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Racconti di DominazioneRacconti erotici sull'Incesto

A.A.A. Schiava cercasi 4

By 26 Ottobre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Anche se con ritardo, l’autunno finalmente si faceva sentire in quel freddo lunedì di fine ottobre a napoli. Erano appena le 8:30 ma Giulia era già arrivata
all’università. Mancavano solo 30 minuti alla consegna del testo per iniziare l’esame scritto di russo così aveva lasciato la sua borsa sul banco dove di
solito siede per seguire la lezione e de ne era uscita per i corridoi. Vestiva con un gonnellino scozzese, camicia bianca e cravatta rossa, oltre ad una
giacca rossa e calze lunghe che le lasciavano solo pochi centimetri di coscia in vista. Ai piedi indossava un paio di stivaletti bassi, con un solo centimtro
di tacco. Sembrava quasi una uniforme da scolaretta tipo quella indossata dalle T.A.T.U. nei loro primi videoclip, solo che Giulia nella sua grazia riusciva
a risultare elegante e graziosa allo stesso tempo. In mattinata aveva passato molto tempo a curarsi i capelli, pettinarli, coccolarli. Cominciava persino
ad ammetterlo col cuore che voleva sembrare bella per il tizio.
Si guardava intorno, non aveva nessuna paura dell’esame, sapeva di essere preparata meglio di chiunque altro. A quell’ora non ci sono molti ragazzi quindi non
era difficile squadrarli uno ad uno per cercare di capire indizi su chi potesse essere il tizio. Il problema era che lei sapeva che indizi non ne sarebbero
arrivati. D’un tratto le venne in mente il film “Amabili resti” che racconta la storia di una 14enne uccisa da un serial killer che la spiava ma senza che
lei se ne fosse mai accorta. Era un pensiero strano, inquietante. Quasi quasi le venne voglia do non cercare il tizio, se non fosse per il fatto che non
riusciva a non pensare che la sua voce era una voce onesta, pacata.
Mentre si dirigeva al distributore automatico si mise a ridere tra se e se pensando “speriamo che il tizio sia più bello del killer del film, un uomo davvero
brutto per i miei gusti.” Il sorriso sparì subito quando si accorse che il caffè era finito e che quindi doveva scegliere il tè che non era proprio la sua
bevanda preferita ma aveva voglia di qualcosa di caldo da bere e non aveva tempo di uscire dall’università visto che ormai tra un quarto d’ora l’esame sarebbe
iniziato.
Mentre l’erogatore le prepara il tè si accorge che un ragazzo si sta avvicinando, ma non si ferma vicino a lei, sceglie invece il distributore delle bibite.
Giulia guarda un attimo l’orologio mentre prende il suo tè pensando che ha ancora qualche minuto e quindi può iniziare il suo gioco e squadrare un pò il
ragazzo. Aveva i capelli corti, molto corti, non molto curati. Si vedeva che probabilmente era uno dei tanti che se li taglia da solo con quelle macchinette
simili a quelle usate dai barbieri professionisti; a Napoli se ne trovavano a bizzeffe tra i vari “vu cumbra” e mercatini cinesi sparsi per il centro.
Anche la barba non era curata, non gli cresceva del tutto, solo il pizzetto era folto. Forse era il tipo di ragazzo che non si cura molto del suo aspetto.
Aveva un aspetto da tipico napoletano, occhi e capelli neri. Carnagione abbastanza scura. Nonostante i 15 gradi esterni indossava solo un paio di jeans e una
maglia a maniche lunghe ma leggera, a strisce orizzontali blu e grigia. Stava ascoltando musica, forse da un iPod ma Giulia non ne era sicura visto che i
fili dell’auricolare entravano nella maglia a non si vedeva a cosa fossero attaccati. Il ragazzo prese una lemonsoda, sembrava muoversi in modo naturale,
come se facesse questo tutti i giorni, ma poi Giulia decise di non sfidare già la sorte con la frase descrittagli dal “tizio” e decise di pensare prima
al suo esame. Con stupode vide che il ragazzo la seguiva. Ma poi capì che forse stava solo andando nella stessa direzione.
“Il tizio non sarebbe mai così banale, che gusto ci sarebbe a fare un gioco se poi lo termina prima del previsto? Andrebbe contro le regole imposte da lui
stesso.”
Arrivati al corridoio dove ci sono le varie aule, si accorse che il ragazzo si fermò vicino alla prima aula, quella di polacco, dove ci sono alcuni ragazzi
che Giulia conosce, chi per amicizia, chi per sentito dire. Come per esempio Nando, uno dei ragazzi più simpatici dell’univ. sempre con la battuta pronta
e la tipica faccia tosta dei napoletani nel buttarsi con tutte le donne che gli girano intorno. “Oddio fa che non sia Nando” si disse speranzosa. Non che
Nando fosse brutto (anche se non era nemmeno bello) ma aveva la serietà di un bambino di 5 anni.
Giulia fa per allontanarsi visto che scorge da lontano il prof. di russo che entra in aula, ma poi vede che il professore subito esce e si avvia verso
l’aula di polacco dove ci sono quei ragazzi. “Una uleriore occasione per scrutarli un poco” pensa mentre si avvicina con la scusa di salutare il prof.
Il clima all’apparenza è tranquillo e gioioso, mentre alla combriccola si aggiunge anche la professoressa di polacco che esce dall’aula. Una donna molto
bella e gentile, sposata ad un italiano, sempre disposta ad aiutare i suoi alunni, forse perchè avendo solo da poco superato i 30 anni, in fondo si sente
quasi come una studentessa. I ragazzi la salutano tutti con gentilezza, e lei li chiama per nome, ad uno ad uno. Ovviamente tutti le danno del lei, compreso
il professore di russo che la cercava per chiederle se le avanzassero alcuni fogli giurati per fare l’esame. Giulia intervenne con la scusa di chiedere al
professore di russo se ci fossero abbastanza vocabolari visto che il professore era sempre molto gentile da lasciarli usare ai suoi alunni. Era una ragazza
molto intelligente e riusciva a parlare col professore mentre analizzava gli altri ragazzi. Uno di loro, Alexander, detto Alex, un ragazzo russo che vive
da molti anni a Napoli, fa anche da assistente al professore di russo, anche se è a tutti gli effetti uno studente non ancora laureato. Giulia lo trova molto
bello, con i suoi capelli biondi col ciuffo alla bravo ragazzo, veste molto bene, e nonostante sia molto riservato come lo sono di solito i russi, sa essere
simpatico al momento giusto. Poi però pensa che Alex non ha mai perso il suo accento russo, quindi non può essere il tizio. Intanto la professoressa di polacco
è tornata con i fogli che il professore di russo le aveva richiesto quando si accorge del ragazzo che ascoltava musica e sorseggiava la sua lemon soda si era
allontanato per sedersi a studiare. La professoressa gli si avvicina e gli dice “ciao Vincenzo, come stai?” ed il ragazzo di risposta “tutto bene Agnieszka,
e tu?”.
Aveva chiamato la propria professoressa per nome, e le aveva dato del tu…
Nessuno sembrava sorpreso, nessuno era scandalizzato, era un chiaro segno che i due erano amici oltre che professoressa ed alunno, eppure nel modo di guardare
del ragazzo c’era qualcosa che Giulia sentiva, qualcosa che faceva di questo ragazzo il probabile “tizio”. Forse era la sua strafottenza nel continuare ad
ascoltare musica da un auricolare anche se chiacchierava con una professoressa? Forse era il fatto che pur essendo evidente che vosse uno studente, aveva il
permesso di darle del tu? Il professore di russo si avvia con Alex verso l’aula, faccenno cenno a Giulia di seguirlo ma lei esita. “Vengo subito professore”
e mentre lo dice si avvicina a quel ragazzo, non pensando nemmeno a quella professoressa. La curiosità aveva raggiunto il limite, doveva provare.
“ciao, scusa….hai per caso visto Axia?”
Non riusciva a credere di averlo detto, aveva già iniziato il gioco quasi non curante del fatto che avesse un esame da fare, che avesse tutto il giorno per
provare. Eppure era lì in piedi tra il ragazzo e la professoressa aspettando un cenno. Stava già pensando a che cavolo avesse dovuto dire nel caso il ragazzo
non avesse avuto idea di chi fosse questa Axia, nel caso non fosse stato il tizio.
Il ragazzo la guardò con un sorriso accennato, uno di quei sorrisi che si fanno per cortesia, per educazione, non certo un sorriso amichevole:
“Ciao….si mi ha detto che ti avrebbe aspettato al Neapolis per ora di pranzo dopo il tuo esame” poi con non curanza torna a parlare con la professoressa di
polacco.
“Ok…grazie…” furono le parole che riuscì a farfugliare Giulia mentre si allontanava in direzione dell’aula di russo. Il petto le batteva come se avesse
saputo all’improvviso di aver vinto al superenalotto. Era stata brava, aveva individuato subito il tizio. In viso sembrava una bambina che aveva ricevuto la
sua prima bambolina e poteva finalmente giocarci. Non si girò indietro, pensava che lui non volesse dare nell’occhio, che non volesse far capire niente ed a
lei faceva piacere. Poi le aveva fatto capire che voleva che facesse il suo esame. Lui l’avrebbe aspettata al neapolis, un locale di cucina greca.
Si stava però chiedendo se lui avesse guardato i capelli sciolti che lei aveva tanto curato in mattinata, perchè il tizio non le aveva dato nessun indizio.
Appena varcata la porta dell’aula di russo, si scoprì a sussurrare il nome del tizio, “Vincenzo” un nome tutto sommato comunissimo, quasi banale, ma poi si
guarda intorno per cercare di capire se qualcuno se ne fosse accorto dei suoi sussurri, ma fortunatamente gli altri studenti erano troppo presi a selezionare
i posti migliori per non farsi beccare a copiare, quindi il suo sussurro era svanito nell’aria. “Che scema” pensò, poi le venne in mente che non era la prima
volta che se scopriva a definirsi scema per colpa del tizio ma stranamente la cosa non la infastidiva. Si siede al suo banco e nota il foglio, dove ci sono
alcuni esercizi di grammatica e ed piccolo testo di poche righe da tradurre in italiano dal russo.
Siede pacata, tranquilla, sa di avere ben 4 ore ma di poter consegnare anche entro 3 ore, ma non prima. Legge divertita gli esercizi. Come da pronostico sa
di poter fare l’esame ad occhi chiusi ma poi si dice “cavolo se lo finisco subito poi passerò un casino di tempo a pensare, meglio che scriva con calma, al
limite vedo di aiutare qualcuno senza farmi beccare.”
Ed è infatti così che passa le 3 ore che la dividono dall’appuntamento. Scrivendo qualcosa sul foglio e di tanto in tanto bisbigliando risposte o traducendo
qualcosa per i pochi fortunati che le sedevano intorno, facendo ovviamente attenzione a non farsi beccare ne dal professore, ne da alex che ogni tanto si
alternavano nel controllare tra i banchi che non passassaro foglietti e pizzini vari. A mezzogiorno esatto Giulia non ce la fa più, si alza quasi di impulso
come se la sedia dove era seduta scottasse. Riorganizza le sue cose nella borsa e si dirige verso il professore con il foglio da consegnare.
“Fossero tutte brave come te” afferma il professore “non come sti smidollati” scherzando più che altro, essendo in fondo un professore molto ben voluto.
Giulia sorride divertita, poi saluta tutti ed esce, quasi dimenticando di salutare il “bell’alex”. Non pensava nemmeno che magari Vincenzo avesse anche lui
qualche esame, ed in ogni caso non le piaceva farsi attendere. Il neapolis era a soli 15 minuti dall’università, 15 minuti da fare rigorosamente a piedi
considerando il fatto che si trovava in un vicolo sperduto del centro, quindi impossibile da raggiungere in autobus.
Il passo è svelto ma elegante, mentre si guarda intorno per vedere se intravede Vincenzo, ma niente, probabilmente lui è già lì che la aspetta.
Appena arriva fuori dal locale dà una occhiata svelta all’interno ma non lo vede. “Forse ha già ordinato ed è andato su ai tavoli a mangiare.” pensa.
Ma poi con stupore sente una mano che si appoggia alla spalla sinista, che la volta dolcemente mentre le dice “sei puntuale, ineressante”…
Era lui…..Vincenzo era riuscito a seguirla in qualche modo senza fare il minimo rumore. Giulia lo guarda un attimo negli occhi, accorgendosi che nonostante
lui sembri un ragazzo poco curato, ha degli occhi molto belli, penetranti, tipici del napoletano che sa come guardare una ragazza quando la desidera.
Alla fine, deglutisce e abbassa un poco lo sguardo non sapendo cosa se facesse in questi casi, dicendo “si…non mi piace arrivare in ritardo, sono sempre
stata puntuale…” non arriva a finire ciò che voleva che lui le dice “guardami negli occhi, e dammi del tu, come ti sarai accorta mi chiamo vincenzo ma gli
amici mi chiamano semplicemente enzo. Tu usa quello che ti suona meglio, non mi piacciono i convenevoli”
Vincenzo aveva tolto la mano dalla spalla di Giulia e si dirigeva dentro al locale aggiungendo “ordiniamo? ho una fame da lupo”
Giulia era sorpresa del suo modo di fare amichevole, tutto faceva pensare tranne che si trovava di fronte ad un Dom, per giunta aveva avuto il permesso di
dagli del tu e di chiamarlo per nome. Era proprio vero, non conosceva affatto quel mondo e voleva capirne di più, mentre si avvia anche lei nel locale
scoprendosi a ricordare il momento in cui aveva sussurrato in aula il nome “vincenzo”. “Vincenzo….preferisco Vincenzo” ribadì con tono sicuro.
“Più a tuo agio oggi? sempre sicura di voler solo chiarirti con me?” le diceva lui mentre aspettava il suo turno di ordinare.
“Non lo so…non so nemmeno come mai non ho paura di stare qui con te” Si confessò Giulia “Fare amicizia suppongo non sia una opzione vero?” chiedeva quasi
sicura che avrebbe ricevuto un no come risposta ma in fondo chiedere non era un reato.
La conversazione è interrotta per un momento dal ragazzo che chiede cosa volessero da mangiare e vincenzo gli dice “per me un neapolis” (ovvero una razione
doppia di Pita greca con un paio di spiedini, diciamo non proprio la cosa più salutare al mondo) poi si volta per guardare Giulia per vedere cosa lei volesse
ordinare, e lei dice “una pita ed una cola” così vincenzo finisce l’ordinazione dicendo “per me invece una nastro azzurro”.
Mentre aspettano che la loro ordinazione sia pronta, vincenzo la guarda, quasi come stesse guardando un oggetto che ha intenzione di comprare, ma in un modo
stranamente gentile mentre finalmente si decide a rispondere alla domanda di Giulia “penso tu sappia che se siamo arrivati fin qui, è perchè nemmeno tu vuoi
solo una amicizia, avresti rifiutato il mio invito a giocare.”
Vincenzo parla in modo tranquillo, riesce a non farsi capire da Giulia ma allo stesso tempo con un tono di voce basso, quasi un sussurro. In fondo parlano di
cose private. Giulia capisce che Vincenzo intuisce la sua curiosità e sa che se vuole andare avanti deve stare al gioco, ed in fondo ormai si sente a suo agio
con questo ragazzo che parla con un modo di fare da uomo vissoto senza sembrare mai falso o scontato.
Lei si avvicina un pò di più, quasi timorosa di parlare e di essere ascoltata da altri, e gli chiedei “quanti anni hai?”
Finalmente le ordinazioni arrivano e i due si aiutano a vicenda, Vincenzo paga, mentre gli dice di avere 32 anni. Lei è un pò perplessa, vincenzo ne dimostra
al massimo 23-24, eppure di nuovo sa che lui non sta mentendo, semplicemente se li porta molto bene. Avrebbe voluto pagare lei la sua ordinazione ma non osa
fiatare, lui non ha dato cenno di darle scelta questa volta, forse per sembrare una coppia. Mentre salgono le scale vincenzo le chiede:
“Decisa a provare? Ricordati che potrai interreompere il tuo addestramento in ogni momento, non mi arrabbierò ne proverò rancore”
Adesso lui era serio, anche se aveva comunque uno sguardo rilassato. Giulia gli avrebbe voluto chiedere di come si sarebbero comportati all’università ma
poi alla fine capì che lui non gli avrebbe mai dato ordini in quel luogo. Si limitò ad annuire, poi, come per ribadire aggiunse “va bene”.
Vincenzo scelse un tavolo piccolo, vicino alla finestra, ed appoggiò la pita ed il neapolis al tavolo mentre Giulia faceva lo stesso con la cola e la birra.
Le appoggiò di nuovo una mano su una spalla e la trasse a se per sussurrargli in un orecchio: “vai in bagno, togliti mutandine e reggiseno, e mettile in
borse, poi ritorna e siediti, so che fa un pò freddo ma sarà il tuo modo di dimostrarmi la tua volontà di provare.”
Gli occhi di Giulia guardavano in basso al gonnellino scozzese, quasi per istinto a coprire con la mente quella parte del corpo. Lui la guardava mentre si
sedeva al suo posto, annusando la sua ordinazione come se nulla fosse. Ancora una volta vorrebbe chiedergli cosa succede se non esegue quel primo ordine e
ancora una volta intuisce da sola la risposta: semplicemente mangerebbe la pita con lui e poi ognuno prende la propria strada.
Guarda per un attimo il bagno, poi guarda vincenzo, ed infine di nuovo il bagno mentre si incammina per eseguire l’ordine ricevuto.
Chiusa la porta del bagno, stranamente non esita, non perchè non sia nervosa, ma perchè ha paura di metterci troppo tempo e dare nell’occhio.
Così si sfila le mutandine facendo attenzione a non sporcarsi visto che il bagno è un tantino stretto. Sente già come un tantino di aria fresca che le
attraversa le labbra vaginali, ma poi si convince che è solo la sua immaginazioni visto che il bagno non ha finestre. Poi, dopo aver messo le mutandine in
borsa, fa per sbottonarsi la camicetta per sfilarsi il reggiseno. Fatica un pò a farlo, più che altro perchè arrossisce ad ogni passo che sente, specialmente
perchè la zona con i lavandini è unisex, quindi sa che al di là della porta del bagno ci potrebbe essere anche un uomo.
Alla fine fa un sospiro lungo e esce dal bagno, ringraziando la fortuna per non aver incontrato uomini in bagno. Il seno, una seconda che stranamente sembra
più grande visto il suo corpicino, ora balla un pò mentre vincenzo da lontano mangia il suo neapolis e la guarda compiaciuto.
Si siede alla destra di Vincenzo, dando le spalle alla maggior parte degli altri tavoli, e accavalla le gambe, tenendo la gonna per non farla salire. Non
lo fa con malizia, semplicemente si sente più comoda in quel modo.
“La pita si raffredda, spero che ti piaccia” continua Vincenzo con tutta la calma di questo mondo. Giulia prende la sua pita ed inizia ad addentarla,
le braccia si muovono un pò goffe, non essendo abituata a stare senza reggiseno, e poi sente una strana eccitazione crescere dentro di se, e spera che nessuno
se ne accorga. In viso non sembra più così tranquilla, era la prima volta che era nuda sotto il vestito. Ma subito succede qualcosa che la fa sentire meglio.
Vincenzo la guarda e “sei molto elegante anche mentre mangi questa pita ed hai uno squardo fiero nonostante tutto, sei più interessante di quanto pensassi.
Rilassati, oggi non avrai altri ordini, mangeremo e poi andrò a casa mia, ma domani avrai ordini ben più precisi”
Un pò si sentiva delusa dal fatto che lui volesse lasciarla dopo appena il primo ordine, ma poi pensò che lui la stesse ancora studiando. Le piaceva come
lui la definisse elegante, e per la prima volta gli sorrise, un sorriso vero, timido ma vero, mentre chiudeva la bocca dopo un morso alla pita…

Come al solito per consigli, complimenti o critiche la mia mail è empire50@live.it

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