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Racconti erotici sull'Incesto

Diciott’ anni, il nonno…

By 2 Settembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Avevo compiuto diciotto anni da poco, cercavo di rintracciare, su di me, segni tangibili di questa raggiunta, presunta, consapevolezza di maggiori responsabilità e libertà. Mi sentivo come ero sempre stata, con le stesse aspirazioni, velleità, limitazioni. Non mi spiacque sapere che avrei trascorso il periodo estivo in montagna, col nonno, nel suo agriturismo. Intelligente, sensibile, colto. Profondo. Settantenne, docente in pensione. Mi aiutava a esprimermi, a concentrarmi, a pensare. Mi sentivo accettata, compresa. Lo amavo come se mi fosse padre, forse più di mio padre. Mi ero sempre sentita sola, come figlia. Mio padre mi era estraneo: disattento, assente, non ci appartenevamo realmente.
Arrivai dal nonno ai primi di giugno. Era stato via, in India, per un paio d’anni. Il suo interesse per la filosofia orientale e la comparatistica in ambito religioso lo rendeva, ai miei occhi, intrigante e fascinoso. Venne a prendermi, in paese, alla piccola stazione ferroviaria. Lo trovai bene, uguale a se stesso. I cenni dell’età lo rendevano quasi imponente, maestoso. Capii che vedermi lo emozionò. Era felice di incontrarmi, come sempre. E, come sempre accadeva, si commosse. Intuii, tuttavia, che ci fosse dell’altro… Sentì che, lunghi tratti acerbi della mia prima adolescenza, si stava evolvendo la fisionomia di una giovane donna. C’era tenerezza, nel suo sguardo: sguardo che, però, mi rimandò per la prima volta, come di riflesso, l’immagine della mia femminilità. Mi sistemai nella stanza dell’ultimo piano, che era, in realtà, una splendida mansarda. La finestra apriva, spaziando fino all’orizzonte, sui monti e sul fiume. Facemmo presto, il nonno ed io, a ritrovare quell’affetto e quell’ intimità innocente, normale tra nonni e nipoti, che, anche stando lontani, non avevamo mai perduto. Anche le nostre piccole abitudini, le modalità del nostro trascorrere del tempo assieme erano rimasti gli stessi. Lavorava , durante il giorno, con i clienti della struttura alberghiera, accudiva i suoi animali e si dedicava alle sue letture. Ascoltava la sua musica. La sera, poi, ci trovavamo. Fuori, dopo aver cenato, al fresco delle notti estive. C’era, sotto un grosso abete che si ergeva accanto la casa, un panca di pietra con un grosso tavolo, anche questo in pietra, accanto. Era lì che andavamo a sederci, e io, come facevo da sempre, mi accucciavo sulle sue ginocchia. E lo ascoltavo, lo ascoltavo per ore. Mi apriva mondi, con le sue parole: orizzonti. Stavo bene. Mi sentivo appagata, totalmente. E affascinata, ipnotizzata. Come in usa sorta di esaltazione spirituale che, stavolta, mi accorsi si stava traducendo in una sorta di singolare, piacevolissima, sensazione di eccitazione. Eccitazione sessuale, attrazione. Era tutto così naturale, semplice. Fu così che feci qualcosa, qualcosa che mi accingo a raccontare, qualcosa che cambio, credo in meglio, il resto della mia vita. Non ci pensai, non decisi nulla: accadde, semplicemente. Gli sedevo in braccio, al fresco del vento estivo, in una delle nostre notti spese a parlare della vita, del passato, di noi stessi. Cominciai a muovermi, piano, seguendo il ritmo di uno strano dondolio. IL nonno continuò a parlare, come se non se ne rendesse conto. Continuai anch’io. MI trovai, dopo un tempo lentissimo, ad avvertire la sagoma del suo pene che sfiorava le labbra del mio sesso. Continuavo ad ascoltare la sua voce, il flusso delle sue parole: mi incantavano, mi eccitavano, mi seducevano. Ci guardammo negli occhi. Continuai a muovermi. Sentii il suo cazzo acquistare durezza, ne percepii la forma, che si andava delineando con maggiore esattezza. Mi spostai ancora, gli ero a cavalluccio. Assecondando io mio dondolio, prese a muoversi: spingeva il pube in avanti, con lentezza e dolcezza: come se fosse un sussurrare delle sue pelvi. Il rigonfiamento del suo sesso, poco oltre la base, spingeva contro le mie grandi labbra, poco al di sotto del clitoride, oltre la stoffa leggera dei pigiami estivi. Continuammo a muoverci, spingendo i nostri corpi in avanti, sempre con lentezza, fino a incontrarci. Mi accarezzava il volto. Lo sentii scendere, passarmi le dita sul collo, sfiorare un seno. Prese a disegnare piccoli cerchi, con i pollici, sui miei capezzoli: spingevo con più forza sul suo cazzo, ormai quasi disperatamente, mentre li sentivo farsi duri, eretti. Il suo cazzo cresceva, sentivo il glande scivolarmi lungo le labbra, oltre il sottile velo del pigiama… Smise di masturbarmi i capezzoli con le dita per prenderli con la lingua: li masturbava, leccandoli, sopra il cotone leggero… Sentii la sua mano intrufolarsi tra il mio sesso e il suo. Mi sforava le labbra, con un dito. Mi sollevo, adagiandomi sul tavolo. Mi tolse il pigiama. Mi accarezzò, dolcemente. Il viso, la fronte, il collo. I seni. I capezzoli. Li sfiorava col palmo della mano, con le dita. Alternava piccoli colpi con la lingua, brevi, per poi prenderli in bocca, e succhiarli. Scese, scese fino a intrufolarsi, piano, nei peli neri che nascondevano il mio sesso schiuso, ormai: palpitante, e umido, pregno dei suoi stessi umori. Mi aprì le gambe, poggiandosele sulle spalle. Mi sfiorò le labbra, per un po’, carezzandole. Poi le divarico, avvicinò il viso al mio sesso, e lo fissò. Se ne stette così, immobile, per un tempo che non sarei definire. Erano, per me, sensazioni sconosciute, mai provate. Sentivo che stavo godendo, che ni stavo bagnando. La lingua di lui, all’improvviso, si poggiò, larga, nella cavità del mio sesso divaricato al massimo dalla pressione delle sue dita e dal mio eccitamento, spalancato. Stette, ancora per un po’, immobile. Quella lingua mollemente consistente, rugosa, pesante, incollata al mio sesso ormai sfatto dal piacere… Mi sembrava di impazzire. Cominciò a muoverla: leccava, leccava forsennatamente, poi dava piccoli colpi al clitoride, piano: E riprendeva, tentava di infilarsi dentro, di violare la mia intimità più profonda, di scoparmi fino in fondo. Intanto mi titillava i capezzoli, con palmo delle mani, con le dita. LI stringeva, tirava un po’, con ferma dolcezza. Mi venne accanto, riuscivo a sentire l’odore dolciastro, vagamente acre, del suo cazzo in amore. Era in piedi, il mio viso sotto la sua patta gonfia. Lo toccai, per la prima volta. Seguii, sulla stoffa del pantalone da camera, la sagoma del suo sesso. Gli cinsi i testicoli, li strinsi, piano, nel pugno della mano. Sollevai la testa, leccai. Lacerai, coi denti, il cotone. Il suo cazzo contro le mie labbra, sul mio volto. Lo masturbai a labbra chiuse, sfiorandolo, su e giù. Con le dita. Seguii il profilo della sua cappella, gli leccai il meato. Percorsi l’asta, toccando e leccando, per tutta la sua lunghezza. Lo presi in bocca, continuando a leccare, masturbandolo… Su e giù. Mi fermavo, senza sputarlo fuori, per dargli dei colpetti di lingua sulla cappella, continuando a leccarne i contorni. Quel cazzo palpitava, fremeva. Si sottrasse alla mia bocca, mi fece girare, distesa. Sentii ancora la sua lingua. Mi aveva divaricato le natiche, mi leccava l’ano. Fingeva di violarlo, delicatamente, con la punta della lingua, e poi scendeva. Scendeva fino alle labbra: le penetrava, leccandole. Le allargava con le dita. Improvvisamente, mi sentii violata: mi stava masturbando, la sua mano era nel mio sesso, tutte e cinque le dita, a cuneo. Spingeva, mi inarcavo all’indietro, verso di lui, per favorirne il movimento. Godevo, godevo troppo intensamente, da troppo: ebbi il mio primo orgasmo. Estrasse la mano, mi sentii svuotata. Mi montò sopra, la cappella si muoveva tra le labbra del mio sesso sfinito, lungo tutta la sua lunghezza. Lo ebbi dentro: tutto insieme, di colpo, fino ai coglioni. MI riempiva, mi faceva morire di piacere. MI penetrava intensamente, senza uscire mai, freneticamente. Rallentava, estraeva qualche centimetro, per poi ricominciare, più forte ancora. Lo sentii venire: era tanto, tanto e caldo, con la sola cappella all’ingresso della fica, tra dentro e fuori. Praticamente appoggiato alle labbra.
Fu la mia prima volta col nonno, che coincise con la mia prima esperienza sessuale. Venni per la prima volta ebbi il mio primo orgasmo: il più dolce, disperato, intenso che io possa, oggi che non sono giovane, ricordare. Il migliore della mia vita.

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