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Racconti erotici sull'Incesto

Amarcord siciliano

By 29 Agosto 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

1.
Ricordate il ‘Nuovo Cinema Paradiso’ di Peppuccio Tornatore? Ebbene, quest’anno a me è sembrato di rivivere, nel mio piccolo, una vicenda analoga a quella narrata in quello straordinario film.
Mancavo dal mio piccolo paese nell’Agrigentino da quasi 20 anni. Ero andato via a 19 anni, appena conseguito il diploma dell’istituto professionale alberghiero. Ero andato a fare il cameriere sulla costa romagnola, a Milano Marittima, dove un mio parente già lavorava come cuoco. Ripercorrevo in tal modo l’odissea di tanti ragazzi siciliani, mi ero buttato alle spalle un’infanzia e un’adolescenza di sofferenze e di stenti e, come la maggior parte di essi, non vi avevo fatto più ritorno. Nemmeno nelle feste comandate, sia perché quelli feriali sono i periodi di più intenso impegno lavorativo nelle località turistiche, sia perché non mi stuzzicava per nulla tornare alla noia ed alla malinconia dei luoghi natii.
Certo c’erano gli affetti familiari, e soprattutto nei primi anni di lontananza ne avvertivo l’assenza. Ma, col passar del tempo, ero diventato a tutti gli effetti cittadino del Nord e me la passavo piuttosto bene, avevo messo su una pizzeria, poi due, poi una gelateria, infine ero entrato in società nella gestione di un albergo sulla riviera e di una discoteca abbastanza alla moda. Ormai mi ero ormai assuefatto alla vita movimentata dell’Italia del Nord, ai mille divertimenti della costa riminese, alle belle fiche di ogni età che mi capitavano a tiro tutti i giorni. Una vita intensa e godereccia, mille miglia lontana da quella triste ed immobile della provincia siciliana.
In tutti questi anni avevo intrattenuto con i miei familiari rapporti epistolari, lettere e fotografie sempre più diluite nel tempo, e telefonici (una chiamata ogni quindici-venti giorni). Ma, ogni tanto, non mancavo di accreditare sul conto corrente di mio padre qualche generoso bonifico, che equivaleva alla sua pensione moltiplicata per dieci.
E’ incredibile come passi il tempo, eppure erano passati 20 anni da quando mi ero trasferito al Nord: ero partito che ero poco più di un ragazzo, disperato e squattrinato, con la classica valigia di cartone; vi tornavo ora da uomo fatto, esperto di vita, con un bel conto in banca e con una supercilindrata da benestante.
Era stata la morte di mio padre a giustificare il mio ritorno a casa. Quando era avvenuta io ero in Russia per accordi turistico-commerciali e i miei non erano riusciti a contattarmi. Trovai un telegramma al mio ritorno, dieci giorni dopo, e fui preso dal rimorso di non averlo potuto rivedere il mio vecchio ancora vivo. Partii il più presto possibile, arrivai in aereo a Palermo e poi in taxi al paese. In casa l’emozione per il mio ritorno sembrò superare il dolore per la dipartita del defunto, almeno a giudicare dai sentimenti che mi parve di cogliere in mia madre, mia nonna, mia sorella e nelle mie zie.
Il paese non mi sembrò molto cambiato, ricordavo abbastanza bene le strade e i quartieri, un po’ meno le persone, ma credo che pochi si ricordassero di me o fossero in grado di riconoscere in me quel Gero (diminutivo di Calogero) che di notte faceva chiasso con i suoi amici per le strade del paese, anche se ai funerali la mia assenza fu sicuramente l’argomento di maggiore curiosità.
Dopo una visita in cimitero mi ritirai in casa di mia madre. Mia madre continuava a singhiozzare, ma mi stringeva incessantemente le mani quasi a capacitarsi che ero io; mia sorella mi guardava con occhi gonfi di emozione e di orgoglio; le due sorelle di mio padre manifestavano invece un po’ di acida diffidenza e sembravano tacitamente rimproverarmi quell’assenza tanto prolungata. Notavo tuttavia che mia nonna non si preoccupava affatto di fingere la mestizia di circostanza e mi guardava con evidente compiacimento, sorridendomi ripetutamente e invitandomi ad appartarmi con lei. E, difatti, appena la casa piombò nella calma, la seguii in camera sua.
Appena soli, mi abbracciò forte a sé e, a sorpresa, portò la sua mano verso le mie parti basse e mi strizzò i coglioni:
‘Oh come ti facisti bello, Geruzzo mio. Te ne partisti che eri nu caruso, ora omo diventasti, e che omo!!!’
Nonna Sabella poteva avere poco meno di 80 d’anni e mostrava tutti i segni e gli acciacchi dell’età, ma era ancora assai vivace e arguta; mi accarezzava le braccia e le gambe e si soffermava proprio sul rigonfiamento dei pantaloni, chiedendomi insistentemente delle mie donne. Sulle prime ero rimasto un po’ sconcertato di tanta spregiudicatezza, ma poi in un lampo mi erano tornate alla mente le immagini delle mie prime esperienze, di quei primi elementi di educazione sessuale che proprio lei mi aveva impartito.
La nostra era una casa piuttosto piccola con poche stanze; divenne ancora più piccola quando morì mio nonno materno e mia nonna venne a vivere con noi. Dovemmo arrangiarci: mia sorella dormiva nella camera dei miei genitori, io dormivo nel lettone di mia nonna. La nonna fu l’universo femminile che imparai a conoscere a partire dai 14-15 anni in avanti. A quel tempo la nonna aveva superato la sessantina, era vedova da sette-otto, ed io avevo cominciato a guardare di nascosto le sue parti più intime, le cosce ben tornite, il culo ancora sodo e prominente, le mammelle ampie e un po’ cascanti, la folta peluria in mezzo alle gambe. La spiavo mentre si spogliava prima di mettersi a letto e annusavo il suo odore sotto le coperte. Mi eccitavo da morire e mi tiravo le mie prime seghe mentre lei mi dormiva accanto o non appena si levava dal letto, sborrando il seme dentro un fazzoletto. Poi, col passare dei mesi, mi ero fatto più audace e mi avvicinavo sempre di più a lei nel letto, fino quasi a sfiorarla. Sentivo il calore del suo corpo e qualche volta la toccavo con apparente distrazione. La voglia di accarezzare e stringere quel corpo maturo, ma ancora tanto arrapante, e di sfregare contro il mio cazzo ingrifato cresceva in maniera imperiosa, ma difficilmente avrei trovato il coraggio di farlo, per il senso di rispetto e per lo stesso timore che la personalità forte della nonna incuteva.
Poi, visto che stavo crescendo, mia madre giudicò che non potessi continuare a dormire con la nonna e ricavò un posto per me nel sottoscala della zona notte, per cui la passione segreta per la nonna andò scemando. Ma era destino che, qualche anno dopo, appena maggiorenne, dovesse essere lei a battezzarmi sessualmente.
Un pomeriggio d’estate il cazzo mi tirava forte. Erano tutti a letto a riposare, sfiancati dalla calura, il silenzio regnava nella casa, mi sentivo abbastanza tranquillo di poter dare sfogo alla voglia che avevo masturbandomi in libertà. Me lo tirai per bene e mi lasciai andare ad una bella sborrata mugolando di piacere e bofonchiando a mezza bocca:
‘Aaaahhhh ‘.. sììììììì ”. apri ste belle coscione ”. piglialo, piglialo ‘. è tutto tuo ” aaaahhhhh ”.. ti vengo dentrooooo ”.’.
E giù un’eiaculazione fluviale, tanto abbondante che il fazzoletto non bastò a contenerla e tracimò sulle lenzuola.
Stavo ad occhi chiusi nella penombra del mio sottoscala e non mi ero reso conto che nel frattempo la nonna aveva sceso piano piano le scale e si era fermata a guardarmi. Aveva assistito alla parte finale della mia masturbazione tra la sorpresa e la comprensione, ma non mi aveva interrotto. Ma, quando vide che avevo sporcato le lenzuola, ebbe un moto di stizza e non riuscì a trattenersi:
‘Ma Gero, che combinasti?…’.
Mi sentii all’improvviso scoperto in flagrante e mi destai scompostamente cercando di coprirmi alla meglio, in realtà combinando un guaio ancora più grande perché anche il liquido trattenuto dal fazzoletto si riversò sul letto creando una grande chiazza giallastra. Mia nonna si accomodò sul mio lettino e, rivolgendosi a me con aria di rimprovero, mi apostrofò:
‘Ma guarda qua che sporcaccione! ‘. Gero, Gero ” ma so cose da fare qua ? ”. Che vergogna!…’.
Mi ero rincantucciato in un angolo del letto e trattenevo il respiro, rosso per la vergogna e timoroso per la punizione. Mi aspettavo che la nonna mi schiaffeggiasse, e invece vidi che cambiava decisamente tono:
‘Povero Geruzzo ‘.. ormai sei cresciuto e certe cose vengono da sole ‘.. oh, ma quanta ne hai fatta! ‘. e come facevi a tenertela dintu? ”.. su, non stare accussì ‘. veni da nonna tua ‘..’.
Mi fece segno di avvicinarmi a lei e, lentamente, ancora pieno di vergogna, lo feci. Mi attirò la testa sul suo petto e sentii la morbidezza delle sue mammellone; poi infilò la sua mano destra in mezzo alle mie gambe e prese ad accarezzarmi il cazzetto e le palle:
‘Pure chistu tiene ragione ‘.. solo che stu bene di dio non lo devi sciupare inguacchiando u liettu ‘. Ma non ti preoccupare, ci pensa nonna a pulire ‘..’.
Il suo atteggiamento materno e il tepore del suo corpo mi avevano ridato lo spirito e, sia pure sottovoce e con un po’ di imbarazzo, le risposi:
‘Perdonami, nonna Sabella ‘.. è vero, mi sono lasciato andare, non ce l’ho fatta più a tenermi ‘.. ‘.
A nonna le spuntò un bel sorriso di tenerezza e mi strinse ancor di più a lei, baciandomi sulla fronte:
‘Geruzzo mio, con tante belle figliole continui sempe a tirartillo ‘.. mah ‘. intanto vedi di stare nu poco più tranquillo ‘. sì troppo agitato!’.
E, dicendo questo, si denudò il petto, tirò fuori le mammelle e mi introdusse un capezzolone in bocca:
‘Ciuccia, ciuccia, bello di nonna ‘..’.
Si tolse la sottana e si sfilò la mutanda, prese la mia mano sinistra e la guidò tra i peli arricciati della sua fica. Incoraggiato da lei mi sentii autorizzato a introdurre due-tre dita dentro la fessura ad a perlustrarla: era la prima volta che toccavo una donna e che avevo accesso alle sue intimità. Notavo che, via via che suggevo avidamente il suo capezzolo e frizionavo freneticamente le labbra della sua fica, la nonna emetteva sospiri e gemiti di piacere:
‘Uhhhmmm ‘. bravo Geruzzo ‘ vedi che ci sai fare? ”.. sììì, dài, cosììììì, continua ‘. bravo ‘.. aaahhhhh’.
Ad un certo punto vidi che cominciava ad agitare di più le sue gambe e che spingeva la mia mano tutta dentro la sua caverna infuocata gridando più concitatamente:
‘Sììììì” Geruzzo ‘.. sììììì ”. dààààiiiiii ‘.. bello ” sìììì ‘. cosììììììì ”. madonna mia che mi fai ””. aaahhhhh ‘.. aaaahhhhhhh’.
La vidi infine chiudere gli occhi, stringere le cosce imprigionando la mia mano dentro la fica spalancata e lasciar andare la testa sul cuscino con un ghigno di lieto abbandono, mentre la mia mano veniva inondata da umori caldi. La nonna aveva goduto e sborrato anche lei.
Si abbandonò per un minuto per assaporare meglio quel godimento mentre io, che nel frattempo mi ero arrapato all’inverosimile, mi deliziavo a toccarla e leccarla dappertutto, tra le mammelle, sulla pancia, sulle cosce, tirandola a me dalle belle chiappone. Poi si ridestò, mi abbracciò con grande passione e mi baciò in bocca esclamando:
‘U sai, Gero, che mi facisti godere assai ‘.. oh amore di nonna ‘.. mi fai sentiri cchiù giovane ‘. aaahhhh ‘.. ma vedrai quante cose ti vogghio imparari ” devi diventare un maschio che i femmine se lo debbono litigare!!!’
Poi, sentendo che il mio cazzo si era indurito e premeva contro le sue cosce, sgranò gli occhi e disse:
‘Oh, ma tu vuoi accominciare subito?! ” e allora vieni, vieni da nonna tua’.
E così dicendo, aveva allargato le cosce e mi avevo attirato dentro di lei, spingendomi dalle mie natiche. Era la mia prima vera scopata, non resistetti molto, in due-tre minuti versai il mio liquido dentro la ficona di nonna, che mi incoraggiava con parole appassionate:
‘Su, Gero, vieni dentro la pancia di nonna ‘oohhh, sììì ‘.. oh che bello sentirti venire dintu!!!’.
Avevamo approfittato del fatto che tutti dormivano, ma andare oltre era rischioso, e nonna mi diede appuntamento nella sua stanza dopo mezzanotte, per continuare la sua lezione.
Difatti, quando quella notte mi infilai furtivamente nel suo letto, inizialmente frenò il mio impeto e mi spiegò che, per soddisfare bene una donna, dovevo soprattutto saper gestire i tempi. Faceva tutto con la dedizione di una maestra elementare che aveva assunto la missione di farmi diventare uomo con la U maiuscola. Quella notte se lo fece ficcare dappertutto, anche in culo: cosa che, mi spiegò, era piuttosto usuale nella campagna siciliana, dove il maschio si ispirava al mulo e considerava la sua donna al pari di una giumenta..
Non so fino a che punto la nostra tresca di quei giorni fosse sfuggita agli occhi dei miei, che comunque, per rispetto di lei, non ne fecero mai il benché minimo cenno.
Mentre la nonna continuava a stuzzicarmi i coglioni e a chiedermi insistentemente delle mie donne e delle mie avventure in continente, ripensavo velocemente ai turbamenti ed ai godimenti che mi aveva procurato sul finire dell’adolescenza e, sollecitato sia dalle mani di nonna sia da quei ricordi di gioventù, il mio cazzo si era inalberato e premeva contro la cerniera dei pantaloni. Nonna Sabella guardava ammirata quell’enorme rigonfiamento, ad un certo punto sbottò:
‘Ma Geruzzo, nun u vidi che u cavaddu si è imbizzarrito ‘. vai, vai, fallo asciri fori!!!’.
E, senza aggiungere altro, mi aveva tirato giù la chiusura lampo, aveva armeggiato nei miei slip e l’aveva tirato fuori: ‘Uh madonna che bestione!!! ” Oh quant’è bello ‘. Fammelo vasari!’.
L’aveva preso avidamente tra le mani, si era chinata sul mio cazzo eretto ed aveva cominciato a baciarlo, a leccarlo e poi a succhiarlo. Incredibile, a 78 anni suonati, nonna Sabella mi stava facendo un pompino. Provai un qualche disagio, ma naturalmente la lasciai fare e, dopo qualche minuto, le riempii la bocca di sborra. Se la bevve tutta e, dopo averla deglutita, mi disse con gli occhi pieni di gioia:
‘Grazie, Geruzzo della nonna, questa è manna che scenne da u cielu ‘.. ora pozzo anche muriri cuntenta ‘.’.
La abbracciai con affetto, persino con un po’ di commozione, la baciai e le dissi che non avevo mai dimenticato tutto quello che aveva fatto per me. Poi ci ricomponemmo e tornammo dagli altri, per non destare sospetti sulla nostra prolungata assenza.

(continua)

roki_rae@hotmail.it
2.
Quando rientrammo nel tinello di casa mia madre, difatti, si rivolse alla nonna e si rizzelò scherzosamente con lei:
‘Ehi, mamma, ma te lo vuoi consumari tutto tu mi figghiu ‘.. guarda che so vent’anni che l’aspetto anche io ‘. E tengo pure io il diritto di tenermelo cu mia ‘..’.
Mi avvicinai a mia madre e l’abbracciai, sorridendole teneramente. Mamma Assunta aveva ormai 60 anni e si era alquanto appesantita: i capelli erano ancora neri, ma i tratti del volto rivelavano la fatica degli anni, le occhiaie erano profonde, le forme del corpo si erano dilatate, aveva una pancia pronunciata, un culo largo anche se ancora abbastanza sodo, due cosce arrotondate dalla cellulite e un davanzale ben tornito, ma decisamente oversize (sicuramente una 7^ di reggiseno). Da giovane era stata una donna alquanto piacente ed anche gaudente. Mentre la stringevo a me mi tornava agli occhi la scena cui assistetti quando avevo 18 anni e lei 39, e quello che ne seguì.
Era una mattina di novembre e quel giorno ero uscito di scuola un paio d’ore in anticipo perché la professoressa di storia era stata chiamata urgentemente al capezzale del padre moribondo. Non era ancora mezzogiorno e, arrivato a casa, l’avevo trovata immerso nel silenzio. Avevo pensato che non ci fosse nessuno, che mia madre era forse uscita a fare delle compere. Ma, mentre mi stavo avvicinando alla mia cameretta per riporre i libri di scuola, udii all’improvviso dei sospiri e dei bisbigli provenire dalla camera da letto dei miei genitori. Mi avvicinai in punta di piedi e mi appostai per guardare dentro attraverso il buco della serratura.
La visuale era un po’ stretta ma la visione era chiara e inequivocabile: vedevo distintamente una donna appoggiata con i gomiti al letto e con il culo scoperto e proteso all’indietro e un uomo con i pantaloni calati giù e con un cazzo ben intostato che la pistonava da dietro. Parlavano ansimando, ma le voci mi erano familiari, erano quelle di mia madre e di mio zio Salvatore, il fratello di mio padre. Ricordo ancora che, al culmine della cavalcata, lo zio schiaffeggiava le chiappe di mia madre e le diceva trafelato:
‘Oh Assunta mia, che culo che c’hai! ‘ Meno male che ci pensa u bastone mio a trapanarlo, chè se aspetti a quel cornuto di mi frate hai voglia tu a fare la muffa! ‘..’.
La visione mi aveva scioccato, in quanto del tutto inattesa. Dopo lo sconcerto iniziale avevo provato ripulsa per quella troia di mia madre che cornificava mio padre nella camera coniugale, ma poi via via mi ero andato eccitando alla vista di quel culo oscenamente offerto alla mia vista, di quelle cosce piene, di quelle poppe penzolanti sul letto, ma anche -lo riconosco- di quel bel bastone nodoso dello zio che mi sembrava una trivella. E mentre i due si avvicinavano all’orgasmo mi ero tirato fuori dai pantaloni il mio cazzetto e mi ero segato magnificamente schizzando sulla porta della camera da letto e sul pavimento. Poi, mentre i due si ricomponevano, avevo pulito alla meglio e me l’era filata per non farmi scoprire.
Ma quelle tracce di sperma non erano sfuggite all’attenzione sospettosa di mia madre che nei giorni seguenti cominciò a farmi tutta una serie di domande strane per cercare di capire se e cosa avevo visto e, dinanzi alle mie reticenze, mi apostrofava con epiteti offensivi. Del resto anche io cominciai a guardare a mia madre con altri occhi, per vedere se si incontrava di nuovo con lo zio o con altri uomini. Non mi toglievo dalla testa l’immagine di mio padre cornuto e mi cresceva dentro la voglia di vendicarlo, infliggendo una punizione a quella puttana di sua moglie.
Un giorno che ero solo in casa con mia madre e lei continuava a ronzarmi intorno con le sue domande indiscrete, alternate alle sue acide reprimende, persi la pazienza e le risposi per le rime dicendole che non era lei che poteva darmi lezioni di buon comportamento. Si girò come una belva ferita e mi mollò uno schiaffone sonoro:
‘Come ti permetti di parlare accussì cu mia! Sì nu fetuso! ‘.. porco screanzato ”. Stasera glielo dico a tu patri e vedrai che te ne viene ”.
Non ci vidi più:
‘A mi patri gli devi dire chiddu ca fai cu zu Salvatore!…’. Mamma restò pietrificata. Balbettò poche parole sconnesse, ma capì subito che con me doveva cambiare registro.
Cambiò subito atteggiamento, riprese fiato, ricominciò a parlare a voce bassa:
‘Gero, assettiamoci e parliamo ‘.. scusami se prima m’è scappata la mano ” ti fa male ancora lo schiaffo che t’ho dato?’.
Mi prese per la mano e mi fece sedere vicino a lei, poi cominciò a lisciarmi i capelli e continuò con voce suadente: ‘Gero, un saccio picchè me parlasti di zu Salvatore ‘.. un saccio che sentisti, che vidisti ” ma te vogghiu dire che a famiglia è a famiglia e che l’onori viene primma di ogni cosa ‘.. ‘.
La interruppi per dirle:
‘Sì, l’onori ‘.. e quiddu di mi patri?’.
‘Ma Gero, io tu patri l’aggiu sempe servito e rispettato ‘.. è iddu che nun sempe ha fatto u masculu ‘.. mi capiscisti? ‘.. onesto, lavoratore, sì ‘.. ma nun basta’.
‘E pi chistu ti si fatta cunsulà do frati?…. o ci hai misi le corna pure cu gli ate?’.
‘Gero, ma cume te permitti? Pienze che ta matri iè na bottana?…’.
E così dicendo mamma aveva cominciato a piagnucolare. Si mostrava contrita, le passai una mano dietro la spalla per significarle il mio conforto. Si riprese subito e cercò di addolcire i discorsi e di cambiare argomento:
‘E tu, Gero, te pare bello chillu cha hai fatto spiando ta matri e sporcando la porta e u pavimentu? ‘. Nun te pare di esagerà cu tutte ste pugnette che te fai?….. ‘.
Feci spallucce, non le potevo spiegare che da qualche settimana non mi segavo più perché avevo cominciato a chiavare con la nonna, le risposi un po’ svogliatamente:
‘Ma c’aggià fa’ ‘. Certe iuorne nun ce la faccio a tenello buono ‘..’.
E lei condiscendente, tornando ad accarezzarmi la testa: ‘Beh, certo ti stai facenno nu bellu caruso ‘ chissà quante fimmine ti passerai ‘.. questi so’ anni difficili ‘. ma non devi sbandarti ” ricordati che ci sta sempe mamma tua’..’.
Si avvicinò di più, mi diede un bacio sulla guancia e cominciò ad accarezzarmi le gambe, risalendo piano piano al pube e manipolandomi piuttosto energicamente il pacco. Non me l’aspettavo e sobbalzai. Sorrise:
‘Nun t’appaurari di ta matri ‘.. sì carne da carne mia ”. pure chistu te l’aggio fatto io’.’.
Mentre mi diceva queste parole mi stringeva forte il pisello, con un sorriso di equivoca complicità, poi mi aprì la patta dei pantaloni e lo tirò fuori:
‘Oh che bello di mamma sua! Gero, ma u sai che ti sei sviluppato assai ‘. che ce l’hai proprio come n’omo’. Oh madonna santissima ‘.. si nun fussi ta matri, mi facissi venì certi pensieri !!!…..’.
Mi ricordai che volevo vendicare quel poveretto di mio padre e lasciai cadere ogni remora, rivolgendomi a mia madre con sfacciataggine:
‘E che ne diresti, mamma, di fare cu mia chiddu ca facisti cu zu Salvatore? ‘. Picchè nun mi imparasti anche a mia a starti a cavallo come stacìa lui?’.
Mamma rimase sorpresa della mia richiesta ma stavolta abbozzò, cercando di scherzarci su:
‘Ah, figghiu mio, vuoi fare lu cavallerizzu? ‘. Ma attenzione che è pericoloso, ca ci puoi cascari da cavallo ‘. aaahhhaaa’.
Ribattei subito:
‘Mah, si nun ci provo nun m’imparo mai ‘.’.
Allora mamma comprese che non avrei mollato:
‘Se vuoi provare, veni cu mia in camera mia ‘. vedo che sei già bello in tiro ‘.’.
La seguii in camera da letto, mi abbassò pantaloni e mutande lasciandomi con il pisello proteso, si tolse anche lei le mutande, alzò la gonna e si mise a sponda poggiando le braccia sul letto e lasciando il culo all’aria, poi mi incitò: ‘Ecco la tua giumenta, monta su, mittillo stu bellu cefalo dinto u pertusu niru ‘.’.
Allargò le sue chiappe e le tirò al massimo con le mani dilatando il buco del culo. Il mio cazzo vi entrò agevolmente. Spinsi al massimo, mamma cominciò a roteare le sue chiappe e il pisello fu come inghiottito in quel cratere bruno. Una sensazione stupenda, mi sembrava di essere attratto al centro della terra. Poi un paio di contrazioni violente dello sfintere mi fecero esplodere un fiotto di sperma che le arrivarono fino in fondo alle viscere. Sentii che ansimava e godeva, farfugliando parole sconce. Infine strinse forte i muscoli del culo per assorbire il liquido seminale, si rigirò, mi sorrise con un’aria da puttana, mi baciò sulla bocca e mi disse:
‘Bravo Gero, sei diventato omo ‘. quanno hai bisogno di mamma io so’ sempre ‘ccà’.
Ed eccomi ancora con mamma, abbracciato a quella donna ormai grassa, ma arrotondata nei punti giusti, e con il cazzo tornato a svettare a seguito della rimembranza del culo materno violato da ragazzo. Mi venne spontaneo stringerla al mio petto per sentire la robustezza e morbidezza di quel seno enorme, accarezzarle le spalle cicciose scendendo sui fianchi e piazzando la mano proprio sulle belle chiappone.
Mamma colse subito il messaggio e, con la scusa di farmi vedere delle fotografie, mi trascinò in un’altra stanza e si incollò letteralmente a me e si mise a baciarmi e a toccarmi dappertutto, anche lì, in mezzo alle gambe, dove incontrò il pacco già bello in movimento:
‘Uh benedizioni ‘.. che bello che sei diventato ‘.. chi ommo ” chissà come te sciupano i fimmene di là ” oh come sei gagliardo, figghiu mio ”’.
Mentre lei era intenta ad aprirmi la patta dei pantaloni per manipolarmi meglio il cazzo e i coglioni, io ne approfittai per massaggiarle le mammellone penzolanti, introdussi una mano nella scollatura del camicione che aveva addosso, le afferrai la mammella nuda e le strinsi un capezzolone ritto e duro, poi con l’altra mano le sollevai da dietro il vestito, feci scivolare la mano dentro la mutanda e inserii le dita nel solco profondo delle sue chiappone cellulitiche. Ci sfregammo così per qualche minuto guardandoci negli occhi ma senza parlare, poi una voglia passionale ci travolse: lei mi accarezzava il cazzo come fosse un bambinello, a me era tornata la voglia antica di profanarle il culo.
Ad un certo punto lei si sedette ad una sedia, liberò completamente le sue mammellone e si portò il cazzo eretto in mezzo, cominciando una bella spagnola. Provavo un piacere immenso a vedere la mia asta nodosa sparire completamente in quella carne morbida e poi riemergere ancora più eccitata e trionfante. Quando cominciai a sentire che le palle mi scoppiavano, la feci alzare e mettere a pecora, appoggiata a quella stessa sedia, le scoprii completamente il didietro e con un colpo netto glielo infilai. Sentì lo strappò ed emise un lamento:
‘Aaahhh ‘.. figghiu bello ” madonna che mazza che hai!…’.
Ero scatenato, risentivo la voglia di infliggerle una punizione, anche se sicuramente piacevole per lei:
‘E’ tutta pi tia, matri ‘.. tieni!’.
E le caricai una bell’ondata di sperma in culo, come per assolvere ad un antico voto. Strinse bene lo sfintere, non fece uscire neppure una goccia, si girò e mi riabbracciò forte, quasi in lacrime, felice di questa riappropriazione carnale.
Tornammo dagli altri e ci mettemmo a tavola per consumare insieme alla nonna un piccolo pasto, durante il quale le due donne mi aggiornarono su tutte le vicende familiari.
Avevamo mangiato leggero perché per cena eravamo stati invitati a casa di mia sorella Giuseppina. Intanto mamma e nonna mi raccomandarono caldamente di far visita nel pomeriggio alle mie due zie paterne che si erano lamentate del fatto che, in tutti quegli anni, non mi ero mai premurato di scrivergli o di telefonargli. Un gesto di gentilezza da parte mia avrebbe messo fine alle loro lamentele e salvato il clima delle relazioni familiari.
Mi spiegarono per bene dove abitavano e, sia pure sbuffando, mi diressi verso la loro casa, che era nella parte bassa del paese, giù verso il torrente.

(continua)

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roki_rae@hotmail.it

3.
Erano state preavvertite dalla mamma e mi aspettavano tirate a nuovo, con un contegno alquanto severo. Zia Maddalena e zia Rosaria erano due donne molto tradizionaliste, rispettivamente di 64 e 61 anni, che già vivevano insieme prima che me ne partissi dal paese, la prima perché zitella illibata, la seconda perchè vedova precoce (aveva perso il marito per un grave incidente di lavoro dopo soli tre anni di matrimonio e non si era voluta risposare). Erano le persone istruite della famiglia, essendo entrambe maestre elementari. Per la verità non conservavo ricordi particolari di loro, salvo l’eco di certe dicerie di paese che le dipingevano come puritane all’apparenza e troie di nascosto. Ma all’epoca non avevano buoni rapporti con mia madre e dunque avevo avuto rarissime occasioni di incontrarle per farmene un’opinione.
Appena entrato in casa mi fecero accomodare in salotto e si premurarono subito di prepararmi un caffè, che mi servirono con dei dolcetti tipici. Non avevamo molto da dirci e inizialmente ci scambiammo solo parole di circostanza. A differenza di mia madre, le zie parlavano in italiano e si alternavano in un conversare abbastanza attento, anche se poi finirono per immergersi nei fatti di paese; raccontavano di cose che ormai non conoscevo e non le seguivo nei loro ragionamenti, in compenso le guardavo attentamente per farmene una idea.
La più grande, zia Maddalena, era un donnone piuttosto alto e robusto, con una mascella accentuata ed un naso pronunciato. Vestiva in maniera castigata, ma si indovinava una corporatura massiccia, forte soprattutto sul petto e sui fianchi. Per essere una zitella non sembrava propriamente una verginella. Zia Rosaria era un po’ meno alta ed aveva un volto meno arcigno, esponeva una maggiore femminilità, anche per il seno più abbozzato e per il didietro più arrotondato. Sorrideva anche di più e sembrava guardarmi con un po’ di civetteria.
Era passata quasi un’ora di conversazione francamente noiosa, pensai di aver assolto al mio dovere reverenziale e feci per alzarmi e salutarle, quando fui bloccato dalla loro reazione un po’ indispettita:
‘Ma come, non ti si vede da vent’anni e già te ne vuoi andare?’.
Restai ammutolito e mi rimisi a sedere:
‘Ma no, care zie, volevo togliere il disturbo ‘. chissà quante cose avrete da fare!….’.
Era una scusa un po’ peregrina, ma non sapevo che dire. Fu zia Rosaria a riaprire il discorso:
‘Lo so, Gero, che due donne anziane non ti possono interessare ‘.. che tu hai a che fare con donne ben più giovani e belle ”’.
La interruppi per dire:
‘Ma che dici, zia? io vi ho sempre guardato con ammirazione e vi trovo tuttora di grande interesse ‘.’.
Mentivo ma vedevo che la cosa funzionava, perciò rincarai la dose della piaggeria:
‘E’ vero, le donne non mi mancano ‘.. puttanelle a volontà ” ma pensate che sia facile incontrare signore con il vostro portamento e la vostra personalità?!’.
Colpite in pieno! La mia serenata aveva avuto un effetto immediato, si sciolsero completamente, mi sorrisero senza remore ed esternarono una giovialità fino a qual momento del tutto compressa. Innanzitutto mi invitarono all’unisono a sedere sul divano in mezzo a loro:
‘Vieni qui, nipotino caro ‘.. vieni dalle zie’.
Mi accomodai in mezzo a loro e immediatamente mi sentii sotto assedio: strusciavano le loro gambe contro le mie e le loro mammelle contro le mie braccia, emettendo sospiri e languori inconfondibili. All’inizio ero un po’ imbarazzo, non sapevo che fare. In compenso le due zitelle diventavano sempre più intraprendenti: alla mia sinistra, zia Rosaria aveva messo una mano in mezzo alle mie gambe e piano piano era risalita fino all’attaccatura delle cosce e si era fermata proprio sopra il rigonfiamento del cazzo e dei coglioni; alla mia destra, zia Maddalena mi aveva passato un braccio dietro il collo, mi aveva preso una mano e l’aveva posata in mezzo alle sue cosce.
Era chiaro che mi stavano concupendo e io, da nipote bravo e educato, compresi che non potevo restare lì come un imbranato. Allora decisi di agevolare loro il compito: allargai le braccia e le passai dietro le loro spalle, cominciai a baciarle a turno, prima sulle guance, poi sulla bocca, infine con la lingua in bocca. Era la scintilla che forse aspettavano, perché a quel punto si scatenarono. Mi aprirono la patta dei pantaloni e liberarono il mio uccellone, lo guardarono e sgranarono gli occhi dal desiderio; mi slacciarono convulsamente la camicia e mi denudarono il petto villoso; poi si lanciarono come invasate a baciarmi e leccarmi dappertutto, gridando:
‘Oh nipote bellissimo ‘.. oh che uomo che sei ‘.. vieni, lasciati godere un po’ anche dalle zie”.
Lasciai che si sfogassero un po’, poi dissi loro ironicamente: ‘Mie adorate zie, abbiamo tante cose da dirci ‘ ma perché non ci mettiamo più comodi?’.
‘Giustissimo!’, disse subito zia Maddalena, ‘abbiamo di là un bel lettone accogliente ‘.. che aspettiamo?’.
In un baleno ci trasferimmo in camera da letto, ci spogliamo e ci infilammo sotto le lenzuola. Le zie erano bene in carne, anche se l’età stava rendendo i loro corpi un po’ cascanti. In compenso avevano una foia tremenda, una fame di cazzo da far rabbrividire. Non che mi attraessero particolarmente, ma lo sentivo come un atto di rispetto, come un dovere.
Si scatenarono e le feci fare. Zia Maddalena lo voleva subito nella fica:
‘Non sai da quanto tempo che non vedo un attrezzo così!…’. Zia Rosaria mi si mise dietro e accompagnò con le sue mani l’ingresso del mio cazzo nella ficona della sorella maggiore, poi si mise ad armeggiare con le mie natiche e non resistette dall’inserire un suo dito nel mio culo. Stantuffai zia Maddalena per un bel po’, poi zia Rosaria reclamò la sua parte e passai a pistonare la sua fica.
Godevano oscenamente, le loro fiche colavano di umori, dopo un quarto d’ora sentii prossima la sborrata e, per non discriminare nessuna delle due, le feci inginocchiare sul letto, feci avvicinare le loro facce al mio cazzo e, al momento magico, sborrai distribuendo il seme sul loro volto, sulla loro bocca e sulle loro mammelle.
Poi giacemmo insieme nel letto a rinfrancarci, io sempre in mezzo come in un sandwich, e le due che continuavano a strusciarsi addosso a me con la loro ciccia. Erano visibilmente contente e si lasciarono andare ad ogni tipo di confidenza: mi dissero che da tempo non vedevano l’ombra di un uomo e che ormai si arrangiavano da sole, aiutandosi anche con ortaggi e salsicce. Ridemmo a lungo di queste cose, poi ci rivestimmo e festeggiammo la mia visita con dei bei cannoli acquistati la mattina apposta per me.

(continua)

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4.
Uscii dalla casa delle zie paterne verso le 18, ripassai da casa di mia madre per rinfrescarmi un poco, sapendo che avevo preso l’impegno di stare a cena da mia sorella Giuseppina per le 20.
A mia sorella mi sentivo particolarmente legato. Lei aveva tre anni meno di me, ma era la mia principale confidente, anche perché in famiglia eravamo costretti a solidarizzare contro certe intemperanze dei nostri genitori. Lei aveva capito la natura equivoca del mio rapporto con la nonna, ma per il bene che mi voleva non avrebbe mai fatto la spia. Certe volte ebbi la sensazione che si fosse innamorata di me, lo vedevo da come mi guardava; ma, naturalmente, l’ambiente e la morale le impedirono di manifestarsi. Ricordo, però, che quando io decisi di partire, pianse disperatamente.
Giuseppina si era sposata con Giacinto, un brav’uomo che faceva il camionista, ed aveva avuto tre figli. Ora, a 36 anni, ne aspettava un quarto. Era cambiata molto, la trascuratezza e le gravidanze avevano slargato e deformato il suo bel corpo: aveva un culone largo, due coscione rotonde e due mammellone cascanti, mostrava dieci anni di più della sua età.
Aveva preparato in mio onore una cena con i fiocchi, mangiammo e bevemmo in grande allegria con il marito e con i suoi ragazzi, raccontandoci le cose più amene. Si erano fatte le 23 e lei aveva messo a letto i figli che dovevamo l’indomani andare a scuola; poco dopo anche il marito si scusò e andò a letto, dato che doveva alzarsi alle 5 della mattina successiva per il suo lavoro di camionista. Volevo congedarmi anch’io, ma Giuseppina insistette perché restassi ancora un poco con lei. Non seppi dirle di no.
Una volta soli, avvicinammo le nostre sedie e ci stringemmo le mani, comunicandoci in quel modo tutto il nostro affetto. Ebbe un cedimento emotivo, di tenerezza, e appoggiò la sua testa alla mia spalla. Vidi che piangeva sommessamente. L’accarezzai e le diedi un bacio sulla fronte. Di rimando lei mi prese la testa e se la tirò verso di sé e cominciò a baciarmi furiosamente sulla bocca.
Sulle prime rimasi sorpreso, poi risposi a quei baci e ricambiai pienamente la sua foga, intrecciando la mia lingua con la sua ed abbracciandola tutta. Non parlavamo, ma ci toccavamo, ci palpavamo per tutto il corpo, con la voglia di rimpossessarci di qualcosa che ci era stato tolto.
Aveva un bel pancione, era al sesto mese, ma la cosa non mi impedì di toccarla dappertutto, di stringerle le chiappe carnose e le mammelle piene di latte. Ma lei sembrava fuori di sé, non le bastava baciarmi sul collo e sul petto e manipolarmi volontà il cazzo che si era impennato. Lo voleva dentro di sé, nonostante il pancione. Le feci intendere che il cazzo poteva star bene anche in mezzo a quelle mammelle o a quelle chiappe. No, lo voleva dentro la sua fica.
Si distese sul divano, allargò le coscione e si mise un cuscino sotto il culo per offrirmi un ingresso meno difficile. Il suo pube era ingrossato e palpitante, la foresta di peli neri che lo ricopriva emanava un odore un po’ acre. Indirizzai la mia asta vibrante verso quel bosco e quell’antro e sentii come un risciacquo alla sua entrata, la sua fica era bagnatissima e si strinse intorno al mio cazzo come una murena. Glielo infilai sino in fondo per farglielo sentire bene e vidi che lei godeva in maniera indescrivibile, anche se tratteneva i gemiti per non svegliare marito e figli.
Quando stavo per venire cominciai a tirarlo fuori, pensavo magari di sborrarle sulla pancia o, se preferiva, in bocca. Mi bloccò, trattenendomi per le natiche, e mi attirò ancora più dentro di lei, e, per accompagnare la mia eiaculazione, cominciò a roteare il bacino. Non resistetti molto e le riempii la pancia di sperma.
La vidi estasiata. Mi disse sottovoce nell’orecchio che era proprio quello che voleva, voleva che la facessi mia, che la ingravidassi ancora una volta.
Ne rimasi commosso. Ci baciammo a lungo, le dissi che era la persona cui mi sentivo più legato e che ero contento di aver passato con lei una serata così bella.
Tornai a casa di mia madre che era già passata la mezzanotte e andai subito a letto. Per la stanchezza dormii di sasso sino alle 7, quando mia madre mi svegliò concitata. Il taxi era già sotto casa per portarmi all’aeroporto di Palermo.
Lasciavo per la seconda volta il mio paese e chissà quando vi avrei fatto ritorno. I ‘doveri’ di famiglia mi avevano stremato.
Ma ero contento di aver lasciato un po’ di me alle tante donne della famiglia e di aver pagato il conto della mia troppo prolungata lontananza.

Fine

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Mi scuso con i lettori siciliani per le improprietà dialettali presenti nel testo. Se qualcuno di essi volesse emendarle gliene sarei grato. Come sono grato a quanti mi inviano giudizi e suggerimenti.
roki_rae@hotmail.it

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