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Racconti erotici sull'Incesto

Epaminonda

By 6 Aprile 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Il nome mi sembrava interessante, mi attraeva. Epaminonda, generale tebano, vittorioso a Leuttra nel 371 a.C. e invasore del Peloponneso.
Quando l’occhialuta docente di storia greca ne parlò, e si dilungò per quasi un’ora sulla persona e sulle gesta di Epaminonda, mi accorsi di essere attentissima, attratta da questo personaggio.
Non eravamo molti, in aula, e qualcuno era venuto solo per passare il tempo.
Terzo anno di lettere.
Ero alla ricerca di un soggetto per la tesi, volevo soffermarmi su una figura dell’antica Grecia, non principalissima, ma tale da poterci scrivere sopra cose degne di attenzione, metterla in rilievo, valorizzarla.
Con Luisa, la mia compagna e amica di tutti i giorni, andammo al bar. Un cappuccino e un cornetto. Eravamo sedute in un angolo del bancone. Le dissi la mia intenzione.
Luisa sbottò a ridere.
‘Epaminonda, ma &egrave un nome buffo, anche un po’ equivoco.’
‘Equivoco?’
‘Sembra attribuibile al sesso maschile?’
‘Ma che dici?’
‘Leggilo così: epa m’inonda! Mi allaga la pancia’! Chi lo fa se non ‘lui’?
Inoltre, invasore del Peloponneso. Sta attenta: ‘pelo’ e ‘ponneso’ dove ponneso sta certamente per recingente. Non ti richiama alla mente un pene tra le grandi labbra?’
‘Tu e le tue disquisizioni inutili.’
‘No, tu devi soffermarti sulle parole, sul loro suono, sulla possibilità di spezzarle e sui nuovi significati che ne derivano.
Prendi ad esempio il verbo ‘edificare’ non ti dice nulla?’
‘Cosa dovrebbe dirmi?’
‘Che sta ad indicare ‘lui’, sempre ‘lui’. E’ di fica re!’
‘Ma tu pensi solo a quello?’
‘Beh, in primis ed ante omnia. Si, primariamente e innanzi tutto.’
‘Tutto qui?’
‘No, ce ne sono molte di queste parole.
Un’altra? Infanticida. Spezzala: Infanti ci dà! Chiaro?’
‘Per risponderti con la tua stessa follia, ti dico che sei una maniaca del diritto penale!’
‘Certo, cara. A me il ‘diritto’ piace, &egrave un incanto, &egrave per questo che quel tipo di vendita all’incanto si chiama’ asta! Cultrice del diritto, certo. E so distinguere bene quando &egrave diritto e quando &egrave fatto.’
‘Cio&egrave?’
‘Quando &egrave diritto non &egrave fatto, e quando &egrave fatto non &egrave più diritto!’
‘Questo secondo la giurisprudenza del tuo foro, perché ci sono casi in cui é diritto anche dopo il fatto. Ed ora basta con queste sciocchezze. Che ne dici di una tesi su Epaminonda?’
‘Considerando il nome, &egrave argomento certamente piacevole e attraente.’
Fu così che da allora mi sono dedicata alla storia della Grecia antica ed ho approfondito lo studio di quel particolare periodo, 400-300 a.C., tanto da divenire una delle maggiori esperte della materia.
Storia greca, infatti, &egrave ciò che insegno, come associata.
Non ho mai lasciato l’università.
La quattrocchiuta Elettra Salvini, la professoressa con la quale ho discusso la tesi su Epaminonda, mi ha sempre incoraggiata, mi ha affidato qualche lavoretto, in una delle sue pubblicazioni ha aggiunto il mio nome al suo, sono stata la sua assistente preferita, e quando si &egrave trasferita a Torino, per ragioni di famiglia, il suo appoggio &egrave stato determinante per subentrare, anche se non ancora titolare, sulla sua cattedra.
E’ all’università che ho conosciuto Roberto Tiberini, allora aspirante alla titolarità di Storia romana, che poi ha brillantemente ottenuto.
Con Roberto c’&egrave stata una simpatia a prima vista, poi qualcosa di diverso, fino a decidere di sposarci, a Santa Francesca Romana. Mi ero appena laureata con centodieci e lode, non avevo ancora ventitré anni. Roberto ne aveva dieci più di me.
In uno di quei travolgenti incontri che noi chiamavamo ‘greco-romani’ concepii Ettore (come chiamarlo diversamente dall’eroe greco?), il nostro splendido bambino, che venne alla luce giusto nove mesi dopo le nozze.
Con genitori simili, che poteva fare Ettore?
Liceo classico, particolare interesse per la storia, maturità lusinghiera.
Un gran bel ragazzo, simpatico, intelligente, a volte un po’ chiuso, pensoso, tanto che lo chiamavo ‘il mio bel tenebroso’. Perché Ettore &egrave bello, bellissimo. Non altissimo, né muscoloso come i cultori del body-building, ma snello, proporzionato, con un volto incantevole.
Del resto, diceva Roberto da una madre del genere cosa poteva venir fuori se non tale esemplare?
Io cerco di non essere oppressiva, ma non solo curo attentamente il mio bambino (si, lo chiamo bambino anche ora che ha diciotto anni), ma lo coccolo teneramente. Quando posso lo tengo sulle mie ginocchia, lo cullo, lo carezzo, lo bacio.
Mi piace baciare Ettore, e non nego che mi piacerebbe baciarlo sulle labbra e che quando sento le sue labbra sulla mia pelle ne sono inebriata.
Mi piace quando dice che sono la sua bella sposina. Me lo dice da quando ha imparato a parlare.
Mi abbraccia, mi fa ballare, andiamo insieme al cinema, al tennis, alla piscina.
Mi guarda compiaciuto quando mi preparo per il nuoto. Mi sorride e annuisce.
‘Va là, sposina, che sei proprio una gran bella figliola.’
‘Ma Ettore, figliola io? A quarantadue anni!’
‘Non dirlo a nessuno, mamma, non ci crederebbero, non vedi come ti guardano? Sei splendida, affascinante, sono molti a credere che sei la mia ragazza.’
‘Sciocchino, che te ne faresti di una ragazza che &egrave nel pieno dei suoi ‘anta’?’
Quella volta Ettore mi guardò in uno strano modo, serio, pensoso. Strinse le mascelle.
‘Lo so io cosa me ne farei di una donna come te.’
Non doveva dirmelo, Ettore, non doveva guardarmi in quel modo. Quando fummo nella cabina per cambiarci, non doveva abbracciarmi e baciarmi sul collo, con le mani sulle mie natiche. Non doveva farmi sentire che era eccitato. E come!
Perché anche io ero eccitata!
Quel giorno non lo dimenticherò mai.
A casa, dopo cena, i ruoli cambiarono, fu lui a farmi sedere sulle sue ginocchia, a cullarmi, carezzarmi, baciarmi sfiorandomi le labbra.
Roberto era a Palermo, per un convegno.
Io non capivo più dove ero.
Però lo sentivo, sentivo la virilità di mio figlio che mi premeva le natiche.
Con una scusa me ne andai nella mia camera, dicendo che volevo riposare, mi spogliai, mi guardai nello specchio.
In effetti, ero ancora una bella donna, non una smagliatura, con petto e sedere ben sù, senza ombra di cedimento.
Chissà come mi vedeva Ettore, come donna.
Solo a pensarci, però, mi si arricciavano i peli del pube, le grandi labbra divenivano tumescenti, il grembo si contraeva.
Il grembo che l’aveva concepito, generato.
^^^
Eravamo a colazione.
Roberto aveva lezione, io no.
‘Ettore’ ‘cominciò il padre- ‘hai deciso quale facoltà scegliere?’
‘Non ancora, ma certo non una tecnica. Mi avete fatto innamorare della storia, delle antichità, dell’archeologia”
‘Perché non vai con tua madre in Grecia? Lei deve tenere una conferenza, a Olympia, ed &egrave un’ottima occasione per avere un’idea di quel mondo antico. Roma la conosci, in Egitto siamo stati lo scorso anno.’
Ettore mi guardò.
Gli sorrisi affettuosamente.
‘Che ne dici, ma’, mi porti con te? Di cosa tratta la tua conferenza?’
‘Sarei felice se mi accompagnassi, piccolo. Parlerò’. Tanto per cambiare’ di Epaminonda e del suo tempo.’
‘E quando si partirebbe?’
‘Posdomani, al mattino. In aereo fino ad Atene e in auto ad Olympia.’
‘OK, affare fatto.’
Quando ci alzammo da tavola, Ettore venne dietro me, mi abbracciò e mi baciò, per ringraziarmi disse, ma sentii la sua pressione sulle natiche e la mano che mi artigliava una tetta.
Il fatto &egrave che non mi sentivo offesa, violata.
Anzi, quel contatto mi piaceva, mi eccitava, mi produceva sensazioni confacenti più ai primi fremiti della gioventù che non a una ‘matura’, sia pure con i sensi ben svegli e appetiti tuttora apprezzabili.
Non posso dire che quel palpeggiamento mi era gradito perché dimenticavo che l’autore era mio figlio, dato che quello che mi stuzzicava di più era proprio il fatto che sentivo su di me le mani e, mi lusingava presumere, il desiderio, la concupiscenza di Ettore.
Ero certa che avrebbe potuto avere quante ragazze voleva, ed anche bellissime, ma lui voleva manifestare alla sua mamma di apprezzarla anche, e forse soprattutto, come femmina.
Il mio tesoro, si arrapava con me.
E mi faceva infiammare, fino al punto che dovevo cambiarmi la mutandine con la pattina bagnata.
Sapevo che dovevo darci un taglio.
Ma perché affrettarmi? Era così bello!
Mi ripromisi che al ritorno dalla Grecia, se quella menata durava ancora, gliene avrei parlato.
^^^
Olympia, Europa Hotel, sulla collina, affacciato sulla città antica, con una magnifica vista delle montagne dell’Arcadia e della Valle di Alpheios.
Avremmo potuto anche prendere l’aereo da Atene a Kalamata, ma ho preferito l’auto per ammirare, ancora una volta, le attrattive del paesaggio, attraversare il Canale di Corinto, e proseguire per Dafni per poi giungere a destinazione. Il Peloponneso mi &egrave sempre piaciuto, ed ogni volta che vi andavo, ed anche più spesso, pensavo all’accostamento che faceva Luisa: Epaminonda, Peloponneso!
Si, meglio l’auto, del resto, da Atene ad Olympia poco più di duecento chilometri, e da Kalamata ad Olympia più di cento.
Ettore si dimostrò molto interessato. Per lui era la prima volta che si affacciava dal ponte che congiungeva le due pareti del Canale, che vedeva, giù, le navi che attraversavano lo stretto. Mi aveva cinto la vita e mi stringeva a sé. Durante il viaggio in aereo aveva dormito, o finto di farlo, con la testa sul mio seno. In auto era sempre a toccarmi, a mettermi le mani sulla gamba, in grembo, a premerle’
Ero sempre più decisa a un definitivo chiarimento, al ritorno.
Adesso dovevo pensare al convegno su ‘Epaminonda e il suo tempo’!
L’albergo era affollato di partecipanti, anche se non li poteva ospitare tutti. I lavori si sarebbero svolti nel salone grande, ed altre sale erano riservate ai gruppi di lavoro. Uno di questi doveva interessarsi di Epaminonda come guerriero, ed ero io a coordinarlo.
Accogliente, l’Europa, e riposante il luogo.
Salimmo nelle nostre camere, al secondo piano, una di fronte all’altra.
Attendemmo che il facchino sistemasse le valige, in ogni camera, gli demmo una mancia. Ettore volle vedere la mia, era ampia, con un bel balcone e un incantevole panorama. Poi io andai a curiosare nella sua. Anche questa confortevole, con una finestra, al posto del balcone, e un letto singolo, mentre nella mia c’era una sorta di lettone, quasi matrimoniale.
Erano quasi le diciassette, noi ci eravamo alzati abbastanza presto, eravamo partiti alle nove e venti da Fiumicino, alle 13,30 da Atene.
Un’ triste snack a bordo, un caff&egrave e una pasta al bar dell’aeroporto greco, ed ora eccoci qui. Con tanta voglia di una doccia.
Con Ettore decidemmo che chi era pronto per primo andava a bussare alla porta dell’altro.
Dopo poco più di mezz’ora, mentre ero ancora in accappatoio, sentii picchiare ed Ettore che chiedeva se poteva entrare.
Andai ad aprirgli.
‘Ma come, sposina, sei ancora cosi?’
‘Perché, hai fretta?’
‘No, nessuna fretta. Tra l’altro mi piace vederti in accappatoio.’
Andò a sedere in poltrona, seguitando a fissarmi.
‘Se vuoi puoi attendermi giù.’
‘Mi cacci?’
‘No, ma non vorrei che ti annoiassi.’
‘Come pensi che possa annoiarmi quando mi &egrave dato ammirare la mia mammina, la mia splendida e affascinante mammina?’
Avevo preparato sul letto mutandine, reggiseno, gonna e blusa.
‘Ettore, voltati, così mi posso vestire.’
Avrei potuto andare a farlo in bagno!
Lui girò la poltrona e mi volse le spalle.
Lasciai cadere l’accappatoio, mi assicurai di essere ben asciutta, e lentamente cominciai a vestirmi.
Non lo vedevo, perché lo schienale della poltrona era molto alto.
‘Finito, ma’?’
‘Puoi girarti.’
Tornò com’era prima.
‘Lo sai che sei veramente uno schianto? Non mi ricordo di averti mai visto come adesso, sei magnifica, un corpicino delizioso, e tutto al posto giusto!’
‘Che stai a dire?’
‘Che lo specchio mi ha confermato quello che ho sempre saputo, ho una mamma da sballo, una donna affascinante, attraente, stuzzicante, eccitante.’
Quando s’era voltato, era proprio di fronte al grande specchio.
Ancora oggi mi domando se non lo avessi visto o non lo avevo voluto vedere.
‘Dai, Ettore, ti accorgi che stai parlando come se avessi visto un film erotico?
‘Altro che film, ma’, ho visto di che strabuzzare gli occhi, e ancora non’ posso alzarmi dalla poltrona. Sei fortissima. Sei una tentazione!’
‘Forza, bello, andiamo giù.’
‘Un momento, devo’ calmarmi.’
Si alzò. La patta dei suoi pantaloni sporgeva eloquentemente, ed era pallido.
Si avvicinò a me, mi abbracciò, volle sentire il mio grembo che accoglieva il suo gonfiore.
E mi accorsi che, forse, era quello che aspettavo.
‘Ettore? Mi sbaglio o sei fortemente eccitato?’
‘Non ti sbagli.’
‘Ma come? Ti ecciti con tua madre?’
‘Perché, ce un’altra donna più bella e attraente?’
Mi strinse ancora di più.
Il suo sesso sembrava impazzito, mi cercava.
‘Scendiamo, piccolo. Ti devo fare un discorso.’
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Incontrai vecchie conoscenze, presentai loro Ettore e tutti si complimentarono, con lui e anche con me, perché, dicevano galantemente, che non immaginavano che io, così giovane e bella, avessi un figlio di quella età. Mi suggerirono di presentarlo come il mio come il mio ‘ragazzo’. Siete proprio una bella coppia!
Ettore colse il momento che rimanemmo soli per prendermi sottobraccio.
‘Visto? Che ti dicevo io? Sei bella, giovane, attraente, affascinante, eccitante. Siamo ‘una bella coppia’!’
Gli sorrisi, ero stata sul punto di dirgli di smetterla, ma le sue parole carezzevoli, la sua voce calda, sommessa, il suo modo di stringermi il braccio, mi lusingavano, mi incantavano, mi accendevano.
Dopo cena ci fu un po’ di musica, qualche chiacchiera, nuovi incontri.
In effetti, quasi tutti eravamo un po’ stanchi per un giorno che era stato abbastanza pesante. L’indomani ci attendeva l’inizio del convegno.
Poco prima delle undici, di sera logicamente, ci furono gli ultimi saluti, ognuno tornò nella sua camera.
Quando fummo dinanzi alla mia, Ettore attese che aprissi la porta, ed entrò con me.
Mi prese le mani, mi guardò diritto negli occhi.
‘Mamma, fammi dormire con te!’
Mi sembrò d’essere colpita da una scudisciata. Sobbalzai.
Ma la mia voce era dolce, carezzevole, indecisa, poco convinta.
‘Come ti salta in mente una simile idea?’
‘Sei bellissima’ ti prego’ solo questa volta”
Lo carezzai sul volto. Aveva gli occhi pieni di lacrime, le labbra tremanti.
‘Fa il bravo, Ettore’ va nella tua camera”
‘Voglio abbracciarti’ solo abbracciarti’ sentirti vicina a me”
‘Ma sei un omone, grande e grosso”
‘Il tuo letto &egrave vasto, ti starò vicino, come vorrai tu’ non cacciarmi”
Era una vera e propria implorazione.
‘Non ti caccio, tesoro’ solo che non lo ritengo conveniente”
‘Ti scongiuro, mamma, tienimi abbracciato questa notte.’
Un turbinio nella mente: tenerezza, lusinga, eccitazione dei sensi’
‘Va a prendere il tuo pigiama”
Non mi sorrise, era serissimo.
Uscì per andare nella sua camera. Io cominciai a spogliarmi, confusa, agitata, eccitata. Andai nel bagno, mi lavai il volto, mi preparai per la notte. La cameriera aveva messo sul letto la mia camicia da notte, non molto pesante, abbastanza scollata.
Tornai in camera per indossarla, ero completamente nuda.
In quel momento si aprì la porta ed entrò Ettore.
Si fermò di colpo, sbigottito, sorpreso, incantato.
‘Visione divina, e volevi privarmene? Perché?’
Mi infilai rapidamente nel letto, così come ero.
‘Perché sono la tua mamma!’
‘E ad un figlio &egrave proibito ammirare lo splendore della propria madre?’
‘Si!’
‘Proibito da chi?’
‘Dalla morale.’
‘Chi ha stabilito questa morale?’
‘Gli uomini.’
‘Certi uomini’ i frustrati, i depressi, i pavidi”
‘Ma ti sembra normale che una madre, nuda, vada a letto col proprio figlio?’
‘Perché, &egrave anormale che un maschio e una femmina, siano felici di potersi ammirare reciprocamente, carezzare’?’
Si era avvicinato al letto, si chinò e mi baciò teneramente: sulla fronte’ sulle labbra
Andò dall’altra parte e tolse il pigiama.
Sollevò la coperta e s’infilò nel letto.
La sua erezione era enorme, fantastica.
Era la prima volta che vedevo il fallo di Ettore in quello stato.
‘Adesso, fammi indossare la camicia!’
‘Resta così’ restiamo così’ quando ero nel tuo grembo non eravamo vestiti.’
Allungai la mano, spensi la luce centrale, lasciai acceso solo il lume del comodino.
Ettore si mise su un fianco, voltato verso me.
Io ero supina, tesa, col lenzuolo fin sotto il mento e tenuto fermo da entrambe le mani.
Si avvicinò, sentii il suo sesso strofinare sul mio fianco.
Ebbi un brivido.
Si avvicinò ancora, mise una gamba sul mio grembo, col ginocchio sul pube, tra le gambe, premendo per farle un po’ disgiungere e movendolo in una delicata carezza. Lambiva i miei riccioli, lisciava; le grandi labbra s’erano eccitate a quel contatto, e l’avevano esteso alle piccole, al clitoride sempre più turgido, alla vagina stillante e vogliosa.
Ero pazzamente sconvolta, infoiata.
Ettore cominciò a carezzarmi il volto, poi scese lentamente sul petto, sul ventre, risalì sul petto. Avvicinò le labbra a un capezzolo, duro e violaceo, lo baciò, iniziò a succhiarlo, lentamente ma energicamente. Abbassò il ginocchio e lo sostituì con la mano. Le dita mi frugavano, mi facevano sussultare. Non mi accorsi di aver allargato le gambe se non quando sentii le sue dita, prepotenti, che mi esploravano sempre più decisamente, titillavano il clitoride, scivolavano nella mia vagina rorida e pulsante.
Stavo raggiungendo l’orgasmo.
Inarcavo il bacino, volevo qualcosa che mi penetrasse, che mi invadesse.
Afferrai, d’istinto, il pene di Ettore.
Montò su me, si inserì tra le gambe.
Fui io a portare il suo glande all’orifizio vaginale, ad attirarlo in me, a spingermi verso lui.
Mi penetrò deliziosamente, e in quel momento non riuscii a soffocare del tutto i gemiti del mio piacere.
Fui letteralmente squassata da un orgasmo sconvolgente, sconosciuto, con la vagina che, convulsa, lo mungeva avidamente.
Stavo abbandonandomi a un delizioso relax, ma lui seguitava focosamente il suo frenetico e incantevole andirivieni. Fui nuovamente ripresa dall’eccitazione. Sentivo che stava raggiungendo l’acme del suo godimento. Si spinse in me, quasi con violenza ‘dolce violenza- col fallo che vibrava come un’ancia. Incrociai le gambe sulla sua schiena, lo strinsi a me, in attesa di sentirmi invadere dal suo seme che zampillò, caldo, impetuoso, inondandomi voluttuosamente.
Inondandomi’ epa m’inonda’
Solo la pillola, che seguitavo a prendere, poteva arginare le conseguenze di quella deliziosa inondazione, perché io mi sentivo invasa da quel seme, fino al cervello. Tutto di me lo accoglieva come un balsamo lenitivo, come la pioggia benefica attesa da sempre. Lo sapevo che stava penetrando dappertutto quel miele incantevole, e sorridevo al pensiero che avrei potuto essere, contestualmente, madre e nonna della creatura che, malgrado tutto, mi sarebbe piaciuto concepire.
Madre del figlio di mio figlio.
Com’era bello, Ettore, su me, in me.
Si era completamente abbandonato e il suo sesso andava lentamente quietandosi.
Peccato!
Dovevo profittare di quella notte, forse l’unica della nostra vita: mia e di Ettore.
‘Ettore!’
‘Mamma!’
‘Cosa abbiamo fatto, tesoro mio!’
‘Ora posso anche morire, mamma, non mi importa. Sei incantevole!’
Lo abbracciai più forte, sentivo che stava rifiorendo in me.
‘Non dire sciocchezze, amore mio, tu sei la vita.’
Alzò un po’ la testa, mi fissò negli occhi.
‘Mi hai chiamato ‘amore mio’, mamma.’
‘Lo sei, piccolo mio, sei l’unico vero amore della mia esistenza. Ed ora la massima espressione dell’amore, la più meravigliosa delle manifestazioni, la più sublime delle sensazioni, si &egrave compiuta. Almeno per me.’
Lo sentii muoversi in me.
‘Per me &egrave tutto. Non desidero altro dalla vita. Sarebbe bello morire così, come sto adesso.’
‘E mi lasceresti sola?’
‘No, rimarrei in te, per sempre.’
Le mie gambe erano ancora intrecciate dietro la sua schiena.
Andava riprendendo il movimento di prima, meno concitatamente, più voluttuosamente.
Era scritto nel destino.
Olympia, Epaminonda, Peloponneso.
Ero certa che non sarebbe stato solo un episodio.
Fu così.
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