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Racconti erotici sull'Incesto

Chi mal comincia…

By 8 Marzo 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Le contrarietà vengono una dietro l’altra.
Quando meno te le aspetti.
Quando una cosa inizia male’
Inoltre, ognuno pensa a fare quello che più gli pare, senza curarsi se, in un modo o nell’altro, intralcia programmi del prossimo o, comunque, lo importuna.
Non parlo di Mauro, logicamente.
Lo ho sempre saputo che in ogni momento un ordine può portarlo chissà dove e chissà per quanto tempo.
Quando ci siamo conosciuti era un giovane ufficiale del GARI, Genio Aeronautico Ruolo Ingegneri, cominciava ad inserirsi nel gruppo ‘studi ed esperienze’ che riunisce tecnici altamente specializzati di tutti gli stati aderenti allo IAC, il Centro Aeronautico Internazionale.
Quindi, il fatto che sia dovuto partire per una località segreta, in una zona tropicale, rientra nella normalità.
Quello che non mi convince &egrave perché a Mario, il fratello, si permetta di seguire le sue stranezze, ed io ci vada di mezzo.
Si, Mario &egrave il fratello di Mauro.
Bella fantasia, direte voi, due nomi così simili a due fratelli.
E dire che i genitori ci hanno pensato ben diciassette anni prima di mettere al mondo un secondo figlio.
Forse perché si sentivano troppo soli e in previsione della partenza del primogenito, Mauro, per l’Accademia.
Quando ci siamo sposati, nove anni or sono, Mario era proprio un ragazzino, aveva da poco compiuto nove anni.
Un bel bambino, non c’é che dire, ma timido, riservato, molto impegnato nello studio e in mille altre attività, le più disparate.
Forse per spirito di emulazione, o per sincera ammirazione del fratello maggiore, era tutto preso da letture tecniche, geografia fisica, meccanica, geometria, misurazioni astrali.
I genitori non lo contrariavano, non perché era nato dopo tanto tempo ed era, ormai, il loro cucciolo di casa, ma perché in quella casa c’&egrave sempre stata una strana atmosfera, alquanto irreale.
Il padre insegnava, e insegna ancora, all’osservatorio astronomico.
La madre &egrave una delle maggiori esperte di storia dell’arte, e i suoi allievi, a quanto sembra, non solo la stimano, ma le vogliono bene.
Gli anni sono trascorsi.
Oggi Mario, che ha conseguito la maturità col massimo dei voti ed &egrave al primo anno di ingegneria, ha avuto la bella idea di partecipare a un concorso bandito dalla Provincia di Torino, Servizio Tecnico. Lo ha attratto il bando, le condizioni previste per i vincitori.
E’ un concorso per contratti di formazione e lavoro, con prestazione part time. L’Amministrazione terrà conto delle eventuali esigenze dei vincitori studenti per la articolazione del part time, il tempo parziale, che potrà essere distribuito in giornate intere, o mezze giornate, a condizione che si prestino le ventiquattro ore settimanali contrattuali.
L’ammissione al concorso avverrà con una prima eliminatoria per titoli.
E’ richiesta idoneità fisica al cento per cento, per la probabilità di servizi esterni. ‘Sul campo’, &egrave detto nel bando.
Discreto trattamento economico, possibilità di conferma.
Mario, senza dire nulla a nessuno, aveva scaricato il modulo da internet, lo aveva rispedito, e poiché aveva conseguito la maturità col massimo dei voti, era sano e di robusta costituzione, esente da infermità invalidanti, ecc., era stato chiamato alla prova di esame.
Sei posti, dodici ammessi al concorso.
Quando ricevette la comunicazione, eravamo tutti a tavola, per una delle solite riunioni settimanali.
Che Mario fosse lietissimo, quasi, esaltato, lo poteva comprendere solo chi lo conosceva, perché nulla trapelava dal volto, dal comportamento.
Solo una cosa disse.
‘Se lo vinco, mi trasferisco all’Università di Torino. Lavoro e studio e sarò quasi autonomo.’
Nessun commento.
L’unica a guardarlo, con una certa espressione mista d’orgoglio e di dispiacere per l’eventuale lontananza, era la mamma.
Tutti furono d’accordo che la famiglia doveva, comunque, sostenerlo, essergli vicina.
Tutto bene, ma quando mancavano pochissimi giorni all’esame, Mauro fu inviato, come ho detto, in una località abbastanza lontana; mio suocero credette bene di farsi venire un mezzo coccolone per cui dovette essere ricoverato in clinica; la moglie si fece allestire una poltrona letto nella stessa camera e’
‘Sii cortese, Fausta’ ‘mi pregò mio suocero- ‘sta tu vicina a Mario, accompagnalo a Torino, non possiamo lasciarlo solo.’
Mario mi guardò, attendendo la mia risposta.
Cosa potevo dire?
Feci buon viso a cattivo giuoco.
‘Va bene, ci penso io!’
Il viso di Mario, stranamente, lasciò trasparire, sia pure velatamente, la sua soddisfazione.
E così, ero io ad accompagnare quel reserved man, tipo silenzioso, che s’era messo in testa di rendersi autonomo, sia pure parzialmente, lavorare, e frequentare una Università che lui riteneva particolarmente prestigiosa.
Dal punto di vista estetico, Mario era un bel ragazzo, vestito con accuratezza ma senza cadere in un classicismo per lui anacronistico. Frequentava palestra, piscina. Gli piaceva la musica, la pittura, la scultura, il teatro, il cine.
Non sapevo nulla dei suoi rapporti con l’altro sesso, tanto che, non lo nascondo, mi sono spesso domandato se non propendesse per la sua stessa sponda.
Avevo evitato di accennarne perfino con Mauro, perché, in fin dei conti, era cosa che non mi riguardava.
Prenotammo l’aereo per Torino.
Partenza domenica. Gli esami erano il lunedì.
Prenotazione alberghiera al Sitea, poco distante dal luogo della convocazione.
Il sabato mattino, la TV comunicò che le condizioni meteo del nord erano pessime. Tempeste di neve avevano colpito il nord, in particolare il Piemonte, L’aeroporto di Caselle era chiuso e non si prevedeva la riapertura. Era escluso, comunque, che ciò potesse avvenire prima di quarantotto ore.
Si cominciava proprio bene!
Telefonai a Mario, che del resto abitava coi genitori al piano superiore, ma che era solo, con la colf, dato che padre e madre erano in clinica.
Gli dissi che era giocoforza partire in treno, ma non per arrivare il lunedì mattina perché, dato il tempo, chissà quali ritardi potevano esserci.
Lui era contrariato, ma riconobbe che non c’era niente altro da fare.
Mi misi in contatto con trenitalia.
Mi suggerirono di prendere il treno della sera, alle 23.10, per viaggiare comodamente, di notte, e arrivare comunque in mattinata, anche se erano prevedibili dei sensibili ritardi.
Chiesi due singoli di prima classe, in WL.
Niente da fare.
Tutto occupato.
Unica possibilità un doppio, di prima, WL, che era stato disdetto proprio in quel momento.
Lo riservai, detti il numero della carta di credito, avrei ritirato il biglietto entro le 22,30, a Termini.
Alzai le spalle.
Avrei condiviso lo scompartimento con Mario.
Lo conoscevo da quando aveva nove anni!
Telefonai nuovamente a Mario, gli comunicai come stavano le cose.
Gli dissi che saremmo dovuti uscire di casa, col taxi, non dopo le 22.00. Lo pregai di informare i genitori di tutto.
Prima di riattaccare, gli proposi di venire a cena da me, alle 20.00.
La mia colf avrebbe rassettato tutto dopo la nostra partenza.
Ero veramente contrariata.
Mi venne in mente di richiamare il Sitea, a Torino.
Confermai la prenotazione.
Mi dissero che il tempo era pessimo e speravano che gli occupanti delle camere da noi prenotate potessero lasciarle libere in tempo.
Altra seccatura.
Andai dal parrucchiere.
Al ritorno, preparai alcune cose da mettere nella sacca da viaggio.
Camicia da notte, qualcosa per cambiarmi.
Erano circa le quindici quando Mauro mi chiamò al telefono.
Da lui c’era un bellissimo sole, e almeno ventotto gradi, si poteva fare il bagno.
Cercando di apparire meno infastidita di quanto in effetti fossi, gli accennai alle difficoltà del viaggio, e come avevamo rimediato.
Si mise a ridere.
Fece lo spiritoso.
Nel salutarmi mi augurò buon viaggio e, sghignazzando, mi raccomandò di andarci piano con Mario, di non sedurlo.
Umorismo del cavolo!
Mangiai svogliatamente il filetto e l’insalata che Lisa aveva preparato, andai a sedere in poltrona, per leggere il giornale.
‘Mi raccomando, vacci piano’ non sedurlo”
Le parole di Mauro mi risuonavano nelle orecchie, mettevano in moto una catenaria di pensieri.
In effetti, Mario era un uomo adulto, di 185 centimetri d’altezza.
Avrebbe dormito poco distante da me.
Anzi, per essere sincera, pensai che avrebbe dormito nella cuccetta superiore, quindi sopra me!
Quel sopra richiamava subito la missionary position, quella tradizionale: lei sotto, lui sopra.
Cercai di scacciare quella visione, ma non ci riuscivo.
Mi sforzai a ricordare che avevo avuto qualche dubbio sulle preferenze sessuali di Mario.
Niente da fare.
Il leit motiv era: Mario ed io nello stesso scompartimento, lui sopra, io sotto.
Però’! Mica male quel ragazzone!
Poi pensai a me, quasi dodici anni più di lui.
Va bene, ma mica posso considerarmi vecchia alla vigilia dei trentuno anni.
Sono abbastanza alta, snella, ben soda, senza la benché minima smagliatura.
Mia suocera, esperta e critica d’arte, diceva che avevo un corpicino da modella, lei parlava di glutei, di seno. Esaltava quella che chiamava la mia callipigiosità, insomma che avevo un gran bel sedere, ed apprezzava la divina proporzione ‘lo diceva lei- con l’altro delizioso attributo femminile: il petto!
Mario diceva che ero la sua golden cunt, la sua fichetta d’oro, lui era avvezzo ai termini inglesi, e anche un po’ fissato, ma estendeva la valutazione anche al golden arse, quando mi palpeggiava le chiappe, nonché alle golden tits with nice rubies on te top, allorché ciucciava il ‘rubino’ sulle mie tette.
Per rimanere nel campo della gioielleria, fu naturale chiedersi se e di quale metallo, prezioso o meno, fosse il cock, l’uccello, di Mario!
Mi alzai per cercare di distrarmi e scoprii che qualcosa era accaduto in me, c’era dell’umidiccio tra le mie gambe.
Ci mancava pure questo!
Poco dopo le diciannove, scese Mario.
Appese il paltò all’attaccapanni, posò la sacca per terra.
Gli andai incontro.
Mi sorpresi che lo guardavo diversamente dalle altre volte.
Lo valutavo come uomo, come maschio.
Era veramente un bel ragazzo, e quella sua aria alquanto timida lo rendeva ancor più interessante. C’era qualcosa di enigmatico nel suo modo di fare, e questo, mi accorgevo, mi incuriosiva.
Anche il tono della mia voce sembrava diverso.
Non solamente affettuoso, cordiale, ma carezzevole, in un certo senso invitante, confidenziale, addirittura intimo.
Lo invitai a sedere a fianco a me, sul divano, a prendere un aperitivo.
Mi tenevo diritta, sulla persona, col petto bene in evidenza.
Accavallai le gambe, non curai di abbassare la gonna.
Fui io stessa ad andare a prendere l’aperitivo nella credenza, e mi accorsi che sculettavo, sensibilmente.
Questo mi piaceva, mi faceva strofinare le gambe, l’un l’altra, gradevolmente.
Era la prima volta che gli occhi si posarono sui pantaloni di Mario, indagatori, indiscreti.
Era logico che, in un certo qual modo, il sesso si notasse.
Nulla di eccezionale, come prevedibile.
Eravamo molto vicini, sentivo il suo calore, e non mi infastidiva notare che un certo languore s’impadroniva di me. Un leggero delizioso eccitamento.
Per fortuna Lisa annunciò che la cena era servita.
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Il conduttore ci accompagnò allo scompartimento, ci domandò se volessimo qualcosa.
Ordinammo due cognac, una minerale, e lo pregammo di chiamarci, l’indomani, un’ora prima dell’arrivo a Torino, con due buoni caff&egrave.
Dopo pochi istanti tornò con quanto avevamo chiesto.
Augurò la buona notte, ci raccomandò di mettere la sicura alla porta, chiuse, si allontanò.
Abbastanza stretto lo scompartimento.
Come si &egrave soliti fare, controllammo che la dotazione fosse a posto: saponino, bottiglia con l’acqua, nel ribaltabile; in basso, il vasetto per eventuali urgenze notturne.
Mario era quasi sorridente.
‘Credo che tu preferisca che io stia sopra, vero Fausta?’
La domanda mi colse di sorpresa, mi fece sobbalzare.
Quella parola, sopra, aveva assunto nella mia mente un significato particolare.
Mario sopra a me.
Sentivo schiacciarmi dalla sua mole atletica.
E mi eccitava.
Era molto più alto di me.
Gli dissi che era meglio mettere la scaletta.
Scosse la testa.
‘Non c’&egrave bisogno, ci si arriva facilmente.’
Il treno stava avviandosi lentamente.
‘Allora, Fausta, io esco, così ti lascio libera di cambiarti e metterti a letto.’
‘Non credo sia necessario. Sali al tuo posto, spengo la luce, mi cambio, mi infilo nel letto, riaccendo, tu scendi, rispengo, ti prepari tu, risali, e ognuno potrà decidere se dormire subito o leggere. Certo che il dondolio del treno &egrave sensibile.’
Mario tolse le scarpe, balzò sulla cuccetta superiore.
Spensi la luce, ma c’era un certo chiarore, che veniva da fuori filtrava dal finestrino.
Non fu difficile svestirsi.
Il fatto &egrave che io non uso pigiama, ma camicia da notte, e che a mala pena riesco a sopportare le mutandine, mentre devo assolutamente liberarmi del reggiseno.
M’infilai nel letto.
Non m’ero accorta che Mario aveva armeggiato in un certo modo, per cui, quando gli dissi che toccava a lui e accesi la luce, scese già in pigiama, solo per appendere i suoi abiti.
‘Buona notte, Mario.’
‘Buona notte Fausta.’
Era vicino a me, in piedi, imponente.
Si chinò, con naturalezza, mi baciò sulla guancia.
‘Ancora buona notte.’
Non usavamo baciarci quando ci salutavamo.
Agilmente tornò in alto.
Sopra!
Ero distesa, con gli occhi aperti.
‘Fausta, scusa, ti dispiace se accendo la lucetta qui, da me, per leggere? Non riesco a dormire.’
‘Accendi pure, leggi se vuoi, neanche io ho sonno. Sarà anche che &egrave ancora un po’ freddino questo scompartimento. Leggi. Io, purtroppo non ho portato nulla, in proposito.’
Agile e leggero come un felino, Mario apparve accanto a me, con una rivista.
‘Prendi questa se vuoi.’
‘E tu?’
‘Non fa nulla, cercherò di dormire. Hai ragione fa un po’ freddo.’
‘Siedi qui vicino, sfogliamola insieme.’
Mi allontanai un po’ dalla sponda, per fargli posto.
Mi dette la rivista, cominciai a sfogliarla.
Ebbi l’impressione che tremasse.
‘Hai freddo?’
‘Un pochino.’
‘Allora, prendi il giornale e torna su.’
Mi guardò intensamente, c’era sempre un ché di timido nei suoi modi, ma anche una luce che non gli avevo mai visto.
‘Se mi fai un po’ di posto, solo un po’, possiamo leggere insieme e staremo più caldi.’
Non credevo alle sue parole e nemmeno a me stessa, perché alzai la coperta e gli feci posto.
Si infilò, delicatamente, si voltò su un fianco, verso me.
La cuccetta, però, era tanto stretta che era impossibile non toccarci, e sentii chiaramente che nel suo pantalone era avvenuto alcunché di inequivocabile, il suo fallo strusciava sulla mia pancia.
E qualcosa accadde anche a me.
Sentii il grembo contrarsi.
Guardavo la pagina del giornale ma non vedevo né caratteri né immagini.
Ero immobile, rigida.
Mario mi fissava, in silenzio.
Allungò un braccio, lentamente, lo passò sotto la mia testa, lo agevolai in quell’abbraccio, mi avvicinai a lui.
Mi strinse con dolcezza, tenerezza.
Abbassò il viso, verso me, mi sfiorò la fronte con le labbra, scese piano alla mia bocca, si fermò. Ero io, però, che non riuscivo a restare ferma, le mie labbra tremavano, si dischiusero, e il bacio divenne ardente, passionale.
Il ritmo del treno rallentava, sempre più.
Il convoglio si fermò.
Una voce, metallica, annunciò che eravamo a Civitavecchia.
Poi riprese la corsa.
Mario aveva azzardato a carezzarmi un seno, timorosamente, forse attendendo la mia reazione.
Non certo quella che ebbi.
La mia mano scese lungo il suo corpo, entrò nei pantaloni, gli afferrò il fallo, golosamente.
Niente di spropositato, ma tutto in proporzione col resto.
Era prepotentemente eretto, palpitante.
Non era del tutto sicuro se andare oltre.
L’altra sua mano alzò la camicia, s’infilò nelle mutandine, carezzò tra le gambe. Quando si schiusero, spontaneamente, continuò, cauta ma decisa, titillò, penetrò, saggiò.
Io cominciavo a perdere ogni controllo,
Pochi movimenti e mi liberai delle mutandine.
Ancor meno servirono per togliergli i pantaloni.
Ormai agivamo con una certa frenesia che, però, riuscivamo a contenere entro certi limiti.
I baci e le carezze, sempre più insistenti, invadenti, non lasciavano inesplorato neanche un centimetro di noi.
Nel cervello esplose quella parola: sopra!
Gli fui sopra, in un attimo, con le gambe aperte, il bacino proteso. Presi il glande lo condussi alla mia vagina, mi infilai dolcemente.
Il dondolio del treno aiutava il nostro amore, il ritmo delle ruote sulle rotaie scandiva i tempi.
Mario era bellissimo, meraviglioso.
Mi stringeva le natiche, tormentava le tette, strizzava i capezzoli, s’infilava tra le gambe, stimolava il clitoride, Ed io cavalcavo, galoppavo, ero ormai alla m&egraveta, si, alla m&egraveta, e solo lo sferragliare del vagone coprì il mio rantolo liberatorio che mi fece riversare su lui, fremente, squassata dal piacere voluttuoso, meravigliosamente invasa da lui, dal suo seme.
Quanto era durato quell’amplesso?
Non so.
Era durato tantissimo.
Eppure era finito troppo presto.
Mentre il mio respiro andava acquietandosi, il treno si fermava, anche lui: Grosseto!
Era stretto quel lettino, ma non per noi.
Eravamo un tutt’uno, strettamente incastrati.
Capì che volevo sdraiarmi.
Non so come, ma riuscimmo a voltarci senza cadere dal letto.
Di nuovo quella parola: sopra!
Sopra, adesso, era lui.
Era adagiato su me, immenso, ma non mi opprimeva.
Era profondamente in me, esuberante, ma non gravava.
I sobbalzi del tremo si trasmettevano in noi, piacevolmente, e facevano rinascere il nostro desiderio.
Lo abbracciai, con le gambe sul dorso, lo strinsi a me per cercare la massima penetrazione, lo munsi avidamente, lentamente, lungamente.
Non ricordo se furono più le fermate o gli amplessi, gli orgasmi.
Ad un certo momento, l’occhio andò all’orologio.
Incredibile, le 5,30.
Non ci eravamo accorti che tra veglia e leggero sopimento erano trascorse quasi sei ore. Fra un’ora si arrivava a Torino.
Da un momento all’altro il conduttore avrebbe bussato alla porta col caff&egrave.
In quel momento, il treno rallentò, si fermò sferragliando.
Solita voce dell’altoparlante.
‘Stazione di Genova Principe’ stazione di Genova Principe’ il treno Roma-Torino viaggia con un’ora di ritardo. Ripartirà da questa stazione non appena sarà sgomberata la linea ferroviaria tra Genova ed Alessandria’ l’arrivo a Torino &egrave previsto per le ore nove’ Stazione di Genova Principe”
Ancora tre ore per cercare di saziarci d’amore’
E poi si dice che chi mal comincia’
Guardai Mario, nei suoi magnifici occhi sfavillanti.
‘Vieni, tesoro, vieni’ sopra!’
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