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Racconti erotici sull'Incesto

Come ho sottomesso mia figlia

By 20 Dicembre 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

I rapporti con le mie due figlie Anna e Simona non sono mai stati identici. Con la più grande, Anna, sin dall’infanzia i nostri ruoli di padre e di figlia si sono sempre basati su un reciproco e naturale affetto. Con Simona, purtroppo, quasi mai è stato così. Un osservatore attento e neutrale avrebbe potuto notare, guardandoci dall’esterno, che qualcosa, come uno spiritello cattivo, ci avvicinava e allontanava al tempo stesso. C’era un non so che tra noi che non mi permetteva di apprezzare come padre i suoi sorrisi, la sua compagnia, il suo modo di essere. Per questo motivo l’educazione di Simona, molto più che quella di Anna, è stata curata da mia moglie.
Con il passare degli anni le cose sono peggiorate. Molto più spigliata e disinibita dell’altra, Simona non ha mai mancato di mettere a dura prova il rigore e la serietà che ho cercato di imporre all’educazione di entrambe. E dalla battaglia con lei sono uscito perdente. La mia autorità è andata sempre più scemando come non è accaduto con l’altra. E non perché col tempo è normale che tutti i giovani si rendano indipendenti, né credo solo per il suo carattere ribelle. La verità è che le mie imposizioni non avevano la lineare purezza che deve avere un comando paterno. Una decisione dei genitori è autorevole se è orientata all’unico scopo che la legittima, che è quello di educare. I miei insegnamenti erano invece conditi da un elemento che li corrompeva. Quest’elemento ‘ oggi posso dirlo ‘ si chiama desiderio.

Il mese scorso tramite la segreteria didattica il professore di filosofia di Simona mi comunicò l’urgenza di un colloquio. La cosa mi provocò un certo turbamento. Alle soglie della licenza liceale Simona non pareva affrontare l’approssimarsi dell’esame con lo spirito giusto di chi deve sostenere una prova importante. Sembrava piuttosto intenta a cogliere le tante opportunità che la maggiore età da poco raggiunta le offriva.
L’indomani ero lì, a scuola di Simona. Il professore mi accolse con fare cordiale e uno sguardo triste. Presto venne al punto. Simona era stata interrogata ed era andata molto male. Ma non era questa la ragione per la quale mi aveva convocato. Innervosita dall’incalzare delle domande ed esasperata di dover constatare sulla sua pelle una così mediocre preparazione, Simona aveva bruscamente reagito urlando al professore ‘La verità è che Lei è un frustrato!’.
Come sono fragili gli equilibri su cui si fondano i rapporti tra docente e discenti! Quella frase, forte si ma in sé non dirompente, detta in quel momento, con quel tono sprezzante che a Simona esce fuori così bene e per giunta in un giorno in cui il professore doveva sentirsi particolarmente inerme aveva avuto un effetto devastante sulla classe. Risuonata nel gelo dell’aula era stata seguita da un lungo silenzio durante il quale il professore aveva visto sgretolarsi l’edificio di autorità faticosamente costruito con gli studenti. Impietrito da quell’affermazione, gli occhi del professore dissero ai suoi alunni ‘ così almeno mi ha confessato ‘ ‘Si, è vero, lo sono’.
Mi congedai dal professore assicurandogli che l’indomani avrei accompagnato Simona a casa sua per scusarsi personalmente. E così fu. L’indomani ci recammo nel modesto ma decoroso appartamento dove il nostro professore viveva da solo da quando si era separato dalla moglie. Nel riceverci fu molto cortese e ci accolse con calore. Sembrava rinfrancato da quella visita. Ci fece accomodare nella sua piccola casa e ci parlò dei suoi quadri. Mi sedetti sul divano accanto a lui e conversammo amabilmente, mentre mia figlia, impaziente per quell’incontro non voluto, gironzolava curiosa.
Fu un attimo e fu tutto. E nulla fu come prima. Vidi Simona lì, ferma sulla soglia della stanza, che agitava con la mano una mutandina ricamata con l’aria trionfante di chi ha trovato le prove di un omicidio.
– Guarda, papà! L’avevo detto che il professore è un frustrato e non mi ero sbagliata. Queste le aveva lasciate la mia amica sotto il banco per fare uno scherzo al suo ragazzo e guarda un po’ chi le ha raccolte e se l’è portate a casa? Proprio lui! Che maiale!.
Sul momento non lo capii, ma ora so cosa accadde allora dentro di me. Semplicemente mia figlia con quella frase mi aveva messo a nudo. è vero, aveva detto maiale rivolgendosi al professore. Ma quante volte io stesso avevo frugato nel cesto dei panni da lavare alla ricerca di biancheria intima da annusare? Conoscevo bene la deliziosa sensazione che si prova quando si ha la fortuna di trovare una mutandina ancora umida di secrezioni vaginali, o meglio ancora impregnata degli umori lasciati dai piacevoli giochini solitari di mia figlia. E ricordavo lo sgomento misto a desiderio che provai quando una volta sulle mutandine di Simona mi parve di scorgere delle tracce di seme maschile.
Non cerco scuse o giustificazioni, né voglio essere assolto per quello che accadde dopo. Credo anzi che accadde proprio ciò che doveva accadere.
Mi alzai di scatto e schiaffeggiai Simona con forza. La seconda volta cadde a terra. La costrinsi a rialzarsi prendendola per un orecchio e la portai dinanzi al professore.
– Inginocchiati e scusati ‘ le dissi.
– No, rispose.
– No? Bene! Sia come vuoi tu.
No era la secca risposta che sicuramente mi aspettavo. Forse l’aspettavo da una vita. Un’occasione per cambiare per sempre i nostri rapporti. Per rifondarli su basi nuove coerenti con quello spiritello maligno che albergava da tempo dentro di me.
La spinsi fino al tavolo del soggiorno prendendola per i capelli. Le abbassai la testa contro il piano di legno affinché si mettesse ad angolo retto con il busto poggiato sul tavolo.
– Venga qui professore. Deve convenire con me che Simona va corretta e in questo lei mi deve aiutare. La deve punire per ciò che le ha appena detto. E soprattutto la deve punire umiliandola.
Il professore sul momento rimase interdetto. Poi si avvicinò al tavolo. Simona era lì che si dibatteva.
– Simona va frustata professore. E va frustata nuda, altrimenti è inutile. Anzi! Otterremmo l’effetto opposto di renderla più forte. Non si preoccupi di nulla, gliela tengo ferma io. Le tolga i vestiti e le sfili le mutandine. La cinghia dei suoi pantaloni andrà benissimo.
Il professore eseguì. Mia figlia si dimenava ma quella volta le andò male. Una forza brutale si era impadronita di me. Per la prima volta ero io un passo avanti a lei.
Dopo averla spogliata, il professore non si fece pregare. Preso da una foga incontenibile decise di sfogare sul culo nudo di mia figlia tutte le sue frustrazioni e forse anche tutti i mali del mondo. Colpì sulla carne di mia figlia la moglie, il preside del liceo, i colleghi odiosi, gli alunni crudeli e le alunne desiderate. E così, a ritroso, sferzò i suoi compagni di scuola più fortunati, gli amici d’infanzia che l’avevano tradito, i parenti che l’avevano abbandonato. Tutti erano lì, riuniti sul sedere di mia figlia che urlava disperata, mentre io godevo nel vedere la cinghia solcare la sua tenera carne sempre più violacea.
Il professore continuò a lungo. Poi si fermò e si mise a contemplarla. Guardò Simona, il suo sedere infiammato e me che la tenevo ferma. Poi, di colpo, riprese. Iniziò a sferrare dei colpi fortissimi, molto più forti di prima, dall’alto in basso, proprio al centro della carne esposta. Sembrava che volesse separare le labbra della fica di Simona a suon di frustate. Aprire con la cinghia quella carne maledetta. E mentre la frustava in modo così atroce le disse: ‘Questo è per aver messo in giro la voce che mia moglie mi ha lasciato perché sono impotente’.
Ebbi un sussulto. In quel momento mi tornò in mente la sensazione provata ogni volta che Simona mi riservava quei suoi sorrisini odiosi così poco innocenti. Quel giudizio tranciante sulle capacità sessuali del professore risuonava in me come il tacito rimprovero per una sfida mai raccolta. Le urlai:
– Tu hai messo in giro questa voce? Hai detto ai tuoi compagni che il professore è impotente? Che è sessualmente incapace?
Le afferrai i capelli e le tirai la testa all’indietro.
– Allora, Simona, è vero?
– Si, è vero ‘ disse rabbiosa ‘ ma non ce n’era affatto bisogno. E lo sai perché? Perché tutti a scuola sanno che è un povero frocio represso!
Ogni cosa si fermò per un attimo. Le urla di Simona. La cinghia del professore. La mia mano. Scese il silenzio. Solo allora ebbi la chiara percezione della vera natura di mia figlia. Del perché non rinunciava mai all’ultima parola. Del perché era sempre così combattiva, anche in quel momento, nonostante la cura massiccia di cinghiate. Avevo sempre creduto che fosse solo orgoglio. E invece c’era ben altro. In realtà Simona amava soffrire. Amava provocare i suoi aguzzini per spingerli oltre. Per esasperarli e costringerli a varcare confini inesplorati.
– Mi dia la cinghia professore. E venga qui, tenga ferme le braccia di Simona.
Il professore rimase immobile per un attimo. Poi si scosse. Con gesti rapidi, prima ancora che Simona potesse rendersene conto, le immobilizzai le mani dietro la schiena legandole con la cinta. Strinsi con forza. Poi chiesi al professore se aveva in casa altre corde. Andò a prenderle mentre mia figlia incredula si dibatteva. Legai le caviglie di Simona a due gambe del tavolo, in modo che le cosce fossero ben divaricate. Poi poggiai l’ultima corda sulla nuca di Simona e, senza fargliela girare intorno al collo per non strozzarla, la ancorai a un asse del tavolo posto poco sotto il bordo, in modo che la testa restasse ferma e schiacciata sul piano di legno. Infine, presi un fazzoletto dalla tasca e lo annodai attorno alla bocca. Era così, immobile, inerme e imbavagliata che nei miei sogni inconfessati l’avevo immaginata.
– Forza professore. è arrivato il momento di mostrare a mia figlia che lei non è affatto impotente. Io sono sicuro che non è così, ma ora lei deve dimostrarlo a Simona e prima ancora a se stesso.
Il professore mi guardò. Spavento e desiderio si mescolavano nei suoi occhi.
– Forza professore, so che può e anche che vuole farlo. Non pensi a cosa sia, a cosa significhi, né a cosa comporti. Viva ora per una volta ciò che accade. Non si faccia domande e scacci i mille dubbi che la frenano. Pensi solo ‘ e unicamente ‘ a godere di questo corpo offerto dal padre a un amico in credito verso la vita.
Il professore si accostò al tavolo. Guardò la carne martoriata di mia figlia. La accarezzò e ne percepì il languido tepore. Due dita sparirono nell’intimità di mia figlia. Quando le tirò fuori erano completamente bagnate. Simona, come ormai era chiaro, godeva a essere trattata così. E quegli umori distillati dalla sua fica che il professore stava annusando dimostravano che il suo corpo era pronto per essere violato.
Non mi stupii quando il professore estrasse dai suoi pantaloni il frutto possente di una meravigliosa erezione. Quando, introducendo il suo cazzo nelle mucose di mia figlia, iniziò a lavorarla come uno stallone non avrebbe saputo fare. Presto mi resi conto che in mia figlia non c’era più alcuna volontà di sottrarsi. C’era solo godimento. Allora le tolsi il bavaglio per sentirla ansimare sotto i colpi del professore. E fu in quel momento che per la prima volta Simona mi fissò negli occhi con uno sguardo carico di piacere.

Varcai la soglia senza accorgermene. Il mio io non volle pensare allora, né ricordare dopo. Non conosco il gesto e il modo, ma so che quando mi svegliai ero già nella sua bocca. La sua testa sporgeva poco al di fuori del bordo del tavolo. Quel tanto che bastava per sprofondare la mia anima in quella meravigliosa apertura che un tempo avevo contribuito a creare e che ora stavo violando nel profondo, tenendola ferma con le mani affinché non sfuggisse e accettasse il membro del padre.
Chi allora fosse entrato in quella stanza avrebbe visto due porci ‘ un padre degenerato e un professore frustrato ‘ abusare di una 18enne inerme legata a un tavolo. Ma, a ben vedere, lì c’era molto di più. C’era, in primo luogo, una meravigliosa combinazione di pulsioni che aveva reso piacere puro ciò che nessuno dei protagonisti di quella serata avrebbe osato mai immaginare.
Il professore non durò molto. Dopo alcuni minuti accelerò il ritmo e venne nella fica di Simona accasciandosi sul suo corpo piegato. Io invece ero ancora lì, installato nella sua bocca con il cazzo duro pronto a esplodere. Riversare il seme nella bocca di Simona era quanto di meglio avrei potuto desiderare. Ma in quel momento avevo un’altra necessità più urgente. Se volevo che tutto ciò che stava accadendo non diventasse il tragico epilogo di un quadretto familiare infelice avevo bisogno di essere sicuro che Simona da quella sera si sarebbe assoggettata alla mia virilità. E dalla notte dei tempi esiste un solo modo perché una donna si sottometta al maschio una volta e per sempre. Simona doveva essere inculata. Doveva essere aperta dal padre dove i suoi amichetti e compagni di scuola non erano ancora riusciti ad arrivare.
Le tirai fuori il cazzo dalla bocca e chiesi al professore di scostarsi. Vidi così tra le striature profonde lasciate dai colpi di cinghia una fessura dischiusa e tumefatta dalla quale fuoriusciva un piccolo rivolo di sperma misto a umori vaginali. Due piaceri sgorgavano riuniti scendendo lungo la coscia destra di Simona. La presenza dello sperma del professore mi impediva di assaporare la purezza degli umori di mia figlia. Mi accontentai di rigirare le dita in quell’apertura divenuta così docile e indifesa. Estrassi le dite colanti di un liquido biancastro di cui doveva essere piena. Strusciai le dita umide sul buchetto del culo per saggiarne la resistenza. Il primo dito entrò facilmente.
– Sei mai stata presa qui? ‘ chiesi.
– No.
– Bene. Se ti rilassi e rilasci i muscoli senza fare resistenza faremo presto e forse ti piacerà.
Questa frase venne fuori con naturalezza. Ora che ci ripenso provo una strana sensazione nel constatare che stavo spiegando a mia figlia come farsi inculare nel migliore dei modi. Continuai ad aprirle l’ingresso posteriore con le dita usando una certa delicatezza. Avanzavo poco alla volta, in modo da dare tempo alle mucose di dilatarsi. Quando il suo orifizio smise di contrarsi a ogni ingresso delle dita, capii che era giunto il momento di procedere. Appoggiai il cazzo e, dopo averlo inumidito, iniziai a spingere. La cappella entrò quasi subito. Spinsi di più.
Il momento cruciale di ogni ingresso posteriore è come un battito di ciglia. Un attimo in cui la pelle, dilatandosi, riesce ad accogliere quel cilindro di carne per poi richiudersi un istante dopo attorno alle sue pareti. In quel momento spesso la donna emette un lamento. Ed è quello il segno tangibile che qualcosa è accaduto. Che qualcosa tra quelle due persone è cambiato per sempre.
L’arai a lungo. L’anello di carne di Simona serrato attorno al mio membro mi procurava un forte piacere. Ma maggiore era il piacere che proveniva dal significato di ciò che stava accadendo. Affondarle il cazzo nell’intestino, sentire la fica contro le palle, serrare con le mani i fianchi di mia figlia incapace di difendersi e legata mi rendevano un uomo felice. La padronanza di mia figlia si completava in quel rito satanico. Sbatterla. Non trovo vocabolo più adeguato, per quanto banale, per rendere l’idea di quell’operazione che da come gemeva doveva piacerle molto. Se non lo era già, la stavo aiutando a diventare una bellissima e sensuale troia nel senso più vero del termine, che è quello della pura, incondizionata ricerca del piacere. Quando il mio sperma si riversò in lei, riempendola, mi soffermai a pensare che quello stesso seme che l’aveva un tempo generata si rinnovava in lei. Stavo godendo del frutto del mio stesso seme. E nel godimento nuovo seme irrorava quel frutto ormai maturo affinché il ciclo vitale di quel seme si richiudesse definitivamente.

Adesso? Adesso sono sereno. Simona, la mia dolce Simona, è con me. Le nostre anime si sono liberate. Affrancate da vincoli morali, sociali e di convenienza si sono finalmente congiunte. Mia figlia ha scoperto il piacere di essere domata. Di ricevere ordini sessuali da un padre depravato. E io ho scoperto il piacere di sfogarmi su un corpo così a lungo desiderato. Il corpo di Simona ora è qui. Posso toccarlo e violarlo. Posso abusarne e goderne. Posso disporne. é finalmente, meravigliosamente e pienamente mio.

Osservazioni e commenti: leonard_1974@libero.it

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