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Racconti Gay

Uccelli in gabbia

By 26 Novembre 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Quando i carabinieri vennero a bussarmi al citofono in piena notte, pensai ad un errore di persona.
Ma dopo che, a seguito della perquisizione effettuata nella mia camera da letto, trovarono quei maledetti venti grammi di cocaina in un cassetto dell’armadio, compresi di essere stato incastrato, e che qualcuno degli invitati alla festicciola che avevo dato la sera prima doveva aver messo lì quella sostanza stupefacente di proposito, con il preciso scopo di rovinarmi.
Ero come inebetito mentre mi accompagnavano in caserma e da lì mi associavano, dopo le pratiche di rito, alla casa circondariale della mia città.
Ricordo la sensazione di smarrimento provata mentre i cancelli di ferro sbattevano alle mie spalle.
Le guardie penitenziarie mi condussero, mentre ancora albeggiava, in una cella dove si trovavano altri due detenuti. Uno aveva circa trent’anni, alto e magro; mentre l’altro veleggiava verso la sessantina, aveva una pancia molto pronunciata ed uno sguardo inquietante.
Nel corso della mattina successiva entrambi però si mostrarono comprensivi verso la mia disavventura, offrendosi di aiutarmi a contattare un bravo avvocato che conoscevano, e cercando per quanto possibile di mettermi a mio agio.
I giorni successivi trascorsero abbastanza tranquilli, fino ad una mattina in cui quello più anziano, che chiamavamo donn’Antonio, lasciò la cella per recarsi a trascorrere fuori l’ora d’aria quotidiana.
Io rinunciai, perché quella mattina non volevo vedere nessuno, e mi misi a leggere una rivista.
Il mio compagno di cella più giovane si offrì di preparare il caffè, e ci sedemmo intorno al tavolo per berlo.
‘Come va?’ mi chiese. ‘Deve essere dura per te’.
Gli risposi che confidavo di poter chiarire presto la mia posizione, e che comunque la vita da prigioniero mi sembrava meno insopportabile di come l’avessi immaginata in precedenza.
‘Già’, mi disse ‘ma come avrai capito qui dentro ci sono delle regole che devono essere rispettate..’.
Gli domandai cosa volesse dire, dal momento che mi sembrava di essermi comportato bene fino a quel momento, e che non ci fossero problemi tra noi che vivevamo quella dolorosa convivenza forzata. Gli chiesi di aiutarmi a comprendere se, senza intenzione, avessi offeso qualcuno, dichiarandomi pronto a scusarmi ed a rimediare.
‘E’ vero’ mi disse ‘abbiamo capito che sei un bravo ragazzo. Ma vedi’ bisogna che inizi a capire delle cose importanti’.
Gli chiesi ancora una volta di spiegarsi meglio.
‘Vedi’ aggiunse allora ‘in carcere è tutto diverso. Qui le cose vanno abbastanza bene per chi porta rispetto verso quelli più anziani..’.
Dal momento che proprio non riuscivo a capire, gli chiesi: ‘Per piacere’ parla chiaramente. Che stai cercando di dirmi?’.
‘Per esempio’ disse allora ‘ti sei mai chiesto come fanno i detenuti a non impazzire senza le donne? Qua ci si arrangia come si può’ ed i nuovi arrivati devono adattarsi a trattare con rispetto i più anziani. Dai, che hai capito’ donn’Antonio mi ha detto che non devi fare niente se non vuoi, ma in questo caso vedremo di farti mettere in un’altra cella’ e sai, non tutti sono persone perbene come noi, ed in certe celle ci sono anche dieci persone”.
Avevo capito, adesso, cosa volesse dire.
Ma cercai di spiegare che certe cose non facevano per me, che volevo solo starmene tranquillo, che non avevo mai avuto esperienze simili, e che avevo paura e non mi interessava.
‘Puoi fare quello che vuoi’ mi disse allora ‘ma sarebbe un errore’ facciamo così, pensaci qualche minuto, e se decidi di fare quello che ti conviene di più, vai di là a fare una doccia’.’.
Ero incerto sul da farsi, ma il ricordo di certe prepotenze in danno di altri carcerati che avevo avuto modo di vedere nei giorni precedenti mi convinsero che, forse, sarebbe stato meglio subire la violenza di due persone piuttosto che quella di molti altri, che mi sembravano più violenti e rozzi; quindi andai in bagno, e dopo essermi spogliato entrai sotto la doccia, iniziando a far scorrere l’acqua.
Dopo pochi minuti mi raggiunse Franco (così si chiamava) che mi cinse dalle spalle, e con una certa gentilezza mi disse: ‘Rilassati’ non è niente di così terribile’.
Mi fece appoggiare con le mani sulla parete, dandogli le spalle, ed iniziò ad insaponarmi; poi tutto avvenne in fretta: mi insaponò l’ano, ed iniziò a spingermi dentro l’uccello.
Non era particolarmente dotato e, forse a causa della lunga astinenza, quando iniziò a fottermi avvertì anche un certo piacere; durò poco, si svuotò dentro di me, e si allontanò in fretta.
Io rimasi sotto la doccia con una gran voglia di piangere, umiliato e sorpreso, ed a fatica trovai la forza di lavarmi e di rientrare in stanza.
Mi accorsi poi, quando rientrò donn’Antonio, che i miei compagni si scambiavano sguardi di intesa e che parlavano tra loro sottovoce, ma mi vergognavo per quello che mi era stato fatto poco prima, e me ne rimasi per conto mio sperando che mi lasciassero tranquillo per un po’.
Invece, dopo la solita cena, donn’Antonio mi guardò con aria di scherno e mi invitò ad inginocchiarmi davanti a lui, dicendomi: ‘Adesso la signorina mi succhierà il cazzo con obbedienza”. E così feci; mi inginocchiai ed iniziai a fargli una sega, leccandolo di tanto in tanto, per dargli soddisfazione nella speranza di far finire presto quella ennesima umiliazione.
Ma non riuscì nel mio intento: donn’Antonio, evidentemente irritato dalle mie scarse capacità, mi disse di andarmi a stendere sul letto.
‘La prego, donn’Antonio’ per oggi basta’.
La mia richiesta lo fece visibilmente arrabbiare, e mi insultò, dandomi della merda e dicendomi che non avevo capito niente; Franco mi prese allora per un braccio, mi abbassò i calzoni, e mi fece adagiare sul letto.
Poi mi mise sull’ano qualcosa di umido, e mi infilò un dito dentro, esclamando, ridendo: ‘La signorina è un po’ stretta, per voi, donn’Antonio’ volete risolvere questo problema?’
Mi sentì poggiare tra le chiappe qualcosa di duro e di grande, che cercando di entrare mi faceva molto male, ed iniziai a lamentarmi; ma donn’Antonio non si fermò, anzi iniziò a spingere sempre più forte, finchè non avvertì un dolore acutissimo, e capì che me lo aveva messo dentro, slabbrandomi oscenamente il culo.
Il pene era talmente grosso che pensai che mi avrebbe rovinato per sempre, ed allora iniziai a supplicarlo, piangendo, di fermarsi, di lasciarmi stare.
‘Per piacere donn’Antonio” gridavo ‘lasciatemi stare’ non vi ho fatto niente’ basta!’ mi fate male’ me lo avete rotto’ mi fa maaalee’ vi prego’. bastaaa”, ma quello non solo non si fermò, ma iniziò ad offendermi, dicendomi che ero un inutile rotto in culo, che da quel momento me lo avrebbe aperto tutti i giorni sempre di più, e che mi avrebbe fatto diventare una femmina per sempre, con una bella fica larga.
Compresi che aveva ragione: la brutalità con la quale mi avevano sottomesso stava cancellando ogni mia attitudine maschile, e da quel momento mi resi conto avrei solo potuto farmi usare per soddisfare le loro voglie animalesche, senza nessuna possibilità di scappare via, o di gridare la mia disperazione.
Quando donn’Antonio se ne venne grugnendo avvertì distintamente che mi aveva inondato l’intestino di sperma; me lo tolse da dentro brutalmente e mi lasciò sul letto come una bambola rotta, a sentire l’odore del suo seme che mi colava da dietro e mi bagnava e sporcava le gambe.

Per commenti ed altro: vogliasegreta@katamail.com

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