra. Capii e ubbidiente glielo leccai, la mia lingua gli avvolgeva la cappella ripulendola dei residui di sperma, ero distrutto e volevo che andasse via, ma il bastardo mi riservava un’ultima umiliazione.
– Apri la bocca puttana ‘ mi ordinò con un tono che non ammetteva repliche.
– Non ribellarti, altrimenti &egrave peggio per te ‘ aggiunse duro, mi infilò la punta del cazzo in bocca e poi, lentamente, cominciò a pisciare. Dovetti bere fino all’ultima goccia della sua urina tiepida e schifosa, quando ebbe finito si scrollò il cazzo, si alzò, si rivestì ed uscì didendomi.
– Ci vediamo fra un paio di giorni puttana, mi sei piaciuto –

Il bastardo ridacchiava mentre, in bagno, si stava facendo la doccia, io ero in accappatoio, in piedi e lo stavo letteralmente implorando perché rinunciasse al suo progetto di farmi prostituire.
– Sentimi bene stronzetto ‘ mi rispose scocciato ‘ il tuo culo &egrave una miniera d’oro e io voglio sfruttarlo. A te darò il 30% di quello che guadagni, se vuoi puoi anche rifiutarti, ma se lo fai non ci metto né uno né due a mandare ai tuoi genitori quelle belle foto che ti ho fatto con le mutande da donna e truccato come una vera troia. Domani ti porterò da dei miei amici, se non ci stai dimmelo subito chiaro? ‘
Il maledetto non avrebbe esitato a rovinarmi, lo sapevo benissimo, avevo creduto, ingenuamente, di poterlo convincere, lo guardai fisso negli occhi, lui lesse la rassegnazione nel mio sguardo, uscì dalla doccia, si avvicinò, mi slacciò l’accappatoio e me lo tolse, mi afferrò per i fianchi e mi fece voltare, mi prese i polsi e mi fece appoggiare le mani ai bordi del lavandino.
– Vedo che sei ragionevole’dai troia, mettiti giù che ho voglia di sborrare in questo bel culetto morbido ‘ una risata cattiva accompagnò le sue parole.

Il giorno dopo fu come la preparazione di un sacrificio. Gli amici dovevano arrivare alle sei di sera, mi lasciò dormire fino a tardi, alle undici mi svegliò, mi portò in bagno e mi fece fare un primo bagno con oli aromatici e emollienti, mi asciugò personalmente, poi mi fece un primo clistere. Dopo che mi fui liberato mi fece una prolungata lavanda anale e mi passò una crema emolliente sull’ano. Fu la volta di una accurata ceretta, mi depilò completamente, anche il pube, poi mi portò in camera e mi massaggiò a lungo con creme per ammorbidire la pelle. Per tutto il giorno mi fece solo bere e mi costrinse ad altri due clisteri, seguiti sempre da accurate lavande e prolungati massaggi. Alle quattro e mezza cominciò la fase finale della preparazione, mi rasò, mi fece fare un altro bagno profumato, mi massaggiò ancora poi passò al trucco. Mi mise del fondotinta leggero, rossetto, mi dipinse le unghie delle mani e dei piedi con smalto rosso, mi fece coi capelli, che portavo abbastanza lunghi, una coda di cavallo e infine mi portò in camera per vestirmi.
Mi guardai allo specchio, sembravo, già in quel momento, una ragazza, la pelle liscia, candida, il viso leggermente truccato, le labbra carnose, il culetto tondo, morbido, vellutato con le chiappette ben divise, invitanti. Alfonso mi guardava colmo di desiderio, ma non poteva toccarmi, non ancora almeno, mi passò uno ad uno gli indumenti ed io decisi di prendermi una piccola rivincita provocandolo.
La prima cosa che indossai furono le slip, erano piccole, in tessuto di raso lucido argentato, le infilai lentamente, mi aderivano perfettamente lasciandomi scoperta la parte inferiore del culetto ed insinuandosi morbidamente nel solco. Mi carezzai, era bello sentire la setosità del tessuto sulla pelle, difficile capire se fosse più piacevole accarezzarmi il sedere attraverso il tessuto o nudo. Il secondo indumento era una guepiere, raso nero velato con inserti argentati, mi stava a pennello e lasciava scoperto il culetto, fu poi la volta delle calze, in seta, grigio scuro, velatissime, impalpabile, luccicanti, me le infilai lentamente, gustando ogni centimetro di quel tessuto meraviglioso sulla pelle liscia delle mie gambe, notando quanto fossero eccitanti i miei piedi morbidi e carnosi visti attraverso il velo delle calze. Avevamo quasi finito, Alfonso mi guardava praticamente in trance, mi passò l’ultimo indumento, lo presi, era un miniabito in nappa nera, morbidissimo, leggerissimo, lucente, lo infilai con eccitazione, era come dipinto su di me, lo sentivo come una seconda pelle, altrettanto liscia e piacevole al tatto di quella vera. Infine le scarpe, eleganti sandali aperti sul tallone di pelle nera, con appena un poco di tacco.
Mi guardai allo specchio, ero un’innocente puttana, il viso dolce ed il corpo efebico inguainato in quegli indumenti che avrebbero fatto arrappare chiunque.
Uscimmo dopo pochi minuti, per fortuna l’ascensore portava direttamente al piano dei box, non sarebbe stato simpatico se qualcuno mi avesse visto e riconosciuto, ma Alfonso era prudente, anche lui aveva paura di sputtanarsi. Mi fece salire in macchina dietro, mi sdraiai sul sedile e così rimasi fino a quando lui non mi disse di rialzarmi. Stavamo lasciando la città, eravamo alla periferia e ci dirigevamo verso Nord, verso le colline.
Il viaggio durò una mezz’ora ancora, arrivammo ad una villa non molto grande ma molto bella, circondata da un giardino all’inglese abbellito da alcuni alberi da frutta.
Scendemmo dall’auto, Alfonso mi accompagnò sino alla porta.
– Ora io vado, tornerò domattina ‘
– Ma mi lasci solo? ‘
– Non preoccuparti puttanella, non ti succederà niente, fai solo quello che sai e tutto andrà benissimo ‘ furono le sue ultime parole, poi si voltò, tornò in auto e andò via.
Il silenzio del luogo era inquietante, provavo una sensazione di paura, ma, come spesso mi accadeva, mista ad eccitazione, mi avvicinai alla porta, non dovetti suonare, ero atteso e mi venne aperto.
Ad accogliermi era un uomo sulla quarantina, alto e ben piazzato, moro ed elegante, un bell’uomo.
Mi tese la mano e me la strinse.
– Piacere sono Matteo ‘
– Piacere mio ‘
Mi fece cenno di seguirlo, ero piacevolmente sorpreso, la casa era arredata con gran gusto, mobili moderni e pezzi antichi e venivo trattato bene, cosa abbastanza inconsueta per me.
Matteo mi fece entrare in una specie di salotto, mi indicò una poltroncina, mi sedetti.
– Devo spiegarti alcune cose, ascolta con attenzione ‘ mi disse.

DAL DIARIO DI MATTEO

Alfonso non ha raccontato balle, &egrave bellissimo, ha un corpo longilineo ma tonico, bellissime gambe e un culo tondo, piccolo, ben proporzionato. La pelle &egrave stupenda, liscia come seta, chiara, curata.
Ho appena finito di spiegargli cosa voglio da lui, non ha avuto problemi ad accettare, del resto lo pagherò bene e Alfonso non saprà del regalo in più tutto per lui.
Ora però ho voglia di lui, mi slaccio i pantaloni e me li tolgo, gli faccio cenno di avvicinarsi, &egrave di fronte, lo faccio sedere in braccio a me, lo accarezzo, poi gli tolgo le scarpe, ha dei piedini deliziosi, candidi, piccoli e morbidissimi, mi porto il suo piedino destro alla bocca. Comincio a leccarlo e baciarlo attraverso la raffinata seta delle calze, &egrave divino, bacio e succhio la morbida carnosità della pianta, passo la lingua sulle dita, succhio l’alluce tondo e liscio, lentamente gli tolgo le calze. Rimane a gambe nude, lecco con voluttà la pelle delicata delle cosce poi ci sdraiamo a terra, sul tappeto. Mi dedico ancora ai suoi adorabili piedini, li bacio con gusto, mordo e succhio le dita tenere, slinguo a lungo la pelle vellutata, sono eccitato.
Lo giro, lentamente gli tolgo l’abito e finalmente vedo il suo culetto. E’ uno spettacolo, gli tolgo le mutandine e comincio a leccarlo, arrivo al buchino, una rosea carnosità profumata. Lo slinguo, &egrave bellissimo, gli afferrò le chiappette, come affondare le mani nella panna, punto il cazzo durissimo sul buco e lo inculo, penetrandolo tutto, fino ai coglioni e sbattendomelo fino a sborrare tra le sue chiappe morbide ed accoglienti, sorrido, sarà bellissimo giocare con lui.

I tre sono arrivati puntuali. Ahmed ha 50 anni, viene da Rabat &egrave pelato, basso, grasso, capelli ricci e unticci, barba incolta, Adbul ne ha 30 &egrave alto, segaligno, di Casablanca, Yahmed &egrave il più giovane e il più stronzo, ha 25 anni, piccolo, magro, faccia butterata, tutti e tre bazzicano nella zona del porto, sono piccoli delinquenti senza scrupoli, per pochi soldi venderebbero la madre, me ne servo spesso per i miei giochi, ormai sono attori consumati ed esperti ed oggi saranno ben felici. Li porto in cantina, conoscono la stanza, la replica abbastanza fedele di una sala interrogatori con aggeggi interessanti che loro sanno usare molto bene. Si cambiano indossando le solite divise lerce e puzzolenti, guardano con piacere le bottiglie di liquori e le sigarette, sono mussulmani ma per modo di dire. Li lascio soli, torno su, Mario, ho deciso di chiamarlo così, &egrave pronto, indossa una tuta di acetato rossa, sotto &egrave nudo a parte un paio di slip da mare, ai piedi zoccoli di legno, lo ammanetto dietro la schiena e lo porto giù. Lo lascio davanti alla porta della stanza e vado in quella a fianco. L’impianto mi &egrave costato un occhio della testa, ma ne &egrave valsa la pena, il banco di regia &egrave professionale, così come le piccole telecamere messe nella stanza, registrerò tutto quello che succederà. Mi siedo alla mia postazione, la porta si apre, sono già eccitato.

TRE ORE DOPO

Il divano in pelle &egrave caldo e accogliente, sono nudo a Mario invece ho fatto indossare un baby doll di seta rosa, tiene la testa sulle mie gambe e mi slingua le palle mentre io gli accarezzo il culo. E’ distrutto, ma ubbidisce, bravo troietto, faccio partire la proiezione.

La porta si apre, Mario entra, tiene la testa bassa, ma li guarda, leggo nei suoi occhi la paura e il ribrezzo, i tre bastardi non si lavano molto, la puzza che emanano &egrave vomitevole, sono già mezzi sbronzi e la stanza puzza di suo di fumo, orina e sudore stantio.
Ahmed &egrave il capo, &egrave seduto, Abdul e Yahmed afferrano Mario per le braccia e lo portano davanti al tavolo, Ahmed ridacchia.
– Droga, dove trovata droga? ‘ tutti e tre parlano italiano stentatemente.
– Io non ne so nulla, davvero, lasciatemi andare, voglio parlare con l’ambasciata! ‘ urla Mario
Ahmed si alza, gli va di fronte, con la destra gli afferra la faccia poi, improvvisamente, gli sputa in faccia e con l’altra mano gli spalma la saliva sul viso.
– Che ambasciata cane. Nessuno sa di te, se no parla tu carne morta, capisce! ‘ urla il marocchino.
– Bastardiiiiiiii, lasciatemi andare ‘ grida Mario.
Tutti e tre ridono.
– Tu bisogno di buona lezione ‘ sussurra Ahmed. Lo guarda, poi, di scatto, gli piazza le mani sul culetto e palpa con violenza.
– Bello culo bianco ‘ sibila il porco.
– Fermo, lasciami stare ‘ grida Mario, ha paura davvero.
Ora lo toccano tutti e tre, le manacce dei marocchini lo palpano come una bestia al mercato, ridono, lo leccano sulla faccia con le loro lingue umide, sul suo viso luccica la saliva. Lui si dimena, ma non può fare nulla, lo trascinano verso un cavalletto messo a fianco del tavolo, lo costringono a poggiare la pancia sul cavalletto, Ahmed gli strappa letteralmente i pantaloni e le slip, il suo culetto bianco e liscio &egrave bellissimo.
– NO’NO’NO ‘ urla Mario stringendo le chiappette, i tre non si scompongono, Ahmed si denuda dalla cinta in giù e prende in mano un frustino, poi si avvicina e gli appoggia il cazzo enorme e durissimo sul culettino.
– Avanti cane, apri culo, fai bravo, ubbidisci ‘
– NOOOO, lasciatemi ‘
Il marocchino gli afferra una caviglia, quasi con delicatezza appoggia il frustino sulla carne morbida e vellutata della pianta e poi lo colpisce.
Mario urla e istintivamente rilassa le chiappe, il bastardo gliele afferra e le divarica, gli piazza l’uccello sul buchino e con un solo colpo, secco e violento, lo incula. Vedere quell’enorme uccello scuro entrare in quel culetto bianco &egrave uno spettacolo, lo penetra senza pietà, incurante delle grida, il cazzo entra con forza fra quelle chiappettine delicate, apre la rosellina carnosa del buchino, avvolto dalla carnosità morbida di quel culetto adorabile. I colpi si fanno sempre più profondi e violenti, Mario trema, urla, si lamenta, ormai lo ha tutto dentro, i coglioni sodi gli sfiorano le cosce, la mani implacabili affondano nei glutei. E’ tutto dentro ora e Ahmed comincia a pompare, lo tira fuori quasi tutto e poi lo risbatte dentro, feroce, rapido.
Abdul e Yahmed intanto gli hanno liberato le mani e se le sono messe sui rispettivi cazzi. Le manine setose e delicate di Mario devono carezzare, toccare, menare quegli uccelli duri e grossissimi, ma Abdul non si accontenta, gli va davanti e glielo metto sulla faccia, gli passa il cazzo sulle guance, si sputa su una mano che poi gli passa sul volto e usando la cappella gli spalma la saliva, gli mette l’uccello sulle labbra e spinge.
– Succhia cane ‘ urla.
Mario apre la bocca e lui glielo infila dentro, tutto, comincia a muoverlo dentro e fuori, il cazzo esce da quelle labbra divine sempre più umido, luccicante, lui gli tiene i capelli, lo scopa come se la bocca del ragazzo fosse una figa, un culo da violare.
Ahmed gli viene nel culo, glielo lascia dentro continuando a sbatterlo mentre sborra in quel culetto ormai sfondato, Abdul quasi contemporaneamente lo tira fuori dalla bocca, se lo mena un paio di volte e poi gli sborra in faccia. Lo inonda di sperma sul volto, lo cosparge ovunque, lo obbliga ancora a leccare e poi gli prende le mani e lo obbliga a spalmarsi da solo tutta la faccia con la sborra.
Yahmed ora lo fa rimettere ritto, i due suoi compari lo afferrano per le braccia, Mario vede il cazzo di Yahmed per la prima volta veramente bene, &egrave un bastone di carne enorme, grosso, durissimo, lungo.
Non ha più la forza di gridare, docilmente lascia che Yahmed lo afferri per le gambe e gli sollevi i piedi da terra, quando sente la cappella del marocchino sul buco chiude gli occhi. Gli sfugge un urlo quando il cazzo asinino lo incula e continua a mugulare di dolore mentre l’arabo se lo violenta. Dura moltissimo, poi anche lui gli sborra dentro.

FINE PRIMO TEMPO

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