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Racconti di DominazioneRacconti erotici sull'Incesto

12- Straniera in terra straniera

By 23 Aprile 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Sara sbuffò contrariata e girò le spalle a Inna.
Dopo l’esperienza in campagna con Barbara e la sua famiglia era rientrata in città, e – nonostante un’iniziale buona volontà – i rapporti con la nuova moglie di suo padre erano nuovamente tesi.
Erano troppo diverse, non c’era soluzione.
“Ragazzina, non finisce qui!”, la minacciò la russa.
Entrò in camera sua sbattendo la porta e si piazzò davanti al computer.
Suo padre l’aveva ridotta praticamente agli arresti domiciliari: non poteva uscire la sera, le era permesso vedere qualche amica durante il giorno, ma solo a condizione che qualcuno in famiglia già la conoscesse, e comunque non tutti i giorni.
In pratica, erano due settimane che non metteva il becco fuori.
Guardò la posta, sperando di trovare qualche offerta per comprarsi dei vestiti. Da indossare in casa, ovviamente.
Cancellò un po’ di mail spazzatura, poi aprì una comunicazione di cui non riconosceva il mittente.
Era un certo karl67, non le sembrava di conoscerlo.
“Cara Sara, sono zio Carlo”, lesse.
La ragazza sorrise.
“Per prima cosa voglio comunicarti la novità più importante; ho finalmente trovato un lavoro, una casa e una nuova vita. Sembra incredibile dopo tante difficoltà, ma finalmente è arrivato anche il mio momento. Per farlo ho dovuto lasciare l’Italia, ma in questo caso non è stato difficile: abito ora sull’isola di Mangrosta, nel golfo del Messico. Ho aperto un negozio di manufatti tipici, intrattengo i turisti e mi godo la vita. Non male, vero?”.
Sara annuì, provando una grande invidia per suo zio.
“Però non mi dimentico delle persone a cui voglio bene e, soprattutto, di quelle che mi hanno aiutato nel momento in cui ero in difficoltà. Non posso dimenticare la vostra pronta ospitalità di qualche mese fa, quando nessuno voleva ospitarmi. Per questo motivo sia tu che tuo fratello siete invitati a casa mia, a tempo indeterminato. Il volo è già pagato, potete venire a stare da me e starci quanto volete, basta che me lo facciate sapere prima. Spero di vedervi presto, un abbraccio
Zio Carlo”.
Sara rilesse la mail due volte per sincerarsi di aver capito bene.
Non si stava sbagliando: avrebbe potuto trasferirsi ai tropici, ospite di suo zio, senza pagare nulla!
Chiamò subito suo fratello e gli raccontò la novità, ma Luca declinò l’invito. Aveva da poco inziato l’università, aveva una nuova ragazza e non se la sentiva di allontanarsi proprio in quel momento.
Sara lo maledisse, ma non cambiò idea.
Chiamò sua madre.
La donna subito volle sincerarsi di aver capito bene, poi si disse possibilista.
“Più sei lontana, più ti tieni fuori dai guai – aveva commentato – Ne parlo con tuo padre e poi ti facciamo sapere”.
Sara passò il resto della giornata con le dita incrociate fino a quando suo padre, finalmente, diede il suo consenso.
Però – si raccomandò – sarebbe stata sotto lo stretto monitoraggio dello zio, e alla prima cazzata sarebbe stata rimpatriata immediatamente.
Sara baciò suo padre, gli disse che non si sarebbe pentito di nulla e corse a rispondere a suo zio.
Mezz’ora dopo arrivò la risposta: era riuscito a trovare un biglietto sul volo in partenza la sera successiva.
Sara non stava più nella pelle!

Ventiquattr’ore più scendeva dalla scaletta dell’aereo, stanca ma contenta.
L’aeroporto non era propriamente JFK, ma non le importava nulla: era lontana da casa e da tutte le cose brutte che le erano capitate ultimamente.
Posò le Superga sulla pista polverosa e si guardò attorno, in cerca di suo zio.
Lo scorse in lontananza, a bordo pista, che agitava una mano nella sua direzione.
Corse verso di lui e lo abbracciò.
“Che bello vederti!”, gli disse.
“Sono contento che tu sia venuta – rispose lui – Ho veramente piacere di ricambiare la gentilezza con cui mi avete accolto da voi quando avevo bisogno”.
Sara alzò le spalle:”Non c’è bisogno, zio. L’abbiamo fatto volentieri”.
“Anche io lo sto facendo volentieri. Dai, prima di andare a casa dobbiamo fare una tappa alla polizia”.
Entrarono in un ufficio privo di aria condizionata, arredato con una dozzina di scrivanie di bassa fattura, ciascuna delle quali occupata da un militare.
Diversi uomini e donne erano intenti a compilare moduli e a consegnarli; lo zio Carlo puntò verso una scrivania al fondo della sala. Sara lo seguì arrancando.
L’uomo scambiò qualche parola veloce con un militare, poi si fece consegnare un modulo.
“Che lingua si parla qui? – chiese Sara – Non ho capito nulla”.
“Questo è l’unico Paese al mondo in cui si parla l’esperanto come lingua madre”, rispose lo zio.
“Cosa? E che lingua è?”.
Carlo sorrise.
“Lascia perdere. In ogni caso è molto facile, lo imparerai anche tu molto in fretta”.
“Speriamo. Non ho capito cosa stiamo facendo qui”.
“In questo Paese la maggiore età è ventuno anni, quindi tu tecnincamente sei minorenne. Ho dovuto dargli garanzia che ti tratterò bene e che mi prenderò la responsabilità di quello che fai”.
Lo zio firmò un modulo e lo passò a Sara, che lo scorse senza capirci nulla.
“Una firma qui sotto, per piacere”, le disse lo zio indicando una linea tratteggiata in fondo alla pagina.
Sara firmò, consegnarono il modulo e uscirono.
“Non prendiamo la valigia?”, chiese Sara quando vide che suo zio la stava guidando verso il posteggio.
“Ho disposto affinchè ce la portino a casa – rispose l’uomo aprendo l’auto – E’ un servizio che costa, ma è molto comodo e non ci fa perdere tempo”.
Montarono in auto e si immisero su una strada polverosa.
Per qualche minuto nessuno parlò.
“Senti, in merito a quello che è successo tra noi mentre ero vostro ospite…”, cominciò lo zio.
“Sì, dimmi”, disse Sara, ansiosa. Era stato un suo pensiero fisso per quasi tutta la durata del viaggio.
“Volevo dirti che possiamo anche dimenticare tutto. Era un momento particolare per entrambi, possiamo metterci una pietra sopra”.
Sara si sentì immediatamente sollevata, e glielo disse.
“Sono d’accordo anche io. E’ stato uno sbaglio, non si ripeterà più”.
Lo zio allungò una mano verso di lei, e Sara la strinse.
“Non parliamone più, allora”.

Mezz’ora dopo arrivavano a casa di Carlo.
Era un’abitazione singola, lontana da tutto fuorchè dalla spiaggia.
Sara non aveva mai abitato in un posto del genere, era deliziata da tutto.
“Di cosa ti occupi, precisamente?”, chiese allo zio.
L’uomo alzò le spalle.
“Di tutto e di niente. Questo è un posto che ha scoperto il turismo solo di recente, e da quel punto di vista manca tutto. I turisti vogliono qualcuno che li accompagni a pescare? Ci vado io. Serve una guida alla città vecchia? Faccio io. Cose del genere”.
“Deve essere bello”, commentò Sara.
“Lo è, infatti”.
Sara vide il sole tramontare, e si sentì improvvisamente stanca.
Non aveva chiuso occhio per tuto il viaggio e la stanchezza si faceva sentire.
Le rincresceva solo che non fosse arrivata ancora la valigia, le sarebbe piaciuto poter disporre delle sue cose.
Lo disse allo zio.
“Ormai prima di domani non arriverà, l’aeroporto è chiuso – commentò Carlo – Mi spiace, speravo funzionasse meglio come servizio. Per certi versi sono un po’ arretrati, ancora”.
Sara alzò le spalle.
“Tanto devo solo andare a dormire, non mi serve nulla”.
Lo zio la guidò verso la stanza, le augurò la buona notte e la lasciò sola.
Sara si slacciò la camicetta.
Fortuna che era un posto caldo, diversamente non avrebbe potuto gestire una notte senza pigiama.
In ogni caso era talmente stanca che avrebbe dormito comunque.
Rimase in biancheria intima e si coricò sul materasso.
Si addormentò sei minuti dopo.

Nonostante l’enorme stanchezza, quando si svegliò era ancora buio.
Guardò l’ora: erano le cinque del mattino.
Eseguì un rapido calcolo: sarebbero state oltre le dieci in Italia, normale che fosse sveglia.
Inoltre, era anche molto assetata.
Si alzò dal letto e uscì dalla stanza.
Indossava solo il reggiseno e un perizoma, ma non aveva voglia di vestirsi per andare a prendere un bicchiere d’acqua.
Si diresse verso la cucina ma, con grande disappunto, notò come nel frigo non c’era acqua in fresco.
Solo delle birre, ma non le sembrava il caso di farsi una birra nel cuore della notte.
Però suo zio doveva avere dell’acqua da qualche parte, doveva pur bere qualcosa.
In una casa così grande non sarebbe stato strano ci fosse una dispensa da qualche parte.
Aprì una porta.
No, quella era la sala da pranzo.
Ne provò un’altra, ma finì in biblioteca.
La terza, invece, rivelò una scalinata che discendeva nel buio.
La imboccò: se cercava una dispensa, niente di più facile che fosse in un seminterrato.
A piedi nudi scese gli scalini, poi, nel buio, cercò un interruttore.
Quando accese la luce, lo spettacolo che le si presentò fu decisamente insolito. Anzichè trovarsi in una cantina ricca di bottiglie di vino e di salumi, quella stanza sembrava essere abbandonata.
Un letto malconcio era posto al centro del pavimento, ma sembrava essere l’unico arredo di tutta la stanza.
Era strano: suo zio aveva una stanza sua, un’altra era stata riservata a Sara, cosa se ne faceva di un ulteriore posto letto? Così squallido, per giunta.
Fece qualche passo verso la parete opposta, e vide un oggetto che prima, nella penombra non aveva colto.
Era la sua valigia.
“Come fa ad essere qui? – si chiese – Siamo stati svegli fino a sera e nessuno l’aveva consegnata”.
Non si accorse dei passi dietro di lei, e neppure della puntura alla base del suo collo.
Si accasciò al suolo in un istante.

Sara si svegliò senza capire se fossero passati minuti o ore.
Cercò di aprire gli occhi, ma una benda le impediva di vedere.
Era sdraiata su qualcosa di morbido, ma quando provò ad alzarsi si rese conto che i polsi e le caviglie erano legati.
Provò a parlare, ma qualcosa le teneva la bocca aperta e le impediva di formulare parole di senso compiuto. Ne venne fuori un indistinto mugolio.
“Sei sveglia?”, si sentì chiedere.
Trasalì e cercò nuovamente di alzarsi, ma li legami che la trattenevano le impedirono  ogni movimento.
Si ricordò di indossare solo un reggiseno e un perizoma e si sentì immediatamente molto vulnerabile.
Dove era? Cosa le era capitato?
Sentì una mano passarle lungo la gamba nuda.
“Sara…Sara…”, disse nuovamene la voce.
Ora la riconosceva.
Era quella di suo zio.
Delle mani armeggiarono dietro la sua nuca e la benda venne levata.
Strizzò gli occhi per abituarsi alla luce, e dopo qualche secondo capì dove si trovava.
Era nello scantinato in cui era scesa cercando una bottiglia d’acqua, legata al letto con delle manette metalliche.
Suo zio era seduto accanto a lei, e sorrideva.
“Ti giuro che avrei voluto parlarti di tutto questo con calma, ma la tue peregrinazione notturna mi ha costretto ad anticipare i tempi”.
Sara lo guardò interrogativa e non disse nulla, non potendo emettere suoni.
Provò ancora una volta a liberarsi, ma senza esito.
“Ti racconto un po’ la storia di questa isola, perchè è molto particolare. e interessante E’ una piccola monarchia, retta da un sovrano che potremmo senza dubbio definire eccentrico, anche se non pazzo, come invece dicono i suoi oppositori. In ogni caso, anche solo l’adozione dell’esperanto come lingua ufficiale è sintomatico di una certa originalità”.
Carlo posò la mano sulla coscia di Sara e, parlando, prese ad accarezzarla.
“Questa isola ha vissuto per secoli della pesca delle ostriche fino a quando, circa dieci anni fa,  il cambiamento delle condizioni climatiche non portò ad una radicale trasformazione dell’ecosistema, con la morte di tutte le ostriche. Per l’economia di questo posto fu una mazzata: improvvisamente l’ottanta per cento della popolazione si  trovò senza un mestiere, con – per altro – scarse possibilità di rimpiazzarlo con un altro. In un’isola così piccola, infatti, sia l’agricoltura che l’allevamento non possono essere praticate in maniera massiccia”.
Prese ad allargare il suo raggio d’azione, accarezzandole tutta la gamba.
Sara sentì un brivido, e si augurò che suo zio non se ne accorgesse.
“La situazione diventò sempre più disperata: gran parte della popolazione non aveva più risorse per vivere e, come se non bastasse, era coperta di debiti. Tutto ciò ebbe il suo punto massimo nel 2004: un pescatore, nonostante avesse già venduto casa, barca e tutto quello che possedeva, ancora non riusciva a coprire i debiti che un altro vantava nei suoi confronti. Il creditore gli fece una proposta: dammi tua figlia, e siamo pari.  Il pescatore, ovviamente, si rifiutò; fu invece la figlia a dichiararsi disponibile. La questione andò davanti al sovrano, e questi disse che era possibile: visto che la figlia era maggiorenne, era sua facoltà privarsi della libertà a favore di un’altra persona. In questa maniera, era stato introdotto lo schiavismo”.
Zio Carlo passò il palmo della mano sulla pancia nuda di Sara.
“Come puoi immaginare, questo fenomeno diede impulso ad una nuova forma di turismo: vennero qui stranieri animati da qualunque genere di perversione, avidi di prestazioni che neppure le prostitute thailandesi potevano soddisfare. Era sufficiente comprarsi uno schiavo, o noleggiarlo, per farsi fare LEGALMENTE qualunque cosa.  Le possibilità sono infinite”.
Spostò la mano sulla coppa del reggiseno di Sara e le tastò la tetta.
“Io non avrei neppure pensato di mettermi in questo traffico se un giorno tua madre non mi avesse chiamato. Aveva bisogno di sfogarsi e io la lasciai fare. Mi disse che sua figlia era matta, che le piaceva prendere ordini da una sconosciuta e che, dietro questi ordini, aveva fatto le peggiori cose. Io, che ero reduce da un inaspettato pompino regalatomi da mia nipote, non faticavo a crederlo. Se non altro, capii come mai tutto ciò era avvenuto”.
Estrasse dalla tasca un coltello a serramanico, sfoderò la lama e tagliò le spalline del reggiseno di Sara, poi glielo sfilò.
Sara non si capacitava di avere i capezzoli eretti.
“Soprattutto, quello che mi colpì fu che a te piacesse tutto questo. A te piaceva fare la troia se qualcuno te lo ordinava, e – prendilo come un complimento – lo facevi anche parecchio bene. Eri – anzi, sei – la soluzione dei miei problemi. L’unica cosa che dovevo fare era farti venire qui e farti firmare il foglio con cui ti dichiaravi mia schiava”.
Sara si agitò mentre lo zio le accarezzava le tette.
“Hai capito bene: il modulo che ti ho fatto firmare quando sei sbarcata era quello, l’accettazione del tuo ruolo di schiava. Ora sei mia, dietro tua esplicita richiesta!”
Lo zio accostò la bocca al seno di Sara e le leccò un capezzolo, poi lo prese tra i denti, mentre con l’altra mano le afferrava una tetta.
Montò in ginocchio sul letto, sfilandosi la t shirt.
“So che ora avrai molte domande da farmi, ma in questo momento non ho voglia di parlare”.
Prese nuovamente in mano il coltello e stracciò i laccetti del perizoma.
Sara si era già mostrata nuda a suo zio, ma questa volta era diverso.
Si agitò nei suoi legami, pur senza successo.
Lo zio le passò una mano sulla topa.
“Vedi cosa intendevo: sei bagnata! Altre ragazze, nella tua situazione, sarebbero spaventate; tu invece sei eccitata! Ho fatto bene a scegliere te…”.
L’uomo si tolse i pantaloni e i boxer, rivelando un pene in erezione.
“Sono mesi che desidero scoparti!”, disse.
Montò su di lei e la penetrò.

Lo zio evidentemente era un po’ di tempo che non aveva rapporti, perchè affrontò la ragazza senza nessuna gentilezza.

La penetrò a fondo e stantuffò dentro di lei con violenza, quasi fosse arrabbiato.

Le afferrò le tette e le strinse, chinandosi ripetutamente su di lei a leccarle il collo.

Sara si agitò, cercò di urlare inutilmente.

Il suo corpo reagiva fuori sintonia con il cervello: mentre la sua testa si rendeva conto che stava subendo una violenza, il suo corpo si eccitava e godeva di quel rapporto.

Venne poco prima di suo zio, il quale si abbandonò per qualche minuto sul corpo della nipote.

Erano entrambi sudati e ansimanti.

Si sfilò da lei e le toccò ancora i seni.
“Ora resti legata – le disse in tono perentorio – Io vado a riposarmi, quando mi sveglio torno giù. Visto che avrai tempo per riflettere, ti ribadisco che tu ora sei una mia proprietà. Qui le pene per gli schiavi che si ribellano sono molto severe; ti conviene ubbidirmi senza fiatare. Lo dico per il tuo bene”.
A dispetto della situazione, le fece una carezza; poi spense la luce e salì le scale.

Sara, nel buio, ebbe molto molto tempo per riflettere.
Innanzi tutto si chiese perchè, nonostante tutto, non fosse spaventata.
C’erano molti motivi per cui avrebbe dovuto esserlo: era legata in balia di suo zio che sembrava aver perso la sanità mentale, in un paese straniero in cui le leggi sembravano ferme al millennio precedente, senza nessuno che sapesse dove si trovasse.
C’erano molti motivi per cui avrebbe dovuto avere paura; invece non si sentiva spaventata, anzi.
Poco prima era venuta mentre suo zio la violentava, e anche ora – legata e nuda – si sentiva estremamente su di giri.
Forse era veramente quella la sua natura e la sua predisposizione naturale.
C’è chi nasce per suonare il piano e chi per ballare il tango.
Lei era nata per essere schiava.
Sentì nuovamente la porta aprirsi, poi la luce si accese e suo zio ridiscese in cantina.
Si sedette accanto a lei e le accarezzò un seno.
“Come stai?”, le chiese, con un tono insolitamente affettuoso.
Lei era ancora imbavagliata, ma annuì.
“Bene – commentò lui – mi fa piacere tu stia bene”.
Con la punta delle dita le accarezzò il sesso.
Sara trasalì.
“Ti posso togliere il bavaglio? Mi prometti che non urlerai?”.
Sara annuì.
Lo zio le sciolse il legame.
Sara lo guardò fisso negli occhi, rimanendo in silenzio.
Carlo ancora le accarezzò la vulva.
Sara chiuse gli occhi per un attimo, assaporando il brivido che l’aveva attraversata.
“Allora, vuoi essere la mia schiava?”.
Sara annuì.
“Dillo, per piacere”.
“Voglio essere la tua schiava”.
Dopo tanto silenzio, era sintomatico che quelle fossero le prime parole pronunciate.
Carlo le infilò un dito nella vagina.
Era umida e accogliente.
“Ti piace che ti tocchi, vero?”.
Sara chiuse gli occhi per l’imbarazzo
“Molto”, ammise.
Lo zio le entrò ancora più a fondo.
La ragazza inarcò la schiena.
Sperò che lo zio non la liberasse, che continuasse a toccarla mentre era legata.
Essere alla sua mercè la eccitava oltre misura.
Lo zio sentì il livello di eccitazione della nipote e inserì un altro dito, contemporaneamente accostò il viso al suo seno.
La sua pelle sapeva di sudore, ma anche di pulito e di fresco.
Si sentì immediatamente eccitato.
Sempre stimolando il sesso della ragazza, si liberò della maglietta.
Ora anche lui era sudato.
Sara aveva gli occhi chiusi e non si accorse che lo zio si stava spogliando completamente.
Capì cosa stava succedendo solo quando si accorse che si stava mettendo a cavalcioni della sua faccia.
Un attimo dopo il prepuzio dello zio le si appoggiava alle sue labbra.
Aprì la bocca e lo accolse prontamente, mentre allo stesso modo Carlo si allungava sul suo ventre.
Appoggiò la bocca alle grandi labbra della nipote e le saggiò con la punta della lingua.
Aveva un buon sapore, la baciò con trasporto.
Sara si sentì avvampare e strinse le labbra attorno al membro dello zio, come se lo stesse baciando.
Non aveva mai fatto un 69 prima, temeva di concentrarsi troppo su se stessa e poco su di lui.
Nei limiti dei legami che la trattenevano prese a leccare l’asta dello zio. Carlo recepì la sensazione e come reazione cominciò un movimento ritmico del bacino.
Sara si rese conto di quello che stava capitando: suo zio la stava scopando in bocca, lei non aveva quasi parte attiva.
Si rilassò e appoggiò la testa al materasso.
Il membro di suo zio entrava e usciva dalla sua bocca sempre più velocemente, mentre la lingua di lui non smetteva di stimolarle il clitoride.
Allargò le gambe, quel poco che le era consentito, per permettergli di raggiungere zone ancora inesplorate.
L’orgasmo le attraversò il corpo come un fulmine. Reagì serrando le labbra attorno al membro di Carlo, che per reazione venne anche lui.
Sentì la gola riempirsi del seme dello zio, poi il corpo di lui – ora sudato – abbandonarsi sul suo.
Rimasero qualche minuto in quella posizione, poi Carlo scese dal letto.
“Non ho più vent’anni”, commentò sottovoce rivestendosi.
Fece una carezza alla nipote, poi si sedette nuovamente accanto a lei.
“Prima di slegarti, c’è un’ultima cosa da fare”.
Le passò le dita sui peli pubici, in quel momento impregnati di saliva e di umori.
Estrasse da una tasca una pinzetta, di quelle che di solito si usano per le sopracciglia.
“Mi piacciono i lavori accurati – disse sorridendo – Li toglierò uno a uno!”.
Sara sgranò gli occhi.
“No, ti prego, mi farai malissimo!”.
Lo zio le strappò un pelo con la pinzetta.
“E’ proprio quello che voglio”, rispose.

 

Il supplizio durò quasi un’ora.
Sara si lamentò, si dimenò e implorò suo zio, ma l’uomo non smise fino a quando non tolse l’ultimo pelo dal pube della nipote.
Si alzò in piedi e ammirò il suo lavoro, compiaciuto.
“Così sei molto più sexy, nipotina mia!”, disse annuendo.
Sara non disse nulla.
Si sentiva l’inguine in fiamme e sperò che suo zio non avesse progetti a breve per quella parte del suo corpo, perchè non si sentiva proprio in condizione.
Zio Carlo, nel frattempo, aveva preso una cosa che sembrava una fettuccia rossa.
Si avvicinò alla sua caviglia sinistra e la legò come una cavigliera.
“Cos’è?”, chiese Sara.
“Questo significa che sei una schiava. Non devi toglierlo per nessuna maniera”, le spiegò.
Le liberò i polsi e le caviglie.
Sara si mise subito a sedere sul letto.
Era rimasta legata immobile per così tanto tempo che sentiva dolore alle spalle.
Istintivamente si coprì il seno, rendendosi subito conto dell’assurdità della cosa.
Tolse la mano.
“Alzati, Sara, andiamo fuori!”, disse lo zio.
La ragazza si alzò in piedi, ma non si mosse.
“Zio, sono completamente nuda. Vuoi che esca così?”.
Poco prima si era dichiarata disposta ad essere sua schiava, ma la vergogna stava avendo il sopravvento.
L’uomo non disse nulla, ma aprì un cassetto, ne prelevò qualche indumento e lo porse alla ragazza.
Sara li prese e li esaminò: sembrava una specie di bikini, però fatto di cotone bianco.
Il pezzo di sotto era costituito da una fascia di stoffa che a malapena le copriva la vulva; sopra era invece una specie di canotta ma tagliata appena sotto i capezzoli, che le lasciava scoperta la parte inferiore delle tette.
“Dai, non posso uscire così! Si vede tutto!”, disse Sara.
“Non puoi infatti. Devi”.
La nipote guardò verso lo zio, cercando di cogliere se stesse scherzando, ma non era così.
L’uomo le porse un paio di infradito e le porse la mano.
“Dai, andiamo!”.
Sara deglutì e mosse un passo.

Lo zio la condusse nella strada principale del paese.
Non era Milano, non era Parigi, era solo un piccolo paese di mare, però c’era tanta gente e Sara si sentì bruciare dall’imbarazzo.
Il gonnellino ad ogni passo le scopriva il pube, e il seno era di fatto molto visibile.
Incorciò molti sguardi, ma notò che tutti – dopo la prima occhiata di ordinanza al seno e al volto – spostavano lo sguardo alla cavigliera e cambiavano espressione.
La passeggiata durò una dozzina di minuti, quindi giunsero finalmente in spiaggia.
Il posto era fantastico: una lunga distesa di spiaggia bianchissima, palme fino all’orizzonte e un sole caldissimo.
C’erano un centinaio di bagnanti, ma erano molto sparpagliati.
Altro che la ressa della Liguria o della Versilia!
Carlo la guidò fino ad un punto libero, prese due asciugamani e li stese per terra, poi iniziò a spogliarsi.
Quando rimase in costume si rivolse alla nipote.
“Tu non ti spogli?”.
Sara rise nervosa.
“Non ho praticamente nulla addosso, dovrei vestirmi, altro che spogliarmi!”.
“Spogliati, Sara”, rispose lo zio. Dal tono si capiva che non scherzava.
La ragazza si tolse la parte di sopra.
Era già molto imbarazzata.
“Se non vuoi che ti obblighi a farmi un pompino qui davanti a tutti, vedi di toglierti anche la parte di sotto in fretta”, la minacciò lo zio.
Sara sospirò e si liberò anche dell’ultimo brandello di stoffa.
Era molto in imbarazzo, anche se non c’erano bagnanti nelle immediate vicinanze.
“Brava, Sara. Ora distenditi a prendere il sole. Voglio che quegli antiestetici segni del bikini scompaiano in fretta; fino a quel punto sarai sempre nuda al sole. Ci siamo capiti?”.
“Sì, zio”, disse lei, mestamente.
“Bene. Ora sdraiati e goditi il sole, che è un’ottima giornata”.
Sara si coricò sull’asciugamano e chiuse gli occhi.

Era molto stanca e si assopì al sole.
Si svegliò un’ora dopo, decisamente rinfrancata.
Il sole si era alzato ancora di più e la temperatura era decisamente calda.
Sentì delle voci provenire dalla sua sinistra e vide che suo zio stava parlando con un ragazzo.
Si coprì seno e inguine le mani e cercò di captare qualche parola.
Parlavano esperanto, per di più molto velocemente, ma vide che indicavano ripetutamente nella sua direzione.
Lo zio vide che lei lo stava guardando e le sorrise.
“Questo ragazzo – spiegò- è interessato a farti delle foto da pubblicare su un sito di guardoni. Ci stavamo mettendo d’accordo”.
Sara sgranò gli occhi.
“Un sito di guardoni? Non glielo lascerai mica fare?”.
Lo zio sorrise: “Certo che glielo lascio fare, anzi, gli ho anche dato il tuo nome in modo che possa mettere il tag corretto”.
Sara si mise a sedere.
“Ma cosa stai dicendo? Il mio nome? Ho centinaia di amici, mi vedranno tutti nuda!”.
L’espressione dello zio divenne immediatamente seria.
“Tu non hai centinaia di amici. Tu hai un padrone, e quello sono io. Tu fai quello che ti dico”.
Sara inghiottì. “Ma io…”.
Lo zio si avvicinò. “Non dire più una parola, Sara! Tu fai quello che dico io, e basta! E se sento ancora una parola uscire dalla bocca, ti cedo a questa persona e ti faccio scopare per tutta la giornata”.
Il ragazzo era decisamente sovrappeso e peloso, Sara rabbrividì all’idea.
Annuii mestamente.
“Bene, vedo che finalmente cominciamo a capirci – disse lo zio – ora distenditi sull’asciugamano e fai finta di nulla, queste foto devono sembrare scatti rubati”
Sara si sdraiò e fece finta di non accorgersi del ragazzo che si era portato un paio di metri da lei.
Si distese sulla schiena e lasciò le braccia lungo il corpo, benché si sentisse tentata dal coprirsi.
Sentii la macchina fotografica del ragazzo scattare delle foto
“Queste foto sono eccezionali – disse il ragazzo in inglese – è difficile avvicinarsi così da ragazze inconsapevoli. Per fortuna che ho trovato voi”.
Scattò ancora alcune foto, poi indicò a Sara un tubetto di crema solare.
“Per piacere – disse – spalmati di crema”.
Sara prese la crema, la rovesciò sulla mano e cominciò a frizionarsi il corpo.
Ne avrebbe avuto comunque bisogno, la sua pelle era decisamente arrossata.
Si passò le dita sul viso, sul seno e sul ventre; poi allargò leggermente le gambe e si coprì di crema anche l’interno coscia e le grandi labbra.
Il ragazzo continuava a scattare freneticamente.
“Perfetto, magnifico!”, continuava a dire.
Sara posò la crema e lo guardò.
“Ora voltati, voglio fotografarti il sedere”.
Sara si distese sulla pancia e diede la schiena al fotografo. Sentì ancora alcuni scatti.
“Ora allarga leggermente le gambe, voglio vederti la labbra”.
Sara eseguì l’ordine, cercando di assumere una postura che in qualche maniera potesse essere interpretata come naturale.
Come se ci fosse qualcosa di naturale nel farsi fotografare in quella maniera.
Voleva però essere ubbidiente il più possibile; se avesse compiaciuto lo zio forse avrebbe acconsentito a non far mettere il suo nome sulle foto .
Nel frattempo il ragazzo aveva smesso di scattare; dopo qualche secondo, Sara sentì nuovamente la sua voce.
“Direi che ho finito – disse – Vi sono molto grato, punto a vincere il premio delle migliori foto di questo mese”.
“Non abbiamo ancora finito – disse lo zio – Sara, voltati sulla schiena e masturbati”.
Il ragazzo probabilmente capì cosa lo zio le aveva detto e scosse la testa.
“No, non è necessario. Nessuna si masturba in una spiaggia come questa, in pubblico. Non sarebbe credibile”.
Lo zio guardò verso di lui: “Non mi interessa se tu vuoi fotografarla o no, Sara si masturba perché glielo dico io. Se poi vuoi fotografarla, per me non c’è nessun problema”.
Sara era impietrita. È vero che c’erano poche persone sulla spiaggia, ma erano comunque tutti abbastanza vicini da vederla .
Rimase immobile.
“Sara, credo che tu abbia capito quello che ti ho detto. Toccati!”.
Sara capì che non avrebbe portato nessun risultato provare a discutere con lo zio. Appoggiò la schiena all’asciugamano e chiuse gli occhi.
Con la mano sinistra si accarezzò il seno, e con la punta delle unghie si stimolò la pelle attorno al capezzolo.
Divaricò le gambe e con i polpastrelli della mano destra raggiunse il suo clitoride. Lo prese tra pollice e indice e cominciò a stimolarlo.
Scelse di tenere gli occhi chiusi, non avrebbe potuto arrivare fino in fondo se avesse visto le altre persone attorno a lei.
Cominciò a bagnarsi dopo poco, sempre come conseguenza della stimolazione con i polpastrelli.
Quando sentì che era sufficientemente umida, introdusse due falangi dentro di lei.
Accanto a lei, il fotografo si mise in ginocchio per nascondere la vistosa erezione che la vista di Sara gli aveva procurato.
Nel frattempo, a qualche decina di metri, alcuni notarono cosa stava capitando e guardarono nella direzione della ragazza.
Sara non si accorgeva di tutto questo, ma verificò come se stesse eccitando sempre di più.
Lo stesso calore del sole sulla sua pelle le provocava una sensazione molto piacevole, decisamente stimolante.
Introdusse anche un secondo dito dentro di sé, allargando ancora di più le gambe per facilitare l’inserimento.
Ora stava sospirando rumorosamente.
I bagnanti attorno a lei si avvicinarono, formando un piccolo cerchio. Erano una dozzina di persone, otto uomini, due donne e due ragazzi appena maggiorenni.
Molti di loro impugnarono il telefonino e immortalarono la scena davanti ai loro occhi.
Sara prese a stimolarsi sempre più rapidamente, inarcò la schiena per il piacere che le stava provocando e si introdusse le dita in bocca per evitare di genere.
Era ormai a un punto di non ritorno, ora l’unica cosa che voleva era venire.
Spalancò gli occhi, vide tutta quella gente attorno a sé e sentì il cuore battere fortissimo.
Ma era troppo tardi: venne violentemente, quasi urlando per il piacere.
Si sfilò la mano dalla vagina, si raggomitolò sull’asciugamano e nascose la faccia sotto braccio.
Come aveva potuto fare una cosa del genere? Si era masturbata di fronte una decina di sconosciuti, e per di più le era piaciuto molto.
Forse era veramente quella la sua vera natura: essere una schiava, e per di più troia.

Luca si alzò dal letto decisamente stordito.
La sera prima era uscito con gli amici e aveva esagerato con l’alcool, come spesso faceva quando il giorno dopo non doveva andare a scuola.
Guardò l’ora: erano le undici passate.
Da quando sua sorella Sara era andata via di casa per raggiungere lo zio in Sudamerica, rischiava sempre di alzarsi ad ore impossibili, visto che nessuno lo svegliava.
Ancora in boxer, si preparò un caffè istantaneo e accese il computer.
Uno dei suoi amici la sera prima aveva scattato alcune foto, probabile che fossero già on line.
Aprì Facebook e immediatamente venne avvisato che aveva alcune notifiche.
Cliccò sul simbolino e, quando si aprì, notò con sorpresa che non si trattava delle foto del suo amico.
Era sua sorella che era stata taggata in alcune foto.
Sorrise con piacere: era contento di vederla, seppur solo in immagine.
Aprì la prima e rimase di stucco.
La foto ritraeva sua sorella a prendere il sole sulla spiaggia. Era completamente nuda.
Luca cliccò due volte per ingrandirla.
Era indubbiamente lei, e non si era sbagliato: addosso non aveva nulla.
Si accese una sigaretta e bevve un sorso di caffè, passando all’immagina successiva.
Non era molto diversa dalla precedente, solo un pelino più a fuoco.
Passò a quella dopo.
In questa si stava spalmando il corpo di crema solare. Con la mano si accarezzava la pelle sotto al seno.
In quella successiva si spalmava la crema sull’inguine, e l’occhio del fotografo non risparmiava dettagli.
Sentì un marcato movimento in zona pelvica, e notò i boxer gonfiarsi.
Era solo in casa, poco male.
Passò alla foto successiva.
Qui Sara era sdraiata sulla schiena, ancora a prendere il sole.
Il seno era perfettamente in evidenza, la foto era così nitida che gli pareva di distinguere ogni singolo poro della pelle.
I commenti degli altri utenti erano senza inibizione:”Che porca!”, “Quanto me la farei!”, “Quanta roba!”, “Beato chi se la sfonda”.
Ora il suo membro era decisamente duro, lo sentiva quasi pulsare.
Arrivò una nuova notifica.
Questa volta Sara era stata taggata in un video, anche se l’autore non era il medesimo delle foto; a giudicare dal nome doveva essere un tedesco.
La preview del video era molto piccola, non riusciva a capire.
Cliccò su “play” e l’immagine prese a muoversi.
Era sempre sulla spiaggia, sdraiata sulla schiena e completamente nuda.
Luca deglutì asciutto quando vide Sara portarsi una mano all’inguine e cominciare a toccarsi.
Senza pensarci, anche lui portò anche la sua mano verso il pube e si sfiorò il membro.
Sara prese ad accarezzarsi il ventre e le grandi labbra; Luca si abbassò i boxer.
Ora era nudo anche lui, con un’enorme erezione.
Era sua sorella, era normale che reagisse così?
Però al corpo non si comanda, e non poteva farci nulla.
Continuò la visione del video.
Sara proseguiva a toccarsi, tenendo gli occhi chiusi e ansimando sempre di più.
L’audio non era nitido, ma il movimento veloce del seno mostrava in maniera inequivocabile quanto la ragazza fosse eccitata.
Si toccò nuovamente il membro, constatando come fosse bagnato.
Diede ancora un’occhiata al video, poi tornò in camera da letto e si infilò nel letto di sua sorella.
Non l’aveva disfatto da quando se ne era andata, aveva ancora il suo profumo.
Impugnò il membro e prese a masturbarsi.
Sognava sua sorella nuda, intenta a toccarsi su una spiaggia tropicale.
Oppure sognava che lei fosse nel letto con lui, e che stessero facendo l’amore.
Era troppo?
Non l’avrebbe detto agli amici, certo, però lo pensava.
Immaginò di penetrarla, e questo gli causò un supplemento di erezione.
Aumentò vertiginosamente la velocità, sperando che l’orgasmo gli facesse calmare i bollenti spiriti e distogliesse da lui certi pensieri che – se ne rendeva conto – non erano sani.
Immaginò di affondare la lingua nell’inguine di sua sorella, di sodomizzarla, di scoparla bendata.
Venne sul cuscino di Sara, sentendosi subito più rilassato.
Si abbandonò sul letto, maledicendo lo squillo con cui il telefonino lo scosse qualche minuto dopo.
Era sua madre, doveva rispondere.
“Luca, senti, devo parlarti di tua sorella”, disse lei senza neppure salutare.
“Pensavo a lei proprio poco fa”, rispose Luca.
Nulla di più vero.
La madre fortunatamente ignorò l’osservazione.
“Sembra che ci siano delle sue foto su internet mentre prende il sole nuda”, disse.
“Veramente?”, mentì Luca, sperando che il tono di voce non lo tradisse.
“Sì, almeno questo è quello che mi ha detto una mia amica. Ho provato a chiamarla e il telefono è sempre spento”.
“Hai provato a sentire lo zio?”. Luca si alzò dal letto e recuperò uno strappo di scottex.
Gli faceva strano parlare al telefono con sua madre con il membro sporco di sperma.
“Sì, ma mi ha detto solo cazzate. Lo conosco bene e capisco quando mente”.
“Capito. E quindi? Cosa vuoi fare?”.
“Andiamo a prenderla”.
Luca rimase sorpreso.
“Tu sei sicura che sia una buona idea? Non è detto che stia capitando qualcosa di male; prendere il sole nuda non è un reato”.
“Se non avessi sorpreso tua sorella a spogliarsi in un club pochi mesi fa non sarei così allarmata. Piuttosto, mi stupisco che tu non lo sia”.
Luca arrossì, fortunatamente senza essere visto.
C’era anche lui quella sera, e poi anche la madre.
Recuperò un paio di boxer puliti e li indossò.
“Sbrigo qualche commissione e passo da te – gli disse la madre – Prepara la valigia che poi andiamo direttamente in aeroporto”.
“Ok”.

Sara non poteva muovere un solo muscolo.
Era nella cantina di suo zio, legata, con indosso solo un perizoma nero.
Dalla base di ciascun dito delle sue mani partiva un sottile cavetto che la agganciava ad una trave posta sopra di lei.
Il suo corpo, sollevato così da terra di una trentina di centimetri, era ancorato al pavimento da un’altra decina di cavetti, questa volta legati alle dita dei piedi.
Era come sospesa in assenza di gravità, immobilizzata attraverso le dita.
Sia le braccia che le gambe erano divaricate, facendole assumere la posizione dell’uomo Vitruviano di Leonardo, solo in posizione verticale.
Era doloroso, le dolevano le spalle e le dita.
Non sapeva da quanto tempo fosse lì, ma doveva essere almeno una mezz’ora.
Si aprì la porta ed entrarono due persone, un uomo e una donna, entrambi vestiti di nero.
L’uomo era sulla sessantina, capelli bianchissimi e occhi molto azzurri; la donna, invece, era molto più giovane: doveva avere una trentina d’anni, aveva la carnagione bianchissima e portava un rossetto molto rosso.
Anche suo zio entrò nello scantinato; raggiunse gli altri due e disse qualcosa in quella lingua incomprensibile.
L’uomo in nero fece qualche passo verso di lei, e Sara si accorse che la scelta del nero nel suo abbigliamento non era dettata dalla moda.
Sotto al suo collo si distingueva chiaramente il colletto bianco, tipico dei preti.
L’uomo allungò una mano e le sfiorò un seno.
Sara sentì un brivido attraversarla.
L’uomo non ritrasse la mano, e le accarezzò il volto.
Le passò le dita sulle labbra, poi le introdusse nella bocca di Sara.
La ragazza le leccò.
Il prete ritrasse le dita e – con leggerezza – le inumidì il capezzolo destro con la sua stessa saliva.
Sara si lasciò sfuggire un sospiro.
Il prete alzò anche l’altra mano, e con entrambe afferrò saldamente i seni, stringendoli.
Accostò il volto a quello della ragazza e, senza dire nulla, la baciò.
Sara sentì la lingia dell’uomo entrare nella sua bocca e non oppose resistenza.
Il religioso continuò a palparle il seno, anche con una certa irruenza, poi spostò la mano destra verso l’inguine di Sara.
Con la punta delle dita le accarezzò la pancia, poi fece scivolare la mano piatta dentro il perizoma.
Con la punta delle dita cercò la fessura del suo sesso.
“Estas malseka”, disse rivolto alla ragazza con il rossetto rosso.
Premette la punta del dito medio sul clitoride, e Sara si lasciò sfuggire un gemito.
Il prete congiunse medio e anulare e con questi prese a sfregarla tra le labbra.
Sara spalancò gli occhi e sentì il suo respiro diventare più affannoso.
L’uomo aumentò la velocità del suo tocco.
Nello scantinato non c’erano altri rumori, ad eccezione dei gemiti di Sara.
“Demetu ŝia kalsonoj!”, disse la ragazza, come fosse un ordine.
Il prete si fermò, tolse la mano dalle mutandine di Sara e le sorrise, poi le posò le mani sui fianchi e accostò il suo pube a quello della ragazza.
Sara sentì l’erezione del religioso premere contro il suo inguine.
“Vuoi scopare?”, chiese il prete, con un pesantissimo accento straniero.
Sara si morse il labbro inferiore e chiuse gli occhi.
Il prete aumentò la pressione sul pube.
“Vuoi scopare?, mi demandis”.
Sara annuì, tenendo gli occhi chiusi.
L’uomo sorrise e, con un movimento rapido, le sciolse il nodo con cui erano legati i laccetti del perizoma sul suo fianco.
L’indumento cadde a terra.
Ora era nuda.
Il prete si slacciò la cintura e si abbassò i pantaloni.
Sotto aveva un normalissimo paio di boxer bianchi che, per certi versi, un po’ sorprese Sara.
Cosa si aspettava, un paio di mutande con un crocifisso?
L’uomo abbassò anche quelli, rivelando una sontuosa erezione.
Sara non era nella condizione fisica di opporre resistenza, legata com’era, e neppure lo voleva.
Il prete accostò il prepuzio al sesso di Sara e, senza ulteriori indugi, la penetrò.
Sara sentì il santo membro entrarle dentro e, per quanto possibile dai legami, allargò le gambe per facilitargli l’ingresso.
L’uomo la abbracciò e premette l’osso pelvico contro di lei, cominciando a entrare e uscire.
Sara chiuse gli occhi per non vedere le altre due persone presenti nella stanza, cercando nel contempo di assaporare il momento.
Il prete spostò le mani sui suoi glutei e li strinse forte.
Sara contrasse i muscoli all’inguine, per stringere meglio il membro dell’uomo e aumentare le sensazioni.
Il prete spalancò gli occhi e affondò le unghie nelle natiche di Sara, venendo dentro di lei.
Uscì subito e si scostò dal corpo della ragazza, quasi come se – una volta venuto – le facesse schifo.
Si rimise i pantaloni e si avvicinò a zio Carlo.
“Noi andiamo”, disse lo zio, anche se Sara non sapeva dove.
La ragazza pallida guardò verso i due uomini e annuì; loro voltarono le spalle e salirono al piano terra.
Sara avrebbe voluto chiedere allo zio dove stesse andando, ma non aprì bocca.
Sentì i passi dei due uomini passare sopra la tua testa e allontanarsi per strada.
Ora erano sole.
La ragazza pallida le sorrise e si accese una sigaretta.
“Tu devi avere pazienza, Father Jack non è molto romantico”, disse con un marcato accento straniero.
Si avvicinò a Sara e le sbuffò il fumo in faccia.
“Tu sai chi siamo noi?”, le chiese.
Sara fece cenno di no con la testa. Non aveva neppure capito la domanda.
“Noi siamo quelli che fanno quello che vogliono. Siamo quelli che, nei nostri Paesi, per mettere in atto certe pratiche dovevamo  rivolgerci a dei circuiti al limite del legale, correndo molti rischi”.
Allungò una mano e le pizzicò un capezzolo.
“Qui, invece, basta comprare una schiava e possiamo fare quello che vogliamo. E se la schiava di ribella, possiamo denunciarla alla polizia, e non è mai un lieto fine per la schiava. Fantastico, non trovi?”.
Rise.
“Però anche per te questo può essere il paese dei sogni, ne sono certa. Perchè qualcosa mi dice, senza ombra di dubbio, che anche tu sei dove avresti voluto essere”.
Nel dire questo, le passò un dito tra le grandi labbra e lo portò vicino al viso, annusandolo.
“Sei bagnata, zoccoletta”.
Rise di nuovo, mentre Sara chiudeva gli occhi per la vergogna.
La ragazza si avvicinò al volto di Sara e, lentamente, accostò alla sua bocca il dito intriso dei suoi stessi umori.
Sara dischiuse leggermente le labbra.
“Vedo che hai capito. Sei una brava schiava”.
Le infilò il dito in bocca e lasciò che Sara lo leccasse, poi lo estrasse
“Bene – annunciò – Ora basta divertirci, passiamo alle cose serie!”.
Si accostò ad una borsa abbandonata a terra e ne prelevò il contenuto.
Sara non riuscì subito a capire di cosa si trattasse, sembrava una cintura.
La ragazza si avvicinò a lei e le allacciò una striscia di pelle attorno ai fianchi, proprio come una cintura; poi recuperò un altro pezzo.
Era un’altra striscia di pelle, a cui erano però attaccati due oggetti.
Quando si avvicinò, Sara capì cosa erano: due vibratori.
La ragazza allacciò un’estremità della striscia alla cintura, grosso modo all’altezza dell’osso sacro di Sara, e la fece passare tra le sue gambe, come se fosse un perizoma.
Sara capì cosa stava per capitare e sentì il suo respiro aumentare di intensità.
La ragazza sorrise.
“Intuisco che hai capito. Non temere, fa male soprattutto quando entrano, poi ci si abitua. Non subito, ma ci si abitua”.
Prese un tubetto di crema e, con cura, unse uno dei due vibratori, quello che inevitabilmente l’avrebbe penetrata nell’ano.
“Mi sei simpatica”, spiegò.
Fatto questo, prese in mano la striscia di pelle e la sollevò verso l’alto.
Sara sentì le punte dei due vibratori toccarle l’ano e la vulva.
“Ti prego….farà male”, disse.
“Certo che farà male…non sei mica qui per divertirti”, rispose ridendo.
Impugnò i vibratori con le mani e, con forza, li guidò dentro Sara.
Sara si sentì invadere da quei corpi estranei e cercò di divincolarsi, ma i cavetti che l’ancoravano al soffitto e al pavimento non le permisero di opporre resistenza.
Sentì il primo vibratore penetrare nel sedere, poi l’altro, meno doloroso, nella vagina.
Si sentì terribilmente piena, come se i due oggetti dentro di lei la stessero violentando.
La donna fissò la striscia di pelle alla cintura, sul davanti, con una chiusura automatica.
Ora i due vibratori non avrebbero potuto uscire.
La donna le accarezzò un seno, soffermandosi sul capezzolo di Sara. Era sorprendentemente duro.
“Vedi che ti piace? Non mi sbagliavo su di te”, commentò.
Sara sospirò.
“Fa male”, disse.
“Certo che fa male! Mica avrei bisogno di una schiava se fosse divertente!”, rispose la ragazza, quasi di buon umore.
Si inginocchiò davanti a Sara e armeggiò tra le sue gambe; quando si rialzò aveva tra le mani un filo elettrico, la cui estremità si immetteva nel curioso perizoma di Sara.
Lo collegò ad una presa nel muro, poi si accese una sigaretta.
Guardò l’orologio da polso, e dopo una dozzina di secondi disse:”Ora!”.
Sara sentì i due vibratori azionarsi contemporaneamente, facendole tendere tutti i muscoli del corpo.
Si sentì sconquassare, poi la vibrazione terminò.
“C’è un timer”, spiegò la ragazza. “Ora abbiamo iniziato con trenta secondi, ma ogni volta il tempo raddoppierà. Sarà molto impegnativo”.
Si avvicinò a Sara e le afferrò il volto con una mano, costringendola ad aprire la bocca.
“Non mi sono neppure presentata, tra l’altro. Io sono Kathy”.
Accostò le labbra a quelle di Sara e le mise la lingua in bocca.
Non appena la ritrasse, i vibratori entrarono nuovamente in funzione.
Kathy prese una sedia e si sedette davanti a Sara.
“Non cerco giustifiazioni – disse, sempre fumando – lo so di non essere normale. In pochi qui lo sono. A me piace vedere le persone ai miei piedi, poter disporre di loro e sfogare i miei istinti. E’ un hobby poco compatibile con la società moderna, me ne rendo conto”.
Sara trasalì: i due vibratori si erano nuovamente azionato.
Questa volta la vibrazione durò un minuto; un lasso di tempo che non avrebbe mai immaginato così lungo.
Kathy aspettò che Sara si riprendesse, poi continuò a parlare.
“Io non posso più nemmeno tornare nel mio Paese, in Albania. Sai perchè?”.
Sara scosse la testa, già tesa in vista della vibrazione successiva.
“Perchè c’era una stronza che si è scopata il mio ragazzo. Allora io e i miei due fratelli le abbiamo organizzato una punizione splendida: le abbiamo fatto quello che ora sto facendo a te. Solo che l’abbiamo tenuta su tutta una notte. E quando l’abbiamo liberata ci ha messo due giorni a uscire nuovamente di casa, però quando l’ha fatto è andata a denuciarci”.
Sbuffò il fumo della sigaretta e quardò l’orologio.
I vibratori partirono, puntuali come un treno svizzero.
Due minuti.
Sara stinse i denti per non urlare, sentendo l’ano sconquassarsi e la vagina accogliere il corpo estraneo come un benvenuto.
Inarcò la schiena, poi la sofferenza terminò.
Respirava affannosamente.
“Anche Father Jack ha avuto i suoi problemi nel suo Paese, l’Irlanda. Perchè a lui, a differenza di molti altri preti, non piacciono i bambini. A lui piace la figa, come hai già avuto modo di sperimentare. Solo che scoparsi la figlia sedicenne del sindaco del suo paese non fu una mossa astuta. Pare che abbia rischiato il linciaggio”.
Alzò le spalle e gettò la sigaretta a terra.
“Qui ci sono persone come noi, e ci sono anche quelli come te”.
Sara le rivolse uno sguardo interrogativo.
“Certo – le rispose Kathy – Una buona parte degli schiavi e delle schiave sono volontarie. Persone che nel loro Paese non hanno un lavoro, non hanno un futuro. Qui hanno un tetto, trovano da mangiare e da vivere. Certo, c’è un prezzo da pagare….”
I vibratori partirono nuovamente; questa volta Sara urlò.
Quattro minuti erano tanti, tantissimi in quella posizione.
Aveva la sensazione che il suo ano non sarebbe mai più tornato delle dimensioni originarie.
Si contorse, cercò di dilatare i muscoli per rilasciare il vibratore anche solo di qualche centimetro, ma inutilmente.
Kathy, davanti a lei, fumava un’altra sigaretta e sorrideva.
Il vibratore nel suo sesso, per di più, la stava facendo preoccupare.
Sentiva che a breve sarebbe venuta, e non voleva farlo. Non davanti a quella sconosciuta, educata ma folle.
Strinse i denti, annaspò in cerca d’aria, poi i vibratori si spensero.
Respirava affannata.
“Sta diventando sempre più difficile, vero?”, chiese Kathy.
Sara annuì, rossa in volto.
“Dove sono andati gli altri?”, chiese.
Per quanto si trovasse lì per colpa di suo zio, si sarebbe sentita più tranquilla se ci fosse stato anche lui lì con lei.
Kathy alzò le spalle:”Non lo so di preciso, mi pare a prendere qualcuno in aeroporto”.
Sara rimase in silenzio. Stava arrivando ancora qualcun altro a torturarla?
“Queste persone che arrivano – annaspò – Sono qui per me?”.
Kathy sorrise:”Direi di sì, visto che si tratta di tua madre e tuo fratello”.
Sara spalancò gli occhi per la sorpresa, e in quel momento i vibratori ripartirono.
Questa volta sarebbero stati otto lunghissimi minuti.

Angela e suo figlio Luca entrarono nella casa di Carlo e – dietro suo invito – si accomodarono sul divano.
“Sono preoccupata per Sara – disse Angela – E vorrei vederla il prima possibile”.
Carlo prese una bottiglia di succo dal frigorifero e riempì due bicchieri.
“Arriverà presto, presumo – disse – E’ uscita con degli altri ragazzi, non so dove sia”.
Porse i bicchieri a sua sorella e a suo nipote.
“Bevete, è fresco”, disse.
I due ospiti sorseggiarono la bevanda.
“Cos’è questa bibita?”, chiese Luca.
Lo zio alzò le spalle.
“Un frutto tropicale di qua, non so bene”.
Angela sbadigliò.
“Il viaggio deve avermi provato, sono a pezzi”.
Anche Luca sbadigliò.
Un secondo dopo erano entrambi stesi sul divano, privi di conoscenza.

“Devo essermi addormentata di colpo”, pensò Angela riprendendo lentamente conoscenza.
I suoi ultimi ricordi riguardavano suo fratello Carlo che offriva da bere a lei e a suo figlio Luca, poi più niente.
Erano andati a dormire?
Poteva essere, però era strano che non ricordasse di aver visto Sara, sua figlia.
Era venuta fin lì per quello, possibile che fosse andata a dormire senza pretendere di incontrarla.
Aprì gli occhi.
Dovunque fosse, quella non era sicuramente una stanza da letto.
Lei era stesa a terra, su un tappeto, e davanti a lei c’era una ragazza vestita di nero che fumava una sigaretta seduta in poltrona.
Chi era? Dove erano suo fratello e i suoi figli?
Si mise in ginocchio, sentendosi ancora molto debole.
La ragazza davanti a lei sorrise.
“Ben svegliata”, disse.
“Grazie”, rispose Angela meccanicamente.
Si alzò in piedi e attese che i suoi occhi si adattassero alla penombra.
Doveva trovarsi in uno scantinato, seppur molto grande.
Guardò alla sua destra.
Suo figlio Luca era supino su un materasso, completamente nudo e legato per i polsi e le caviglie.
Un cerotto gli impediva di parlare, ma Angela colse lo sguardo del figlio e lo seguì.
Si voltò verso sinistra, e lì vide sua figlia Sara, nuda ad eccezione di una specie di cintura di castità che le imbrigliava l’inguine, legata alla parete. Anche lei era imbavagliata.
La ragazza aveva gli occhi chiusi e si contorceva in preda a spasmi.
Angela non lo poteva sapere, ma Sara era a metà percorso della vibrazione di sedici minuti, ed era già al sesto orgasmo.
Istintivamente fece un passo verso la ragazza, ma questa sfoderò una pistola e glielapuntò contro.
“Stai ferma e zitta!”, le ordinò.
“Io non so cosa stia succedendo – disse Angela guardandola negli occhi – ma quando lo saprà mio fratello saranno guai per te!”.
La ragazza spense la sigaretta e sorrise.
“Non credo proprio – rispose – Carlo! Si è svegliata!”.
Al suo urlo si aprì una porta in cima alle scale e due uomini penetrarono nello scantinato.
“Carlo! – urlò Angela quando vide suo fratello – Cosa sta succedendo?”.
Carlo si portò accanto alla ragazza e sorrise.
“Non lo vedi da sola? – rispose – Tu e i tuoi figli siete nostri prigionieri”.
“Cosa cazzo stai dicendo? Se è uno scherzo non mi sta facendo ridere. Libera i ragazzi e ce ne andiamo”.
“Tu non vai da nessuna parte, zoccola”, disse l’altro uomo.
Angela lo guardò per la prima volta.
Sembrava un prete, anche se la donna scartò l’ipotesi come improbabile, dato il contesto.
Doveva essere una specie di travestimento.
Guardò di nuovo verso il fratello, sperando ardentemente fosse uno scherzo, ma sempre più timorosa di sbagliarsi.
“Carlo, ora andiamo,veramente. E, per piacere, dì alla tua amica di abbassare quella pistola che mi mette a disagio”.
“Angela, nessuno se ne andrà via di qui. Cerca di collaborare, e tutto sarà più facile”.
“La pistola deve essere finta – pensò Angela – E questo deve essere uno scherzo del cazzo”.
Fece un passo verso la ragazza, e questa sparò.
Angela sentì il proiettile passarle accanto alla guancia e lo udì conficcarsi nella parete alle sue spalle.
Si bloccò.
“Ti avevo detto di stare ferma – le disse la ragazza – e non ho intenzione di ripetermi. La prossima volta che sparerò sarà contro di te, e raramente manco un bersaglio così vicino”.
Angela sentì il respiro divenire più affannoso.
“Perchè ci stai facendo questo, Carlo? Siamo la tua famiglia, io sono tua sorella…”.
Carlo scosse la testa.
“Non devi prenderla come un fatto personale, Angela. E’ solo divertimento, nessuno ce l’ha con te”.
“Cosa cazzo dici, Carlo? I miei figli sono legati, Sara sta soffrendo non so neppure cosa, Luca è imbavagliato….”
La ragazza alzò la mano per zittirla.
“Sara non sta soffrendo neppure un po’ – disse – A lei piace tutto questo, prendine atto. Tua figlia è una schiava per natura, e noi la stiamo solo assecondando”.
“Tu non sai niente di mia figlia!”, urlò Angela.
“Ma io sì – disse Carlo – e ti posso garantire che, quando sono stato ospite a casa vostra, Sara mi ha fatto forse il migliore pompino della mia vita”.
Angela guardò verso la figlia, che distolse lo sguardo.
Era vero.
“E Luca? – proseguì, indicando il figlio – Anche lui si sta divertendo?”.
La ragazza sorrise.
“Non appena avremo finito con te, ti prometto che ci sarà del divertimento anche per lui”.
Angela abbassò lo sguardo.
“Forza, spogliati!”, le ordinò la ragazza.
La guardò stupita.
“Cosa?”.
Kathy le puntò contro la pistola.
“Hai capito benissimo. Togliti i vestiti. Tutti!”.
Angela deglutì rassegnata.
Una pistola puntata contro e i suoi figli legati erano uno stimolo sufficiente a non disubbidire.
Si slacciò i sandali, si tolse la camicetta e i jeans.
Era in biancheria intima.
“Ti ho detto di toglierti tutto!”, le ordinò la ragazza, sventolando la pistola.
Angela, trattenendo la vergogna, si liberò del reggiseno e del perizoma.
Non appena gli ultimi indumenti caddero a terra, si coprì le parti intime con una mano.
“Toglli quelle cazzo di mani e mettile dietro alla schiena!”, disse Kathy.
Angela ubbidì all’ordine.
“Vedo che hai la fica depilata – disse Carlo – La mostri a tanti, ultimamente? Con quanta gente scopi?”.
Angela arrossì.
“No, non scopo tanto”, ammise.
“E’ un peccato, sorellina….sei una bella donna. E, sentiamo, chi è l’ultimo con cui sei stata?”.
Angela deglutì, poi gli disse la verità.
“Un amico di Luca, ma non pensare male….sono stata costretta!”.
Carlo annuì, serio.
“Non penso male, anche a me piacciono le ragazze giovani. E se sei stata costretta tanto meglio, così almeno sappiamo che sei già abituata. Sara, in fondo, da qualcuno deve aver preso.
Angela voleva replicare, ma le parole le vennero bloccate da Kathy che le era passata alle spalle e le aveva bloccato i polsi con un paio di manette.
Il prete si alzò, aprì un armadio e ne estrasse un oggetto che a prima vista Angela scambiò per un ostacolo, di quelli che si usano in atletica.
“Allarga le gambe!”, le ordinò Kathy.
Angela ubbidì, e il prete posizionò l’ostacolo tra le sue gambe, come se lei fosse in procinto di cavalcarlo.
Si mise poi in ginocchio e, agendo su una vite, cominciò a sollevarlo.
Dopo poco Angela sentì l’asse di legno toccarle il sesso.
A differenza degli ostacoli, questo non era smussato, ma terminava con uno spigolo vivo.
“Sollevati sulle punte dei piedi”, le ordinò Kathy.
Angela ubbidì, ma subito dopo il prete alzò ancora l’ostacolo, fino a quando non entrò nuovamente in contatto con la sua vulva.
“Non riesco ad alzarmi di più!”, si lamentò Angela.
Kathy annuì, si mise davanti alla donna e allungò le mani verso il suo inguine.
Prese tra le dita le sue grandi labbra e le allargò, facendo in modo che accogliessero la lama di legno.
“Credo che tu abbia già capito il funzionamento di questo stumento – disse Kathy – Tu ora sei in punta di piedi e il legno ti sta solo sfiorando la fica. Ma tra poco le gambe ti faranno male, e sarai costretta  a rilassare i muscoli dei polpacci, e così facendo tutto il peso del tuo corpo graverà sulla tua fica appoggiata su questo asse di legno”.
Angela spalancò gli occhi, ma non fece in tempo a dire nulla che Kathy la imbavagliò con un largo pezzo di nastro adesivo.
“Non voglio sentire lamenti mentre mi diverto con tuo figlio”, disse sorridendo.
Le accarezzò un seno e si voltò verso Luca.

Kathy si voltò verso Luca, e il ragazzo sentì il cuore accelerare.
Cosa gli sarebbe successo?
La ragazza non era stata tenera nè con sua sorella nè con sua madre, e nulla gli faceva supporre che sarebbe andata diversamente con lui.
Già il fatto che fosse legato e nudo gli permetteva di intuire come la prossima mossa non sarebbe stata un tè con pasticcini.
Kathy si avvicinò a lui e gli fece una carezza sul volto.
“Vedo che lo spettacolo non ti è dispiaciuto”, commentò, indicando il suo inguine.
Luca guardò in quella direzione, e constatò con imbarazzo come il suo pene fosse in erezione.
“Cosa ti è piaciuto di più, quello che ho fatto a tua mamma, oppure a tua sorella?”, disse la ragazza, passando con indifferenza il dito lungo l’asta del suo membro.
Luca sentì che si irrigidiva ancora di più.
“Quanti anni hai, ragazzo?”, chiese.
“Diciannove”, rispose Luca, realizzando di avere la voce rotta.
Kathy gli passò una mano sul torace, poi si slacciò due bottoni della camicetta.
Si rivolse agli altri due uomini:”Non ho nulla in contrario se guardate, ma neppure se ve ne andate”.
Nessuno dei due accennò un minimo movimento, facendo capire come avessero scelto la prima opzione.
Kathy si liberò della camicetta nera, rivelando un reggiseno dello stesso colore.
La pelle era bianchissima, tanto che Luca si chiese come potesse avere quella pigmentazione in un paese tropicale come quello.
Si tolse anche la gonna, rivelando un perizoma nero.
Luca sentì il suo membro indurirsi ancora di più, non appena Kathy si privò anche del reggiseno.
Aveva un bel seno, molto più grosso di quanto si sarebbe potuto suppore guardandola da vestita.
La ragazza lanciò un’occhiata verso i due uomini.
“Vedo che avete deciso di rimanere”, constatò.
Si sfilò il perizoma e si avvicinò a Luca.
Si chinò su di lui, gli passò la lingua sulla bocca e si mise a cavalcioni.
Impugnò il membro con la mano e lo guidò verso la propria vulva, poi si abbassò definitivamente, facendosi penetrare.
Emise un sospiro, imitata da Luca.
Contrasse i muscoli delle cosce e prese a muovere ritmicamente il bacino.
Luca sentì dentro di sè l’eccitazione montare al massimo.
Non voleva venire, non così presto.
Pensò a sua madre torturata, a sua sorella, ma questi pensieri non lo placarono, anzi.
Erano quattro mesi che non scopava, non sarebbe durato a lungo.
Kathy contrasse i muscoli della vagina per sentire meglio il ragazzo, e in quel momento Luca venne.
Lei spalancò gli occhi e, realizzato quanto era successo, assunse un’espressione contrariata e diede uno schiaffo a Luca.
“Cazzo di ragazzino, sei venuto! Adesso penso io a te!”.

Sara accolse la fine del ciclo da sedici minuti con sollievo e terrore.
Non aveva più la forza; il suo ano e la sua vagina erano ormai sconquassati dai due vibratori inseriti dentro di lei, e già paventava il prossimo ciclo.
Trentadue minuti di sofferenza sarebbero stati troppi.
Anche se, a onor del vero, aveva avuto almeno otto orgasmi di seguito.
Questo la faceva pensare.
Guardò verso sua madre.

Angela, in equilibrio sulla punta dei piedi, sentiva i muscoli dei polpacci dolerle.
Si teneva in forma, era una donna sportiva, ma non era questione di allenamento, bensì di tempo.
Nessuno sarebbe venuto a salvarli e lei non avrebbe potuto resistere in eterno.
Si chiedeva, piuttosto, come stesse Sara.
L’aveva vista sia sofferente che in estasi, non capiva cosa le stesse succedendo.
E Luca?
Cosa gli avrebbe fatto quella donna.
Non l’aveva imbarazzata vederlo fare sesso, ma ora era preoccupata per lui.
Sentì una fitta al polpaccio destro e le gambe cedettero.
Il suo inguine si appoggiò di peso alla lama di legno, e sentì le labbra aprirsi ad accogliere l’oggetto estraneo.
Faceva male, si tirò subito su.

Kathy estrasse dalla borsa un apparecchio elettronico grande come un pacchetto di sigarette e si accostò a Luca.
Appoggiò l’apparecchio tra gambe di lui e da questo estrasse un cavo elettrico alla cui estremità c’era una specie di anello.
Prese in mano il pene di Luca, ormai molle, e lo saggiò ancora una volta.
Luca era in imbarazzo estremo, non voleva che sua madre e sua sorella lo vedessero in quella situazione.
Kathy prese l’anello e lo fece scorrere lungo il membro di Luca, spingendolo fino alla base, poi azionò un pulsante sul marchingegno elettronico.
Luca sentì il suo pene percorso da una specie di energia e, sorprendentemente, lo vide tornare nuovamente in erezione.
Kathy sorrise.
“Adesso si ragiona di nuovo!”, disse.
Premette nuovamente il pulsante, e l’erezione divenne ancora più vigorosa.
Montò nuovamente a cavalcioni di Luca e lo accolse dentro di sè.
Prese a muoversi ritmicamente, andando su e giù.
“Liberami! Voglio toccarti!”, disse Luca, agitando i polsi dentro alle corde che lo tenevano.
Kathy ignorò completamente la richiesta, anzi, passò le sue mani sui suoi seni, come se solo in quel momento si fosse ricordata di quella possibilità.
Luca sentì nuovamente l’orgasmo montare dentro di lui.
Cercè di ricacciarlo dentro, timoroso della reazione della ragazza.
Combattè contro se stesso per un paio di minuti, poi si arrese.
Venne copiosamente e rumorosamente, inarcando la schiena.
Si abbandonò nuovamente sul materasso, certo che gli sarebbe arrivato presto uno schiaffo.
Quando questo non capitò, si rese conto del motivo: nonostante fosse venuto, il suo membro non aveva perso l’erezione.
Kathy sembrava non essersi accorta di quanto era successo e continuava ad andare su e giù.

Sara vide suo fratello venire proprio mentre un sinistro “clik!” le annunciava la ripresa delle attività dei vibratori.
Trentadue minuti!
Mugolò dentro il bavaglio, cercando di attirare l’attenzione di qualcuno.
Il prete guardò verso di lei e sorrise sadicamente, poi tornò a rivolgere la sua attenzione verso Luca e Kathy.
Angela, nel frattempo, sentì il muscolo del polpaccio contrarsi, ormai prossimo ad avere un crampo.
Fece rilassare le gambe, appoggiandosi nuovamente alla lama di legno.
Faceva male!
Quanto sarebbe durato tutto ciò?

Kathy sentì Luca venire dentro di lei, ma non se ne curò.
Su quell’isola c’era estrema abbondanza di schiave donne, ma di ragazzi c’era una penuria incredibile, soprattutto di così giovani.
Era parecchio che non si faceva una scopata come si deve e non voleva lasciarsi scappare l’occasione.
Avrebbe fatto volentieri a meno di farlo di fronte a quei due porci, ma in fin dei conti non le importava molto. Se le cose fossero andate bene, magari avrebbe chiesto a Carlo di venderle il giovane schiavo, oppure lo avrebbe scambiato con qualche ragazzetta.
Si inclinò in avanti, in modo da stimolare il clitoride, e venne anche lei.
Si morse le labbra e portò una mano al seno, accarezzandolo.
Rallentò solo leggermente il ritmo, giusto il tempo di riprendersi dall’orgasmo, poi ricominciò ad agitarsi.
Il membro dentro di lei non sembrava dare segni di cedimento, grazie al prodigioso apparecchio.

Sara ormai aveva perso il conto degli orgasmi; misurava il trascorrere del tempo, piuttosto, con la sua stanchezza.
Ora non le fregava più nulla. Non le importava che sua madre e suo fratello l’avessero vista in quello stato, non le importava che suo zio l’avesse attirata in quella trappola e non le importava neppure che lei stessa si fosse prestata a quello.
Ora voleva solo che tutto finisse.
Guardò verso sua madre, e un attimo dopo venne.
Lei non lo sapeva, ma era la ventisettesima volta.

Angela ormai non riusciva più a reggersi.
I polpacci le dolevano, e il dolore che sentiva levarsi dai muscoli era superato solo da quello che arrivava dal suo inguine.
Quando era stata costretta a spogliarsi aveva temuto che sarebbe stata violentata, ora quasi lo rimpiangeva.
Almeno sarebbe stato già finito.
Una nuova fitta le attaccò il polpaccio, e automaticamente si accasciò sul legno.
Urlò.

Luca era preoccupato sullo stato di salute del suo pene.
La frizione e il calore ormai l’avevano reso insensibile, ed era certo che ancora funzionasse solo perchè, ogni tanto, ancora veniva.
Non aveva le idee chiare sulla sua biologia, se il processo avrebbe potuto continuare all’infinito.
Quante volte poteva venire?
Sarebbe arrivato ad un punto in cui i suoi testicoli non avrebbero più prodotto sperma?
Kathy sopra di lui non si stava ponendo il problema, e continuava ad andare su e giù senza accennare a fermarsi.
Venne anche lei, inarcando la schiena e serrando i muscoli della vagina.
Finalmente si fermò.
Senza far uscire Luca, si chinò sul suo volto e gli diede un bacio sulle labbra, poi finalmente si disarcionò.
Luca emise un sospiro di sollievo, constatando con stupore come il suo membro fosse ancora eretto e, almeno apparentemente, sano.

Kathy emise un sospiro e guardò l’ora.
Aveva scopato per oltre quaranta minuti, poteva ritenersi soddisfatta.
Meditò se fosse il caso di rivestirsi, poi decise che non era necessario.
Sicuramente non aveva più segreti per nessuno dei presenti; in più non escludeva di dare un’altra ripassata a Luca.
Sarebbe stato sufficiente azionare il meccanismo….
Si avvicinò a Sara.
La ragazza era stremata, si vedeva chiaramente.
Le accarezzò un seno, poi si chinò e staccò la spina dal muro.
Sara mugolò, probabilmente di gratitudine.
Kathy le aprì la fibbia e le sciolse la cintura.
Estrasse con cautela il vibratore dalla vagina di Sara, poi quello dal sedere.
Sara chiuse gli occhi, quasi incredula che quella sofferenza avesse avuto una fine.
Kathy passò un dito sul clitoride di Sara, che sobbalzò.
Prese un coltello e recise i legami che la ancoravano al soffitto e al pavimento.
Suo zio dovette sorreggerla affinchè non si schiantasse a terra.
La prese per le ascelle e, delicatamente, la fece sedere sul pavimento.
Kathy estrasse un paio di manette, e con quelle fissò i polsi di Sara dietro alla schiena.
Passò quindi ad Angela.
Anche lei era provata e sofferente.
Kathy non le chiese nulla, ma – agendo sulla vite – abbassò l’asta tra le gambe della donna.
Angela potè finalmente appoggiare la pianta del piede al pavimento, con enorme sollievo dei polpacci e delle cosce.
Kathy sfilò l’attrezzo e lasciò che Angela si inginocchiasse a terra accanto a sua figlia.
Lei era già ammanettata.
Si rivolse quindi al prete.
“Ti ricordi quell’idea di cui abbiamo discusso qualche giorno fa?”.
Il prete annuì, salì al piano di sopra e ne discese dopo un paio di minuti.
In mano aveva un barattolo di vetro, che consegnò a Kathy.
“Il gioco che stiamo per fare – disse rivolta alle donne – è particolarmente indicato per due donne che hanno in legame tra loro. E’ ideale per una coppia lesbica, ma va bene anche per due sorelle, e certamente madre e figlia. E’ un gioco che insegna cos’è l’affetto reciproco e che risultati eccezionali può aiutare a raggiungere”.
Si inginocchiò accanto a Sara e intinse due dita nel barattolo.
Quando le estrasse erano coperte di una sostanza che sembrava ketchup.
“Apri le gambe!”, ordinò a Sara, che eseguì meccanicamente.
Kathy spalmò l’unguento sulla vagina della ragazza, poi fece lo stesso ad Angela.
Tolse il bavaglio alle due donne, chiuse il barattolo e si alzò in piedi.
“Quello che vi ho spalmato sulla passera è un cocktail composto da ketchup, senape, peperoncino macinato e paprika. La brutta notizia è che tra poco comincerà a bruciare come l’inferno”.
Sara deglutì. Sentiva già un profondo calore arrivare dal suo inguine.
“La buona notizia, però – proseguì Kathy – è che il tutto e perfettamente commestibile. Traete le vostre conclusioni”.
Si accese una sigaretta e si accomodò in poltrona.

Sara sentì la sua vagina come se fosse coperta di fiamme.
Sicuramente non le aveva fatto bene essere sottoposta a profonda stimolazione per un’ora prima, ma quell’unguento sembrava fuoco puro.
Guardò verso sua madre.
Angela teneva le gambe spalancate, come se quella posizione potesse favorire una qualche corrente d’aria che potesse procurarle qualche sollievo.
Sara emise un lamento, sentendo l’ennesimo morso al sesso.
Sapeva cosa doveva fare, e – giunta a quel punto – le conveniva farlo il prima possibile.
Si mise in ginocchio e, facendo attenzione a non ribaltarsi, avanzò fin verso sua madre.
Quando fu vicina, accostò il viso alla vagina di lei.
“Sara, non è il caso. Posso sopportare”, disse Angela.
Sara scosse la testa.
“Io no, e tra poco neppure tu. Ti aiuto volentieri”.
Si avvicinò ancora di più al sesso di sua madre e vi passò la lingua sopra.
Ingoiò una notevole quantità di quell’unguento micidiale e si mise a tossire.
Deglutì, poi diede un’altra leccata.
Angela, a dispetto di quanto aveva dichiarato, sentì immediato sollievo da quella manovra.
Però la smorfia sul volto di sua figlia indicava chiaramente come stesse soffrendo.
“Aspetta, ora tocca a me”, disse.
Si sdraiò a terra e strisciò fino alla vagina di Sara.
La ragazza non fece complimenti e allargò le gambe.
Angela esitò un attimo.
Non era la prima volta che si trovava a compiere quell’operazione, ma certamente non era abituata.
Però sua figlia stava soffrendo e non era il caso di esitare.
Affondò il volto tra le cosce e la leccò.
Sara sentì la sua sofferenza alleggerirsi e ringraziò mentalmente sua madre.
Ora stava meglio.
Cercando di non allontanare il proprio pube dalla bocca di Angela, si sporse verso quello di lei.
Non si dimenticava che anche sua madre stava male.
Le leccò nuovamente le grandi labbra, proprio mentre Angela compiva lo stesso movimento su di lei.
Questa volta il sospiro che emise non era solo sollievo.

Angela sentì la lingua di sua figlia accarezzarle il sesso e sentì rabbrividire.
Ovviamente le era già capitato che qualcuna le leccasse la vulva, ma mai una donna, e tantomeno sua figlia.
Ricambiò la leccata, sentendo come il gusto del ketchup fosse ormai quasi sparito dalla pelle di Sara. Ora c’era un sapore diverso, quello delle sue secrezioni.
Si chiese se anche lei aveva ormai lo stesso sapore.
Sara la leccò ancora, questa volta insinuando la lingua tra le labbra. Angela si sentì percorrere da un brivido.
Era giusto tutto questo?
In fin dei conti le stavano costringendo a comportarsi così, non avevano alternative.
Non aveva senso sentirsi in colpa.
Leccò sua figlia, cercando di provocare a lei le stesse sensazioni che stava provando lei.
La fessura della sua vagina era ora leggermente aperta.
Sara la leccò ancora una volta, e questa volta Angela emise un gemito.
Appoggiò le labbra alla vulva di Sara e vi affondò la lingua, come se la stesse baciando alla francese.
Sara emise un urletto e trasalì, sorpresa della sensazione che la lingua di sua madre, dentro di lei, le stava dando.
Sarebbe venuta per la millesima volta, non ci poteva credere.
Accostò anche la sua bocca alla vagina di Angela e le fece la stessa cosa.
Sua madre aveva un umore dolce, era piacevole.
Chiuse gli occhi e la baciò.

Kathy guardò le due donne sul pavimento con crescente soddisfazione.
Avevano rotto la barriera, stavano infrangendo due tabù atavici – quello dell’omosessualità e quello dell’incesto – con una disinvoltura estrema.
Quelle schiave le avrebbero dato molta soddisfazione.
Le sentì ansimare sempre di più, poi le vide staccarsi e abbandonarsi sul pavimento.
Erano venute.

 

“Sveglia!”.
Sara si svegliò di soprassalto, aggredita dalla forte luce del sole che filtrava dalle finestre.
Suo zio aveva appena aperto le tende, questo era il motivo per cui si era svegliata.
Si mise a sedere sul letto, ancora intontita.
Era completamente nuda, ma ormai questo non costituiva più un problema, almeno con suo zio.
Cercò di riportare alla mente l’ultimo ricordo.
Dopo aver terminato il numero con sua madre, giù nello scantinato, la comitiva si era sciolta.
Lei e Angela si erano fatte una doccia ed erano subito andate a letto, sopraffatte dalla stanchezza.
Ora però era sola.
“Dovè mamma?”, chiese.
Carlo alzò le spalle.
“E’ con il prete, ma non so dove”.
“E Luca?”.
“Lui è con Kathy”.
Sara si stiracchiò, inarcando la schiena.
Carlo non potè non guardarle il seno senza sentire uno smottamento dentro.
“Com’è la situazione? Io sono tua schiava e loro sono schiavi degli altri due?”, domandò.
Ci sarebbe voluto ancora del tempo affinchè riuscisse ad abituarsi a frasi del genere, tuttavia non potè non notare la naturalezza con cui lei stessa ne stava parlando.
Schiava…un concetto che riportava alla mente tempi andati, eppure ora decisamente presenti per lei.
“No, siete tutti miei. Anche se Kathy mi ha chiesto se le posso regalare tuo fratello, o almeno prestarglielo”.
“E cosa farai? Ho paura che lei potrebbe essere pericolosa per lui”.
“Ancora non lo so. Anche se per ora l’unico rischio che corre Luca è di scopare troppo. Ma non è di tuo fratello che devi preoccuparti ora”.
Il tono di voce di suo zio era tranquillo, anche cordiale, ma l’ultima frase le suonò minacciosa.
“Ora vestiti, dobbiamo andare”, le disse.
“Dove?”.
“C’è del lavoro da fare. Mica penserai che il tuo compito qui si limiti ad essere di trastullo per noi”.
Sara avrebbe voluto dirgli che non le sembrava così poco quello che le avevano fatto subire il giorno prtima, ma si astenne.
Era un’altra la questione che la preoccupava.
“Di che lavoro si tratta?”.
“Non ti preoccupare, non è un lavoro pesante o di concetto”.
“Senti, parliamoci chiaro…c’entra ancora del sesso?”.
Lo zio la guardò meravigliato.
“Certo che si tratta di sesso! Per prendere una segretaria o un autista non ho mica bisogno di una schiava come te, mi basta molto meno”.
Sara abbassò lo sguardo, e quando parlò la voce le tremava leggermente.
“Senti, io non so se me la sento…finchè si tratta di divertirsi un po’ va bene, ma oltre non mi sento di spingermi. Anche l’aver coinvolto mia madre e Luca, non riesco a vivere bene con questa cosa”.
“Prendo atto di quello che dici, ma tu il problema non te lo devi neppure porre. Tu sei una cosa mia, e per te decido io”.
“Zio, dai…tu mi stai chiedendo di fare la prostituta, parliamoci chiaro”.
Carlo la guardò severamente.
“Sara, guarda che quella che ti sto offrendo è un’opportunità, e mi addolora che tu non la stia apprezzando. Che scuola fai, Sara?”
“Ragioneria”.
“E come vai a scuola?”.
“Decentemente. Sul sei, diciamo”.
“Anche meno, da quanto mi risulta. E cosa pensi che farai nella vita. La ragioniera?”.
Sara alzò le spalle.
“Non lo so, forse sì. Posso vestirmi, per piacere?”.
“No, te lo dico io quando potrai farlo. Comunque – ammesso e non concesso che tu voglia fare la ragioniera – che tipo di esistenza avresti? Ottocento euro al mese con contratto semestrale? Che vita sarebbe? Ammesso che tu trovi lavoro, ovviamente”.
Sara rimase in silenzio.
“E se tu stai pensando a tuo padre, ti informo che non è più nelle grazie giuste. E’ appena caduto il governo, temo che il suo carro non sia più quello dei vincitori”.
“E l’alternativa, secondor te, è che io faccia la puttana?”.
“Non fai la puttana, Sara. Tu sei mia e fai quello che voglio io, è diverso. Certo, a volte potrebbe essere scopare e fare sesso, ma a volte potrebbe essere nulla. Però il rapporto schiava/padrone è reciproco. Io ho l’impegno di prendermi cura di te, è il presupposto della tua schiavitù”.
Sara non rispose.
“E poi – proseguì lo zio – io so per certo che a te piace essere schiava”.
Sara sbottò.
“Senti, c’è un limite….”.
Carlo la interruppe alzando una mano.
“No, carina. Ieri non hai battuto ciglio, eppure quello che Kathy ti ha fatto era notevole. Ho visto donne piangere nel subire lo stesso trattamento, e tu niente, forse qualche lieve lamento. Hai leccato la figa di tua madre senza nulla opporre, non ci hai neppure chiesto di allontanarci”.
“Questo non vuole dire nulla.”.
“No, magari no. Però allarga leggermente le gambe”.
Sara non capiva cosa volesse, ma eseguì l’ordine.
“Ora voglio che tu ripensi a quello che è successo ieri, basta qualche secondo”.
Sara annuì.
“Io sono certo che se ora ti passo un dito sulla passera, ti troverò eccitata. Devo farlo?”.
Sara arrossì. Era vero.
“No, non farlo”, ammise. Istintivamente con una mano si coprì il sesso.
Carlo sorrise.
“Allora la nostra conversazione è già finita. Tu sei mia schiava e decido io. Ora puoi vestirti, dobbiamo andare”.

Percorsero in auto un tratto di strada di una ventina di minuti, ed arrivarono di fronte ad un edificio dall’aspetto decisamente moderno.
“Tu sei brava a nuotare, vero?”, chiese Carlo mentre si avviavano verso l’ingresso.
“Fino a tredici anni ho anche fatto delle gare. Vincendone molte”, rispose orgogliosa Sara.
“Meglio per te”, concluse Carlo.
Entrarono nell’edificio e salirono una rampa di scale; una volta in cima vennero accolti da un uomo di chiara origine asiatica.
Questo strinse la mano a Carlo e studiò Sara con una lunga occhiata, poi annuì e disse qualcosa di incomprensibile.
Lo seguirono lungo una rampa di scale che portava sulla sommità dell’edificio.
Il tetto era piatto, sulla sua superficie si aprivano tre piscine di ridotte dimensioni.
Sara si avvicinò a quella più vicino a lei, e proprio in quel momento dall’acqua emerse la testa di una ragazza.
Questa prese fiato per qualche secondo, poi si immerse nuovamente.
Pochi istanti dopo, un’altra ragazza emerse da una piscina poco più in là.
Anche in questo caso, rifiatò per qualche istante, poi si inabissò.
L’asiatico li precedette fino alla piscina più lontanta, poi Carlo guardò verso Sara.
“Devi unirti a queste ragazze. Spogliati”.
Lo aveva immaginato.
“Devo spogliarmi completamente?”.
“Sì, mi pare ovvio”.
Sara non oppose resistenza.
Prese un cesto in vimini che l’asiatico le stava porgendo e vi depose i suoi vestiti.
La temperatura era calda e il sole le scaldava la pelle.
Amava nuotare, ma avrebbe preferito rimanere all’aria aperta a prendere il sole.
Posò anche il perizoma nel cesto, poi guardò verso lo zio.
“Temo di non aver capito. Il mio lavoro è nuotare in piscina?”.
Carlo sorrise.
“Comincia a tuffarti, vedrai che capirai”.
Sara prese fiato, spiccò un salto e si buttò di testa nella piscina.
Aprì gli occhi, e quando le sue pupille si adattarono all’acqua faticò a credere a quello che vedeva.
Assieme a lei, in acqua, c’erano persone sedute a tavola che mangiavano!
Si avvicinò a quelli più vicino a lei, e picchiò la fronte contro un ostacolo invisibile.
A quel punto capì.
Era in un acquario, calato dentro a un ristorante!
Emerse rapidamente.
“Zio, c’è un ristorante qui sotto!”, disse.
Lo zio sorrise.
“Certo, lo sapevo”.
“Ma mi vedranno tutti mentre sono nuda!”.
Lo zio annuì.
“Pare di sì. Però faresti bene a familiarizzare presto con il concetto che il tuo corpo nudo possa essere esposto, non sarà l’ultima volta”.
Sara annuì.
In fondo, cosa gliene fregava? Non c’era mica nessuno che la conosceva.
Si immerse nuovamente.
Il ristorante non era pieno, c’erano solo una mezza dozzina di tavoli occupati.
Non riusciva a sentire i suoni, ma aveva l’impressione che fosse un locale molto tranquillo.
Una coppia di uomini anziani guardava nella sua direzione.
Sara sorrise, li salutò con la mano e riemerse a prendere fiato.
Quando tornò sotto, i due uomini si erano fatti più vicini.
Uno di loro appoggiò la mano al vetro e Sara, maliziosamente, vi accostò il seno.
Chissà quanto avrebbero voluto toccarla!
Uno dei due uomini chiamò un cameriere e indicò nella direzione di lei.
Il ragazzo guardò verso Sara, annotò qualcosa su un taccuino e si allontanò.
Sara salutò ancora gli uomini e risalì in superificie.
Questa volta trovò ad attenderla la mano tesa dell’asiatico.
Guardò verso lo zio.
“Sei stata scelta – le disse – Vieni fuori”.
Gli prese la mano e uscì dall’acqua.
Le porsero un asciugamano con cui si asciugò velocemente, poi la condussero al piano di sotto.
“Ehy, non mi fate vestire?”, chiese.
Nessuno le rispose.
Aprirono una porta metallica e si trovarono in cucina.
La guidarono verso un tavolino di legno scuro, le cui gambe terminavano con delle piccole ruote.
L’asiatico le indicò di sdraiarsi.
Sara si distese supina, e dopo un istante le si presentò accanto un cuoco, anche lui asiatico.
Aveva in mano un ampio vassoio, e da questo – con un paio di bacchette – prelevò con movimenti rapidi qualche decina di pezzi di sushi e li depositò sul corpo della ragazza.
Sara sentì l’effetto del freddo del pesce sulla pelle e rabbrividì.
Il cuoco posò il vassoio, pescò da un cassetto due paia di bacchette di legno e, con movimento capace, le infilò nella vulva di Sara.
La ragazza non si aspettava quella mossa e lanciò un urletto.
Sopraggiunse veloce un cameriere che afferrò il bordo del tavolino e cominciò a spingerlo verso la sala.
“Sono italiano – le disse sottovoce mentre camminavano – devi stare tranquilla, non succede nulla. Stai ferma e immobile, è sufficiente”.
Sara a quelle parole si rilassò leggermente.

Venne portata dai due uomini anziani, come aveva immaginato.
I due l’accolsero con un sorriso soddisfatto e non persero tempo, prelevando subito le bacchette.
Le portarono al naso per annusare i suoi odori, con un’espressione che a Sara fece accapponare la pelle.
Fatto questo, cominciarono a mangiare.
Erano di poche parole, ma quando parlavano lo facevano in una lingua straniera, forse dell’est europa.
Con veloci tocchi consumarono tutto il sushi appoggiato sul suo corpo, e Sara ringraziò la sorte che tutto fosse già finito.
Avrebbe potuto alzarsi, ma il cameriere le aveva detto di stare ferma.
Probabilmente sarebbe presto arrivato a portarla via.
Sentì un tocco sul suo capezzolo.
Uno dei due uomini, con le bacchette, glielo aveva pinzato.
Rise, imitato dall’altro.
Anche l’altro fece la stessa mossa, suscitando ancora maggiore ilarità.
Ora ognuno aveva un capezzolo tra le bacchette, e presero a tirarli leggermente.
Sara non provava dolore, ma trovava molto imbarazzante quella situazione, soprattutto perchè i capezzoli si stavano indurendo e quello sembrava suscitare ulteriori risate negli uomini.
Quando si stufarono di giocare con i capezzoli, presero a stimolarle il sesso, sempre con le bacchette.
Il primo toccò velocemente un labbro, come se lo volesse solo tastarlo, subito imitato dall’altro.
Ancora un tocco, questa volta le bacchette le afferrarono il labbro, tirandolo leggermente verso l’esterno.
Anche l’altro uomo imitò il movimento, aprendole le labbra.
Ora Sara si vergognava tantissimo, anche se nessuno sembrava badare a loro.
Vide alla sua sinistra che un’altra ragazza era stata servita a tavola e questo un poco la consolò.
I due uomini continuarono per qualche minuto a giocare con le sue labbra, allargandole e chiudendole come se fossero un piccolo sipario, poi uno dei due strinse tra le bacchette il suo clitoride.
Sara emise un piccolo urlo, attirando lo sguardo di disapprovazione degli altri commensali.
Uno degli uomini le mise una mano sulla bocca per impedirle di urlare, mentre continuava il lavoro di bachette sul suo sesso.
Era decisamente bravo con quello strumento e riusciva a trasmetterle una varietà di tocchi che non si sarebbe mai aspettata.
Accarezzò il clitoride con delicatezza, poi lo strinse con tocco leggero e – sempre con le bacchette – lo accarezzò nel senso della lunghezza, come se fosse stato un membro maschile.
Sara deglutì e strinse i pugni, cercando di contrastare le sensazioni che la stavano invadendo.
Quell’uomo era molto bravo, alternava tocchi morbidi a pressioni più consistenti, ed entrambi i movimenti portavano  Sara sempre più vicina all’orgasmo.
Quando sentì che ormai era prossimo, emise una specie di gemito, per attirare l’attenzione dei due uomini.
Questi non si curarono di lei e, anzi, aumentarono il tocco.
Sara contrasse il bacino, inarcò la schiena e venne; fortunatamente la mano dell’uomo premuta sulla sua bocca le impedì di urlare.

Si abbandonò rilassata sul tavolino, mentre uno degli uomini attirava l’attenzione del cameriere con uno schiocco di dita.
Gli impartì qualche ordine rapido, il ragazzo annuì e afferrò il bordo del tavolo, portando Sara fuori dalla sala.
Era contenta che fosse tutto finito, non le era neppure costato molto.
Quando sentì che il carrello non si muoveva più si mise a sedere, constatando che non erano in cucina, dove invece si era aspettata di essere.
Erano in una stanza piccola, arredata solo con poltrone e un divano.
“Dove siamo?”, chiese.
“Nel salotto”, disse il ragazzo, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“Capito. Da dove esco?”.
Il cameriere la guardò stupito.
“Tu non esci. I signori hanno ordinato il dessert”.
Questa volta era Sara ad essere stupita.
“E quindi? Cosa c’entro io?”.
Il ragazzo sorrise.
“In questo ristorante quando si ordina il dessert, non significa che vogliono un tiramisù. Hanno ordinato due pompini”.
Sara deglutì.
“Io non lo sapevo. Non me la sento, dillo per piacere ai signori”.
Il ragazzo consultò il taccuino e scosse la testa.
“Mi spiace, ma il tuo padrone ci ha dato per te il massimo livello di accesso, quindi i pompini li devi fare”.
Indicò con la mano una delle poltrone, e Sara si mise a sedere.
Il ragazzo la guardò.
“Sei proprio una bella ragazza, sai? Una di queste sere mi sa che chiedo al tuo padrone se mi fa scopare con te”.
Sara annuì, senza guardarlo.
“Certo, quello che voglio fare io non è importante – pensò – Io sono una schiava, faccio quello che vuole il mio padrone”.
Il cameriere aprì la porta, lasciando entrare i due anziani.

Angela guardò fuori dal finestrino, mentre la jeep costeggiava una spiaggia ricca di palme.
Le sembrava profondamente ingiusto che un paese così ricco di bellezze naturali fosse così crudele con le persone.
Le avevano permesso di rimettersi la biancheria intima, le avevano calato dal collo una lunga tunicai e l’avevano fatta montare su un’auto arrivata apposta, da cui erano scesi due enormi uomini di colore.
Il prete era salito accanto all’autista, l’altro uomo si era seduto accanto a lei, evidentemente a controllare che non facesse scherzi. Le possibilità erano poche, ma avevano comunque ritenuto prudente ammanettarle i polsi dietro alla schiena e legarle al collo una lunga corda, come un guinzaglio.
Lasciarono la costa e si addentrarono nella campagna.
Nessuno parlava, e anche se l’avessero fatto probabilmente non avrebbe capito.
Non sapeva neppure che lingua fosse quella che aveva sentito in quel posto. A tratti sembrava intelleggibile, altre volte non capiva nulla.
Cosa stava capitando ai suoi figli?
Era preoccupata, soprattutto per Sara.
Perchè era così?
Sembrava godere nell’essere umiliata, nell’essere trattata male.
La volta scorsa aveva dato la colpa a quella donna che la guidava, ma ora?
Aveva una figlia zoccola, era possibile?
Proprio lei, che nella vita aveva avuto pochissimi uomini a cui era sempre stata fedele!
Sembrava paradossale.
La jeep lasciò la strada principale e si immise in uno sterrato.
Angela si preoccupò.
Dove la stavano portando?
“Dove andiamo? Where are we going?”, chiese.
Il prete si girò appena.
“Shut up, fucking whore!”.
Angela non era sicura di aver capito bene, ma il tono le suggerì di smettere di chiedere.
La jeep viaggiò ancora per qualche minuto, fino a quando Angela non vide una costruzione in pietra, simile ad un casolare abbandonato.
L’autista puntò verso l’edificio, e quando furono a qualche decina di metri Angela capì che quella doveva essere stata un’antica chiesa.
Ora era quasi cadente, la porta era tutta sghemba e la croce sul campanile era arrugginita.
Fermarono la macchina e il prete scese con un salto.
L’uomo accanto a lei la afferrò per il guinzaglio e la fece scendere, tirandola verso la chiesa.
Angela era preoccupata: non sembrava esserci nessuno attorno, avrebbero potuto farle qualunque cosa.
Non che si fossero astenuti fino a quel momento, ma la presenza di suo fratello – per stronzo che fosse – le aveva dato la garanzia che nulla di grave avrebbe potuto capitarle.
Anche se non aveva impedito a Kathy di violentare Luca, a dire il vero.
Le diedero uno spintone da dietro, sollecitandola a camminare.
La porta della chiesa si apriva minacciosa, come una bocca pronta a ingurgitarla.
Fece un passo dentro l’edificio, rabbrividendo quando il suo piede nudo toccò il pavimento freddo.
Fece ancora qualche passo avanti, mentre gli occhi si abituavano all’oscurità.
Dentro tutto era fatiscente: le panche erano rotte e accatastate ai lati della navata, ragnatele poleverose pendevano dal soffitto.
Il prete li precedeva di diversi passi; aggirò l’altare – talmente sporco da rendere impossibile capire di che materiale fosse fatto – e aprì una porta seminascosta da una colonna.
Quando Angela giunse sull’uscio, vide una serie di gradini che scendevano sotto terra, verso un antro buio.
Puntò i piedi e oppose resistanza.
“Non voglio! – urlo – No, please!”.
L’uomo che era stato in auto con lei non pronunciò una parola, ma l’afferrò per la vita e la sollevò di peso, come fosse stato un tappeto.
Ignorò le urla e le contorsioni di Angela e si addentrò sottoterra, dove – nel frattempo – il prete aveva acceso un paio di torce.
La sala venne illuminata dalla luce del fuoco, rivelando un tavolaccio di legno, alcuni barili accatastati e catene lungo le pareti.
I due uomini di colore la fecero sdraiare di schiena sul tavolo e – premendo sulle spalle – le imposero la posizione orizzontale.
“You’d better shut your fucking mouth”, mormorò il prete, posando a terra una bisaccia che fino a quel momento aveva tenuto in spalla.
Vi frugò dentro ed estrasse un oggetto che Angela non riuscì ad indentificare.
Era un anello, con un diametro leggermente più grosso di quello di una pallina da golf, a cui erano legate due striscie di pelle.
Uno dei due uomini le prese la testa tra le mani e introdusse delle dita nella sua bocca, costringendola ad aprirla.
Non appena Angela aprì la bocca, il prete le introdusse l’anello in bocca. Angela cercò di chiudere la mandibola, ma l’anello glielo impedì.
Le legarono le strisce di pelle dietro alla nuca, congelandole la bocca come se stesse pronunciando una “O”.
Il prete sorrise, soddisfatto dell’opera.
Un attimo dopo, Angela sentì le mani dei due uomini ghermirle la stoffa della tunica.
In un attimo la lacerarono come se fosse stata di carta, lasciandola in biancheria intima.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma l’anello in bocca le lasciò emettere solo un mugolio.
Il prete allungò la mano verso di lei e le strinse un seno attraverso la stoffa del reggiseno.
Angela chiuse gli occhi.
Il prete insinuò la mano dentro la coppa e le pinzò un capezzolo tra i polpastrelli.
Angela sbarrò gli occhi, cercando di capire le intenzioni dallo sguardo del prete.
Erano chiare.
Le passò le mani dietro alla schiena, come se volesse abbracciarla, e le slacciò il reggiseno, poi scese con le mani lungo i fianchi della donna.
Angela sentì un brivido sotto quel tocco, mentre le dita del prete si fermarono all’elastico delle mutandine.
Non aspettò un ulteriore secondo, e con un movimento secco le stappò le mutandine di dosso.
Angela aveva le mani ammanettate dietro alla schiena, e non potè assecondare il suo istinto che l’avrebbe portata a coprirsi l’inguine con una mano.
Il prete si liberò della sua veste e si abbassò i calzoni, poi si mise a sedere sul tavolo.
“What shall we do?”, chiese uno dei ragazzi.
“The classic. Three dicks in one girl”, rispose il prete.
I ragazzi non aspettarono altro: afferrarono Angela per le spalle e la sollevarono; la portarono di peso fino all’altezza dell’inguine del prete e a quel punto la calarono su di lui.
Contrariamente a quanto aveva supposto, il membro del prete entrò dentro di lei senza trovare resistenza.
Come era possibile?
Era bagnata? Era eccitata?
Non era possibile.
Il prete le pose le mani lungo i fianchi per guidare il movimento del suo bacino; Angela chiuse gli occhi per evitare di guardare il contesto in cui si trovava.
Alle sue spalle uno degli altri uomini, nello specifico quello che era stato accanto a lei in auto, si liberò dei vestiti.
Aveva già una buona erezione, quella donna gli era piaciuta subito.
Già in macchina si era pregustato quel momento: aveva un buon profumo e, anche se si era presentata molto dimessa, sembrava proprio una di quelle donne abituate ai bei vestiti e ai profumi costosi.
Sarebbe stata doppia soddisfazione a sodomizzare una così.
Le si avvicinò e appoggiò il glande all’ano della donna.

Angela sentì il membro dell’uomo tra le sue natiche e si irrigidì, ma il prete le strinse i fianchi con tale forza che ricominciò a muoversi per farlo smettere.
L’uomo sotto di lei assunse un’espressione goduta, poi con le dita le afferrò i capezzoli e tirò verso il basso, in modo da farla sdraiare su di lui.
In quella maniera avrebbe offerto un’apertura più comoda per l’altro uomo, era chiaro.
Il ragazzo dietro di lei affondò il colpo, e si introdusse dentro di lei.
Angela sentì dolore, avrebbe urlato se l’anello in bocca non le avesse impedito di emettere suoni.
Non era un’amante del sesso anale, l’aveva fatto poche volte, e per di più questa volta l’attrezzo dentro di lei sembrava particolarmente voluminoso.
L’uomo dietro di lei prese a muoversi ritmicamente, assecondando in maniera perfetta il ritmo del prete. Probabilmente quella non era una situazione nuova per loro.
Angela si sentì scossa dai brividi.
Quella combinazione dentro di lei le stava smuovendo qualcosa, le stava provocando sensazioni mai provate prima.
Era solo un fatto fisico? Dipendeva solo dal fatto di essere penetrata da due peni contemporanemante?
Oppure c’era dell’altro.
Venne strappata dai suo pensieri dal terzo uomo, rimasto fino a quel momento in silenzio.
Questi si era portato davanti a lei e si era privato dei vestiti, rivelando un fisico per nulla sgradevole.
Aveva il membro eretto e, impugnato con la mano destra, lo avvicinò alla bocca di Angela.
Solo in quel momento la donna capì a cosa serviva l’anello che aveva in bocca: a impedirle di mordere.
Sentì il membro dell’uomo entrarle in bocca senza poter opporre alcuna resistenza.

Ancora un brivido, questa volta inequivocabilmente di piacere.
Quando era stata l’ultima volta che aveva fatto sesso?
Mesi prima.
Era stato con Ignazio, il collega del piano di sotto.
Una delusione, e lei lo aveva capito con ampio anticipo: era comunque andata a letto con lui per avere conferma.
Perchè alla sua età, appena sotto ai quaranta, sono due le categorie di uomini che attirava: o i coetanei sposati, che cercavano in lei una scopata e via; oppure gli over cinquanta separati.
Mai un quarantenne libero; quelli cercavano le venticinquenni.
E allora, ogni tanto, cedeva a qualche membro – in tutti i sensi – delle due categorie, giusto per capire se ancora piaceva.
Questi uomini, invece…..questi erano giovani, erano anche belli.
A parte il prete, ovviamente….però gli altri due erano tutt’altro che scadenti.
E poteva sentire dentro di lei le loro erezioni….le gli stava piacendo, quegli uomini erano attratti da lei!
Quel pensiero la fece venire in maniera talmente inaspettata che quasi urlò, non fosse che l’operazione sarebbe stata impossibile con un pene in bocca.
Inarcò la schiena e spinse il bacino verso il pube del prete, per sentirlo meglio.
L’uomo la afferrò per i seni, mentre quello che la stava sodomizzando prese a schiaffeggiarle le natiche.
Si sentiva usata e abusata, ma le piaceva.
Quegli uomini volevano godere dentro di lei?
Che lo facessero!
Sentì l’uomo dietro di lei aumentare il ritmo del respiro; poi lui le diede una manata sulla schiena, si produsse in una specie di risata e venne.
Angela sentì con disappunto il membro dell’uomo sfilarsi dal suo sedere; si concentrò quindi su quello che aveva in bocca.
Con l’anello ad immobilizzarle le mandibole non aveva la possibilità di giocare con le labbra, prese quindi a leccarlo con la lingua.
L’uomo sospirò forte, segno che il movimento non gli dispiaceva.
Angela proseguì a leccarlo, mentre sotto di lei il prete continuava ad agitarsi.
Possibile che non fosse ancora venuto?
Forse prendeva qualche medicinale che gli condizionava l’erezione.
Angela cominciò allora ad agitarsi di più, a muovere il bacino in maniera circolare.
Non appena il suo pube descrisse un paio di giri, venne nuovamente, strisciando il clitoride sul ventre del prete.
Il prete le afferrò nuovamente i capezzoli, mentre l’altro uomo le posò una mano sulla nuca e la guidò lungo la sua asta.
Angela non fece in tempo a prendere il ritmo che l’uomo le venne in bocca.
Rimase sorpresa dall’inconsueta copiosità dell’orgasmo che, data la forzata apertura della sua bocca, le colò sul mento e sul collo.
L’uomo fece un passo indietro, sfilandosi dalla sua bocca, lasciandola da sola con il prete.
Ormai l’uomo era vicino: era rosso in volto e – sempre guidandola per i fianchi – entrava e usciva dalla donna ad una velocità estrema.
Cominciò ad emettere una specie di rantolo, poi le afferrò i seni e venne anche lui, urlando come un lupo.
Fu come un segnale: uno degli uomini arrivò alle spalle di Angela e la sollevò di peso, facendo fuoriscire il membro del prete da dentro di lei.
La spostò di lato e la posò a terra, dove – non potendo reggersi a causa delle manette – si raggomitolò come un gatto.
Il prete si alzò in piedi, si rimise i calzoni e si passò una mano tra i capelli.
Recuperò la bisaccia e ne estrasse un oggetto.
“Let’s try it on your skin, now!”, disse il prete.
Quello che stringeva in mano era un gatto a nove code.

 

Angela era nuovamente in equilibrio precario.
“Se esco viva da questa storia – pensò – avrò dei polpacci da ciclista”.
Un sottile cavo di acciaio scendeva dal soffitto e le legava assieme i pollici di entrambe le mani.
I piedi poggiavano su due barili, ma la distanza tra di loro le imponeva di tenere le gambe estremamente divaricate e, per di più, tenersi in punta di piedi.
Sarebbe stato sufficiente perdere l’equilibrio anche solo per un secondo per trovarsi appesa per i soli pollci, e dubitava che avrebbero potuto reggere il peso del suo corpo senza danni.
Era nuda, ovviamente.
Il prete sferzò l’aria un paio di volte con il gatto a nove code, poi, senza preavviso, abbattè le code sulla coscia di Angela.
La donna urlò, cercando di bilanciare l’impatto con la frusta per non cadere.
Ancora un altro colpo, questa volta sulla pancia.
Angela non urlò.
Se doveva essere la loro donna oggetto, il loro trastullo, lo sarebbe stata con dignità.
In silenzio.
Il colpo successivò le colpì il seno.
Non era dotata come sua figlia Sara, ma sentì lo stesso dolore.
Ancora un colpo sul seno, leggermente più forte.
Forse il prete non si aspettava questa resistenza?
L’uomo si spostò alle sue spalle, e questa volta la frustata arrivò sulla schiena.
Era forte, ma Angela non urlò.
Anzi, si sentiva sempre più forte, sempre più padrona di se stessa. Che, per una schiava, era il massimo del paradosso.
Per quanto fosse assurdo, sentiva di avere del poter su quegli uomini.
La loro soddisfazione era il suo dolore, il suo urlo….non il suo silenzio.
Ancora un altro colpo, e ancora si serrò le labbra e non urlò.
Il prete tornò di fronte a lei. Il suo sguardo tradiva la sfida a cui la stava sottoponendo.
Allungò una mano verso il sesso di Angela. Legata in quella maniera, non poteva nè sottrarsi nè impedirglielo.
Passò un dito tra le grandi labbra della donna e lo portò sotto il naso.
“She’s always wet!”, disse con una sorta di sorriso.
Angela trattenne il fiato.
Veramente era bagnata?
Il prete caricò il colpo e lo abbattè di nuovo, questa volta tra le gambe di Angela.
Il dolore era alto, ma Angela non si scompose; anzi, guardò il prete dritto negli occhi.
“Non mi fai male!”, sembrava dire con quello sguardo.
Ancora un colpo, ancora lo sguardo fisso.
Angela mosse il bacino e avvicinò ancora di più il suo sesso all’uomo, come a dire:”Colpiscimi pure, non mi fai male!”.
Arrivò un nuovo colpo, questa volta ancora sul clitoride.
Angela deglutì, ma tenne le labbra serrate.
Il prete si avvicinò a lei, e accostò il manico della frusta alle sue labbra.
La guardò negli occhi, poi lo fece scorrere all’interno della sua vagina.
La superficie era grinzosa, Angela trattenne il fiato mentre l’oggetto entrava dentro di lei.
Quando fu penetrato fino in fondo, il prete gli fece compiere il percorso inverso, sfilandolo lentamente.
Angela chiuse gli occhi.
Non appena il manico della frusta raggiunse l’imboccatura della sua vagina, il prete lo fece entrare nuovamente, sempre con estrema lentezza.
Angela si morse le labbra, ma qusta volta non era per non urlare.
Le stava piacendo, doveva trattenersi dal gemere.
Ancora fuori, poi ancora dentro.
Deglutì.
Ancora fuori, poi ancora dentro.
Sentiva smuoversi qualcosa dentro di lei, stava per venire.
Per quel poco che le era consentito, allargò ancora un po’ le gambe per favorire il movimento del manico.
Ancora fuori, ancora dentro.
Stava per venire.
Poi il prete si fermò.
Angela aprì gli occhi. L’uomo era proprio di fronte a lei, solo qualche centimetro li separava.
“This is a new world for you – disse il prete – A world full of perversion and lust. Wanna be a part of it?”.
Angela socchiuse gli occhi e annuì.
“Sì”, disse in italiano.
“Wanna be a slave? My slave?”, chiese il prete, alzando di un tono la voce.
Angela sospirò.
Madre e figlia, entrambe schiave. Sarebbe finita così? Era questo il loro destino?
“Yes, I wanto to”, rispose con voce ferma.
Il prete introdusse ancora una volta il manico nel sesso di Angela, che urlò ai presenti il suo orgasmo.
“Ok – disse l’uomo agli altri due – Prepare her!”.

Uno dei due neri aprì una bisaccia e ne estrasse un lungo ago, poi un oggetto che sembrava una pistola.
Con un paio di pinze afferrò l’ago, lo accostò alla bocca della pistola e premette un pulsante.
Una fiammata investì l’ago, rendendolo incandescente.
L’uomo si diresse verso Angela con l’ago stretto nella pinza.
Angela prese a sudare.
L’uomo avvicinò l’ago al capezzolo sinistro della donna.
Angela chiuse gli occhi.
Sapeva cosa sarebbe successo, sperava solo finisse in fretta.
Sentì una leggera puntura sul lato del capezzolo, poi l’ago, con decisione, le trapassò la carne.
Sospirò a fondo, ma non urlò.
“Good slave!”, disse il prete.
L’altro uomo di colore si accostò al capezzolo appena perforato e vi applicò un anello di metallo.
Angela vide con apprensione che non era ancora finita.
L’ago incandescente ora si dirigeva verso il suo capezzolo destro.
Chiuse ancora gli occhi.
Ancora dolore, ancora l’oggetto incandescente le forò il capezzolo.
Un altro anello.
Il prete battè le mani, soddisfatto.
Si avvicinò a Angela e le fece una carezza sul volto.
“Now you are mine!”, disse.
Angela sentì un brivido d’eccitazione correrle lungo la schiena.

Luca osservò con sollievo il rasoio usa e getta che si sollevava dal suo pube, lieto che tutto fosse finito.
Era nudo, sdraiato sul letto, e Kathy aveva appena finito di radergli l’inguine.
“E’ più igienico”, aveva detto, anche se lui in quel momento aveva l’impressione di avere una lumaca in mezzo alle gambe.
Anche sotto altri punti di vista: sebbene non avesse più usato l’anello elettrico, Kathy aveva preteso di scopare con lui cinque volte quella notte, e il ragazzo sentiva di non poter garantire alcuna erezione in tempi brevi.
La donna gli diede una pacca su una chiappa.
“Dai, pigrone, andiamo in spiaggia!”.
Luca accolse la notizia con sollievo: almeno lì non avrebbero scopato. Lo sperava, almeno.
Si vestì alla buona, con un paio di shorts e una maglietta sgargiante, mentre Kathy si copriva con pantaloni e camicetta con le maniche lunghe, rigorosamente nere.
“Vado bene così?”, chiese lui, preoccupato.
Lei non gli rispose, ma imboccò la porta e uscì, seguita da Luca.

Durante il tragitto in auto non parlarono.
Luca non aveva il coraggio di fare la domanda che gli frullava in testa da qualche ora: in che rapporti si dovevano considerare?
Era indubbio che il giorno prima lei avesse impostato il rapporto su una netta prevaricazione, legandolo e – di fatto – violentandolo; ma era anche vero che, da quando l’aveva portato a casa con lei, nulla del genere si era più ripetuto.
Avevano fatto sesso, era vero, ed era sempre stata lei ad ordinarlo; però lui era sempre stato libero e avevano, tra una scopata e l’altra, anche diviso il letto.
Non c’erano state effusioni, no baci, ma neppure frustate e manette.
Avevano una relazione?
Era solo una storia di sesso?
Kathy non era propriamente una top model, però non era neppure male. Sicuramente meglio di Emanuela, l’ultima ragazza con cui Luca era stato.
Era piuttosto preoccupato per sua sorella e per sua madre.
Sara era con lo zio, ma lui non sembrava essere la stessa persona che avevano frequentato per anni. Neppure lei, a dire il vero. Aveva una sorella ninfomane e non se ne era mai accorto.
Sua madre, piuttosto, poteva trovarsi nei guai.
Quel prete gli sembrava ben lontano dall’essere sano di mente.

Kathy fermò l’auto e si addentrarono sulla spiaggia.
Luca non c’era mai stato e, abituato alle spiagge affollate della riviera, gli sembrò di essere nel deserto.
C’era qualche bagnante, ma erano pochi e molto sparpagliati.
Un inserviente muscoloso affiancò subito Kathy e le chiese qualcosa in quella lingua incomprensibile. Lei fece cenno con la mano, indicando un punto qualche metro più avanti, e dopo qualche secondo l’uomo vi aveva piantato un ombrellone e aperto una sdraio.
Kathy si mise a sedere all’ombra.
“Non ti spogli?”, chiese Luca.
Lei lo guardò con sufficienza.
“Non ci penso neppure. Fallo tu, piuttosto”.
Luca si liberò della maglietta e dei pantaloncini, rimanendo in costume da bagno.
Stese l’asciugamano e vi si sdraiò sopra.
“Ti ho detto di spogliarti!”, gli disse Kathy accendendosi una sigaretta.
“L’ho fatto”, rispose Luca perplesso.
Lei lo guardò sorridendo.
“Togliti tutto”.
Luca deglutì.
“Non ci penso neppure! Non sono abituato, qui c’è anche altra gente….”.
Lei si rizzò sulla sdraio e gli soffiò il fumo in faccia.
“Senti, ragazzino: il fatto che io e te abbiamo scopato qualche volta non significa che siamo fidanzati o che tu sia qualcuno nella mia vita. Sei stato di trastullo per la mia passera, ma tra un attimo potresti esserlo per i miei piedi, se dovessi decidere che mi piace prenderti a calci.
Il nostro rapporto è uno solo: io comando, tu esegui. E se ti venisse in mente di comportarti diversamente, ti avviso in anticipo che qui la Polizia non è per nulla indulgente con gli schiavi che si ribellano, soprattutto con quelli alle prime armi”.
Luca deglutì. Afferrò i bordi del costume e lo abbassò.
Il suo pene depilato sembrava ancora più bianco al sole; gli sembrava di avere un enorme catarifrangente in mezzo alle gambe.
“Dai, bambino, sdraiati al sole! Tanto non gliene frega un cazzo a nessuno che tu sei nudo!”, commentò Kathy.
Luca si sdraiò, poggiando strategicamente una mano sull’inguine.
“Smettila che sei ancora più ridicolo!”, lo redarguì Kathy.
Tolse immediatamente la mano e chiuse gli occhi, come se non vedere il mondo esterno avrebbe impedito al mondo esterno di vedere lui.
In effetti, la sensazione non era spiacevole.
Si sentiva molto più libero e a contatto con la natura, per di più la sensazione del caldo sulla pelle lo faceva sentire effettivamente bene.
Era diventato lo schiavo di Kathy?
E allora?
Se questa condizione di schiavitù significava scoparsela più volte ogni notte, dove stava il problema?
Era in un paradiso tropicale, faceva sesso di continuo e non doveva preoccuparsi di nulla…se questo era soffrire!
Sentì la voce di Kathy:”Voltati, che ti si incenerisce il pistolino!”.
Eseguì l’ordine, chiedendosi se non gli avrebbe effettivamente fatto male prendere il sole sui genitali, a lui che aveva la pelle così chiara.
Era molto stanco.
La notte prima non aveva quasi dormito, tra un accoppiamento e l’altro, e quella precedente era stata occupata dal viaggio.
Si sentiva distrutto.

Si rese conto di aver dormito solo quando riaprì gli occhi.
Guardò subito verso Kathy: era ancora sulla sdraio, ancora completamente vestita.
La ragazza si voltò verso di lui.
“Hai dormito, cucciolo?”.
Lui fece cenno di sì.
“Eri stanco, era inevitabile. Ti andrebbe un massaggio per riprenderti?”.
Luca non potè fare a meno di sorridere: un attimo fa l’aveva chiamato cucciolo, ora si offriva per un massaggio. Kathy amava fare la dura, ma sotto sotto forse anche lei provava qualcosa per lui.
“Sì, certo”, rispose lui.
Raccolse le braccia sotto il suo viso e vi si appoggiò, già pregustando il momento.
Si sarebbe limitata ad un massaggio, oppure avrebbero anche fatto sesso?
Lì davanti a tutti avrebbe potuto essere imbarazzante, però anche eccitante.
Si sarebbe spogliata oppure avrebbe fatto l’amore con tutti quei vestiti addosso?
Luca sentì Kathy che urlava.
“Knabo! Knabo!”.
Luca si voltò verso il punto verso cui erano indirizzate le urla e vide un ragazzo di colore, vestito solo con dei bermuda di jeans, che si stava avvicinando di gran lena.
Si fermò solo quando fu a pochi passi da loro.
“Faras lin masaĝo”, disse Kathy.
A quel punto Luca capì.
“Aspetta! – protestò – Io non voglio un massaggio da questo qui, pensavo me l’avresti fatto tu!”.
Kathy alzò le spalle.
“Non ho alcuna responsabiità su quello che pensi; io ti chiesto solo se volevi un massaggio. Il concetto era molto chiaro, se poi tu capisci male è un problema tuo!”.
Il ragazzo si inginocchiò accanto a Luca e gli cosparse la schiena con dell’olio per i massaggi.
Il profumo era già da solo molto rilassante.
Luca sentì le mani del massaggiatore poggiarsi sulle sue spalle e cominciare a frizionare.
Aveva un tocco molto morbido, non sembrava quasi che fosse un uomo.
Certo, era il suo mestiere, però Luca si stupì.
“Relax…”, gli disse il ragazzo a basa voce, e Luca chiuse gli occhi.
Sentì le sue mani solleticargli la spina dorsale, le spalle e la base del collo.
Si stava veramente rilassando.
Con tocco esperto discese lungo la spina dorsale, punzecchiandolo leggermente e provocandogli un piacevole brivido.
Quando Luca sentì le mani del ragazzo un po’ troppo vicine alle sue natiche, il massaggiatore si spostò sulle sue cosce.
Qui operò una pressione maggiore, per sciogliere quella tensione che Luca aveva accumulato nelle ultime ore.
Gli frizionò il polpaccio, poi scese verso il tallone.
Prese il piede tra le due mani e , con movimenti capaci, gli massaggiò la pianta del piede. Gli passò il pollice lungo tutta la pianta, poi massaggiò singolarmente ogni singolo dito.
Luca stava entrando in estasi, tatno piacevole era il tocco.
Il ragazzo ripetè l’operazione con l’altro piede, poi prese ad accarezzarlo solo con la punta delle dita.
Gli sfiorò la pianta dei piedi, poi i talloni, poi, piano piano, prese a risalire lungo i polpacci e le gambe.
Ora la sensazione che stava arrivando a Luca era diversa: queste erano carezze.
Sentì, non senza sgomento, come il suo membro stesse iniziando ad irrigidirsi.
Era possibile?
Era normale, soprattutto?
Le dita del massaggiatore, come degli insetti, stavano nel frattempo risalendo sulla sua gamba. fino ad arrivare alla base del suo sedere.
Un attimo dopo sentì il tocco sulle sue natiche.
Si irrigidì istintivamente, e nel frattempo alzò la testa per dire al ragazzo di cambiare superficie.
Kathy lo bloccò immediatamente:”Non hai il permesso di muoverti!”.
Luca appoggiò nuovamente la testa a terra, chiudendo gli occhi.
Con un po’ di immaginazione avrebbe potuto immaginare che fosse lei a fargli il massaggio, si sarebbe sentito meno a disagio.
Il massaggiatore prese a passargli le dita sulla natiche.
La sensazione era piacevole, e Luca sentì con estremo disagio come il suo pene si stesse ingrossando sempre di più.
Nella posizione in cui si trovava, coricato sulla pancia, nessuno poteva vederlo, però si sentiva in imbarazzo.
Il ragazzo stimolò la superficie dei suoi glutei con la punta delle dita, poi, lentamente, passò un dito lungo il solco tra le natiche.
Partì dalla base della spina dorsale e terminò sull’ano.
Si limitò a toccarlo, ma Luca fece un piccolo sobbalzo.
“Stai fermo! – lo ammonì nuovamente Kathy – e allarga leggermente le gambe”.
Luca sospirò, preoccupato.
Allargò le gambe di qualche centimetro, mentre nel frattempo il massaggiatore ripeteva l’operazione.
Questa volta indugiò un po’ più a lungo sull’ano, puntando il dito e descrivendo piccoli movimenti circolari.
Sollevò il dito e lo riportò nuovamente sul coccige, poi riprese a scendere.
Questa volta, quando si fermò sull’ano, si fermò.
Luca sentì che il ragazzo stava applicando una certa pressione e dopo poco le pareti del suo ano si allargarono.
Il dito penetrò rapidamente dentro di lui; emise un gemito soffocato.
“Non è così male – disse Kathy – Ti ci abituerai”.
Il ragazzo infilò il dito fino alla base, poi cominciò a muoverlo leggermente.
Luca era estremamente a disagio in quella situazione, ma non osava muoversi. Soprattutto, il suo pene continuava ad essere rigido e non sembrava avvertire l’anomalia della situazione.
Il dito si mosse per qualche minuto dentro di lui, poi – con sollievo di Luca – uscì lentamente.
Luca emise un sospiro di sollievo.
“Voltati!”, gli disse Kathy.
Luca rimase immobile. Aveva un’imbarazzante erezione, non avrebbe potuto fare nulla per farsela passare in un istante.
“Ti ho detto di voltarti! Se non lo fai immediatamente, dirò al ragazzo di introdurre dentro di te qualcosa che non è un dito”.
Luca scosse la testa e, riluttante, si voltò.
Il suo pene eretto si stagliava proprio al centro del corpo, come un’ enorme torre.
Si sdraiò sulla schiena, mise le mani sotto alla nuca e chiuse gli occhi.
Dopo un istante sentì le dita del ragazzo accarezzargli il petto e la pancia.
Una parte di lui aveva sperato che la situazione di imbarazzo gli avrebbe fatto passare l’erezione; constatò, invece, come non solo non si fosse attenuata, ma come stesse diventando sempre più duro.
Le dita del ragazzo gli stimolarono la pelle dell’interno coscia, poi, delicatamente, gli accarezzarono lo scroto.
Aveva un tocco talmente leggero che avrebbe potuto essere scambiato per una ragazza.
Luca deglutì, poi sentì le dita del ragazzo chiudersi attorno al suo pene.
Era molto eccitato, una parte di lui aveva sperato che quello sarebbe capitato.
Il massaggiatore prese a far correre le dita sul suo membro, mentre il respiro di Luca diventava sempre più affannoso.
Era un ragazzo, e allora? In fin dei conti era solo sesso, era solo una sega.
Non avrebbe potuto ricambiare il favore, quello no, ma finchè si trattava di lasciarsi masturbare che differenza faceva?
Sentì l’orgasmo arrivare da dentro il profondo, e proprio in quel momento il ragazzo si fermò.
Luca aprì gli occhi e guardò verso Kathy.
“Cosa è successo? – chiese – Perchè si è fermato?”.
Kathy sorrise maligna.
“Ora continui tu!”.
“Qui, davanti a tutti?”, chiese Luca incredulo.
In effetti, un gruppo di sei sette persone si era fermato a qualche metro di loro a guardare.
“Qui davanti a tutti. Oppure fai un pompino al ragazzo. Le alternative sono solo queste”.
Luca guardò verso il massaggiatore, che sorrideva. Da sotto il costume si vedeva un certo rigonfiamento, segno che l’eventuale pompino sarebbe stato gradito.
Scosse la testa.
“Non posso fargli un pompino!”, disse.
“Come preferisci. Allora finisci la sega. E ti conviene sbrigarti, perchè vedo che il tuo amichetto si sta lentamente afflosciando e più si affloscia più lavoro dovrai fare per venire”.
Luca si sdraiò e si prese l’organo in mano.
Chiuse gli occhi, pensando che fosse Kathy a toccarlo.
Pensò anche a sua sorella, e questo gli provocò un leggero surplus di erezione.
Prese a muoversi velocemente, sperando che la meccanica del movimento potesse sopperire alle condizioni ambientali e psicologiche non proprio ideali.
Sentì l’orgasmo arrivare.
Aumentò ancora la velocità, fino a quando non venne.
Lo schizzo di sperma si librò in aria e gli cadde sulla pancia.
Dal gruppetto di uomini si levò un piccolo applauso; Kathy prese dei soldi e li diede al massaggiatore.
Seguì qualche minuto di silenzio e imbarazzo.
Kathy guardava verso Luca, che non osava alzare lo sguardo.
Mai era stato così in imbarazzo nella vita.
“Questa è una lezione per te – disse la donna – Io e te non siamo una coppia, e non siamo neppure amici. Tu sei il mio schiavo e fai quello che ti ordino, anche se non vuoi, anche se non ti piace. Siamo intesi?”.
Luca annuì mestamente.
“Bene. Allora rivestiti che andiamo a casa. A vederti così mi è tornata la voglia di scopare”.

Sara si sentiva veramente bella.
Suo zio le aveva appena regalato un lungo abito nero che, unito a un nuovo paio di sandali, le faceva fare veramente una bella figura.
Era molto aderente, il giusto strumento per rimarcare le sue curve.
Anche lo zio era molto elegante: un completo scuro con cravatta grigia che lo rendeva molto affascinante.
Presero la macchina e si misero in marcia verso la città.
Il sole era appena tramontato e l’aria era fresca.
“Dove stiamo andando?”, chiese Sara.
“In un posto molto esclusivo. Si chiama SLOC”.
Sara guardò interrogativa verso lo zio.
“Cosa significa?”.
“E’ una sigla. Sta per Slave Owner Club. Ci possono entrare solo i proprietari di schiavi”.
Sara annuì, pensierosa.
“Perchè dici che è un posto esclusivo? Qui la schiavitù è legale, perchè dovrebbe essere un circolo riservato?”.
Lo zio scosse la testa.
“Non confonderti. Il fatto che la schiavitù sia legale non significa che sia a buon mercato. Non sono in tanti a potersi permettere degli schiavi. Io sono stato fortunato ad avere te, ma una come te – giovane, carina e sessualmente disinibita – costa un sacco di soldi”.
Sara sentì che avrebbe dovuto sentirsi offesa da quello che aveva sentito, ma non le fece effetto.
In effetti era tutto vero.
“Ma gli schiavi qui vengono usati solo per il sesso?”, chiese.
Carlo scosse la testa: “No, anzi, credo che il sesso coinvolga non più della metà degli schiavi. Molti vengono usati per lavorare: sono ex operai che hanno barattato la loro precarietà con la libertà. Oppure ci sono anziani che, anzichè pagare delle badanti, prendono dell schiave, così gli fanno fare anche i lavori di casa”.
Parcheggiarono l’auto fuori da un locale e vennero guidati verso l’interno da un ragazzo in smoking.
All’ingresso un uomo prese nota del numero di serie impresso sulla cavigliera di Sara e diede a Carlo una tessera plastificata.
Dentro l’atmosfera era molto soffusa; sul palco un uomo suonava il piano accompagnato da un contrabbasso.
Il ragazzo in smoking li guidò verso un tavolo e servì loro due cocktail tropicali.
“Ti piace qui?”, chiese lo zio, posandole una mano su una coscia.
Sara sorseggiò dalla cannuccia.
“Carino. Ci sono posti del genere anche in Italia, però io non uso frequentarli”.
Il pianista terminò il pezzo e raccolse un freddo applauso dal pubblico.
“Cosa facciamo qui, sentiamo la musica?”, chiese la ragazza.
Lo zio sorrise.
“No, non per tutto il tempo. C’è una consuetudine che prevede che le nuove schiave si presentino sul palco”.
Sara lo guardò sospettosa.
“Cosa dovrei fare, oltre a presentarmi?”, domandò.
Carlo sorrise.
“Quello che vorrai. Però se sarai brava ti prometto che domani ti lascerò la giornata libera”.
Sara non fece in tempo a rispondere, perchè un fischio attraversò il locale.
Un uomo grasso e una ragazza giovane stavano venendo nella loro direzione; l’uomo sorrideva, mentre la ragazza sembrava veramente afflitta.
Carlo notò la coppia e scosse la testa rivolgendosi a Sara.
“Scusami, questo tizio proprio speravo di non trovarlo. E’ un tremendo cafone, sono mesi che cerca in tutte le maniere di entrare in possesso di una schiava per poter entrare qui dentro. Temo ce l’abbia fatta”.
L’uomo si avvicinò al loro tavolo, scostò la sedia e si sedette, senza neppure chiedere il permesso.
Salutò Carlo con una pacca sulla spalla e una risata sguaiata, ma Sara venne ignorata quando gli porse la mano per presentarsi.
“Hai visto? Chi l’avrebbe detto che due come noi si sarebbero seduti in un posto come questo?”, disse a voce piuttosto alta.
“Parla piano; Eugenio – gli disse Carlo – Chi è la tua schiava? Mi sembra di averla già vista”.
Eugenio annuì, rispondendo a voce bassa.
“Lavorava in banca, al Datebanko Popolare, in piazza”.
Carlo annuì.
“E’ vero, mi ricordo di lei. Come mai è qui?”.
Eugenio sorrise.
“E’ stato un colpo di fortuna. Un colpo di fortuna e un colpo di genio messi assieme”.
L’uomo fece un fischio al cameriere e ordinò una birra. Non prese nulla per la ragazza e nemmeno le chiese se avesse voluto qualcosa.
“Un mese fa vado in banca e decido di vendere delle azioni. Non erano tante, ma avevo bisogno di qualche soldo per far riparare la macchina. Ad ogni modo, passo dall’impiegata, questa qui – e nel dire questo la indicò con un pollice – le firmo i moduli a vado via. Qualche giorno dopo torno in banca per prendere i soldi”.
Prese la birra e vi diede una lunga golata, poi appoggiò il boccale sul tavolo.
“Quando torno – continuò – mi rendo conto che è successo qualcosa di strano: non solo non trovo i soldi della vendita delle azioni, ma ho addirittura dei soldi in meno. Per farla breve, questa scema, anzichè vendere le azioni, ne aveva comprate altre. E non solo: se le avesse vendute quando effettivamente le avevo dato ordine avrei guadagnato un po’ di soldi, ma nel frattempo erano invece scese di parecchio e l’operazione non era più fattibile”.
Si sporse sul tavolo, abbassando la voce.
“A quel punto vado dal direttore e gli dico che – non mi interessa come – ma non ho intenzione di perdere dei soldi per colpa di una scema che non distingue tra un acquisto e una vendita. Lui mi dice che posso fare causa alla banca, con tutto quello che significa, oppure direttamente all’impiegata. Allora scelgo la strada più facile, ed ecco la conclusione!”.
Appoggiò la mano sulla spalla delle ragazza e la strinse a sè.
“Come ti chiami?”, chiese Sara alla ragazza, ma non ricevette risposta. La giovane schiava continuava a tenere lo sguardo rivolto verso al pavimento.
“Come si chiama?”, chiese allora Carlo.
“Martina”, rispose Eugenio.
Martina sollevò lo sguardo verso Sara e le rivolse un sorriso molto tirato.

Le luci calarono e la musica si interruppe.
Un uomo fece capolino sul palco con un microfono in mano, accolto da un forte applauso.
Sara si guardò attorno: mentre Eugenio parlava il locale si era riempito, ed ora c’erano almeno duecento persone sedute ai tavolini.
“Signore e signori buona sera”, disse l’uomo con il microfono. Fortunatamente parlava inglese, cosicchè Sara potè capire.
“Benvenuti allo SLOC, siamo certi passerete una bella serata. E’ bello vedere tanti di voi, vecchi amici che ci frequentano da anni, così come è bello anche vedere delle facce nuove. Signore e signori, accogliamo con un applauso due nuovi soci, Carlo e Eugenio!”.   
Un riflettore puntò verso il loro tavolino, e i due uomini sorrisero imbarazzati, mentre tutti attorno a loro applaudivano.
“E, come da consuetudine del nostro circolo, conosciamo un po’ meglio le loro favolose schiave – prese un biglietto dalla tasca e lo lesse con un’occhiata veloce – Sara e Martina!”.
Ancora applausi, mentre l’uomo guardava verso di loro sorridendo.
“Su, ragazze, venite qui. Chi comincia?”.
Sara non aveva nessuna voglia di trovarsi al centro dell’attenzione, ma sapeva che non avrebbe potuto sottrarsi.
Si alzò in piedi: Martina aveva uno sguardo troppo spaventato per affrontare quella prova per prima.
“Cosa devo fare?”, chiese sottovoce a suo zio.
“Fai eccitare questo branco di porci!”, le rispose Carlo strizzandole l’occhio.
Sara salì sul palco, accompagnata da un applauso.
L’uomo con il microfono si produse in un teatrale baciamano, poi si allontanò, lasciandola al centro del palco.

Partì la musica, un blues molto lento.
Sara guardò verso la folla, ma – con il riflettore puntato contro – non era in grado di distinguere nessuno.
Accennò qualche passo, cercando di ancheggiare senza sembrare una caricatura, poi sorrise, e qualcuno applaudì.
Questo le diede coraggio, e roteò su se stessa.
Portò la mano destra alla chiusura dietro alla schiena e la slacciò, lasciando che la parte superiore del vestito ricadesse.
Si sentì un sommesso brusio, mentre si mostrava con un reggiseno di pizzo talmente bianco da sembrare provocatorio.
Fece qualche passo, lasciando che il movimento delle anche portasse il vestito a sfilarsi.
Lasciò che si afflosciasse sul pavimento, poi lo scavalcò e lo allontanò con un calcio.
Ora aveva addosso solo più la biancheria intima.
Un applauso si levò dal pubblico e la fece sorridere, gratificata dall’affetto.
Percorse il palco lungo la lunghezza, molto lentamene, poi diede le spalle al pubblico e con le mani impugnò la chiusura del reggiseno.
Il deejay abbassò un po’ la musica, nessuno parlava o si muoveva: tutti la stavano guardando.
Liberò i gancetti, abbassò le spalline e si voltò verso il pubblico, tenendo le mani premute sulle coppe.
Rimase immobile per qualche secondo, poi qualcuno urlò qualcosa di incomprensibile.
Sara allargò improvvisamente le braccia, facendo cadere il reggiseno a terra.
Un altro applauso, questa volta più caloroso, mentre il suo seno veniva illuminato da uno spot.
Una voce si alzò dal pubblico, urlandole una sconcezza.
Si vergognava, una parte di lei avrebbe voluto essere altrove, ma la sensazione di avere tutta quella gente in pugno la inebriava.
Chiunque in quel locale stava guardando lei, si sentiva potentissima.
La musica divenne più forte, e Sara la seguì ancheggiando.
Percorse nuovamente il palco nella sua lunghezza, molto lentamente: voleva che tutti la vedessero.
Raggiunse un’estremità, poi si voltò e tornò nuovamente al centro.
La musica si abbassò nuovamente, ma questa volta rimase frontale al pubblico.
Afferrò con le mani l’elastico del perizoma di pizzo bianco e si fermò.
Guardò verso il locale, come se aspettasse un segnale.
Una voce si stagliò sopra la musica:”Faccela vedere!”.
Sara sorrise e con un movimento rapido si abbassò il perizoma fino alle caviglie.
Un nuovo applauso si sollevò dal pubblico, più caloroso del precedente.
Percorse nuovamente il palco.
Ora i suoi occhi si stavano abituando e riusciva a distinguere chiaramente quelli delle prime file; tutti la stavano guardando, tutti sembravano rapiti.
Concesse una seconda passerella, poi – quando la musica salì di volume e la folla si produsse in un nuovo applauso – quasi a sottolineare la fine della performance – scese dal palco e, nuda, si avventurò tra i tavolini.
Ne passò in rassegna alcuni – ignorando i commenti volgari e le pacche sul sedere che ricevette – fino a quando non trovò quello che cercava.
Si avvicinò al tavolino occupato da una coppia di uomini biondi e prelevò una bottiglia di birra, poi tornò sul palco.
Ora sapeva di avere l’attenzione di tutti.
Leccò maliziosamente il collo delle bottiglia, poi, con lentezza studiata, la appoggiò al centro del palco.
Mentre tutti tacevano, si inginocchiò accanto alla bottiglia.
Prese a fissarla, come fosse un uomo oggetto del suo desiderio.
Si mise carponi e fece strusciare i capezzoli sul palco, provocandosi un brivido lungo la schiena.
Ora era eccitata, non c‘entrava più il voler compiacere la folla.
Si avvicinò alla bottiglia strusciando per terra, poi si fermò e si mise a cavalcioni, mantenendo il bacino qualche centimetro sopra al collo dell’oggetto di vetro.
La folla taceva, ansiosa di vedere la prossima mossa.
Sara chiuse gli occhi e, lentamente, calò sulla bottiglia.
Sentì il vetro toccarle le grandi labbra, poi rilassò ulteriormente i muscoli e lasciò che l’oggetto penetrasse dentro di lei.
Emise un piccolo gemito, del tutto istintivo.
Quando sentì che la bottiglia era penetrata a fondo, risalì con il bacino.
La sensazione era inebriante, si sentiva sul tetto del mondo.
Duecento persone la stavano guardando mentre si masturbava e lei non solo non si vergognava, ma sembrava trarre energia da questo, come se il desiderio degli uomini di fronte a lei la stesse rafforzando.
Calò ancora sulla bottiglia, che ora era più calda.
Ancora su.
Poi giù.
Si afferrò i capezzoli tra i polpastrelli e strinse.
Su.
Giù.
Su.
Giù.
Si piantò le unghie nei seni, rovesciando la testa all’indietro.
Ora era vicina a godere, voleva fare in fretta.
Accelerò, sentendo la bottiglia penetrare sempre più a fondo, quasi fosse viva.
Voleva godere, non le importava più della folla.
Si sdraiò sulla schiena e sfilò la bottiglia.
La portò alla bocca e la inclinò, bevendo un insolito cocktail fatto di birra e dei suoi umori.
La sua mano destra si portò sul sesso, toccando quanto fosse eccitata e pronta.
Infilò tre dita dentrò di sè, mettendosi a carponi per favorire l’ingresso delle dita.
La sua vulva era dilatata al massimo, avrebbe potuto inserirvi la mano intera.
Sentì l’orgasmo venire dal profondo, e non fece nulla per trattenerlo.
Venne sul palco, abbandonandosi sulla schiena mentre la folla si alzava in piedi ad applaudire.

Riprese fiato e accettò la mano dell’uomo con il microfono che l’aiutava a rialzarsi.
“Veramente sexy la nostra Sara! Facciamo un applauso a lei e al suo fortunato padrone, Carlo!”.
Sara sorrise, per nulla turbata dall’essere completamente nuda di fronte a decine di persone.
Ognuno di loro avrebbe pagato soldi per scoparsela o anche solo per toccarla, e questo la faceva sentire potente e invulnerabile.
Portò le mani dietro alla schiena, esponendo i seni.
Non gliene importava più nulla.
“Ora – proseguì l’uomo – tocca all’altra novizia, Martina!”.
Il riflettore illuminò la ragazza al tavolino.
Il suo volto era attraversato dal panico, mentre Eugenio continuava a darle botte su una spalla affinchè si alzasse.
Ad un certo punto Martina provò a scappare, ma il suo padrone le prese un polso e glielo torse.
Non stava andando bene.
Sara si voltò verso l’uomo con il microfono, anche lui  – come molti – incerto sul da farsi.
“Ci provo io”, disse Sara.
Scese dal palco e avanzò verso il tavolino.
Martina la guardava, senza capire cosa stesse per succedere.
Sara si chinò e le parlò nell’orecchio:”Fidati di me, ti conviene”.
Le porse la mano e Martina, dopo qualche secondo di titubanza, la prese e si alzò con lei.
Tornarono entrambe sul palco, accompagnate dall’applauso della folla.

Partì una musica celtica e le luci si abbassarono.
Sara si mise dietro a Martina e la abbracciò, appoggiando le sue labbra sul collo della ragazza.
“Ora ti guido io, tu seguimi”, disse Sara a bassa voce.
“Non mi voglio spogliare, non l’ho mai fatto!”, protestò la ragazza.
Sara passò la lingua sul collo di Martina, poi gliela introdusse nell’orecchio.
“Mostrare la tua passera non ti ucciderà, credimi”, rispose Sara perentoria.
Sempre tenendosi alle sue spalle, le passò le mani sul corpo.
Eseguì lo stesso movimento un paio di volte, poi prese a slacciarle i bottoni dell’abito che indossava.
“Stai tranquilla, dieci minuti e abbiamo finito”, le disse nell’orecchio.
Quando arrivò a sbottonare anche l’ultimo, diede un colpo secco e le tolse l’abito.
Martina indossava ora solo un completo intimo bianco.
Il pubblico si produsse in un applauso, anche per sciogliere l’imbarazzo di Martina che era ancora evidente.
Sara girò attorno alla ragazza e si mise di fronte a lei, abbracciandola.
Le diede ancora un bacio sul collo.
“Fai finta che ti piaccia, sii un po’ creativa!”, sussurrò.
Martina chiuse gli occhi e buttò indietro la testa, Sara – con la punta della lingua – percorse tutta la base del collo.
Martina emise una specie di mugolio.
Sara posò le mani sulla chiusura del reggiseno.
“Mi fido di te”, disse sottovoce Martina.
Sara slacciò il reggiseno e lo gettò tra il pubblico, abbracciandola subito dopo, in modo che il suo seno toccasse quello della ragazza.
Le diede un bacio sulle labbra, poi ruotò su se stessa e si staccò da Martina, che in quella maniera fu costretta a mostrarsi in topless.
La ragazza provò a coprirsi, ma un’occhiataccia di Sara la convinse a desistere.
Applausi dal pubblico.
Sara si inginocchiò di fronte a lei e con le mani si ancorò all’elastico delle mutandine.
Aveva paura che a Martina venisse un attacco di panico, non poteva tirarla per le lunghe.
Ci furono un paio di fischi di incoraggiamento, al chè Sara tirò con forza e le strappò le mutandine.
Questa volta Martina non si trattenne dal coprirsi il pube, ma Sara la redarguì immediatamente.
“Metti le mani dietro alla schiena!”.
Martina eseguì l’ordine, anche se il suo volto era color porpora.
Sara rimase inginocchiata di fronte a lei e, lentamente, accostò il volto all’inguine della ragazza.
Non era depilata, ma per fortuna non era troppo irsuta.
Le diede un bacio sul clitoride.
“Non l’ho mai fatto!”, le disse Martina sottovoce.
“Sarà la tua prima volta, allora!”, rispose Sara.
Le diede un altro bacio, questo volta più lungo, poi passò la lingua tra le grandi labbra.
Aveva un buon sapore.
La leccò ancora, questa volta indugiando un po’ di più.
Martina emise un sospiro, e Sara si chiese se stesse recitando o no.
Aiutandosi con le dita aprì le labbra di Martina e insinuò la lingua dentro di lei.
La ragazza sospirò ancora, e questa volta Sara non potè non notare come avesse allargato leggermente le gambe per permetterle di leccarla meglio.
Passò ancora la lingua, mentre contemporaneamente, con il polpastrello dell’indice, le cercò il clitoride.
Ora Martina era bagnata, non c’erano dubbi.
Sara continuò a leccarla e a stimolarla con le dita, sentendo una nuova eccitazione crescere anche in lei.
Martina aveva gli occhi chiusi e, senza accorgersene, aveva portato le mani al petto e si stava accarezzando i seni.
Era in punta di piedi e protendeva il pube verso il volto di Sara, ansiosa di ricevere i suoi baci.
Sara non interruppe il lavoro di bocca, ma spostò la mano verso il basso e introdusse due dita nel sesso di Martina.
La ragazza spalancò gli occhi e quasi cadde in avanti per la sorpresa.
Ora Sara aveva le labbra impiastrate dagli umori di Martina, mentre con le dita andava sempre più a fondo.
“Sto per venire!”, le sussurrò Martina.
Sara affondò la bocca sul sesso, estrasse le dita e con la lingua penetrò nella vulva di Martina.
La ragazza emise un urlo, e venne nella bocca di Sara.
Per qualche secondo rimase come paralizzata, con la bocca aperta in una grossa O e gli occhi spalancati.
Un applauso scrosciante si levò dal pubblico.
Sara attese qualche secondo, poi si mise in piedi e abbracciò Martina, venendo ricambiata da una stretta vigorosa.
“Aiutami tu, non lasciarmi da sola!”, la supplicò Martina nell’intimità dell’abbraccio.
“Stai tranquilla, fidati di me”, le rispose.

Sara si distese al sole, finalmente sola.
Suo zio era stato di parola e, come premio per la performance allo SLOC, le aveva concesso una giornata di libertà.
Nella sua mente si era vista presissima dallo shopping, piena di vita e di entusiasmi, e invece si era trovata desiderosa solo di un po’ di mare e di sole.
Avrebbe voluto passare quella giornata con Martina, quella ragazza non sembrava pronta per essere una schiava, ma Eugenio era stato irremovibile.
Vide un’ombra oscurare il sole.
Si mise a sedere, per vedere chi fosse.
Era un ragazzo il cui viso era vagamente familiare.
“Ciao – disse lui – Ti ricordi di me?”.
Sara annuì.
“Sì, so di conoscerti ma non mi viene in mente dove ti ho visto”, rispose.
“Al ristorante, quello con le vasche. Lavoro come cameriere lì, sei stata sul mio carrello”.
Sara si ricordò.
“Certo. Come stai?”, gli chiese, non sapendo cosa dire.
Gli sorrise.
“Bene. Senti – disse lui – se andiamo un attimo dietro a quella duna me lo fai un pompino?”.
Sara rimase esterrefatta.
“Ma cosa cazzo dici? Per chi mi hai presa?”.
Lui la guardò con espressione stupita.
“Per chi ti ho presa? Guarda che tu sei una schiava, mica ti devo sedurre. Cosa pensi, che per una come te perdo tempo a invitarti a cena o cose del genere?”.
Sara scosse la testa e gli mostrò il dito medio.
“Senti, vattene affanculo e lasciami stare!”.
Il ragazzo la guardò con sufficienza.
“Guarda te sta stronza che fa ancora la preziosa! Ti avviso che se mi metto d’accordo con il tuo padrone tu mi dai anche il culo, altro che fare tanto la sofisticata!”.
“Mettiti d’accordo con lui, allora, e non rompere i coglioni a me!”, gli urlò dietro.
Il ragazzo si voltò e si allontanò, masticando improperi.
Uno di questi era “puttana”.
Sara scrutò l’orizzonte pensierosa.
Il ragazzo non aveva torto, anche se i modi non erano stati sicuramente i migliori.
Nel suo stato, nessuno si farebbe mai fatto avanti per lei.
Chi vorrebbe uscire con una che tutti i giorni potrebbe venir ripetutamente penetrata in ogni orifizio?
Chi presenterebbe ai propri genitori una che loro stessi potrebbero vedere nuotare nuda in un ristorante il giorno dopo?
Le puttane ad una certa ora staccano, lei non l’avrebbe mai fatto.
Si sdraiò nuovamente, questa volta di cattivo umore.

Un’ombra le coprì la faccia e si alzò di scatto, convinta di trovarsi di fronte ancora il cameriere.
Rimase stupita quando invece si trovò di fronte una ragazza alta e magra, sui venticinque anni, che le sorrideva.
“Ma tu sei Sara! – le disse – Che piacere vederti! Anche tu qui!”.
Sara era perplessa.
“Ci conosciamo?”, chiese.
“Certo! – rispose vivace la ragazza – Sono Alessia, giocavamo assieme a tennis, al circolo!”.
Sara stava per rispondere che non aveva mai giocato a tennis nella vita, quando si accorse che la ragazza le stava facendo l’occhiolino.
Decise di stare al gioco, in attesa di capirci qualcosa di più.
“Sì, certo, Alessia, ora ricordo – rispose, e ricambiò l’occhiolino – Come stai?”.
“Bene – rispose Alessia sorridendo – Ma devo raccontarti mille cose; andiamo in acqua a rinfrescarci un po’, e nel frattempo ti racconto”.
La ragazza si voltò e si avviò verso il mare, Sara la seguì a qualche passo di distanza.
Quando furono immerse fino alla vita, Alessia si rivolse a Sara con tono serio.
“Ti ringrazio per essere stata al gioco, era importante per me parlarti. Tu sei una schiava, vero?”.
Sara sospirò.
“Sì. Ma non dirmi che vuoi scopare anche tu, perchè non sono lesbica e non ne ho voglia”.
Alessia scosse la testa.
“Non c’entra niente. Anche io sono stata una schiava, ma sono scappata e adesso faccio parte della resistenza. Abbiamo bisogno del tuo aiuto, possiamo contare su di te?”.
Sara rimase talmente colpita che non rispose.
Alessia si mise di fronte a lei, le appoggiò le mani sui fianchi e avvicinò il viso a quello di Sara.
Per un attimo temette che l’avrebbe baciata.
“Voglio evitare che qualcuno legga i labiali – spiegò – All’estero nessuno sa niente della situazione qui con gli schiavi, non passa nessuna informazione. Tutto è censurato, è come essere in una bolla di vetro. Hai mai provato a chiamare fuori? Hai mandato delle mail?”.
Sara scosse la testa.
“Ogni chiamata viene ascoltata – spiegò Alessia – Ogni mail letta prima di venire recapitata. Se contengono qualche riferimento allo schiavismo vengono modificate, le chiamate vengono buttate giù. Nessuno sa niente, è per quello che vengono tollerate cose del genere”.
“Ma i turisti? – obiettò Sara – Quelli non possono essere controllati”.
“Quelli non si accorgono di nulla. Le famiglie in visita vengono guidate a vedere le chiese e i monumenti; gli uomini soli vengono invece ricompensati con delle prestazioni sessuali e la promessa di un nuovo incontro alla prossima visita. Sanno che quando ritorneranno avranno nuovamente una schiava ad aspettarli, non hanno interesse a parlare. Io facevo parte di questa categoria, sono stata con centinaia di uomini prima di fuggire”.
Sara meditò su quanto aveva appena sentito. Suonava logico, ma erano solo le parole di quella ragazza.
“Perchè io? – chiese – Ci sono centinaia di schiave, cosa posso fare io? Per di più sono una delle ultime arrivate”.
Alessia era seria.
“Perchè sei stata notata. La tua performance dell’altra sera la club è piaciuta molto. Tuo zio verrà contattato a breve dal principe per trattare la tua vendita a lui”.
Sara deglutì.
“Sei sicura? E questo cosa significherebbe?”.
“Il principe ha diverse schiave, lui può fare quello che vuole, per lui non ci sono neppure i limiti della legge. Spesso le sue schiave sono usate come gentile omaggio ai capi di stato che vengono in visita, quando è buono”.
“Quando è buono?”.
“Certo. Perchè quando magari gli prende il momento sadico, è capace di marchiarti a fuoco giusto per il piacere di farlo”.
“Veramente?”.
Alessia non rispose, ma scostò la mutandina del costume.
Sull’inguine si distingueva una formica stilizzata, simbolo del suo casato.
“Per non parlare del sesso. Ti piacerebbe ritrovarti legata e nuda, circondata da una ventina di uomini autorizzati a farti qualunque cosa? Il tutto magari con tua madre che guarda?”.
Sara deglutì amaro.
“Io però non sono convinta che mio zio mi venderà. Lui mi vuole bene”.
Alessia rise beffarda.
“Ti vuole bene? Se ti volesse bene ti avrebbe lasciata a casa, altro che. Ha venduto tua madre al prete pazzo e tuo fratello alla ninfomane dell’est. Ha tenuto te solo perchè sapeva che potenzialmente eri la più cara e ha voluto mostrarti in giro per fare alzare la quotazione. Tant’è che verrà ricompensato con due gemelle ucraine di vent’anni e ventimila euro, che da queste parti ti fanno vivere due anni”.
Sara non riusciva a crederci. Però quella ragazza sapeva tante cose, non poteva essere una combinazione.
“Cosa devo fare?”, chiese.
“Ora nulla – Alessia era sempre più vicina – Ma questo pomeriggio alle tre vieni al negozio di scarpe che c’è nella piazza del mercato, entra e lasciati guidare da Igor”.
“Ci sarai anche tu?”.
“Certo. Ora devo scappare. Solo un’ultima cosa”.
“Dimmi”.
“C’è un uomo che ci guarda da quando ci parliamo. Lui ha visto solo due donne che si fanno delle effusioni. Baciami, così non destiamo sospetti”.
Alessia accostò la bocca alle labbra di Sara, che ricambiò il bacio a bocca aperta.
“Mi raccomando, conto su di te”, disse Alessia uscendo dall’acqua.

Sara rimase in spiaggia fino all’ultimo.
Era rimasta turbata dalla chiacchierata con Alessia e non si fidava ad entrare in casa, anche solo per un momento.
Aveva paura che suo zio le leggesse in faccia il turbamento che stava vivendo.
Sua madre venduta al prete?
Suo fratello?
Che uomo di merda era?
“Uno che si è scopato sua nipote in tempi non sospetti”, si rispose da sola.
Quando mancarono venti minuti alle tre indossò rapidamente una tunica di seta bianca e si diresse al negozio di scarpe.
Entrò, dentro era fresco e profumato.
Non c’era nessuno, a parte un uomo magro e biondo  seduto dietro alla cassa,
“Lei è Igor?”, chiese Sara.
L’uomo non rispose, ma indicò a Sara di guardare verso una telecamera montata dietro di lui.
Lei fissò l’obiettivo, e dopo pochi secondi squillò il telefonino dell’uomo.
Attivò la comunicazione senza dire una parola, ascoltò per qualche istante e mise giù.
“Please, follow me”, disse a Sara, e si avviò verso uno dei camerini prova.
Si avvicinò allo specchio, lo premette in un punto a lato e questo si sbloccò, rivelando una porta.
L’uomo si introdusse nel vano e Sara lo seguì.
Scesero due rampe di scale e accedettero a quello che probabilmente doveva essere stato il magazzino del negozio.
Oltre ad Alessia, a cui Sara subito sorrise, c’era anche una ragazza di colore e tre uomini tarchiati, uno dei quali portava una divisa quasi militare.
Erano tutti seduti attorno ad un tavolo e si voltarono verso di lei quando arrivò.
Alessia si alzò in piedi e la presentò al gruppo.
“Ragazzi, questa è Sara. E’ la ragazza che ieri sera si è esibita al club ed è possibile che presto venga venduta al principe. Oggi ci siamo parlate in spiaggia ed è disponibile ad aiutarci”.
Sara accennò ad un saluto, ma nessuno le porse la mano.
L’uomo con la divisa sbraitò un ordine a Igor, il quale si voltò verso Sara e a gesti le fece capire che doveva togliersi la tunica.
“Dobbiamo controllare che tu non abbia microfoni”, spiegò Alessia.
Sara si tolse la tunica e rimase in bikini.
“Metti le mani dietro alla nuca”.
Eseguì l’ordine e Igor la palpò sul seno e sul pube.
Sara giudicò abbastanza esagerata la precauzione, visto quanto poco era vestita, e decisamente offensivo che a perquisirla fosse stato un uomo.
Ma lei era una schiava, e forse a questa gente non veniva normale applicare certe delicatezze su quelle come lei.
Igor alzò il pollice verso il militare, il quale si alzò e porse la mano a Sara.
“Benvenuta tra noi – disse – Scusi le precauzioni, ma dobbiamo essere molto attenti”.
Venne fatta sedere al tavolo, anche se nessuno le restituì la tunica.
Si sentiva un po’ in imbarazzo ad essere in bikini mentre tutti gli altri erano vestiti.
“Ora, noi siamo solo un piccolo gruppo, ma abbiamo dei forti appoggi esterni. Non posso rivelare di più, ma parliamo di un governo straniero. Un potente governo straniero”.
Si accese una sigaretta e continuò.
“Il principe non è simpatico a tutti, ma fino ad ora il suo regime sembra tenere. L’opinione pubblica estera sa poco o nulla del problema dello schiavismo, e quel pochi informati sanno solo che qui una persona in difficoltà economiche può barattare la propria libertà in cambio di tranquillità, vitto e alloggio.
“Non suona neppure troppo male, per certi versi, e le posso garantire che il movimento che ci sostiene è di gran lunga meno popolare di quello che sostiene i cani randagi o gli orsi cinesi.
“Per questo motivo abbiamo bisogno di prove, di documenti che sostengano in maniera netta e indiscutibile la nostra causa, che poi è la vostra”, disse indicando Sara in maniera quasi aggressiva.
“Certo – rispose la ragazza – ma cosa posso fare? Testimoniare?”.
L’uomo scosse la testa.
“La testimonianza di una come lei non sarebbe considerata attendibile. Lei è venuta qui spontaneamente e poi ha firmato le carte con cui accettava di diventare schiava. Verrebbe messa in dubbio la credibilità di tutto il movimento”.
Sara rimase in silenzio.
Non le era piaciuto come il militare aveva pronunciato la frase ”una come lei”.
“Come lei” cosa?
Una stupida?
Una puttana?
“Per fortuna – continuò l’uomo – abbiamo la tecnologia che ci viene incontro. Useremo un apparecchio di ultimissima generazione, un segnalatore posizionsensoriale, detto anche SPS”.
Sara lo guardò interrogativa.
“Questo apparecchio è l’equivalente umano della scatola nera degli aerei: in ogni momento è in grado di dare la posizione del soggetto e, molto importante, registrare anche le sensazioni che sta provando. Paura, gioia, rabbia, allegria….Viene usato dalla CIA con gli agenti che vengono infiltrati in organizzazioni mafiose e terroristiche. Un apparecchio del genere rende superflua ogni confessione, visto che registra tutto quello che passa per il nostro cervello”.
Sara annuì, stupefatta.
“Mi sembra incredibile. E quindi voi avrete una registrazione di tutto quello che io farò?”, chiese.
Intervenne un uomo che fino ad ora era rimasto in silenzio; portava un paio di occhiali neri e sembrava poco più vecchio di Sara.
“No. Al momento attuale la tecnologia non ci permette di registrare delle emozioni, non esiste il supporto. L’apparecchio piazzato su di te avrà un gemello, installato su uno di noi, che consentirà alla persona che lo ospiterà di provare le tue stesse sensazioni. In questa maniera, per ogni situazione in cui ti troverai tu avremo una doppia testimonianza: la tua e della persona tua gemella”.
Sara annuì.
“E in cosa consiste questo apparecchio? E’ un trasmettitore, una radio? Lo devo portare addosso?”.
L’uomo scosse la testa:”Esiste anche come trasmettitore, ma non si può usare in un caso come il tuo, perchè tu sei spesso…ehm….senza vestiti. Bisogna celarlo più a fondo”.
Sara sgranò gli occhi.
“Dove?”.
L’uomo era imbarazzato.
“Alla base della cervice”, disse.
Sara lo guardò smarrita.
“Dentro la passera!”, disse il militare, sbrigativo.
Sara era smarrita.
“Io…non so se me la sento!”, disse.
“Non mi pare che ti sia passata poca roba da quelle parti!”, commentò sarcastico il militare. “Cosa sono adesso questi scrupoli?”.
Sara arrossì.
“Io sono obbligata a fare quello che faccio!”, protestò.
Alessia si alzò in piedi e si avvicinò a lei, mettendole una mano sulla spalla.
“Sara, ti prego, abbiamo bisogno di te. Ci sono molte ragazze e ragazzi ridotte in schiavitù, dobbiamo pensare a loro. Ci sono anche tua mamma e tuo fratello”.
Sara annuì, pur sembrando poco convinta.
“Dimmi qualcosa di più di questo apparecchio”, chiese, rivolegendosi ad Alessia. Anche lei era stata schiava  e di lei poteva fidarsi
“E’ facile: tu avrai un trasmettitore, io un ricevitore. Quello che proverai tu, a livello di sensazioni, arriverà anche a me. Però solo quelle più forti”.
“Ad esempio?”.
“Per essere banale, se ti tirerai una martellata su un dito, io sentirò male ad un dito; ma se ti gratterai una mano non sentirò nulla”.
“E se farò sesso?”.
“Sentirò quello che sentirai tu”.
Sara rimase in silenzio.
“Per onestà bisogna dire che questo apparecchio è ancora in una fase sperimentale – disse l’uomo con gli occhiali – Non sappiamo bene quali sensazioni trasmette e quali no. Ma tu non devi preoccuparti, per te non cambierà nulla. Sarà piuttosto Alessia a dover fare attenzione, perchè lei si trovarà a ricevere tutte le tue emozioni senza alcuna possibilità di prevederle”.
“L’apparecchio non si può spegnere?”, chiese Alessia preoccupata.
“E’ meglio di no – intervenne il militare – Spegnerlo sarebbe come interrompere la sorveglianza, potremmo perderci qualcosa di importante”.
“Certo”, disse Alessia, anche se dalla sua espressione si capiva quanto fosse preoccupata.
Sara annuì.
Capiva l’esigenza, capiva l’importanza di prestarsi a questa operazione.
E poi, era vero, cosa sarebbe cambiato per lei?
Certo, sapere che un’altra persona avrebbe provato le sue stesse sensazioni un po’ la faceva sentire violata, ma – come aveva detto con mala grazia il militare – era ben altre le violazioni a cui si era sottoposta.
“Ok – disse con impeto – Facciamo questa cosa prima che cambi idea”.
L’uomo con gli occhiali non disse nulla, però aprì un cassetto, ne prelevò un lenzuolo e con questo coprì il tavolo.
“Chiedo scusa per la pochezza del nostro studio medico – disse con visibile imbarazzo – ma al momento non disponiamo di meglio. Sdraiati, per piacere”.
Sara si coricò sul lenzuolo bianco, cercando di non farsi intimidire dalle persone accanto a lei.
“Togliti le mutandine”, le disse l’uomo.
Sara si chiese se fosse almeno un medico, se avesse almeno qualche nozione di base di medicina.
L’uomo prese un oggetto che sembrava una corta cerbottana e lo incastrò tra le grandi labbra di Sara.
“Non mi risulta faccia male, in ogni caso durerà molto poco”.
Sara fece per annuire, ma un attimo dopo sentì uno spostamento d’aria e un oggetto che, molto velocemente, le penetrava nella vagina.
Sentì un piccolo contraccolpo quando l’apparecchio raggiunse la cervice, poi nulla.
Aprì la bocca per prendere aria.
“Visto, non ti ha fatto male – disse l’uomo – Aspetta qui sdraiata per qualche minuto, lascia che attecchisca bene”.
Le fece una carezza sulla guancia, poi prese un altro oggetto identico al primo.
“Alessia, ora tocca a te. Scopri l’inguine, per piacere”.
Alessia si tolse i pantaloni, si sfilò il perizoma e si sdraiò accanto a Sara.
Aveva paura e si vedeva da come teneva gli occhi chiusi.
Sara alungò una mano verso di lei e le prese la mano, Alessia la strinse con forza.
“Coraggio, un attimo e sarà tutto finito”, disse l’uomo con gli occhiali.
Accostò la canna alla vagina di Alessia e le sparò dentro l’SPS.
La ragazza non trattenne un debole urlo, poi stinse i denti e sospirò a lungo.
“Come ti senti?”, le chiese il militare.
Alessia annuì con vigore, tenendo sempre gli occhi chiusi.
“Ottimo – commentò l’uomo con gli occhiali – Possiamo procedere al test di sensibilità”.
Tornò accanto a Sara.
“Ora, Alessia – disse – devi tenere gli occhi chiusi e dirmi che sensazioni senti”.
Passò una mano sulla guancia di Sara.
“Sentito qualcosa?”, chiese.
“Nulla”.
Passò le dita sulla pancia.
“Ora?”.
“Un leggero solletico alla pancia”.
L’uomo sorrise e annuì.
Passò le unghie sotto la pianta del piede di Sara; Alessia ritrasse il suo con un movimento brusco.
“No, il solletico no!”, disse Alessia, ridacchiando.
L’uomo mise una mano sul seno di Sara; Alessia rispose pronta:”La tetta sinistra! Però è strano, lei le ha più grandi di me, è una sensazione strana”.
L’uomo annuì di nuovo.
“Ok, ultima prova”, disse.
Infilò un dito nel sesso di Sara.
Sara spalancò la bocca, stupita dal flusso di sensazioni che l’aveva aggradita; mentre contemporaneamente Alessia inarcava la schiena e sospirava.
L’uomo tolse il dito da dentro Sara.
“E’ come pensavo – disse – L’apparecchio amplifica le sensazioni, anche per il corpo che lo ospita. Capiterà, Sara, di essere molto più sensibile a certe sensazioni; anche solo un contatto potrebbe portarti ad avere un orgasmo”.
Sara annuì. Non sembrava neppure una brutta notizia.
“Inoltre – proseguì l’uomo – sarai in uno stato di perenne eccitazione. Ti troverai molto spesso a fare pensieri sexy e a desiderare di essere toccata. Non sentirti turbata, sarà normale”.
Si sarebbe trasformata in una ninfomane?
Il militare battè le mani.
“Dai, ragazze: lo spettacolo non è male, ma abbiamo una rivoluzione da portare avanti. Prima usciamo di qui, meglio è!”.
Sara e Alessia si alzarono dal tavolo e si vestirono.
Alessia si avvicinò a Sara e l’abbracciò.
“Saremo una cosa sola per qualche giorno – le disse nell’orecchio – Buona fortuna!”.

Quando tornò a casa, Sara trovò suo zio sdraiato su un’amaca in giardino.
“Era ora – disse lui, secco – E’ una vita che ti aspetto. Dove sei stata?”.
Sara lo guardò stupita.
“Sei tu che mi hai dato la giornata libera”, rispose.
“Dove sei stata?”, chiese nuovamente lo zio.
Sara sentì un crampo allo stomaco. Possibile che già sapesse quello che aveva fatto?
“Sono stata un po’ in spiaggia e poi in giro”, disse tenendosi sul vago.
Lo zio annuì.
“Ok, vieni dentro”, le disse.
Sara era preoccupata.
“E’ successo qualcosa?”.
Lo zio si rabbuiò immediatamente.
“Non è successo niente, ma da queste parti quando un padrone dà un ordine alla sua schiava, questa lo esegue e non rompe i coglioni!”.
Sara deglutì.
“Va bene, zio, scusami. Arrivo subito”.
Lo seguì dentro casa, fino nella camera di lei.
Lo zio le indicò il letto, mentre lui prese una poltrona e vi ci sedette.
“Spogliati, ho voglia di vederti nuda!”, le disse.
Sara si accomodò sul letto.
Non aveva voglia di fare uno strip, così si limitò a liberarsi dei vestiti.
Quando dovette togliersi le mutandine fu assalita da un dubbio: si sarebbe visto l’apparecchio?
Ebbe un momento di esitazione e fu subito richiamata dallo zio con un battito delle mani.
“Sara! Ti ho detto nuda!”, la rimproverò.
La ragazza si sfilò le mutandine e le mise da parte.
“Allarga quelle gambe!”, le ordinò lo zio.
Sara appoggiò il sedere sul materasso e scoprì la vulva.
Si sarebbe visto qualcosa?
Fortunatamente l’illuminazione della stanza non era potentissima e lo zio non sembrava proprio in condizione.
Sara si chiese se avesse bevuto.
Carlo si alzò in piedi e si avvicinò alla nipote.
Allungò la mano e le fece una carezza in volto.
Era sempre stata carina, fin da piccola.
Ora era splendida, e nessuno meglio di lui avrebbe potuto rendersene conto.
In camera sua, nel cassetto della scrivania, c’era una proposta redatta su carta intestata del Principe.
Era molto semplice: lui gli avrebbe dato Sara, in cambio avrebbe ricevuto una quantità vergognosa di soldi e la piena proprietà di Yulia e Natasha, due gemelle ucraine dedite a qualunque pratica sessuale. Le aveva già viste all’opera, sapeva di cosa parlava.
Non aveva tanta scelta.
Intanto perchè il Principe quello che voleva se lo prendeva.
Meglio accettare subito e trovarsi in tasca un po’ di soldi e un paio di donne con cui divertirsi, piuttosto che opporsi e ricevere visita della polizia reale munita di ordine di sequestro.
Abbassò la mano e le sfiorò un seno. Il capezzolo della ragazza si irrigidì istantaneamente.
Era quello che intendeva.
Sara era nata per fare sesso, indubbiamente.
Fosse rimasta in patria avrebbe fatto bene a fare la escort. Non la zoccola di strada, ma l’accompagnatrice di alto bordo.
Avrebbe guadagnato più di un cardiochirurgo lavorando solo qualche ora al giorno, per di più divertendosi.
Le sfiorò la pelle della pancia, e il corpo di Sara venne attraversato da un brivido.
Carlo le sorrise e le poggiò un dito tra le grandi labbra.
Come immaginava, era bagnata.
“Toccati – le disse – ma muoviti lentamente. Godiamoci tutti e due questo momento”.
Si mise nuovamente a sedere e sorrise.
Si sarebbe goduto lo spettacolo.
Alessia posò il libro e si girò sulla schiena.
Le piaceva molto andare in spiaggia nel tardo pomeriggio: il sole era più delicato e non correva il rischio di scottarsi.
Poi aveva trovato questa caletta molto isolata, ideale per unafuggitiva come lei.
Pensò a Sara.
La ragazza sembrava convinta, era però tutto da stabilire se sarebbero arrivati a qualcosa.
Intanto era fondamentale che non si facesse scoprire.
Una come lei, non avvezza a certe cose, avrebbe potuto tradirsi in un attimo.
E poi era ancora da verificare che funzionasse l’apparecchio.
Ormai era un paio d’ore che era attivato e nulla era ancora capitato.
“Era sperimentale”, aveva detto Esteban, il medico con gli occhiali.
Proprio in quel momento sentì un movimento al basso ventre.
Istintivamente guardò verso l’inguine per controllare se qualcosa la stesse toccando.
Un brivido le attraversò il corpo, mentre sentiva la sua vulva inumidirsi.
Qualcosa stava capitando.
Sentì alzarsi i capelli dietro alla nuca e un sospiro le uscì dalla bocca.
Prese il telefonino e chiamò Rodriguez, l’uomo con la divisa.
Gli disse dove si trovava e chiese cosa fare.
“Non ti muovere, non interrompere il contatto! – le disse il militare – Arriviamo noi!”.
Alessia posò il telefonino e trattenne un altro gemito.
Guardò verso il suo petto: i suoi capezzoli sembravano essere prossimi a bucare la stoffa del reggiseno del suo bikini.
Portò una mano verso un seno e se lo strinse, istintivamente.
“Cosa sto facendo?”, si chiese.
Un’altra ondata di piacere le attraversò il corpo, costringendola a chiudere gli occhi e a inarcare la schiena.
“Sara! – pensò – Tu mi stai facendo morire!”.

Sara smise di toccarsi per un attimo.
Le era sembrato di sentire una voce nella sua testa.
“Mi stai facendo morire!”, le aveva detto.
Possibile?
Appoggiò nuovamente le dita sul suo clitoride e prese a stimolarlo con un movimento circolare.
Era la sua tecnica preferita e quella che le permetteva di durare più a lungo.
Suo zio, davanti a lei, la guardava con espressione strana.
Sembrava triste, anche se dai suoi calzoni si delineava chiaramente un’erezione.
Sospirò ancora una volta e lasciò che mezzo dito entrasse dentro di lei.
Ora era veramente eccitata anche lei, si strinse un seno e si morse il labbro inferiore.

Alessia sentì una pressione sul seno sinisto, come se qualcuno glielo stesse stringendo.
Portò anche lei una mano al seno.
Fortunatamente attorno a lei non c’era nessuno.
Sentiva una miriade di sensazioni arrivare dal suo inguine, come se stesse avendo un rapporto proprio in quel mometo.
Si liberò del reggiseno, cercando di dare un po’ di sollievo ai suoi capezzoli.
Chiuse gli occhi, assaporando il momento, e in quell’istante vide due sagome correre verso si lei.
“Esteban e Rodriguez!”, pensò.
“Esteban e Rodriguez? – pensò Sara – Chi cazzo sono? Perchè ho questi nomi in testa?”.
Si mise a carponi sul letto.
Sempre guardando suo zio negli occhi chinò il busto e sfiorò il materasso con i capezzoli, mentre con la mano destra continuava a toccarsi il sesso.
Ora era molto bagnata, non era più solo il senso del dovere a guidarla.
A mano aperta si stimolò la vulva, poi con un dito sfirò il buco del sedere.
Un brivido le attraversò il corpo.
Alessia era distesa di schiena nella sabbia, Esteban e Rodriguez erano in piedi accanto a lei.
La ragazza, travolta dalle sensazioni, teneva gli occhi chiusi, anche per non vedere i due uomini accanto a lei.
Non era in confidenza con loro e si vergognava dello stato in cui si trovava.
Il dottor Esteban si chinò accanto a lei.
“Non devi combattere le sensazioni che ti colgono, assecondale! Tu ora sei la gemella siamese dell’altra ragazza, lascia aperta la comunicazione”.
Rodriguez prese una telecamera digitale e la puntò verso Alessia.
“Dobbiamo documentare tutto”, spiegò a Esteban.
In realtà non gli dispiaceva avere un video in cui Alessia topless si contorceva di godimento nella sabbia.
La ragazza non si era accorta di nulla, e probabilmente non le sarebbe comunque importato.
In quel momento aveva una presenza tra le gambe che la stava decisamente distraendo.
Si passò timidamente una mano sull’inguine e sentì che i suoi umori avevano imbevuto gran parte del costume.
“Non combattere! – ribadì Esteban – Togliti il costume, lascia che le sensazioni ti guidino!”.
Alessia si sfilò lo slip, lo buttò a lato e divaricò le gambe oscenamente.
Ne avrebbe fatto a meno, ma sentiva come se dovesse far respirare il suo sesso.
Rodriguez fece uno zoom tra le gambe di Alessia. C’era anche un’ottima luce, sarebbe venuto benissimo.
Alessia sentì un tocco leggero sull’ano e sobbalzò.
Istintivamente, con un dito si toccò lo stesso punto.

Sara sentì una sensazione strana al sedere.
Sembrava che qualcuno la stesse stimolando con un dito.
Allargò bene le gambe e introdusse il suo, di dito, fino alla base.
Sospirò forte, godendosi quel momento.
Rimase ferma per qualche secondo, poi lo sfilò lentamente.
“Dio mio!”, sentì risuonare nella testa.
Stava impazzendo?
“Alessia?”, si chiese.

Alessia sentì la voce arrivare da dentro. Era Sara!
Non sapeva come, ma si stavano parlando!
E – realizzò subito dopo – in qualche maniera si stavano toccando a vicenda.
Non era così male la mano di quella schiava….
Prese il clitoride tra due polpastrelli e lo massaggiò delicatamente.
Ora anche Sara avrebbe sentito.

Sara sentì nuovamente uno stimolo al sesso.
Lei però in quel momento si stava accarezzando il seno e suo zio era seduto in poltrona.
Era Alessia.
Appoggiò la mano al clitoride e cercò di seguire il movimento che la ragazza stava compiendo.
Le sensazioni le tornarono talmente amplificate che non potè trattenere un ansimo profondo.
Agli effetti del tocco di Alessia si sommavano i suoi, eccitandole ogni terminazione nervosa.
Sentì i capezzoli irrigidirsi e la schiena venne attraversata dai brividi.
Aumentò la frequenza della stimolazione, notando come la sua mano si stava bagnando come mai era capitato.

Alessia inarcò la schiena con impeto, senza curarsi di contenere la reazione.
Allargò le gambe al massimo consentito e si sollecitò il sesso con entrambe le mani.
Con una continuò la stimolazione del clitoride, mentre l’altra si insinuò rapidamente tra le sue labbra.
Da quando era stata liberata non aveva più avuto alcun rapporto sessuale, neppure con se stessa, e questa esperienza la stava sconvolgendo.
Sollevò il sedere per introdurre la mano ancora più a fondo, inserendo quattro dita dentro di lei.
Spalancò la bocca in cerca di aria, neppure notando che Rodriguez la stava riprendendo molto da vicino e che Esteban ostentava un’imbarazzante erezione.

Sara sentì la sua vagina andare in fiamme, mentre milioni di stimolazioni la percorrevano.
Introdusse tre dita dentro di sè e sentì la gola asciugarsi.
Si voltò con la pancia sul materasso e, come una gatta in calore, strofinò la vagina sulla coperta.
L’orgasmo stava per arrivare.

Alessia si mise una mano sugli occhi, si voltò di spalle e strusciò i capezzoli nella sabbia.
Stava arrivando.
Contrasse tutti i muscoli, in attesa. Sarebbe stato l’orgasmo più forte della sua vita, lo sentiva.
Strinse i pugni, poi venne.
Spalancò la bocca cercando aria, inarcò la schiena e si abbandonò sulla sabbia.
Rodriguez non smise di filmare neppure per un attimo, e non si astenne neppure dall’immortalare l’ampia chiazza umida che si era formata sulla sabbia all’altezza del pube di Alessia.

Sara afferrò la coperta con una mano e la strinse in un pugno.
Contrasse ogni muscolo, mentre l’orgasmo le faceva tremare perfino i polpacci.
Rimase quasi un minuto immobile, ad occhi chiusi e sudata.
Non le importava che suo zio la stesse guardando, che facesse pure.
Cercò di focalizzare i pensieri in una direzione.
“Grazie Alessia”.

Angela socchiuse gli occhi quando il sipario venne alzato e il faro ad occhio di bue la illuminò.
Un applauso timido si levò dal pubblico.
Carlo, seduto al buio, ammirò sua sorella.
Era completamente nuda, con quei due anelli ai capezzoli che ne esaltavano ancora di più la sensualità.
Teneva le braccia sollevate sopra la testa e si teneva in equilibrio sulla punta dei piedi.
Nè Carlo nè nessun altro del pubblico poteva vederlo, ma quattro piccoli anelli bloccavano le dita dei piedi della donna al pavimento, in modo che non potesse compiere neppure un piccolissimo passo.
Un uomo in smoking salì sul palco con un microfono in mano, e dal pubblico si levò un altro applauso, mentre la musica saliva di volume.
“Buonasera signore e signori! – annunciò gioviale – Benvenuti ad un’altra serata d’eccezione qui allo Slave Owner Club. Avete già conosciuto Angela nella sua bellezza – e nel dire questo passò una mano sulla schena e sul sedere della donna – ma già avrete capito che questo non è altro che l’antipasto di questa fantastica serata. Perchè allo Slave OWner Club nulla è banale, soprattutto in una serata come questa in cui abbiamo il privilegio di avere un ospite eccezionale. Signore e signori, Sua Altezza il Principe!”.
Il riflettore si spostò da Angela ad un tavolo in prima fila, dove un uomo sulla quarantina, con  addosso occhiali da sole e un impeccabile completo Hugo Boss, stava sorseggiando un cocktail. Al suo fianco c’era suo fratello minore; sparsi per la sala almeno una dozzina di guardie del corpo.
L’uomo sorrise benevolo, salutò tutti con un cenno della mano e riprese a guardare il palco.
Il riflettore tornò a inquadrare il presentatore e Angela.
“Il tema di questa sera – continuò lui – è la famiglia, ma non solo. Stasera vedremo anche come le debolezze di una donna possono riflettersi sulle persone a lei care, anche se lei non vorrebbe”.
Un altro sipario si alzò sul palco, rivelando una curiosa composizione umana.
Sara era nuda, legata con i polsi dietro alla schiena e con le gambe divaricate. Dei cavi elettrici, partendo dal soffitto, terminavano in due morsetti che stringevano i suoi capezzoli.
Tra le sue gambe, legato su una specie di lettiga, c’era Luca. Anche lui era nudo e al suo pene era infilato l’anello elettrico che già aveva sperimentato grazie a Kathy.
La zona pubica di Luca distava da quella della sorella di una cinquantina di centimetri.
“Abbiamo già conosciuto Sara qualche sera fa, ci ha deliziato con uno spettacolo memorabile. Sara è figlia di Angela, così come anche Luca è figlio di Angela. Due fratelli e una mamma sul palco, questa sera”.
Applausi dal pubblico.
Tornò vicino ad Angela.
“Come vedete – spiegò – questa donna ha i polsi legati. Ma, contrariamente a quanto sembri, non è immobilizzata. Vediamo cosa succede se piega le baraccia”.
Si posizionò dietro a Angela e la abbracciò. Le fece scorrere le mani su tutto il torso, provocandole un lungo brivido sul corpo, poi giocò con gli anelli dei suoi capezzoli. Angela sentì chiaramente l’erezione dell’uomo premerle sulle natiche attraverso la stoffa dei pantaloni.
“Scusate, mi sono distratto!”, disse l’uomo, e una risatina si levò dal pubblico.
Senza preavviso attaccò le ascelle di Angela con le dita, e istintivamente la donna abbassò le braccia.
I cavi a cui erano ancorati i suoi polsi scorsero in una plancia metallica posizionata qualche metro sulla testa di Angela, e terminarono la loro corsa solo quando una placca – anch’essa di metallo – non si bloccò in un buco.
Questo contatto chiuse un circuito.
Sara sentì una scossa improvvisa ai capezzoli e istintivamente urlò.
Angela alzò nuovamente le braccia.
Applausi dal pubblico.
“E’ chiaro, no? – preseguì il presentatore – Se Angela abbassa le braccia, una scarica elettrica passa nelle tette della figlia. Ma cosa succede se, invece, smette di stare sulle punte dei piedi?”.
Si avvicinò ancora ad Angela e prese in mano una delle sue grandi labbra.
Contò mentalmente fino a tre e poi diede uno stattone forte verso il basso.
La donna non potè opporre resistenza e appoggiò i talloni a terra.
Questi impattarono su due pulsanti, i quali agirono su Luca: uno trasmise una leggera carica elettrica all’anello attorno al suo pene, provocandogli un’erezione, e l’altro fece salire la lettiga di qualche centimetro, avvicinando di fatto l’apparato genitale di Luca a quello di sua sorella.
“Avete capito tutti: mano a mano che passerà il tempo, Angela non riuscirà a stare in questa posizione, e dovrà scegliere se provocherà del dolore a Sara abbassando le braccia, oppure porterla nella situazione di scopare con suo fratello appoggiando i talloni. Non ti vedo tanto bene, Sara, te lo dico in amicizia!”.
Il pubblico rise.
“Siccome però non abbiamo tutta la sera a disposizione per aspettare che Angela si stanchi, le daremo un aiutino. Signore e signori, un applauso per Martina!”.
Dalla sinistra del palco, con passo titubante, entrò Martina.
Indossava un ridotto bikini bianco ed era visibilmente in imbarazzo.
Sorrise tirata verso il pubblico, poi si accostò ad Angela.
Appoggiò la punta delle dita sul suo torace e prese ad accarezzarla.
Angela sentì leggeri brividi attraversarle la pelle.
Fu completamente sorpresa quando Martina le passò le dita sotto alle ascelle.
Istintivamente ritrasse le braccia e poggiò i talloni a terra.
Fu questione di un attimo prima che si rimettesse nella giusta posizione, ma i contatti si erano già chiusi.

Sara sentì i morsetti che le stringevano i capezzoli diventare caldi, mentre un formicolio doloroso si propagava attraverso entrambi i seni.
Luca vide il proprio pene diventare istantaneamente eretto, mentre la lettiga si sollevava verso l’altro di qualche centimetro.
Tra la punta del suo pene e la vagina di sua sorella c’erano ora circa dieci centimetri.
Nel fare questa considerazione, non potè non eccitarsi.

Alessia era seduta in bikini su un’amaca nel cortile del rifugio della resistenza.
A pochi metri da lei, Rodriguez, Esteban e altri uomini stavano discutendo di qualcosa che non riusciva a sentire.
Improvvisamente sentì i seni andarle in fiamme e non trattenne un urlo.
“Rodriguez! – chiamò, premendo le mani sulle sue mammelle – Venite! Sta succedendo qualcosa a Sara!”.

Il pubblico si produsse in un applauso.
Martina tenne lo sguardo basso, si sfilò il reggiseno e tornò ad occuparsi di Angela.
Questa volta si inginocchiò davanti a lei e posizionò il volto davanti al sesso della donna.
Eugenio le aveva dato disposizioni precise, e se non voleva trovarsi legata nuda sulla pubblica piazza non poteva che assecondare le sue richieste.
Sporse la lingua e la passò tra le grandi labbra di Angela.
Aveva un buon sapore, era una donna che curava l’igiene intima.
Ancora una leccata, questa volta più lenta.
Angela sospirò.
Era in grado di resistere all’orgasmo, ma quanto a lungo?
Martina appoggiò un dito sul clitoride di Angela e prese a massaggiarlo, poi la leccò di nuovo.
Il pubblico era in silenzio, assorto da questo spettacolo.
Angela sospirò, cercando di non pensare alle sensazioni che arrivavano dal suo sesso.
Era in gioco la salute dei suoi figli, oltre che la dignità.
Ammesso che ne avessero ancora, lei per prima.
Martina infilò due dita nella vagina di Angela, che non potè resistere.
Rilassò i muscoli delle gambe e perse leggermente l’equilibrio, toccando terra.

La lettiga su cui era legato Luca riprese a muoversi.
Il suo pene eretto arrivò a toccare le grandi labbra di Sara e entrò dentro per un centimetro, poi Angela si rimise in punta di piedi.

Alessia sentì una strana sensazione all’inguine.
Era come se qualcuno la stesse solleticando.
“Sara, resisti!”, pensò intensamente.

Martina si alzò in piedi e si sfilò anche le mutandine.
Le dava fastidio dare il suo corpo in pasto agli sguardi di tutta quella gente, ma quelli erano gli accordi.
Si consolò pensando che, tra le persone sul palco, era sicuramente quella che stava soffrendo meno.
Si alzò in piedi e si pose davanti ad Angela.
Accostò il suo corpo a quello della donna. Erano alte uguali, così appoggiò i capezzoli a quelli di Angela. La stimolazione che arrivò dagli anelli di metallo della donna le procurarono un piccolo brivido di piacere.
Accostò il suo sesso a quello di Angela.
Erano entrambe bagnate.
Aprì la bocca e si avvicinò al viso di lei.
Anche Angela aprì la bocca e accettò il bacio della ragazza.
Sentì la lingua di Martina entrare nella sua bocca, mentre contemporaneamente la ragazza aveva preso a sfregare il suo pube contro il suo.
Era una bella sensazione.
Martina la abbracciò, sfiorandole la schiena con le unghie.
Angela assecondò il movimento, era piacevole.
Non era solita avere rapporti con altre donne, di fatto era stata solo con sua figlia, ma Martina era molto delicata nel tocco.
Cominciarono a frizionarsi sempre più velocemente, quasi come se non ci fossero decine di persone a guardarle.
Martina morse un labbro ad Angela, trascinata dalla passione, mentre contemporaneamente affondava le unghie nelle sue natiche.
Portò verso di sè il pube di Angela, le scoprì il clitoride e lo portò contrò il suo.
Ora le sensazioni erano fortissime, Angela sapeva che non sarebbe resistita ancora a lungo.
Il clito di Martina era bagnato degli umori di entrambe, la pressione pelvica era sempre maggiore.
Angela passò la lingua sul palato di Martina e venne, abbracciandola.

Sara ricevette una scarica elettrica ai capezzoli talmente forte che temette di vederli fumare.
Cercò di trattenere l’urlo.
Luca sentì la lettiga rimettersi in movimento, e sentì il proprio pene entrare completamente dentro Sara.
L’anello elettrico gli diede un’ulteriore stimolazione. Sapeva che sarebbe venuto tra molto poco.
“Alessia! Venitemi a prendere, non ce la faccio più!”.

Alessia sentì un corpo estraneo entrare nella propria vagina, mentre le tette sembravano urlare di dolore.
Si liberò del reggiseno e cercò di attenuare la sensazione di bruciore stringendosi i seni con le mani.
“Andata a prendere Sara, la stanno torturando!”, disse.

Martina scese dal palco tra gli applausi.
Era ancora nuda, ma aveva ricevuto una chiamata a cui non poteva dire di no.
Il fratello minore del principe.
Andò accanto a lui, che senza dire una parola le indicò di inginocchiarsi a terra.
Estrasse il membro dai pantaloni e riprese a guardare lo spettacolo.

Il presentatore uscì sul palco con un oggetto coperto da un drappo nero.
L’attenzione del pubblico si concentrò su quello; da capace uomo di spettacolo fece passare qualche secondo, poi lo scoprì.
Era una gigantesca pistola ad acqua.
La indirizzò verso Angela, che chiuse gli occhi in anticipo.
Il getto d’acqua gelata la colpì sulla pancia e la donna non potè fare a meno di raccogliere le braccia sullo stomaco e appoggiare i talloni a terra.

Sara vene colpita da un’ulteriore scarica, mentre suo fratello, dentro di lei, riceveva un’ulteriore stimolazione al pene.
La ragazza fece appena in tempo a riprendere fiato dopo la scarica elettrica, che sentì Luca sospirare.
“No, dimmi che non sta succedendo!”, pensò.
Un attimo dopo il flusso di sperma di suo fratello entrava dentro di lei.
“Alessia, portami via da tutto questo!”, pensò intensamente.

Il presentatore si portò vicino a Luca e gli chiese di tirare fuori la lingua.
Il ragazzo eseguì, e con movimento rapido l’uomo gliela intrappolò tra due legnetti – simili a quelli dei ghiaccioli – tenuti assieme da uno stretto elastico.
Così costretta, era impossibile per Luca poterla ritrarre.
Tornò verso Angela e, tirandola per uno degli anelli dei capezzoli, la fece avvicinare a suo figlio, e con una mano le indicò la testa di Luca.
Angela capì cosa avrebbe dovuto fare.
Si mise a cavalcioni sul volto del figlio, ponendosi di fronte a Sara.
“Sù, lavora di bacino!”, la esortò il presentatore.
Angela abbassò il suo baricentro di qualche centimetro e sentì la lingua di Luca lambirle il sesso.
Prese ad andare avanti e indietro, lasciando che lui la inumidisse.
Nel frattempo, il presentatore, esercitando una leggera pressione sulla nuca, aveva avvicinato i volti di Angela e di Sara.
“Dai ragazze, baciatevi!”.
Angle chiuse gli occhi e aprì la bocca, mentre Sara accostava le labbra alle sue e le infilava la lingua dentro.
Luca sentì gli umori di sua madre colargli in gola.
Non poteva credere che lei fosse eccitata, non in una situazione del genere!
Il presentatore tornò nel punto in cui fino a poco prima era legata Angela e con il tallone abbassò il sensore che controllava l’anello elettrico, incastrandolo nel pavimento, poi prese i cavi collegati ai capezzoli di Sara.
Luca sentì il membro irrigidirsi nuovamente.
Sara avvertì il cambiamento dentro di sè e smise per un attimo di baciare sua madre.
Una scarica elettrica al capezzolo destro le ricordò i suoi doveri.
Luca sentì il flusso di energia continuare a fluire nel suo pene.
Provò a pensare ad altro, a distrarsi, ma la reazione del suo corpo era del tutto meccanica e trascendeva dallo stato di eccitazione in cui si fosse trovato.
Avvertì un’ulteriore stimolo al membro e venne nuovamente dentro sua sorella.
Il pubblicò li premiò con un generoso applauso.

Mezz’ora dopo Sara, ancora nuda, era inginocchiata ai piedi del principe.
Suo fratello era venuto sei volte dentro di lei, due volte era venuta lei.
I capezzoli le dolevano e l’unica cosa che voleva era farsi una doccia.
E scappare, avesse potuto.
Aveva provato a stabilire un contatto mentale con Alessia, ma non aveva udito risposte.
Il principe la guardò sorridendo, poi disse qualcosa all’interprete.
“Il Principe ha detto che va bene, già questa sera puoi prendere parte dell’harem reale”, tradusse un ometto calvo.
Sara annuì. Lo sapeva, in fin dei conti.
“Posso farmi una doccia e cambiarmi?”, chiese.
Il principe ascoltò la traduzione, poi annuì sorridendo.
“Certo! Ti aspettiamo tra dieci minuti fuori, c’è una limousine posteggiata fuori”.
Sara annuì, si alzò e andò verso camerino.
Dieci minuti!
In dieci minuti stava cambiando la sua vita.
Avrebbe potuto salutare sua madre e suo fratello?
Dove erano finiti?
E soprattutto, dove erano quelli della resistenza?
Tanti proclami e belle intenzioni, ma ora la loro credibilità si giocava in dieci minuti.
Entrò nel camerino buio e allungò la mano verso l’interruttore.
Prima che potesse raggiungerlo, delle mani la avvinghiarono da dietro e la immobilizzarono, premendole anche sulla bocca in modo da impedirle di urlare .
La luce si accese, e davanti a lei si parò Rodriguez.
“Rispondi con la testa: sei dei nostri?”.
Sara annuì in silenzio.
Rodriguez fece un passo verso di lei e, con finta noncuranza, le accarezzò un seno con la mano.
Sara rabbrividì.
Cosa voleva fare questo? Avrebbe dovuto pagare la sua libertà con del sesso?
Rodriguez la guardò negli occhi, come se le stesse leggendo nel pensiero, poi si rivolse all’uomo che stava dietro di lei.
“Liberala! Tu- disse rivoltoa a Sara – vestiti in fretta e scappiamo. Ora non sei più una schiava!”.

Sara si strinse nella coperta.
La notte tropicale era fredda, e la jeep su cui stavano viaggiando da almeno un’ora sembrava avere più spifferi che vetri.
Compassionalmente le avevano prestato una coperta in cui avvolgersi, ma si sentiva lo stesso molto infreddolita. 
Nessuno dei suoi compagni di viaggio parlava e sembravano tutti molto tesi; sovente si voltavano per controllare se qualcuno li stesse seguendo.
Avevano affrontato armi in mano la scorta del Principe; sicuramente il dittatore non l’aveva presa bene ed era presumibile che già stesse organizzando una rappresaglia. 
Era normale fossero preoccupati.
La jeep sterzò bruscamente a destra e si immise in un sentiero appena tracciato; percorse qualche centinaio di metri quando due uomini armati sbucarono dalla boscaglia e puntarono i fucili verso di loro.
L’autista arrestò il mezzo, lasciò che gli puntassero una potente luce sul volto e – una volta identificato – ripartì sollevando una leggera pioggia di fango.
“Siamo arrivati!”, disse Rodriguez dopo qualche minuto.
Sara si sporse oltre il finestrino.
Davanti a loro si apriva uno spiazzo circolare, al centro del quale si ergeva una costruzione in pietra che doveva avere un centinaio d’anni.
“Era una fattoria, non viene più usata da vent’anni – spiegò Rodriguez – Ne abbiamo fatto la nostra base, anche se dobbiamo essere sempre all’erta. Da un momento all’altro potrebbero scoprirci”.
Sara annuì, chiedendosi se ci sarebbe stata anche Alessia ad aspettarla.
Si sentiva molto grata alla ragazza per aver condiviso il dolore e le sensazione che lei stessa aveva provato.
Doveva essere stato molto duro per lei.
*Sto arrivando, ci sei?*, provò a pensare. Prima aveva funzionato.
La risposta arrivò subito, incredibilmente nitida.
*Non vedo l’ora di abbracciarti. Sei stata molto coraggiosa*.
Sara sorrise.
In una situazione come quella, le faceva piacere incontrare una persona sensibile come Alessia.
L’auto proseguì fino ad un grosso portone e si arrestò bruscamente.
“Forza, scendete in fretta! – urlò Rodriguez – Qui siamo sotto tiro!”.
LE porte si aprirono simultaneamente e tutti gli occupanti scesero come molle.
Quando il portone si richiuse alle loro spalle, Rodriguez prese Sara da parte.
“Domani mattina arriverà quì il nostro contatto della CIA – spiegò – Dovrai parlare con lui e raccontare tutta la tua esperienza; inoltre preleverà l’apparecchio e lo porterà via”. 
“E poi? – domandò Sara – Dovremo rimanere qui?”.
Rodriguez alzò le spalle.
“Non dipende da noi. Abbiamo l’appoggio degli Stati Uniti, ma ora come ora non possiamo scappare. Ci faranno sapere”. 
Sara annuì.
“E mia madre e mio fratello? Cosa succederà a loro?”.
Rodriguez si grattò la testa.
“Onestamente, per loro la vedo difficile nell’immediato. Mi sembrano molto convinti di quello che stanno facendo, l’hai visto anche tu durante lo spettacolo. Non hanno fatto nulla per evitare quello che stava capitando”.
Sara deglutì.
“Ma non pensiamoci ora – proseguì Rodriguez – Ora ti porto nella tua stanza dove potrai riposare; al resto penseremo domani”.
La guidò lungo una scalinata fino al sottotetto.
Aprì una porta e le mostrò una minuscola stanza.
Non c’era nulla tranne un letto e una candela appoggiata su un comodino grezzo.
“Non è il Grand Hotel – si giustificò Rodriguez – però le lenzuola sono pulite e il materasso è comodo. Dovrai accontentarti”.
Sara lo tranquillizzò.
“Non c’è problema, sono talmente stanca che dormirei anche per terra”.
 Rodriguez la salutò con un cenno del capo e si chiuse la porta alle spalle.
Sara si mise a sedere sul letto.
Era veramente stanca; per di più l’avevano prelevata dallo SLOC così come era vestita, e l’abito da sera con il tacco dodici sicuramente non era la mise corretta per fare la rivoluzionaria.
Si tolse le scarpe e appoggiò la pianta dei piedi sul pavimento di legno.
Andava un po’ meglio.
Abbassò la lampo e si tolse anche il vestito, rimanendo in biancheria intima.
Avrebbe voluto fare una doccia, meglio ancora un bagno, ma le facilities di quel posto non era proprio da quattro stelle.
*Sara, sei arrivata?*, sentì nella sua testa.
Il pensiero era nitidissimo, non fosse stata da sola le sarebbe venuto il dubbio che fosse stato qualcuno a parlare.
*Sono arrivata – pensò in risposta – Sono in una piccola stanza, nel sottotetto*.
*Ho capito dove sei, arrivo subito*.
 Sara fece solo in tempo a pensare se era il caso che si rivestisse per accogliere Alessia che la porta si spalancò.
Le due ragazze si guardarono per un attimo negli occhi, poi si abbracciarono.
“Sono così contenta che tu sia qui al sicuro – le disse Alessia nell’orecchio – Ero così preoccupata che ti succedesse qualcosa di serio, visto quello che avevano in serbo per te!”.
Sara la strinse ancora di più.
“Fa piacere anche a me – disse – e ti sono veramente grata per quello che hai fatto per me. Nessuno meglio di me sa quanto hai sofferto”.
Sciolsero l’abbraccio e si sedettero sul letto.
“E ora cosa facciamo? – chiese Sara – Ho chiesto a Rodriguez ma non mi ha detto molto”.
Alessia scosse la testa.
“Io non ne so di più, è tutto nelle sue mani. Ma adesso non pensarci, è importante che tu ti rilassi e che ti rimetta in forze. Mettiti sdraiata sulla pancia, dai!”.
Sara non si aspettava la richiesta, ma fece quello che le chiedeva.
Alessia si scaldò le mani sfregandole tra di loro, poi le posò sulle spalle di Sara. Frizionò per qualche secondo il collo della ragazza, poi afferrò saldamente le spalle.
Sara sospirò. Era molto tesa e stanca, un massaggio le avrebbe fatto sicuramente bene.
Alessia sentì immediatamente una sensazione di benessere alla schiena.
Cosa stava succedendo?
Certo, era l’apparecchio ancora dentro di loro!
Accarezzò con le unghie la schiena di Sara, e subito avvertì la medesima sensazione sulla sua.
Era stupefacente!
Fino a quando erano state distanti i due apparecchi avevano trasmesso solo le sensazioni più forti, ma ora che erano vicinissime sembravano essere un corpo solo.
Chiuse gli occhi e si concentrò solo sulle sensazioni tattili.
Posò le mani sulla schiena di Sara e seguì il disegno della sua spina dorsale.
Immediatamente sentì la ragazza sospirare, mentre anche lei sentiva i muscoli della schiena rilassarsi.
Si chinò verso Sara e le slacciò la chiusura del reggiseno.
Sara si irrigidì leggermente, ma non si oppose.
Alessia accostò il suo viso all’orecchio della ragazza.
“Va tutto bene?”, le sussurrò.
Sara annuì.
Alessia non aveva bisogno di conferme per sapere che Sara si stava lentamente eccitando, bastava che sentisse dentro di sè.
Accostò le labbra al collo di Sara e glielo baciò.
Sentì subito il suo cuore accelerare, senza riuscire a distinguere se fosse sua la sensazione che stava sentendo o piuttosto quella di Sara.
 
Sara sentì le labbra di Alessia sul suo collo e trattenne il fiato.
Aveva supposto sarebbe capitato. Era stato già strano in spiaggia che Alessia avesse preteso un bacio, ma un attimo prima – quando la ragazza si era proposta di farle un massaggio – aveva intuito che qualcosa avrebbe potuto capitare.
Aveva concluso che non gliene fregava nulla.
Aveva avuto così tanti benefici dagli uomini?
Dove l’aveva portata l’essere sessualmente attraente per il genere maschile?
Nuda su un palco a farsi impalare da suo fratello, per non menzionare quanto era successo prima.
Alessia era l’unica da parecchio tempo a quella parte che sembrava fare qualcosa per lei in maniera disinteressata.
Le mani di Alessia le percorsero lentamente la schiena.
Era brava, stava toccando proprio i punti più dolenti.
Le massaggiò la base del collo, poi prese a scendere.
Con le mani aperte le frizionò le scapole e la spina dorsale, con un movimento lento e piacevole
Sara sentì che la punta dei polpastrelli di Alessia le stava sfiorando la base dei seni, schiacciati sotto di lei.
Era piacevole.
Si sollevò leggermente in modo da facilitarle il tocco; un attimo dopo le mani di Alessia avevano avvolto completamente i suoi seni, stringendoli.
Sara sentì come una corrente elettrica attraversarle la spina dorsale.
Aprì la bocca per prendere fiato.
“Voltati”, le sussurrò la ragazza nell’orecchio.
Sara non disse nulla, ma si distese sulla schiena, constatando in quel momento di avere i capezzoli eretti.
Chiuse gli occhi e un attimo dopo sentì la lingua di Alessia accarezzarle il capezzolo sinistro.
Sospirò a lungo.
 
Alessia sentì il sapore del capezzolo di Sara sulla punta della lingua, e contemporaneamente il suo seno le trasmise la sensazione di essere leccata da una lingua invisibile.
Era una situazione strana, ma bastava chiudere gli occhi e non pensarci.
Umettò delicatamente il seno di Sara, poi si spostò sull’altro.
Aveva un buon sapore, intenso ma gradevole.
Con le unghie le solleticò la pancia, provocando a se stessa un lungo brivido, poi infilò la mano nelle mutandine di Sara.
Era bagnata, ma questo già lo sapeva.
“Che dici, le togliamo queste?”, le sussurrò in un orecchio.
 
Sara non osò rispondere a voce, aveva paura che l’eccitazione le avrebbe rotto il fiato; si limitò ad annuire.
Sollevò il bacino per permettere ad Alessia di sfilarle anche l’ultimo indumento e rimase in attesa.
Non era la prima volta che si faceva accarezzare da una persona del suo stesso sesso, ma era la prima volta che sceglieva di farlo, che non si comportava da schiava.
Fino ad ora era sicuramente un’esperienza piacevole.
Alessia le sfiorò il sesso con la punta delle dita.
Sara sospirò.
Sentì due dita giocare con il suo clitoride fino a scoprirlo, poi le stesse dita lo sfiorarono con delicatezza.
Deglutì.
Due polpastrelli lo presero in mano, accarezzandolo con dolcezza.
Sara sentiva il proprio sesso urlare, chiedere l’orgasmo a gran voce.
Alessia la stava toccando in maniera sensazionale, sembrava sapere perfettamente dove toccarla e come.
La ragazza alternò tocchi leggeri a carezze più intense, poi sembrò interrompersi.
Un attimo dopo Sara sentì il respiro di Alessia sul suo sesso, e poi la sua lingua.
Le insinuò la punta tra le grandi labbra, percorrendole come un preciso pennello intento a disegnare una linea sottile.
Sara allargò le gambe, cercando di facilitare il compito ad Alessia.
Alessia posò le labbra sul clitoride di Sara e lo succhiò come fosse un gelato.
Sara si sentì esplodere.
Avrebbe voluto ritardare l’orgasmo, ma non ne era più in grado.
Si mise un pugno in bocca per non urlare, ma proruppe comunque in una specie di mugolio, mentre anche Alessia si sollevava velocemente dal suo inguine e spalancava la bocca, venendo rumorosamente.
“Possibile che le fosse bastato leccarla per venire”, si chiese Sara.
Poi capì: era l’apparecchio.
Alessia si era di fatto masturbata da sola, vivendo in tempo reale le sensazioni di Sara.
“Spogliati – disse Sara – Voglio farti un regalo”.
Alessia sorrise, pur non capendo.
Si slacciò velocemente la camicetta, si liberò dei pantaloni e della biancheria intima, poi si sdraiò accanto a Sara.
Il linguaggio non verbale del suo corpo era chiaro: fammi quello che vuoi.
Sara le sorrise e con una mano si toccò nuovamente l’inguine.
Era ancora bagnata per essere appena venuta e non faticò a ritrovare l’eccitazione.
Alessia, apparentemente senza che nessuno la toccasse, sentì il cuore cominciare a battere più velocemente.
“Ti piace, vero?”, le chiese Sara senza smettere di accarezzarsi.
Alessia annuì.
Sara si infilò due dita dentro la vulva.
Alessia spalancò la bocca.
Sara agitò le dita dentro di sè, come fossero le gambe di un omino che nuotava.
Alessia prese ad ansimare rumorosamente.
A quel punto Sara si chinò sul sesso di Alessia e le diede un lungo bacio.
Alessia sentì il suo corpo quasi esplodere.
Le sensazioni provocate dal corpo di Sara si sommarono a quelle del suo, provocandole un’eccitazione che non aveva mai provato.
Era come se avesse due clitoridi, come se le sue terminazioni nervose fossero diventate ipersensibili.
Sara prese a leccarla sempre più velocemente, mentre aggingeva un altro dito all’interno della sua vagina.
Ora anche lei era prossima ad un nuovo orgasmo; rallentò un attimo per godersi meglio quel momento e, con l’altra mano, inserì un dito nel sedere.
Per Alessia fu il culmine: venne urlando, come se l’orgasmo fosse una carica elettrica che le attraversava il corpo.
Sara aumentò la stimolazione e venne anche lei, abbandonandosi sudata accanto all’amica.
“Quando finirà tutto questo inferno – disse Alessia ansimando – promettimi che io e te ci vedremo ancora”.
 Sara deglutì, cercando di riprendere fiato.
“Certo – disse finalmente – ma solo se faremo l’amore tutti i giorni!”.
Sorrisero e si scambiarono un lungo bacio.
Si addormentarono dopo pochi minuti, esauste.
 
Mezz’ora dopo un commando di uomini armati entrava sparando nella base della resistenza.


Sara e Alessia, vestite con l’uniforme bianca della prigione, si alzarono in piedi quando il giudice entrò in aula.
Si era assentato una mezz’ora per deliberare, anche se l’esito del processo era scontato.
Come lo stesso pubblico ministero aveva fatto notare, in uno Stato in cui la schiavitù è legale, per una schiava è un reato fuggire.
In uno Stato in cui un padrone può fare quello che vuole alle sue schiave, la crudeltà dei trattamenti subiti non può essere giustificazione della fuga.
Il loro avvocato difensore – assegnato d’ufficio e visibilmente seccato per l’incarico – si era limitato a invocare la clemenza del giudice affinchè la piena fosse lieve.
Si fece silenzio.
Il giudice emise la sentenza in esperanto e la sottolineò con un colpo di martello, accompagnato da un brusio di approvazione da parte degli astanti.
“Cosa ha detto?”, domandò sottovoce Sara ad Alessia.
“Siamo condannate alla pubblica umiliazione – rispose Alessia – Poi diventeremo di proprietà del Principe”.
“Cosa vuol dire pubblica umiliazione?”.
Alessia scosse la testa:”Può essere qualunque cosa. Ma nulla di buono, puoi starne certa!”.
Arrivarono le guardie e le portarono nuovamente nelle loro celle.
La sentenza sarebbe stata eseguita la sera stessa.

Il Principe guardò prima verso suo fratello, poi nuovamente l’uomo nudo legato al tavolo.
Sembrava svenuto, e probabilmente lo era.
Piccoli morsetti attaccati da un capo ad una batteria e dall’altro ai suoi testicoli e al suo prepuzio testimoniavano cosa l’uomo aveva dovuto subire.
“Allora, cosa dovevi dirmi di così urgente?”, chiese il principe.
Il fratello prese fiato e raccontò nuovamente la storia.
“Quest’uomo si chiama Esteban Garcia ed è uno scienziato. Mi ero stupito che la resistenza avesse applicato una tal profusione di mezzi per far scappare una schiava irrilevante come Sara, allora mi sono preso la briga di interrogarlo. E ho scoperto una cosa incredibile”.
Il principe si accese una sigaretta.
“Vai avanti, non farti pregare!”, lo esortò.
“Scusami. Per farla breve, nel corpo delle ragazze, Sara e Alessia, ci sono due apparecchi che hanno trasmesso verso l’esterno tutto quello che loro due hanno vissuto. Tutte le torture, tutti i soprusi. Tutto”.
Il principe lo guardò sbalordito.
“Verso chi è diretta questa trasmissione?”.
“Lui dice la CIA, ma dobbiamo ancora verificarla. È svenuto mentre lo torturavo”.
Il principe sbattè una mano sul tavolo, proprio accanto alla testa di Esteban.
“Questa cosa non ci voleva! Se non è la CIA è comunque qualcuno fuori, e non abbiamo bisogno di questo genere di pubblicità”.
L’uomo legato al tavolo emise un leggero gemito.
Il principe gli diede uno schiaffo e Esteban aprì gli occhi.
“Senti, pezzo di merda, se non vuoi vedere i tuoi genitali liquefarsi vedi di non svenire più e di rispondere tempestivamente alle domande che ti faccio, ok?”, ruggì il principe.
Esteban non rispose.
“Prima hai parlato di un apparecchio trasmittente. Dimmi di più. La trasmissione è già avvenuta?”.
Esteban annuì.
“Certo. La trasmissione è in tempo reale: Sara trasmetteva ad Alessia, e da lì abbiamo girato tutto alla CIA. A breve tutto il mondo saprà cosa succede qui”.
Il principe si grattò il mento, pensieroso.
“Come funziona questo apparecchio?”, domandò.
“Comunica con il sistema nervoso – rispose Esteban – Riceve dati dal cervello nel caso dell’apparecchio trasmittente e li invia al cervello nel caso di quello ricevente”.
Il principe rimase in silenzio per qualche minuto.
“Poniamo che io voglia far arrivare un messaggio particolare al cervello delle ragazze, potrei programmare gli apparecchi in modo da farlo? Non so, un immagine, un ricordo. O anche una sensazione, come la paura o la noia?”.
Esteban annuì.
“Tutto quello che passa attraverso il sistema nervoso può essere gestito da questi apparecchi. Ovviamente si tratta ancora di una tecnologia sperimentale, non ci sono ancora casi….”.
“Stai zitto!”, lo interruppe il principe.
Rimase qualche secondo a pensare, poi si rivolse al fratello.
“Chiama il più dotato scienziato che abbiamo qui sull’isola e fallo parlare con questo stronzo, affinchè gli spieghi come funzionano quegli apparecchi. Abbiamo ancora una possibilità di uscirne bene”.
Uscì dalla sala e si diresse verso il suo palazzo.

Il cortile del palazzo reale era gremito di folla.
L’umiliazione pubblica non era un evento raro, ma quella sera si preannunciava particolarmente interessante, visto che coinvolgeva due schiave giovani e che la pena era stata invocata direttamente dal principe.
Tutti sapevano che il loro sovrano era particolarmente creativo in queste cose.
Un militare prese posto su un palco in legno montato al centro del cortile.
Il pubblico capì che lo spettacolo stava per cominciare e prese a urlare la propria gioia.
Il vociare della folla raggiunse anche Sara e Alessia, rinchiuse in una cella all’interno del palazzo.
“Quanti saranno?”, chiese Sara ad Alessia.
La ragazza sbirciò fuori dalla piccola finestra chiusa con le sbarre.
“Ad occhio direi almeno tremila persone”.
Sara scosse la testa sconfortata.
“Cosa ci faranno fare davanti a tutte queste persone?”, domandò.
Alessia la guardò scuotendo la testa.
“Guarda, il pubblico è proprio l’ultimo dei miei timori”.
Sentirono rumore di stivali avvicinarsi a loro; si abbracciarono tremanti.
Un militare armato aprì la porta della cella.
“Tu sarai la prima!”, disse puntando un dito contro Alessia.
Altri due uomini entrarono nella piccola stanza e la portarono a forza fuori.
“Sii forte! – le urlò Sara – Ti amo!”.
Chiusero la porta della cella alle spalle di Alessia e le puntarono i fucili addosso.
“Spogliati!”, le ordinò il militare.
Alessia eseguì in silenzio, lasciando cadere a terra la sua uniforme di carcerata.
“Ora indossa questi!”, le disse passandole un paio di stivali.
Alessia li calzò: erano di pelle nera, con un tacco importante, e un anello metallico inserito appena sotto al ginocchio.
“Apri le braccia!”.
Due militari sollevarono una trave di legno lunga circa due metri e vi fissarono le braccia di Alessia, come se si trattasse di una croce dotata del solo braccio orizzontale.
Il capo prese un guinzaglio a forma di Y e lo pinzò ai capezzoli di Alessia con dei morsetti metallici.
“Andiamo!”, le disse dandole uno strattone.
Si spalancò la porta e penetrarono nel cortile come fossero un corteo: il capo per primo, subito dietro Alessia al guinzaglio e dietro di loro i militari.
La folla prese a vociare non appena vide la ragazza.
“Puttana!”.
“Bastarda!”.
“Troia!”.
Alessia tenne lo sguardo a terra e non guardò attorno a sé, fino a quando non giunsero alla base del palco.
Prese a salire gli scalini, impresa tutt’altro che facile con i tacchi e le braccia immobilizzate da una trave così pesante.
Arrivò fino alla sommità, poi perse l’equilibrio e cadde in ginocchio.
La folla ululò di godimento.
“Stai pure giù!”, le disse il militare.
Si accostò al suo volto e estrasse il membro dai pantaloni.
“Fai qualche scherzo e la tua diventa un’esecuzione pubblica!”, la minacciò.
Alessia chiuse gli occhi e aprì la bocca, permettendo all’uomo di entrarle dentro.
Il pubblico rimase in silenzio, quasi come se la ragazza stesse avendo un rapporto con ognuno di loro.
L’uomo prese ad agitarsi sempre di più, fino a quando non venne nella bocca di Alessia.
“Ingoia, o ti scaravento giù!”, la minacciò.
Alessia chiuse le labbra e ingoiò il seme.
La folla applaudì con partecipazione.
Due uomini si materializzarono accanto a lei e la aiutarono ad alzarsi prendendola per la trave, poi la condussero al centro del palco.
In quel punto era montata una struttura metallica che sembrava una porta da calcio priva di rete, dalla cui barra orizzontale pendevano delle catene metalliche.
Gli uomini issarono la trave e la agganciarono alle catene, sollevando Alessia da terra di qualche centimetro, poi calarono due catene più lunghe e le fissarono agli anelli sotto al polpaccio.
Fecero girare una ruota dentata e le catene si accorciarono, sollevandole le gambe e esponendo perfettamente la sua vulva e il suo ano.
La folla si produsse in un applauso condito da parecchi fischi, mentre Alessia si mordeva le labbra per non piangere.
Il capo zittì la folla con un gesto e prese un microfono.
“In nome del principe, abbia inizio la pubblica umiliazione per questa schiava infedele e traditrice”.
Applausi dalla folla.
“E per dimostrare a lei, e a tutte quelle che volessero imitarla, che chi tradisce il principe tradisce tutto il popolo, oggi sarà il popolo a punirla!”.
Un’autentica ovazione si alzò dagli spalti, mentre Alessia provava inutilmente a far forza sulle corde che la legavano.
Il capo si voltò verso di lei con un ghigno feroce, poi si fece portare una grossa scatola di cartone.
Con fare teatrale vi introdusse una mano e ne estrasse un foglietto ripiegato; lo aprì e lo portò vicino al viso.
“Venga sul palco il possessore del biglietto 3465!”.
Si vide un movimento sugli spalti, poi un uomo vestito da contadino salì gli scalini, mentre i suoi concittadini applaudivano, forse un po’ delusi per non essere stati estratti.
Il militare gli diede una pacca sulla spalla e indicò Alessia.
“Vai, serviti! Puoi farle quello che vuoi!”.
L’uomo si avvicinò alla ragazza che ancora cercava di liberarsi.
“Posso metterglielo nel culo?”, chiese l’uomo un po’ timidamente.
Il militare rise come se avesse detto una cosa spiritossissima.
“Certo! Puoi fare quello che vuoi!”.
Il contadino si abbassò i calzoni e estrasse un membro già rigido.
Lo accostò all’ano di Alessia e, senza nessun tipo di grazie, glielo spinse a fondo.
Alessia urlò, e il suo urlo fece infervorare ancora di più la folla.
L’uomo nel frattempo sembrava aver perso quella specie di timidezza con cui si era presentato.
Le spinte del suo bacino facevano dondolare Alessia, con il solo risultato di accentuare ancora di più la penetrazione.
Afferrò Alessia per le anche e la tenne stretta, poi venne emettendo una specie di ululato.
La folla applaudì soddisfatta.
L’uomo si sollevò i pantaloni e si allontanò in silenzio.
Il militare prese nuovamente il microfono.
“Concittadini, pensate che questa puttana sia stata punita?”.
Un vocio greve rispose all’interrogativo.
“Neppure io lo penso. Per questo motivo, su espressa richiesta del principe, questa puttana sarà punita ancora. Quante volte?”.
Alessia non riuscì a trattenersi.
“Pezzo di merda, lasciami andare! Cosa vuoi ancora farmi?”.
L’uomo si voltò e si avvicinò a lei come una furia.
“Il principe aveva chiesto di farti scopare da dieci uomini – le sibilò in faccia – Ma credo che per una come te dieci uomini siano una carezza!”.
Le strinse un capezzolo con forza e si girò verso la folla.
“Concittadini, questa sera cento di voi saranno chiamati qui sul palco a svolgere il proprio dovere!”.
Cento!
Alessia sentì gli occhi riempirsi di lacrime.


Il portone si spalancò davanti a Sara e avanzò verso il centro del cortile.
Era nuda, accanto a lei due militari armati si preoccupavano che non scappasse, mentre tutto intorno la folla era decisamente su di giri.
Gettò un’occhiata verso il palco: un uomo peloso stava penetrando Alessia e il contatore segnava il numero trentanove.
Sarebbe stata ancora lunga per lei.
I militari la condussero ad un letto e con un gesto la invitarono a sdraiarsi.
Sara si coricò sul nudo materasso e subito i due uomini le ammanettarono caviglie e polsi alle estremità della rete.
Casomai qualcuno non avesse visto tutto di lei, ora sarebbe stato soddisfatto.
Udì la folla rumoreggiare, si voltò e capì perché: un grosso uomo di colore, la cui dotazione era evidente anche da quella distanza, si stava avvicinando ad Alessia.
“Fatti coraggio, amore – pensò – Tutto finirà prima o poi!”.
La risposta di Alessia arrivò immediatamente.
“E’ così umiliante, è così tremendo. Non ho il coraggio di guardare cosa faranno a te”.
I pensieri di Sara vennero interrotti dal capo dei militari.
Si accostò a lei, le palpò un seno e, in silenzio, le inserì in bocca un anello metallico posizionato in maniera tale da imporle di tenere la bocca aperta.
Prese un microfono in mano e alzò una mano per ottenere attenzione.
La folla si zittì; si sentivano in sottofondo solo i gemiti di Alessia.
“Concittadini, ecco la seconda puttana che merita di essere punita. Subirà qui di fronte a tutti noi un’umiliazione che si ricorderà per tutta la vita, per di più davanti a sua madre e a suo fratello!”.
Indicò un punto degli spalti in cui sedevano Angela e Luca, immobili.
Questo particolare eccitò la folla, che applaudì.
“Inoltre, come se non bastasse, ad iniziare il supplizio non saranno degli anonimi carnefici, ma i suoi stessi amici!”.
La porta si spalancò nuovamente ed entrarono Esteban e Rodriguez, anche loro scortati.
Erano entrambi nude e ammanettati dietro alla schiena.
Vennero condotti ai lati del letto, all’altezza della testa di Sara.
Solo in quel momento, quando furono più vicini, Sara si accorse che attorno al pene ciascuno di loro aveva un anello elettrico.
“Che abbia inizio la prova!”, urlò l’uomo nel microfono.
I due anelli elettrici iniziarono a funzionare con un ronzio, portando subito i due membri in posizione eretta.
Rodriguez cercò di contrastare l’effetto inevitabile dello strumento pensando ad altro, facendo smorfie e cercando di provocarsi del dolore mordendosi l’interno delle guance, ma la sua resistenza durò poco.
“Scusami, Sara”, disse, e venne.
Il fiotto di sperma si infilò perfettamente nella bocca di Sara, tenuta aperta dall’anello.
Rodriguez venne portato via e un altro uomo prese il suo posto.
Era l’autista della jeep con cui erano scappati.
Sara fece in tempo a notare chi era che sentì Esteban ansimare.
“Non riesco a resistere….”, stava dicendo.
Sara chiuse gli occhi e sentì subito dopo il liquido caldo colpirle le labbra e colarle lungo il collo.
Un altro uomo della resistenza prese il suo posto, anche se Sara non riuscì a capire se l’avesse mai visto.
Ancora un mugolio, e l’autista della jeep le venne nuovamente in bocca.
Sara ebbe giusto il tempo di sentire il suo sperma colarle in gole, poi l’ultimo arrivato le scaricò il suo seme all’altezza degli occhi, che fortunatamente Sara riuscì a chiudere per tempo.
Si voltò verso destra e vide uno sconosciuto.
Questo non indossava l’anello elettrico ma si stava masturbando.
Capì subito cosa stava capitando: così come stava capitando ad Alessia, anche per lei uomini estratti a caso tra il pubblico avrebbero partecipato alla sua umiliazione.
Questo non era legato, ed ebbe modo di accostare il prepuzio alle labbra di Sara e a strofinarglielo sopra prima di venirle in bocca.
Sara chiuse gli occhi.
Tutto questo sarebbe finito prima o poi.

Un’ora dopo era effettivamente tutto finito.
Cento uomini erano venuti addosso a lei: molti in bocca, altri si erano dilettati a colpire altre parti del suo corpo.
Quattro, premiati con un’estrazione particolarmente fortunata, avevano avuto il piacere di penetrarla e venire dentro di lei, tutto in un tripudio di folla.
Durante tutto il supplizio né Luca né Angela avevano fatto una piega, come se non la conoscessero.
I militari la slegarono e la portarono a braccia dentro l’edificio.
Indossavano quanti di lattice, come se facesse loro schifo toccarla, e probabilmente era vero.
La gettarono in un locale che sembrava uno spogliatoio.
“Fatti una doccia e togliti questo schifoso odore di sperma!”, le ordinarono.
Andò verso la doccia, poi si voltò verso di loro.
“Vi spiace voltarvi?”, chiese seccata.
“Ma fatti furba, come se non ti avesse visto nessuna – risposero ridendo – Muoviti o ti riportiamo fuori!”.
Sara aprì l’acqua, prese un flacone di bagno schiuma e se lo rovesciò addosso, poi si pose sotto il getto bollente.
Voleva pulire ogni interstizio del suo corpo da quell’odore.

Rimase almeno venti minuti sotto alla doccia, poi un battito di mani dei soldati le impose di chiudere l’acqua.
Le porsero un accappatoio bianco e si avviluppò dentro.
Ora la sua pelle profumava di nuovo e si sentiva meglio.
Non fece in tempo a formulare questo pensiero che gliene venne un altro.
Ora che sarebbe stato di lei?
La sua ultima prospettiva era essere schiava del principe, ma era ancora così? O forse avevano in serbo per lei qualcosa di più terribile?
Strana la vita: qualche giorno prima quella stessa prospettiva l’aveva atterrita, ora quasi sperava che nulla fosse cambiato.
I militari la presero per le braccia e la condussero lungo un corridoio fin verso una stanza che sembrava uno studio medico.
Su una lettiga giaceva Alessia, nuda e apparentemente addormentata.
“Togliti l’accappatoio e sdraiati!”, le ordinò uno dei militari, indicando una lettiga vuota accanto alla compagna.
“Vi prego, non fatemi più niente! – disse Sara – Non ce la posso più fare di oggi!”.
Senza rispondere le diedero uno spintone e le tolsero l’accappatoio, poi le puntarono una pistola contro.
Sara ubbidì, tremando.
Un attimo dopo entrò un uomo con un camice bianco.
Si accostò a Sara, la degnò appena di uno sguardo e, dopo averle disinfettato un avambraccio, le praticò una rapida iniezione con mano esperta.
Sara fece appena in tempo a chiedersi se quella fosse l’iniezione letale, poi perse conoscenza.

“Liberarle?”.
Il principe annuì a suo fratello.
“Hai capito bene. Voglio liberarle”.
“E per quale motivo?”.
“Per salvarci. Segui il mio ragionamento”.
Il principe si accese un sigaro e prese a passeggiare.
“Non possiamo farle sparire: la CIA è a conoscenza di cosa è successo a Sara e Alessia e una loro improvvisa sparizione sarebbe estremamente sospetta. Però dobbiamo analizzare cosa effettivamente sanno. Sanno che hanno avuto rapporti plurimi, anche incestuosi, anche in pubblico. Queste cose le sanno già, però non sono sufficienti. Ci sono ragazze che fanno tutte queste cose volontariamente, senza nessuna costrizione. Purtroppo poche, ma ci sono”.
“Certo – Ma come possiamo far loro cambiare versione? Sara sa benissimo cosa le è successo”.
Il principe tirò dal sigaro e sorrise.
“L’apparecchio dentro il loro corpo riceve informazioni dal cervello e ne fornisce al cervello, ed è programmabile. Cambierebbe qualcosa se Sara ricordasse di essersi prestata volontariamente a certe pratiche?”.
Il fratello spalancò gli occhi.
“Certo! In questa maniera la CIA si persuaderebbe che le sensazioni che sono arrivate erano autentiche, ma causate da una scelta precisa di Sara”.
“Infatti. E se, in più, dotassimo la ragazza di un’indole un po’ …..come dire?….da zoccola, il quadro sarebbe perfetto: una maiala è venuta in vacanza qui e si è divertita come una matta. Le hanno installato quell’apparecchio, ma tutto quello che ha registrato sono stati i divertimenti di Sara, leciti e consentiti!”.
“E’ un’idea geniale, fratello! Ma si può fare?”.
Il principe sorrise: “Lo stanno facendo proprio in questo momento. Terminata la riprogrammazione, sia Sara che Alessia verranno rispedite in Italia e lasciate a loro stesse. E noi saremo salvi!”.

Sara scese dall’aereo barcollante.
Aveva dormito molto e sentiva un forte mal di testa.
Era reduce da una vacanza decisamente appassionante: aveva preso il sole e si era divertita come una matta.
Ora però doveva tornare a scuola, aveva ancora un esame di maturità da dare.
Questo però dopo. Ora l’unica urgenza che aveva era di farsi una bella scopata!

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