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Racconti erotici sull'IncestoTrio

GIOVANNA DAL PENTACOLO, L’INIZIAZIONE

By 24 Ottobre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Pochi momenti prima dell’ alba l’ ambulanza si allontanò lampeggiando, verso il Centro di Rianimazione.
Lo zoppo non era morto, aveva avuto uno choc anafilattico dovuto al contatto con qualche sostanza per lui fatale … probabilmente era stato morso da un insetto.
Io ero esausta e spaventata e mia madre non stava meglio di me. Ci preparò un te caldo.
Era troppo presto per fare qualsiasi cosa, allora decidemmo di provare a dormire almeno un’ oretta.
La camera da letto grande era in uno stato pietoso e non ci andava coricarci là: ci spostammo in camera mia.
Mamma stava veramente meglio con le ferite alla schiena dovute alle scudisciate di quel vigliacco dello zio. Le valutai rapidamente, poi le rimisi addosso il camice leggero, io indossai una canotta pulita, tipo minigonna.
Mamma si stese nel lettino ed io spensi la luce.
Prima di coricarmi, mi venne spontaneo inginocchiarmi sullo scendiletto, ponendo la testa all’ altezza della pancia di mamma: – Che fai, piccola, vieni sul letto … riposati un poco. ‘
– Si, si! ‘ accondiscesi, ma solo a parole ‘ un attimo solo. ‘
Invece, senza parlare più, mi voltai e le allargai le gambe dalle carni tenerissime e dalla pelle setosa.
Lei sussultò e si irrigidì, ma poi, lasciò fare … non aveva le mutandine, e nemmeno io.
Le carezzai la vulva delicatamente, poi cominciai prima a baciarle e a leccarle la figa; a quel punto la mamma mi tirò sul letto dal sedere, facendomici salire, ma sottosopra.
Ci mettemmo sul fianco, l’ una con la testa sulla coscia dell’ altra, a mo’ di cuscino, ci succhiammo le vulve, come fosse il bacio più innocente e liberatorio del mondo, fino a venirci, copiosamente, una in bocca all’ altra.
Dopo, mi rigirai sul lettino e abbracciai la mamma: bocca contro bocca, con gli aliti che si mescolavano e ci addormentammo per un poco.

Quando questo Mondo avrò lasciato
di ogni cosa bisogno abbiate;
quando, nel mese, la Luna è piena,
nella selva tutte insieme,
venite nel luogo deserto,
dall’ albero della Noce coperto.
Adorate allora lo spirito di Diana
la mia madre profana.
Colei che voglia apprendere l’ Arte,
mia madre la tiene da parte:
le insegnerà i Segreti.
Liberi da ogni cosa voi sarete
e nudi vi mostrerete:
uomini e donne.
E questo sarà
finché anche l’ ultimo oppressore morirà!
Contro il tempo che gli resta
fate la cena, fate Festa.
E dopo quel momento
spegnete il cero di Benevento.

Ero nel bagno.
Approfittai di essere sola per portarmi dietro la borsetta e leggere, finalmente, la pergamena comparsa dal nulla la sera prima.
Ancora sentivo parlare di streghe?
Ero perplessa.
Calcolando quello che mi aveva consigliato la nonna prima di morire tragicamente, credevo di aver collezionato, mio malgrado, le tre paure da lei descritte;quindi … se avessi voluto dare credito al probabile delirio della vecchietta, era ora di recarmi al paese abbandonato, Apice vecchia, a cercare la Janara, Siside, sua sorella e quindi mia … zia o prozia? Boh?

Seduta sul vaso lessi di nuovo quelle parole senza senso per me, ma stavolta le sussurrai tra le labbra, piano piano.
Un senso di calore mi attraversò le vene.
Forse era per lo stress di quella lunga notte …
Ma, mentre continuavo a leggere, mi sentivo sempre più euforica e … più forte.
Allora lessi ancora a voce alta. Mi piaceva sentirmi declamare quell’ invocazione … assurdo!
Strabuzzai gli occhi … avevo le traveggole?
Sulla vecchia pergamena non c’ era scritto più niente, solo le V, le A e le I erano rimaste sul foglio giallo pallido, rosse e splendenti come fossero di fuoco.
Tutte ripetevano la stessa parola: VAI, VAI, VAI!
Ero sudata e affannata, mentre ancora recitavo a memoria la litania, senza avere più bisogno di leggere.
Sullo sgabello nell’ angolo dietro la doccia, sott’ occhi ebbi l’ impressione di vedere una specie di animale grosso, appollaiato, grosso come un cane, ma quando alzai gli occhi per guardare meglio non c’ era più.
Posai la pergamena, sconvolta e titubante, abbassai mesta lo sguardo verso terra … che triste destino: povera, senza futuro certo e, probabilmente, stavo anche per impazzire.
Ma le sorprese non erano finite.
Con la testa china vedevo perfettamente i miei piedi, nudi sul tappetino chiaro, sull’ alluce di uno, i piccoli nei erano diventati ben cinque e una linea violacea, incerta come un vecchio tatuaggio, li intersecava, formando un Pentacolo, la stella diabolica a cinque punte.
Saltai in piedi terrorizzata: era veramente troppo, per un giorno solo!

Il bus sgangherato arrancava verso contrada San Michele, con i pochi passeggeri distratti e silenziosi.
Avevo salutato mia madre, inventando un bugia: le avevo detto che ero troppo scossa e preferivo andare a trovare un’ amica in città, se si faceva tardi, le avrei telefonato.
Lei aveva accondisceso; forse non credeva alla mia scusa, ma era troppo provata e confusa per contrastarmi.
Ero tanto preoccupata per lei, ma il destino mi chiamava a gran voce e, mai come in quei frangenti, ero decisa a conoscere la verità!
Tutti, persino l’ autista, mi guardarono perplessi quando premetti il campanello per prenotare l’ unica fermata che, da una curva della statale, sfiorava la piazza di Apice, il paese abbandonato.
Scesi decisa, avviandomi col mio zaino a trolley verso il paese.
Mi orientai … erano anni che mancavo.
Dopo il funerale di papà, c’ era stato il terremoto … e grandi disagi, poi ci tornammo spesso con la vecchia Panda di famiglia per recuperare cose dalla casa abbandonata, ma non crollata. Come quasi tutte del resto, il paese fu svuotato per paura, ma l’ abbandono avvenne per motivi ‘politici’.
Era il momento dei ‘terremoti’ e qualcuno decise che Apice si prestava ad una delle più grosse speculazioni edilizie del sud.
I proventi arrivarono, dopo essere stati saccheggiati dai politici di Roma, nelle mani della delinquenza locale, collusa con l’ amministrazione comunale.
‘L’ operazione’ come al solito arricchì i soliti, scontentò molti, derubò tutti.
Erano quasi le due.
Non sapevo chi o cosa avrei trovato, la ‘signora’ Siside, poteva anche essere morta e sepolta.
L’ ultima corriera per scendere a valle c’ era alle cinque.
‘Bha… speriamo bene!’ pensai incerta.
La casa della donna doveva trovarsi in una viuzza di campagna che scendeva trasversalmente, diventando un sentiero impervio e, ormai, abbandonato.
Mi inoltrai nel vicoletto, dopo gli angoli, poche case e poi subito la strada di campagna, lastricata alla maniera degli antichi romani.
Il silenzio era totale. Nemmeno le cicale avevano deciso ancora di iniziare il loro canto corale.
Trovai la casa che sembrava abbandonata come le altre, circondata da un orto ‘ giardino, che a sua volta, all’ esterno della staccionata
fradicia, era assediato dalle erbacce.
Un cancelletto di ingresso in buono stato era accostato ma non chiuso.
La casa si intravvedeva appena, era di pietra, ma gli infissi sgangherati e stinti inquadravano dei rettangoli neri come la pece: sembrava disabitata… Mi feci coraggio e entrai nel cancello.
Guardando l’ orto con maggiore attenzione restai molto impressionata dal fatto che, mentre l’ ingresso era pieno di piante grasse e spontanee, che sarebbero cresciute comunque, spontaneamente, più all’ interno c’ erano centinaia di vasi e vasetti, pieni delle erbe e dei fiori più strani che avessi mai visto.
Il tutto ammassato in una piacevole accozzaglia di colori e, a volte di odori, compresi nani da giardino stinti e beccati, carriole di legno sgangherate piene di piantine, oggetti da giardino di latta o di ferro battuto arruginiti.
Sulla sinistra della vecchia casa, una costruzione vetrata, sporca e malandata, guardava a sud: era una serra, probabilmente abbandonata.
Le piantine stanno troppo bene per essere incolte, pensai.
Forse i proprietari ci passavano spesso, ma vivevano altrove.
Nessun segno o citofono mi informava, di trovarmi presso la casa giusta.
D’ improvviso mi sentii osservata e mi guardai intorno, qualcosa rapido si mosse tra le fronde, forse un gatto … quel moto diede il ‘la’ ad un concerto di uccellini.
Strano.
Forse era l’ ora in cui cominciavano a cantare per la sera. Mah!, non ci capivo niente … però era bello sentire quel concertino di cinguettii: mi rassicurava, scacciando la paura.
– C’ è nessuno? ‘ mi decisi a chiedere ad alta voce ‘ c’ è la signora … Siside? ‘ e continuai a paralare al vuoto: -Sono Giovanna, Giovanna … la nipote di … ‘ non riuscii a finire perchè una voce gracchiante e querula, inumana, mi interruppe:
– Entrate! Entrate! Entrate! ‘ mi spaventai per la sorpresa, ma non potevo mica andarmene, avanzai cauta verso la porta accostata.
Spinsi delicatamente, trascinandomi il rumoroso trolley, sperando che il rumore facesse da deterrente per i malintenzionati … ma la voce mi fece saltare di nuovo, veniva da vicino … pericolosamente vicino:
– Entrate! Entrate! Entrate! ‘
Feci un salto all’ indietro, presa alla sprovvista.
Ma un altra voce, molto più ‘normale’ lanciò un ordine inatteso ad alta voce: – Basta, stai zitto … bestia idiota! ‘ poi, la voce si rivolse direttamente a me: – Vieni avanti, ragazza, sei giunta … finalmente! –
Ma quanti erano la dentro?
Entrai.
Una risata nervosa mi sgorgò dalle labbra, spezzando la tensione: affianco alla porta, su un trespolo, un grosso pappagallo parlante mi osservava con l’ occhio sinistro, era proprio ridicolo, come un personaggio dei cartoni animati.
– Permesso? ‘ dissi per educazione.
L’ ambiente interno era scuro, ma non nero, era bello e ben tenuto, tutto completamente rivestito in legno, dal pavimento al soffitto tenuto da grosse e antiche travi.
Contrariamente ad ogni aspettativa, la sala era elegante, tenuta in maniera perfetta: tutto era pulito e tirato a lucido, molti scaffali pieni di libri antichi e stampe alle pareti … niente quadri, niente specchi.
Da una parte un grosso camino rivestito di pietra lavica intagliata … veramente stupendo.
Di fronte, una porta vetrata, luminosa, dava sulla serra che avevo notato prima

La casa era fresca, di sicuro climatizzata, e nell’ ambiente si respirava aria pulita con una fragranza lievemente muschiata.
– Buongiorno, – dissi – io … io sono … ‘ ma venni interrotta.
– Vieni avanti, ragazza, so chi sei! ‘ Presso un piccolo, raffinato scrittoio sedeva una … una vecchia? Non si capiva bene, era una figura nera, raggomitolata e curva, il viso era in penombra, la schiena sembrava gobba e le gambette erano rattrappite, quasi come se non raggiungessero il pavimento.
Mi sentii squadrata da due occhi attenti e indagatori e, non so perché, ebbi la netta sensazione che ci fossero altre … (persone?) a guardarmi, tra le travi scure … ma di certo era solo una stupida sensazione.
La vecchia janara batté le mani e la stanza si illumino, discretamente.
Poi con un movimento felino, scivolò dalla sedia e …
Non potevo credere ai miei occhi, con un moto fluido, come se fosse fatta di una sostanza liquida, si sagomò nell’ aria, lasciandomi sgomenta … tanto da emettere un ‘Ohooo!’ come una bambina al circo.
La figura si stagliava alta, le pezze nere erano uno scialle, alla spagnola, raffinatissimo e tutto di seta, l’ abito sotto era altrettanto nero, anzi antracite: un tubino che fasciava una figura eretta, elegante, perfetta, fino alle caviglie.
Sotto i piedi sottili, calzavano scarpe di fattura eccellente, sempre nere, con una catenella d’ argento sul colletto.
La ‘signora’ si fece scendere lo scialle sulle spalle e mi incantò con il viso dalle fattezze nobilissime e delicate, occhi verdi chiarissimi, come la nonna e, in effetti si notava una certa somiglianza.
Era lievemente più alta di me, ma imponente, certamente per le perfette proporzioni del corpo.
Bellissima, il viso intagliato aveva un che’ di familiare, che mi strinse il cuore a guardarla, attirandomi verso di lei con uno strano moto dell’ anima.
I capelli erano tutti d’ argento, trattenuti sulle tempie, scendevano lunghi e sottili sulle spalle, ma non erano secchi, da vecchia, al contrario erano setosi e pieni di riflessi, mi ricordarono la luna di notte.
Ma la cosa sconvolgente era l’ età che dimostrava (o che aveva?). Ero certa che mi sarei trovata di fronte una vecchia, più grande della nonna, che era morta da poco a settantaquattro anni suonati… questa signora invece, non poteva averne più di trentacinque.
Infatti, scossa dalla sorpresa, farfugliai: – Ah … salve! Mi scusi, signora, io cercavo … pensavo di trovare la signora Siside, sono la nipote … ‘
La donna rise di gusto.
– A parte il fatto che io mi chiamo Lisa, tanti anni fa il mio nome divenne Iside … poi, i cafoni di qui, lo storpiarono in ‘Siside’ ‘
sorrideva piacevolmente ‘ Sei arrivata, Giovanna, tu cercavi proprio me … e io sono la tua ‘vecchia’ prozia. ‘ poi aggiunse – Vieni avanti, cara, fatti vedere e togliti scarpe e calze! ‘
Ero troppo confusa per oppormi, tolsi solo le scarpe, non indossavo calze.
Iside mi scrutò attentamente, girandomi intorno, facendomi sentire a disagio, poi mi fece sedere su una poltrona e si abbassò prendendomi i piedi tra le mani.
Sempre più imbarazzata, la lasciai fare, ma mi sentivo sporca e impolverata, non ero preparata ad un esame così accurato, e non mi depilavo da settimane.
– Dai, nipotina bella ‘ rise Iside ‘ non avrai vergogna della tua zietta? – poi, dopo aver osservato attentamente la stella sull’ alluce, mi alzò i piedi con le mani e li baciò teneramente.
Impacciata, dissi: – Io … signora, ehm … zia, non so cosa sia quel segno, non mi sono mai tatuata … è un neo, credo … ‘
– Ah si? ‘ disse Iside ‘ allora dev’ essere ereditario ‘ E nel dire questo sedette su una sedia a portata di mano, tirandosi su le gonne
fino alle mutandine di pizzo nero a culottes, si voltò mettendo in bella mostra il sedere perfetto e roseo: indossava un reggicalze di pizzo nero, sobrio e le calze in seta pura, di cui avevo sentito solo parlare.
Non avevo mai avuto un reggicalze. Mia madre ne aveva uno bianco, dimenticato in un cassetto, forse quello del matrimonio, e le calze più sexy che avevo indossato di nascosto, erano delle autoreggenti da pochi euro.
Ma non ebbi tempo di apprezzare la biancheria firmata: sul lato della coscia, poco sotto i glutei, la donna aveva il mio stesso segno: un pentacolo satanico, con la punta rivolta verso il basso. Era del colore del mosto in novembre … e le stava benissimo.
– Bene, allora ‘ decretò la vecchia (o giovane) zia ‘ partiamo subito, non c’è tempo da perdere. ‘ e batté di nuovo le mani.
– Partire … e per dove? ‘ ero imbambolata in mezzo alla camera, sbigottita.
– Su, su, ragazza, avrai modo di soddisfare la tua curiosità per strada … ci aspetta un lungo viaggio. ‘ mi prese per mano e mi portò di sopra, dove c’ erano le camere da letto e i bagni.
Entrammo in uno di questi: favoloso!
Tutto in marmo, spazioso, con dei mobili regali.
– Su, tesoro, fai la pipì … ‘
Mentre lei si sistemava i capelli davanti a un grosso specchio, incapace di pensare, mi abbassai il jeans e le mutandine rosa, e mi sedetti sul wc per pisciare.
La ‘zia’ mi diede una sbirciata: – Sei niente male, tesoro mio, ma dobbiamo valorizzare quel ben di dio. ‘ poi continuò – fammi vedere il seno, adesso. ‘
Non sapendo fare niente di meglio che obbedire a quella furia, mi tirai su la maglietta, non avevo bisogno di reggiseno, per fortuna.
– Bellissimo, perfetto. ‘ non potei fare a meno di notare un lampo di desiderio nei suoi occhi, ma fu solo un attimo e forse mi sbagliavo.
Andò in camera sua, tolse il vestito da casa e rimase in lingerie.
‘Impossibile’ pensavo attonita ‘questa donna dovrebbe avere ottant’ anni’.
Invece avevo di fronte una giovane donna, col fisico perfetto, le forme lievemente giunoniche nei punti giusti e una pancetta erotica, che dava il languore persino a me, che non ero lesbica ( o no?).
Ricordai che poche ore prima avevo fatto sesso, meravigliosamente, con mia madre … ma forse era un episodio unico, dovuto ad una situazione estrema e stressante … chissà!?
Iside indossò dei Jeans neri, scarpe aperte eleganti e una blusa di cotone grigio ferro.
Raccolse in una borsa di carta di Fendi una manciata incredibile di mutandine e accessori intimi, di cui molti ancora con l’ etichetta: – Questo dovrebbe bastare per te e per me … poi vedremo. Andiamo! , si ‘ ma poi, ebbe come un ripensamento e si voltò, con aria decisa, verso di me, scrutandomi: – Ma tu, non avresti dovuto avere un oggettino al collo? ‘
Io trasalii, non capivo … poi ricordai del corno di corallo, dell’ ostia bruciata … vidi Iside contrariata.
– Ah, si! ‘ sorrisi nervosa ‘ non pensavo fosse importante … ‘
– Ma cosa cazzo dici? Dove’ è? ‘
Mi sorprese la sua rabbia, improvvisa: – Ma, credo, nel mio borsone, di sotto … ‘
– Andiamo a cercarlo subito allora, senza il gioiello non andiamo da nessuna parte, capisci? ‘ Non capivo, ma assentii lo stesso.
Per fortuna lo trovai subito, l’ avevo messo tra gli attrezzi del trucco, nel borsellino.
Iside era sollevata: – Bene, tesoro, sei proprio una ragazza assennata! ‘ poi prese dalla tasca una catenina stupenda d’ oro rosso e, inserito, il pendaglio, me la mise al collo.
– Questa non la devi togliere mai. Da oggi sarà il tuo scudo, ti proteggerà. Capito? ‘
Assentii.
Ero travolta da quel turbine umano…
Feci per prendere il trolley con le mie cose, ma lei mi fermò: – Lascia perdere tutto … porta solo il trucco con te … e domani: shopping! ‘ poi rise a voce alta.
Uscendo, prese due giubbotti stupendi di pelle dall’ attaccapanni nell’ ingresso e me ne porse uno: – Questo dovrebbe andarti bene, provalo! ‘
Lo indossai, sentii la qualità sotto le mani, la pelle era morbidissima e piacevole al tatto.
Fuori tutto era rimasto campagnolo, come al solito.
Iside chiuse la casa, mentre il pappagallo protestava.
Fuori dal cancello, ci aspettavano due personaggi strampalati … erano due uomini bassi e strani.
Uno, magro, vestito con una maglia alla dolce vita bianca e fuori moda, nonostante gli arti magri, aveva un pancione che gli tendeva la maglia. L’ altro era tracagnotto e rubizzo, come se avesse appena ingollato un litro di vino, era semi calvo e vestiva di marrone scurissimo, pantalone e camicia chiusa al collo.
Si inchinarono a Iside e a … me.
Ci aprirono lo sportello di una meravigliosa BMW grigio metallizzato, un modello vecchio, forse d’ epoca, ma praticamente nuova … bellissima, enorme.
Loro sedettero avanti e partimmo subito.
In pochi minuti raggiungemmo l’ autostrada in direzione nord.

L’ auto, dietro era un salotto, avanzava veloce e silenziosa, guidata con grande maestria.
Mi godetti quel senso di opulenza, di sicurezza, gustandomelo sul grande sedile, mentre riordinavo le idee.
Ne ero certa … la mia vita stava cambiando e decisi di non opporre resistenza.

Iside mi lasciò in pace, saggiamente.
Poi mi passò un telefono cellulare: – Telefona a tua madre e dille che sei con me. -. disse ‘ Dille di non fare scene inutili e ipocrite e dille soprattutto di non dirlo a nessuno … nemmeno a quel ruffiano del suo prete. ‘ poi rise ‘ Anzi, fai così, dille di non parlare perché, altrimenti, la tua vita è in pericolo, se ci tradisce …
La facciamo cagare sotto, così non rompe le palle! ‘ rise ancora, di gusto.
Come ci conosceva bene, quella donna misteriosa: incredibile.
Quando mi vide più quieta, la mia giovanissima ‘ava’ mi chiese un resoconto, degli ultimi avvenimenti. Volle sapere della morte della nonna, con un velo amaro negli occhi.
Com’ era diversa da come l’ avevo immaginata nelle descrizioni familiari: una vecchia strega: brutta, egoista e cattiva.
Le parlai dello zio porco, dei miei studi, persino degli atti sessuali che mi erano capitati ultimamente.
Iside ascoltò senza battere ciglio … poi le dissi che mi sentivo completamente cambiata dentro, ma non sapevo come ero, non sapevo cosa mi sarebbe successo …
Con dolcezza mi rincuorò e aggiunse che ne avremmo parlato e che mi avrebbe aiutato a capire.
Anche questo nostro viaggio non era che una tappa della mia iniziazione.
– Allora: domani passiamo la giornata a Firenze! ‘ decretò felice ‘ Compriamo delle cose adatte a valorizzare la tua bellezza, tesoro mio. Domenica raggiungiamo un paesino che di certo non conosci: Sant’ Arcangelo di Romagna: è la capitale della nostra confraternita, vedrai … ‘ concluse ammiccante.
Poco dopo la grossa auto uscì da un casello autostradale che non conoscevo e, percorsi pochi chilometri, raggiungemmo un elegante, enorme Motel, tutto illuminato.
Riflettei che tra albergo e parcheggio forse era più grande del mio paesino.
Iside (non la chiamavo più né zia, né nonna) doveva avere già prenotato, infatti eravamo attese, salimmo in una camera, o meglio, una suite con due grandi lettoni separati e un ampio salotto, molto raffinato nell’ arredamento.
Restai sbalordita, probabilmente, dal cofano della grossa macchina, erano state tirate fuori due grosse valigie e un enorme stand da viaggio.
– Forza, amore ‘ mi incitò la donna ‘ una doccia velocissima e via a cena, siamo stanche, no? ‘ mentre parlava si spogliava, e restò completamente nuda.
Era bellissima: che pelle aveva, sembrava fatta del materiale della luna, i capelli d’ argento le davano un aspetto sovrannaturale e non riuscii ad evitare di guardarle tra le gambe, una vulva perfetta, invitante, perfettamente depilata. Solo nella parte centrale, senza alcun effetto di posticcio, si sollevava una peluria nera, triangolare, che sembrava dicesse, leccami, succhiami … e senti il mio odore.

Iside fece in un lampo, io finii di spogliarmi e raggiunsi la doccia: nell’ attesa feci la pipì.
Lei uscì e come fosse sovrappensiero, sembrava guardarmi senza vedere … raccolse un accappatoio giallo e iniziò ad asciugarsi, poi rivolta a me, mentre mi alzavo dal water, disse ‘ Aspetta, non ti asciugare, devo controllare una cosa, tesoro: permetti? ‘
Ma non aspettò la mia risposta, mi portò al centro della stanza da bagno tenendomi per mano e mi invitò a chinarmi in avanti, facendomi poggiare le mani sul lavandino.
Mi venne dietro e aiutandosi con le dita di entrambe le mani, mi frugò la passerina, dilatandola.
Mi sentii osservata e a disagio per un attimo, ma subito dopo le sentii dire:
– Bene, bene, bene … con voi signorinelle, non si sa mai! ‘
Poi, prima di mollarmi, senza che me lo aspettassi, introdusse la bocca nella mia vagina dilatata, succhiandoci dentro e leccando, continuò a succhiare anche i peli laterali intrisi dell’ orina, e la bevve, leccandosi le labbra.
Era inebriata e gli occhi si velarono di piacere, mi guardò ridendo: –
Allora? Dovevo lasciare tutta sporca la mia ‘patatina’? .- poi aggiunse ‘ vai tesoro, fai la doccia, adesso. ‘
Appena finito, uscii e mi asciugai, il contatto con l’ acqua corrente, mi aveva scosso e per un attimo mi sentii stanca e frastornata, tra l’ altro erano le dieci ed io a quell’ ora, spesso ero già a letto.
– Su, su ‘ disse Iside ‘ la notte e lunga ‘ non siamo qui per dormire, no? ‘ Mi porse un bellissimo vestito lilla, fasciante, con la gonna al ginocchio e uno spacco vertiginoso di dietro.
Mi diede un paio di francesine bianche, coprenti, che mi arrivavano
poco più sopra del ginocchio, che belle, non avevo mai indossato calze così intriganti.
Biancheria intima color carne e scarpe viola.
Tutto mi calzava a pennello e tutto era, rigorosamente, nuovo di zecca.
Mi sistemai il trucco alla meglio, per le mie capacità.
Prima di scendere, la zia si avvinò e mi squadrò: – Bellissima … lo sapevo. ‘ mi diede un bacio sulla guancia ‘ Ora tieni, bevi questa! ‘
In un bicchiere di carta mi porgeva un liquido verdognolo, opalescente, dal profumo di menta, e … forse, strano a dirsi, di pepe.
Completamente succube per la stanchezza e lo stress, bevvi tutto d’ un fiato … non era male!
Le ridiedi il bicchiere e mi voltai per avviarmi alla porta, ma dopo un solo passo, mi fermai.
La zia mi aveva dato un ceffone alla nuca, inaspettatamente … mi voltai a stento, mi girava la testa, ma alle mie spalle … Iside non c’ era, era al comodino per prendere la sua pochette di Guerlain.
– Perché mi hai colpito? ‘ le chiesi, mentre mi appoggiavo alla prima sedia per non cadere.
Iside rise di gusto ‘ Io? Me ne guarderei bene … ‘ poi disse ‘ vieni, siediti un attimo, passa subito … fai due o tre respiri, belli forti! ‘
Sedetti con gli occhi chiusi e feci come aveva ordinato.
Quando riaprii gli occhi, la stanza era tornata al suo posto, disciplinatamente ed io … beh, io mi sentivo una tigre, nel pieno della sua potenza, pronta a ghermire la sua preda … non ruggii, per non essere presa in giro dalla zia, che già rideva di suo.
Camminai nel corridoio con i miei tacchi vertiginosi, sculettando come una troia, al fianco di Iside.
Ero sveglia affamata e arrapata.

Andammo a cena nel ristorante dell’ Hotel.
Era veramente un bel posto, pieno di gente elegante.
Una musica soffusa si mescolava al chiacchierio educato della gente ai tavoli, creando una cornice rassicurante e piacevole.
La mia ‘strega preferita’ non lasciò che guardassi il menù ‘ Lascia fare a me, – disse ‘ conosco le specialità del posto. ‘ poi all’ arrivo del cameriere mi chiese se bevevo vino.
Io risposi ‘ Qualche volta! ‘ più che altro per civetteria.
– Allora meglio di no ‘ disse Iside ‘ e prese una coca per me e dell’ acqua naturale.
Dopo poco in un piatto d’ acciaio incandescente, ci servirono una bistecca talmente grande che stentavo a credere fosse di un animale terrestre. Intorno c’ era un orto vero e proprio di verdure grigliate.
Iside, fece passare sul tutto un filo di aceto balsamico e il cameriere ci servì, delle porzioni sanguinolente e succose.
Poi prendemmo della macedonia di frutta fresca, preparata da uno chef artista, espressamente per noi.
Infine assaggiammo dei dolcetti alla mandorla, molto buoni, bagnati nel vino passito.
Mi godevo la cena, il posto e qualche ora di relax. … dopo tanti anni di stress e di privazioni, quando Iside, fece un gesto strano, nell’ aria davanti al suo viso.
Vidi che aveva lo sguardo lontano, si spingeva verso un giovane elegante, molto ben fatto, che in piedi al banco bar, sorbiva qualcosa.
Lo vidi armeggiare subito col telefonino.
Un momento dopo, anche la zia estrasse dalla pochette, il suo piccolo Nokia, per farci qualcosa …
Ingenuamente le chiesi: – Ma cosa hai fatto, una magia? ‘
Iside rise ancora una volta: le piaceva stupirmi, me ne ero accorta.
– Niente di più magico del Bluetooth ‘ disse ‘ Tesoro ti è simpatico quel ragazzo? ‘ e fece segno con lo sguardo.
Io ero allibita, aveva indicato naturalmente il giovane raffinato che ci stava guardando con discrezione.
– Beh … si, è un bell’ uomo, no? ‘ dissi impacciata.
– Mi fa piacere: allora te lo regalo! ‘ disse Iside, alzandosi rapidamente e facendomi segno di seguirla.
Salimmo in camera, aprii gli infissi e raggiunsi il terrazzo.
Non avevo capito bene, ma non importava; la notte era stupenda, il cielo stellato, Iside mi raggiunse poco dopo, con un babydoll nero e trasparente, tutto di seta: – Indossa questo, ragazza mia, ma lascia sotto tutta la biancheria intima … per il momento. ‘
Rientrai e feci come aveva detto, sistemando ordinatamente l’ abito nell’ armadio.
Poi mi diede una pomatina versandola da un flacone bianco: – Ascolta, passati questa sul sederino, ti tornerà utile … ‘ poi mi guardò, vogliosa ‘ Anzi, no. Piccina, vieni che te la metto io. ‘
Mi accovacciai sulle sue gambe e lasciai che lei, con mano esperta, mi calasse le mutandine e con le dita mi cospargesse il culetto con la pomata.
Si attardò con le dita intorno all’ ano, poi col dito indice forzò lievemente lo sfintere, per raggiungere anche l’ interno del budello.
Piaceva anche a lei, ne ero certa.
Non avevo ben capito cosa mi aspettava, ma di certo ero molto sveglia ed eccitata.
Iside si ritirò nel bagno, mentre io davo uno sguardo alla tv.
Sussultai quando ronzò il cicalino della porta: chi poteva essere a quell’ ora?
Forse quei due strani e silenziosi servitori, che dal nostro arrivo erano spariti nel nulla?
Aprii comunque senza alcun timore un piccolo spiraglio e restai molto sorpresa nel vedere fuori l’ uomo del bar.
Ecco, pensai, che si spiegavano le occhiate della zia , forse lo conosceva.
Dissi: – Prego? ‘
Lui mi guardò leggermente perplesso, per fortuna intervenne Iside e mi evitò una figuraccia.
– Fai entrare il nostro amico, tesoro! ‘ disse, poi rivolta a lui ‘ Vieni pure avanti, non ti mangia … la bambina. ‘ l’ uomo rise falsamente e
entrò in camera senza ulteriori indugi, mentre io prendevo una corsa da primato per raggiungere la camera da letto, visto che ero praticamente nuda e quello, per me, era uno sconosciuto.
Iside stava morendo dal ridere – Ma dove vai? Fermati, sciocca ragazza … ‘
Il tizio era perplesso e la zia gli spiegò – Scusa caro è colpa mia, non avevo avvisato la ‘bambina’ … ‘ rise ancora.
L’ uomo parlò per la prima volta ‘ Capisco … ma poi siamo ben sicuri che la ‘bambina’ abbia superato i diciotto anni? ‘ guardò con malizia dalla mia parte ‘ Non voglio rogne, sai? ‘
– Ma certo ‘ lo affrontò Iside ‘ non vedi che bel fiore? Tranquillo, ha vent’ anni, vero amore? ‘
Io confermai da dietro la porta.
– Vieni pure tesoro, questo bel giovanotto è qui proprio per te, quindi, può vederti spogliata, fidati … ‘ sorrise ancora.
Allora capii … finalmente: ecco spiegato il gioco dei telefonini, altro che magia, quello era un ‘gigolò’ a pagamento.
Ecco perché zia aveva parlato di un regalo …

Squadrai il ragazzo, era veramente bello, alto con un fisico palestrato da spogliarellista. Lui intanto si tolse la giacca chiara e la cravatta, poi si tolse scarpe e calzini e sistemò tutto, ordinatamente su una poltroncina all’ ingresso.
Doveva conoscere bene l’ albergo, perché si muoveva a suo agio.
– Come ti chiami? ‘ mi chiese, fissandomi con occhi neri e penetranti.
– Giovanna ‘ risposi ‘ e tu? ‘ Presi coraggio e per non rendermi ancora più ridicola, venni fuori dal mio nascondiglio improvvisato e mi mostrai semi nuda, non senza un certo piacere nel farlo.
L’ elixir della prozia manteneva il suo effetto esaltante e la pomatina spalmata al culo, mi dava un senso di caldo a tutti i genitali.
– Io sono Germano, vieni, sediamoci e rompiamo il ghiaccio ‘ mi prese per mano e mi condusse al divano di fronte alla tv.
– Solo un momento ‘ aggiunse ‘ mentre mi sedevo.
Intanto si avvicino e mi diede un bacio sulle labbra estremamente dolce. Si spostò verso il frigo bar e ne estrasse una bottiglietta di Champagne da due coppe.
Era veramente champagne, c’ era scritto … quello dei film, insomma.
Prese anche due coppe di cristallo, gelate.
Prima di sedersi al mio fianco, col telecomando cambiò il canale della TV e d’ improvviso, davanti ai mie occhi comparve di tutto, di più …. restai di stucco per un momento.
Una ragazza in una strada di campagna, era in ginocchio davanti a un negro, che aveva un cazzo per lo meno tre volte più grosso di quello di mio zio, e gli praticava un pompino.
Germano sedette, finse di non accorgersi del mio disagio, mentre mi offriva la coppa, piena.
Mi si mise a fianco e mi pose una mano sulla spalla, come fosse un vecchio amico.
– Iside ‘ chiamai ‘ vuoi un poco di champagne? ‘ cercai di darmi un tono vissuto.
Lei era di là, venne fuori completamente vestita: – No, grazie, Giovanna, vi lascio soli … divertitevi ‘ poi fece un cenno al ragazzo, per chiamarlo a se per un qualche motivo.
Ma io bloccai la scena, tanto da sorprendere persino lei.
– Eh no, cara mia! ‘ mi imposi, sorprendendo anche me ‘ tu di qua non ti muovi … oppure se ne va anche il … signore. Ti voglio con me! ‘
La zia fu presa alla sprovvista, ma poi capì che ero decisa, ed io, a mia volta capii, che restare le faceva piacere.
Lanciò un’ occhiata complice all’ uomo: – E per Germano? ‘
– Bellissime signore, con quello che vi costo, non vedo l’ ora di servirvi e di fare anche gli straordinari … ‘ disse sinceramente ‘ e poi per stasera non ho altri impegni. ‘
– Va bene, ci sto! ‘ disse Iside ‘ vado di la a indossare qualcosa di più comodo. Voi cominciate pure … ‘ poi rivolta a lui ‘ Senti Germano, Giovanna è ancora vergine davanti, e così voglio che resti. Ci siamo intesi? ‘
Lui brontolò di malumore ‘ Peccato … ok, ok! Ma … e dietro? ‘
– Dietro può fare, se vuole! ‘ decretò Iside.

Poi Germano passò all’ azione e, meraviglioso a dirsi, mi baciò, intensamente, profondamente, languidamente.
In quegli ultimi giorni mi avevano fatto di tutto ed io avevo fatto un sacco di ‘porcherie’.
Apprezzai con tutta l’ anima quei baci da innamorato.
Erano romantici, finalmente, non era solo sesso.
Mi baciava con passione, tanto da farmi illudere che piacesse anche a lui, veramente.
Dal canto suo, Germano, dovette accorgersi quanto lo desideravo, perché ci dava dentro con tutto il cuore.
Usava le labbra, intagliate e sode, e la lingua che era una trivella alla ricerca della mia, della mia bocca, mi leccava sui denti, si infilava in ogni spazio disponibile.
Il suo alito era fresco di menta e profumato dal vino.
Io nonostante inesperta feci del mio meglio per imparare e contraccambiare il suo slancio.
Mentre mi baciava e leccava la mia saliva, con le mani mi carezzava tutto il corpo, senza infilarsi nella lingerie, amava toccare i bordi dove le calze o la biancheria di pizzo, si scontrava con la mia pelle delicata e arrendevole.
Con esperienza e gesti calibrati tolse via i pantaloni restando con la camicia aperta sul petto, villoso al punto giusto, e i boxer elasticizzati, dove un rigonfiamento notevole, indicava il suo sesso quasi in erezione.
Mentre mi baciava ancora mi cercò una mano, e se la pose sul pene da sopra le mutande, già avevo la certezza che era abbastanza grosso, e lo valutai.
Poi presi l’ iniziativa e infilai la mano nei boxer a caccia del bastone. Al tocco sentii che rispondeva bene, mentre la cappella si sollevava verso l’ alto, come un fungo che cresce a vista d’ occhio.
Non credevo alle mie sensazioni quando mi resi conto di essere arrivata alle sue palle morbide, mentre la testa di quel cazzone era quasi all’ altezza del mio gomito.
Incredibile, pensai tra me e me.
Mi venne spontaneo di sbirciare nella penombra: effettivamente Germano aveva un pitone tra le gambe.
A un certo punto il ragazzo si alzò in piedi e si tolse le mutande e la camicia restando completamente nudo.
Stranamente si pose davanti a me che ero seduta, voltato all’ indietro.
Io non trovai niente di meglio da fare che abbracciarlo all’ altezza del sedere, e cercargli il pene circondandolo con le mani.
Gli presi il lungo arnese e intanto gli tenevo la guancia su una chiappa. Allora Germano, si aprì il sedere con le mani ed io decisi di fare una cosa che forse lo avrebbe offeso.
Ma ormai l’ odore intimo e selvaggio dei genitali e delle natiche di lui mi avevano invasa dandomi alla testa.
Avvicinai le labbra al suo culo e gli leccai il buco che lui dilatava con le dita.
Lo sentii sussultare. Tanto è vero che lasciai il cazzo e gli presi le natiche io stessa tra le mani, stringendo e baciandogli il culo.
Con la mia linguetta sciabolavo quel buchetto cedevole e fragrante.
La mia figa era in un lago, oramai.
Germano ebbe un fremito di piacere e si spinse verso l’ alto sulla punta dei piedi: Iside, la mia prozia ottantenne (ma teen ager), si era inginocchiata davanti a noi e senza toccarlo con le mani gli aveva catturato il glande gonfio tra le labbra.
Vidi Iside. Era stupenda, aveva indossato degli stivali neri di pelle delicatissima, al ginocchio, e sopra delle calze nere autoreggenti e opache, che li superavano di pochi centimetri.
Aveva raccolto i capelli in una coda di cavallo e per il resto era completamente nuda: una statua dal corpo perfetto e con due seni tondi e svettanti da farmi invidia.
Mi spostai al suo fianco, non potevo perdere il piacere di vedere la mia prozia mentre faceva un pompino.
Era bravissima.
Il cazzo di Germano, lungo e serpentino, non era proprio durissimo, a causa delle dimensioni esagerate, quindi si lasciava sagomare comodamente.
Iside, che doveva essere una grande porca, se lo indirizzava in bocca, come una mangiatrice di spade.
Lo tirava verso di se e faceva in modo che si adattasse prima alla bocca e poi alla gola. Insomma riusciva a far sparire quel cazzo di circa venticinque centimetri, fino ai coglioni.
Resisteva vari secondi, poi, riprendendo aria come se fosse stata in apnea, tirava la testa all’ indietro, eruttando quella mazza notevole e lasciandola, arrapata a mezz’ aria.
Germano sudava: – Mi fai impazzire ‘ disse sinceramente.
La prozia aveva gli occhi umidi di lacrime a causa del soffocamento, goccioloni di saliva densa e trasparente, scorrevano dalle sue labbra.
Non paga, si voltò a mio favore e mi mise la lingua tutta in bocca, baciandomi da vera troia.
L’ odore del cazzo di Germano era tutto spiaccicato in quella bocca, rendendo il bacio pieno di libidine.
Ci rimettemmo in posizione e cominciammo un bocchino a due.
Iside teneva le redini della situazione, passando il cazzo nelle nostre bocche.
Fece del suo meglio per farmelo inghiottire totalmente, ma non ero ancora capace.
Mentre passava da una gola all’ altra, Germano, per meglio soffocarci, ci teneva per la nuca, tirando a se ora l’ una ora l’ altra.

– Leccagli i coglioni, adesso ‘ mi disse Iside, ed io prontamente eseguii, mettendomi prona sotto il cazzo di Germano.
La zia intanto lo teneva in mano e lo masturbava, con una metà tra le labbra socchiuse.
Io venni presa da una furia sessuale che mai avevo conosciuto, succhiavo le palle di lui, erano grosse e scivolavano piacevolmente tra le mie labbra, entravano in bocca e venivano a contatto della lingua, io succhiavo … facevo il vuoto e i coglioni si adattavano completamente al mio palato.
Dopo mi svincolai e tornai nella mischia.
La zia stava roteando la lingua sul glande, rosso e spropositato del giovane play boy.
Iside, si staccò malvolentieri dal cazzo e me lo prestò, per permettermi di ingoiarlo, pieno di liquido tra cui la saliva delicata di lei.
Piano, fece stendere Germano sul letto, con i piedi ancora per terra e con me che arrancavo, per non perdere il grosso cazzo dalla bocca.
Fui costretta a fargli il pompino, alzata e piegata a novanta gradi, con le braccia poggiate sulle sue gambe muscolose e le mani tra le sue cosce, godendomi col tatto il cazzo morbido e consistente del giovane, aveva la pelle di seta e con le dita mi studiavo le vene in rilievo, che lo facevano sembrare una scultura.
Gli prendevo anche nel palmo lo scroto, quella borsa di carne morbidissima, colore del cuoio, quelle palle perfette, ovoidali, che si facevano sempre più calde: mi trasmettevano potere ogni volta che le prendevo tra le mani, sapevo che la vita di quell’ uomo era concentrata tutta li …
Il cazzo era veramente enorme, per questo il sangue che affluiva non riusciva quasi a tenerlo duro come la pietra, come avevo saggiato (con dolore) nel caso del pene di mio zio. Quando il porco si eccitava (e con me e mia madre fottute insieme era successo) il suo cazzo era di marmo: neanche premendolo in mano riuscivo a cambiarne la consistenza, praticamente era come un osso.
Invece questo era più morbido e pericoloso, adattandosi perfettamente alla bocca, e infilandosi serpentinamente fino nella gola, tendeva a soffocarmi.
Ai primi ‘affondo’ mi trovai in difficoltà, perché d’ improvviso non mi entrava più l’ aria dalle narici. Presa alla sprovvista strabuzzavo gli occhi, mentre conati di vomito mi facevano cacciare fiumi di saliva dalla gola.
Poi capii che era colpa del cazzo: una volta in bocca non scompariva ‘nel nulla’ ma si infilava per vari centimetri nella gola, otturando i fori di entrata dell’ aria dal naso.
Che meravigliosa sensazione studiare la tecnica del bocchino.
Mi sentivo una troiona e aprii le cosce, vogliosa.
La zia non aspettava altro.
Mi infilò la lingua in figa e mise la bocca sulle mie piccole labbra, modulando un risucchio incredibile, che le faceva vibrare e tremare.
La mia pancia sussultava sotto le sue pressioni, mi sentivo svenire.
Intanto per fortuna, avevo imparato a gestire la giusta respirazione agli ingoi di cazzo.
Infatti adesso arrivavo senza problemi fino alle palle con le labbra, mi fermavo in apnea, gustandomi la sensazione di riempimento e poi, lentissimo, facevo sgusciare fuori il serpentone carnoso di Germano.
Iside oltre a farmi una minetta da urlo, mi infilò i pollici delle mani nei due orifizi a sua disposizione, l’ utero e l’ ano, e appena mi succhiò il clitoride per l’ ultima volta, venni, sbrodando … accasciandomi sulle gambe e senza forze, la testa abbattuta su un fianco del ragazzo e il suo cazzo infisso in bocca, ciucciando come una bambina al seno materno.
Germano guardava affascinato la scena, rimandata, in tutta la sua eccitante complessità, dallo specchio posto al lato del letto …
senza alcuna avviso nè particolari contrazioni, anche lui spossato e languido, cominciò una lunga sborrata nella mia bocca, senza sussulti, come se stesse pisciando sperma.
Iside, che controllava tutto, si accosto veloce e mi sussurrò: – Dammente un po’, tesoro! ‘ e mi scostò dal cazzo di lui, che tenne in mano come una maniglia, mentre mi baciava languida e felice, raccogliendo lo sperma del ragazzo con la lingua.
Dalla mia bocca, passava a leccare anche la sua pancia scolpita, su cui parte della sborra era colata, per sorbire anche quella.
Tra zia e nipote, lisciammo il cazzo del nostro amico, meglio di un bidet.
Ci sistemammo tutti e tre, bevemmo qualcosa, io andai a fare pipì e a lavarmi la figa, mentre mi toccavo, speravo che di li a poco, la zia mi avrebbe fatto sverginare da Germano … ‘Non fa niente che è uno sconosciuto e che non c’ è alcun romanticismo, voglio un cazzo in figa … basta con i surrogati!’

Quando tornai in camera, i miei amanti erano sul letto e scambiavano qualche parola.
– … mai successo prima … siete meravigliose. ‘ stava dicendo Germano con lo sguardo estasiato accarezzava le nostre forme sinuose e affascinanti ‘ mai successo prima ‘ e poi, ancora ‘ credo che dovrò cambiare ‘lavoro’! Come posso accontentarmi di un’ altra adesso? Magari una vecchia o una grassona, sudata e puzzolente? ‘
Iside rideva, mi fece posto al suo fianco:
– Dopo ti leggo le carte … e ti svelo il tuo destino, vuoi? ‘ disse la strega di mia zia, che fin’ ora di stregonesco aveva solo la libidine.
Mi abbracciò sulle spalle e mi strinse a se: – Sai che lei è la mia nipotina? ‘ disse con orgoglio ‘ Non è stupenda? ‘ e mi squadrò tutta, con uno sguardo pieno di languore, che non riuscii a sostenere.
Notai, senza capirla, una lieve velatura, nella sua voce.
Germano si stupì: – Ma, ma è vero, cazzo … vi somigliate. ‘ e avete anche lo stesso tatuaggio, poi rivolto a me: – Che culo avere una zia così … ragazza mia! ‘
Io ingenuamente stavo per aggiungere non è mia zia, ma la sorella di mia nonna … ma Iside mi pungolò, mettendomi a tacere.
Così facendo voltò il culo verso il giovane e si dedicò teneramente a me, baciandomi con passione.
Io ricambiai quel bacio perverso con trasporto.
Accettandolo ero lesbica, incestuosa e porca, ma che importava?
Ero felice e innamorata … e la sua bocca era dolce come il succo di melograno.
Germano, senza bisogno di esibire il suo mestiere, venne conquistato sinceramente da quello spettacolo, che mia zia, puttana, gli offriva.
Il culo sodo e perfetto si dimenava a pochi centimetri da lui,
le calze aggiungevano un tocco perverso e irresistibile ai movimenti sinuosi, e la sua vulva gonfia e umettata, faceva capolino ogni tanto sotto le natiche, mostrando a volte una virgola rosea e invitante.
Il ragazzo non si trattenne, e mentre Iside si abbassava a lavorarsi
le mie notevoli bocce e i capezzoli turgidi, lui la montò da dietro steso su di lei.
Appena penetrato nella figa della mia prozia, lei strinse con forza le mie zinne, poi arrivò lui, e si fece spazio per succhiarmi un capezzolo.
Le loro teste erano sul mio petto come per omaggiarmi, e ogni uno di loro due si prendeva delicatamente cura dei miei seni, leccando e succhiando.
Poco più in basso vedevo il bastone di lui, che chiavava Iside, davanti al mio sguardo virginale (si era così: ero una troia, ormai, ma ancora vergine, purtroppo) ma non volli interromperli.
La zia si rilassava e godeva sempre di più, cara.
Raccolse un cuscino e, sollevatasi, se lo mise sotto la pancia, abbandonandosi immobile e lasciva alla chiavata.
Mi aprirono le gambe con le mani e lavorando di squadra mi fecero un memorabile ditalino.
Io persa nel piacere, carezzavo la schiena e la nuca di Iside.
Poi, per un poco si scordarono di me, lei era quasi pronta per l’ orgasmo.
Cambiarono posizione.
Lui si mise steso di sotto e la zia lo montò. Trovai eccitante e proibita la capacità con cui lei raccolse il cazzone con la sinistra e, adoperandolo come un bastone inanimato, si cercò la fessura, e poi lo cavalcò.
Volli vedere e mi spostai … lei non andava solo su e giù, ma anche avanti e dietro, strisciandoselo in vagina.
Il cazzo grosso le scompariva in corpo, e le grandi labbra formavano una specie di anello intorno al pescione di lui, avvolgendolo completamente.
Mi alzai e andai dalla zia, volevo baciarla in bocca, ma lei con delicatezza mi scostò, era persa nei suoi desideri e aspettava solo di venire: mi spostai di lato e mi godetti la scena.
Il ritmo della cavalcata incalzava, Germano sosteneva benissimo e godurioso l’ assalto di Iside.
Lei cominciò a lamentarsi lentamente e languidamente, ma poi una serie di ‘Ah, ah, ah! ‘ scandirono le pompate successive.
Senza fermarsi Iside cominciò a venire, urlando di piacere, roteando inconsultamente sul perno di lui, tenendoselo tutto dentro la pancia fino all’ ombelico.
Venne per vari minuti.
Germano si trattenne dal venire, lei capì perché … mi voleva ancora.
Iside spossata e quieta si fece da parte e disse: – Ah, cazzo, mi ci voleva! ‘ poi, lanciandomi uno sguardo d’ amore e di intesa aggiunse: – Si, ragazzi, adesso tocca a voi ‘ e più severamente a entrambi: – Mi raccomando, solo nel culo, eh? ‘
Aveva l’ aria della mammina che ti ammonisce, come non dovessimo far tardi al cinema.

Mi piacque offrirmi come una puttana ben preparata.
Salii sul letto e mi misi a pecorella, il cuscino sotto la testa, i gomiti ben piantati e, puntando sulle ginocchia, offrii il culo a Germano.
Lui prese posizione e, come un carnefice che si accomoda la vittima, mi tirò più indietro, per potermi penetrare in piedi.
Io, per sottolineare un finto disinteresse e una arrapante disinvoltura, accavallai le gambe.
In poche mosse lui mi fu dietro, mi leccò il culo, poi ci sputò dentro, mentre si carezzava il cazzo per renderlo più duro e micidiale e poi lo puntò …
Grazie alla pomata magica, mi penetrò, gonfiandomi, senza problemi.
Ancora una volta quel cazzo gonfio, lungo e morbido mi stupì per quanto era plasmabile, si adattava perfettamente alle pareti dell’ intestino e saliva su, su, … come il mercurio in un termometro, io sbuffavo, davanti, come se fossi una locomotiva, mentre prendevo tutto lo stantuffo in corpo.
Per aggravare l’ inculata, Germano, lo tirò fuori, facendomi emettere un sacco d’ aria dal budello e poi, tenendoselo, in mano mi puntò di nuovo osservando attentamente la posizione dell’ ano, per non mancarlo.
Rapido mi costrinse ad aprirmi le natiche con le dita, per avere la via facilitata … e inizio a incularmi, entrando tutto e poi fuoriuscendo dal culo.
All’ inizio la sensazione di apertura mi sconvolgeva, ma pian piano lo sfintere si abbandonò e il mio culo si aprì completamente … quasi fosse una cavità naturale.
Il giovane era troppo arrapato ormai, mi si rimise tutto dentro, immobile, stavolta.
Iside si introdusse nella lotta.
– Ecco ‘ disse con voce roca ‘ sfondale il culetto, Germano … dai che le piace! ‘
Così dicendo si mise al mio fianco.
Una mano sulla schiena, poco sopra il culo, per farmi inarcare e prendere ancora più mazza, e l’ altra, sotto, per masturbarmi.
– Adesso le conto, penetra bene per dieci volte e all’ ultima botta devi sborrare ‘ queste parole secche, decise, non fecero che aumentare la nostra eccitazione.
Come una condanna la pena veniva eseguita: – Una ‘ disse la zia ‘ dai, sfondale il culo, non deve dimenticarti, stallone … e due … tutto nelle chiappe, infisso come una zeppa di legno duro. ‘
Il ritmo del ditalino sotto di me incalzava, Germano sudava copiosamente.
– Adesso sii pronto ‘ disse ‘ il suo culo dilatato aspetta tre affondi della tua lancia, veloci e inesorabili.
Daiiii! ‘ Iside arrapava peggio di noi: – Uno … e due … svelto e … tre! Bravo, fermo, restale in culo! ‘

I suoi ordini erano precisi e appropriati, era impossibile contrastarli.
Io e il mio culo eravamo rassegnati a subire quei colpi contati, con la certezza che di li a poco sarei stata riempita di sborra estranea … come quando il benzinaio ti fa il pieno alla sua pompa.
– Sei – disse la zia ‘ preparati a schizzare. ‘
– E … sette, apri il culo amore, manca poco …. solo un poco di sofferenza ancora, per il piacere di questo giovane, ci stai? ‘
Io mugolai un si, col respiro rotto e col ditalino che mi sconquassava.
– Otto … dai Germano, infila la spada tu sei un maschio e domini il culo di lei ‘ la stanza vibrava, tutto aspettava il finale di quel conto pieno di parossismo.
– Nove, lo sperma ribolle … spingi spingi ‘ poi premendomi sulla schiena ‘ inarca il culo, offrilo … presto … arriva il suo dono liquido ‘
Iside sapeva cosa faceva
‘ e …. e … ora … è ora, adesso … ‘
Era talmente arrapata che sono certa stesse venendo anche lei:
– Dieci … oh, dieci, Germano, eiacula … ti preghiamo, scorri col tuo fiume nel suo culo … ‘ lo disse quasi singhiozzando.
E così fu!
Come da lei comandato, il ragazzo spermò, premendo tutto il cazzo indietro a me.
Sentivo la sborra come un rivolo caldo, nello stomaco, ero al settimo cielo.
Germano restò infisso in me, la zia mi abbracciò la pancia, come volesse preservare lo sperma depositato nel mio antro.
Con le dita in un bagno succoso, mi fece sborrare a mia volta, copiosamente, in una ridda di sussulti irrefrenabili.

Dopo ci lavammo …
Ci facemmo portare dei caffè dal bar, aperto tutta la notte, poi scherzosamente Iside gli fece le carte ‘napoletane’.
Gli disse delle cose … che non ricordo, poi gli tocco le tempie con la scusa di sentire le sue pulsazioni.
Il giovane sussultò all’ indietro come avesse preso una scossa.
Quando riaprì gli occhi, ci guardò stupito e confuso …
Iside gli piazzò in mano il vassoio con le tazze sporche.
– Grazie, giovanotto ‘ disse imperiosa ‘ tieni questi sono per te! – e gli posò dieci euro sulla guantiera.
Germano ringraziò farfugliando, si scusò senza capire perché e fece marcia indietro, incespicando fino ad uscire.
Nel corridoio rimuginava stupito … non sapeva che ci facesse lì.
Non sapeva chi fossero quelle due bonazze nella camera, sapeva solo che erano praticamente nude …
e lui, come un coglione, se ne era uscito senza una parola, come un gatto bastonato.
Non ricordava niente di quella sera, aveva mal di testa e non stava bene.
Meglio tornarsene a casa … ma dov’ era casa sua?
Bho!

La zia ed io andammo a letto subito dopo, ci adagiammo insieme nello stesso letto, quello ancora non disfatto, fra lenzuola fresche e pulite.
Prima di dormire tornammo zia e nipote … ed io infantilmente chiesi:
– Ma allora non l’ hai pagato a Germano? ‘
E lei sorridente, con aria distaccata disse: – Se dopo le scopate che gli abbiamo concesso, lo avessi anche pagato … stavamo fresche, figlia mia ‘ poi voltandosi dall’ altra parte per prendere sonno
– … e poi, se voleva fottere senza pagare doveva incontrare le fate … non le streghe! ‘
Sbadigliò, mentre spegneva la luce.

Nella sala di rianimazione dell’ ospedale di Avellino, lo zio di Giovanna, lo zoppo, si stava riprendendo.
Tutto il giorno lo avevano rimpinzato di medicinali. Aveva la pancia piena di lividi per le punture e una flebo per i lavaggi costantemente nel braccio.
Superato lo shock anafilattico, a cui era sopravvissuto per miracolo e per la tempra, forte e caparbia, adesso il pericolo maggiore era costituito dalla flebite, che se avesse sviluppato qualche trombo, poteva costargli la vita.
Con gli occhi aperti, lo zoppo, guardava il soffitto rischiarato dal livore dell’ alba imminente.
‘Troppi peccati’ pensava tra se ‘ma pure mi dovevo difendere? I maligni mi volevano zoppo, morto e inoffensivo … E come facevo? Senza denari? Senza niente? Mi avrebbero lasciato a vivere di elemosina.
Il fratello, carogna, a lui andava tutto bene, era il secondo, ma lo trattavano da principe! Vada a farsi fottere … tra i vermi.
E la moglie, e l’ orfana?
Ma quale orfanella?
Era più troia della madre … rise amaramente di un riso guasto … e magari non era nemmeno ‘orfanella’, perché probabilmente l’ aveva concepita dalle sue stesse natiche.
Pensò alla vecchiaccia: matrigna schifosa, aveva fatto la fine che si meritava.
Se lui non avesse corrotto il notaio, gli avrebbe fottuto tutta la proprietà.
Tutto a Giovanna, a una ragazzina che puzzava di latte … Vecchia stronza!
Che ne poteva sapere una ragazzina, con la madre ebete e puttana, come si amministra … come si fa fruttare … il patrimonio?’

Mentre pensava, lo zoppo si eccitava, si caricava e, soprattutto, aveva paura. I suoi progetti non erano compiuti ancora, tutto poteva accadere, doveva assolutamente sposare la vedova del fratello.
Dopo, qualsiasi indagine, qualsiasi scoperta non poteva cambiare il corso delle cose. Lui non si fidava del notaio, vecchio e porco, lui stesso qualche volte lo aveva portato a puttane.
Non aveva figli … poteva cambiare idea, poteva ricattarlo in futuro.
Dopotutto i documenti distrutti, lui, non li aveva visti … tutto sulla fiducia! Seh, seh! Fiducia! Fiducia, di un vecchio venduto e pervertito?
Grugnì, sempre più infocato ‘Non poteva permettere che tutti quei nemici agissero impunemente, lui doveva essere presente e vigile: subito!’
Aspettava impaziente che passassero le ore. Doveva uscire.
Stava bene, non erano cazzi dei medici, doveva uscire subito da quel letto d’ ospedale, per tornare a combattere.
Si rilassò, preso dalla sonnolenza. Davanti agli occhi gli passavano tante immagini, tante visioni: si impose di pensare alle donne, alla figa, un piacere che mai gli bastava …
Quasi in sogno, nel dormiveglia, si vide davanti la figa fresca e umida di Giovanna.
Poteva essere anche sua figlia? E con questo? Lui non l’ aveva mai vissuta come tale, anche questo gli avevano levato …
Il fratellastro, cornuto e contento, probabilmente si era goduto la bambina concepita da lui …
Adesso, beh, adesso Giovannella era uno spettacolo di femmina.
E sarebbe stata sua, tutta, la prossima volta.
Se la vide davanti, mentre glielo infilava tutto nel culo … e come penetrava bene, liscio … meraviglioso!
Vedeva i suoi occhi, languidi, pieni di piacere e … vedeva come si aprivano, sempre di più, anche troppo … cazzo!
Gli occhi nel sogno erano diventati grossi come due palle, orrendi, lo guardavano pieni di odio!
– Aaaah! – urlava, senza emettere suoni: ora al posto di Giovanna, vedeva la nonna, suoi erano gli occhi, gli stessi che lo avevano fissato mentre la strangolava, solo pochi giorni prima.
Era completamente bloccato, non poteva gridare, non poteva muoversi, non riusciva nemmeno ad aprire gli occhi!
Grugniva, come un porco, terrorizzato.
Riuscì a socchiudere gli occhi, ma sarebbe stato meglio se non lo avesse fatto …
Seduta sulle sue ginocchia, nella penombra, intravide un piccolo, orribile monaco, che lo teneva per le braccia.
Pesava! Pesava al punto da non farlo muovere, come allacciato da una camicia di forza.
Allora come un gatto, Farfariello gli saltò sul petto.
La faccia satanica e i denti aguzzi lo guardarono, con un ghigno maligno e divertito, lo fisso con gli occhi di fuoco:
– Stai calmo ‘zompa zompa’ ‘ terrore e lacrime si impastarono sul volto dello zio di Giovanna, sentendosi chiamare come quando, da bambino, lo prendevano in giro ‘ Ne hai fatta di strada, è? Porcellone. ‘
Farfariello divenne serio, solenne e cattivo, si sputò in mano una spuma bianca e appiccicosa e la passò sulla bocca digrignata dell’ uomo, terrorizzato.
– Riposati, caccola, prova il sapore della morte! ‘
E mentre diceva queste parole lo colpì lievemente, con la nocca ossuta, sulla gabbia toracica.
Lo zio sussultò; gli esseri satanici lo lasciarono.
Abbandonando la stanza, Monacello, gli sputò in faccia, schifandolo … mentre, lontano, dall’ altra parte del corridoio, l’ allarme suonava per il medico di guardia.
Il degente al numero sette aveva appena avuto un infarto.

Ci alzammo di buonora, Iside ed io. Ero di buon umore: riposata, quasi felice.
Un nuovo vigore mi permeava in tutto il corpo e, anche la mente, mi sentivo più limpida e precisa nell’ osservare e nel pensare.
Bussarono discretamente alla porta, i due misteriosi lacchè erano fuori e parlottavano con Iside.
– Ben fatto ‘ disse la donna ‘ almeno fino a mercoledì non deve uscire, poi con calma lo serviremo. ‘
– Aspettatemi giù! ‘ comandò poi, imperiosa e i due invece di urtarsi, sembravano gongolanti: strani individui!

Come promesso, la zia mi portò a Firenze ed io ne rimasi affascinata.
Gli unici viaggi che avevo fatto erano costituiti da un paio di semplici gite scolastiche, dalle mete prestabilite e banali.
Adesso invece giravamo per il centro di Firenze, nelle vie più eleganti, scorrazzando tra vetrine e atelier … non so quanto costò a Iside quella ‘passeggiata’, ma cominciai a preoccuparmi seriamente per i costi esorbitanti di ciò che compravamo.
Lei mi rincuorò, avvertendomi che il danaro non era un problema e che lei, da anni, desiderava di passare una bella vacanza come questa …
– Il modo migliore per andare … ‘ disse con un sorriso malinconico, che non capii.
Facemmo colazione in un bar elegantissimo: un aperitivo leggerissimo a base di vino e una serie infinita di crostini caldi e deliziosi.
Alle cinque lasciammo Firenze per raggiungere Bologna e quindi la costa Romagnola.
Mentre sfrecciavamo sull’ autostrada Iside mi mise al corrente di una serie di cose, veramente rivoluzionarie per la mia visione del mondo e della vita, con una semplicità e una padronanza che mi lasciarono veramente sbigottita.
E pensare che nel mio immaginario, Iside, la Janara, la vecchia fattucchiera, doveva essere la figura perfetta dell’ ignoranza e della miseria umana … avevo di fronte, invece, una donna colta, profonda, capace e, misteriosamente, giovane e bella.
Raggiungemmo il paese di Sant’ Arcangelo di Romagna in serata.
La nostra auto, infine, parcheggiò in un enorme complesso alberghiero, che aveva la peculiarità, però, di avere tutte le luci principali spente, comprese le insegne.
Probabilmente era chiuso, infatti il grande cancello si richiuse dopo in nostro passaggio.
Entrammo nell’ ingresso, stavolta anche i due ‘autisti’ ci seguirono, fummo accolti in una enorme hall abbastanza affollata, dove tanti altri ospiti, soprattutto donne, chiacchieravano e parlavano col personale o risolvevano qualche loro incombenza.
Iside si avvicinò al bancone in cristallo, che sembrava intagliato nella roccia, opalescente, un uomo in livrea alto e magro, si inchinò con sussiego e rispetto: – Benvenuta, Magistra, avete avuto un buon viaggio? ‘ chiese, evidentemente la conosceva bene.
– Non ci possiamo lamentare, Cordelio, grazie ‘ fece un sorriso abbozzato ‘ poi aggiunse ‘ mi raccomando provvedi degnamente alla sistemazione della mia Giovane, anche. –
Giovane fu detto quasi come un nome, e mi stupii … perché di vecchie in giro ne vedevo veramente poche … al massimo donne elegantissime e affascinanti sulla cinquantina.
– Ehm … l’ ordine sarebbe – disse impacciato il guarda porta ‘ che io controlli la sua chiave, mia Magistra, … me ne scuso … ‘
Iside lo fulminò con lo sguardo: – Come osi? La mia parola non conta più niente … ? ‘
Ma non potè finire la frase, un uomo, alto e corpulento intervenne immediatamente, inchinandosi a fare il baciamano a mia zia.
– Ti chiedo scusa, Magistra Iside, a volte Cordelio è fin troppo zelante … sai, con i tempi che corrono, dobbiamo tenere gli occhi molto aperti. ‘ con uno sguardo autoritario liquidò il servitore
‘ Venite con me stupende ‘signore’, ho scelto io stesso l’ alloggio per voi, spero vi piacerà … ‘ L’ uomo si preparò a farci strada, Iside lo fermò: – Caro Armando, ti voglio presentare mia nipote, Giovanna, che è qui come Prescelta. ‘ disse – E che ha tutte le ‘carte in regola’ ‘ stavolta sorrise con grande soddisfazione, poi rivolta a me: – Per favore, tesoro, mostra il tuo piedino ad Armando, che qui è il Mastro di Chiavi … e ‘ aggiunse- una persona molto importante per la nostra sicurezza. ‘
Armando gongolò di gioia come un cagnolino: – Magistra Iside, ti prego … servirvi è il mio piacere … ‘ immediatamente un servo uscito dal nulla mi porse uno sgabello coperto di morbido damasco, lievemente a disagio tolsi la scarpa e ci posi piede, naturalmente quello col segno a cinque punte. Intanto Iside si pose al mio fianco e mi scoprì delicatamente il collo, mettendo in mostra, il mio pendaglio.
Armando sembrava commosso nel guardare quei segnali, che per me non volevano dire quasi niente.
– Oh, esclamò, quanto sono onorato … – poi diretto a me ‘ tu farai grandi cose, Giovanna, il buon sangue non mente. ‘ Poi si chinò a osservarmi il piede e a carezzarlo con voluttà.
– Meraviglioso ‘ esclamò ‘ sono secoli che non vedevo segno così perfetto, che onore … che onore … ‘ ripeteva, veramente entusiasta.
Iside gongolava e mi lanciava occhiate di tripudio, come una mamma che parla con i professori e riceve ottime notizie della figliola.
Io ero contenta, anche se non capivo tutti quei salamelecchi, comunque mi sistemai e riprendemmo la visita.
– Venite, ‘signore’ ‘ Armando ci precedette in un largo ed elegante corridoio tappezzato di quadri molto belli, ai lati, grandi porte davano su saloni illuminati … in uno tutti i tavoli erano imbanditi per la cena.
Alla fine del corridoio varcammo una piccola porta, camuffata nella parete e ci ritrovammo all’ aperto, in un giardino curatissimo, dove una tettoia in antico ferro battuto, ricoperta di cristalli, seguiva il percorso del sentiero sottostante.
A pochi passi, sulla sinistra una grande e bassa costruzione, col tetto a pagoda, sovrastava una piscina coperta e leggermente illuminata.
Noi svoltammo a destra e raggiungemmo una foresteria formata da un corpo di fabbrica a due piani: due porte davano accesso a due appartamenti stupendi e separati.
– Ecco ‘ disse con grande educazione Armando ‘ mi è stato ordinato il meglio, per voi, stupende ‘signore’. ‘ Iside era veramente soddisfatta, si notava.
– Grazie, Armando, sei stato impeccabile, come sempre. ‘ gli disse nella penombra.
Armando intanto la invitò a poggiare la mano sulla maniglia della porta e la porta si aprì facilmente, non aveva serrature.
– Ecco ‘ disse l’ omone felice ‘ da adesso e per tutta la vostra permanenza in questa casa, solo voi potrete aprire la porta, o io … in caso di emergenza, naturalmente … ‘ spiegò.
Io allegra e conquistata da tanto benessere mi stavo per infilare in casa, ma Armando mi precedette: – Nooo, mia giovane regina, questo non è il vostro appartamento ‘ e intanto accese la luce in casa e sotto il patio ‘ questo è della Magistra Iside, il vostro privato, è quello a fianco. ‘
Lo guardai sbalordita: una casa così bella ed elegante tutta per me!
Ma stavo sognando?
Non che con Iside non stessi bene, anzi, ma la libertà di scorrazzare per le stanze da sola non aveva prezzo.
– Posi la sua mano sulla maniglia, la prego ‘ disse il Mastro di chiavi … e la porta si aprì.
– Ora vi devo lasciare ‘ disse ancora ‘ la cena di gala è tra pochi minuti, vi aspettiamo, naturalmente.
Iside, mi guardò con affetto: – Allora, ti piace? ‘ io per poco non piangevo per il piacere di essere al centro di tante attenzioni, di sentirmi tanto importante … ero già quasi rassegnata a fare la fine di mia madre: giorni tutti uguali: mangiare, dormire, subire …
Ma adesso, e in pochi giorni, ero cambiata dentro e fuori.
La zia mi disse allora: – Non pensare che siano tutte rose e fiori, la nostra vita … ti aspettano lunghi studi, molti sacrifici e tantissimi pericoli da cui devi imparare a guardarti. ‘ mi strinse le mani ‘ Domani conoscerai molte cose che nemmeno immagini e domani notte parteciperai, come ospite d’ onore, al tuo primo Sabba, la ‘nostra’ festa che si tiene ogni sette anni, da secoli. –

Entrata nell’ appartamento principesco a me riservato, diedi al quartino un occhiata generale, ma poi mi buttai sul letto esausta: troppe novità, troppi cambiamenti, troppe sorprese … rischiavo davvero un esaurimento nervoso.
Mentre una musica bassa e soffusa veniva dalle pareti, mi lasciai cullare e mi appisolai, esausta.
Ma dopo pochi minuti, mi ripresi con un pensiero fisso: dovevo alzarmi per andare a cena, forse ero già in ritardo …
Un cicalino suonò e mi fece sussultare, era il telefono dell’ hotel, risposi, era Iside.
– Giovanna ascolta attentamente ‘ la sua voce conteneva un minimo di apprensione o forse d’ emozione ‘ tra poco riceverai la visita di una persona molto, ma molto importante … tu non puoi ancora sapere quanto. ‘ mi incalzò ‘ avresti dovuto incontrarlo domani, ma ha deciso che voleva vederti prima … è, questo è un grande onore, credimi.
Sii naturale, sii deferente e gentile e, soprattutto, non contrariarlo …
nessun male ti verrà fatto … al contrario nipotina, diventerai una persona eccezionale, ma adesso fa come ti dico ‘ fece una pausa ‘ Spogliati
completamente nuda e lasci la porta socchiusa, tra poco verranno … io non devo esserci … ‘ poi con gioia e aspettativa: – Tesoro, fatti onore, … stai per incontrare ‘il Capo’. In bocca al lupo! ‘

Ancora un colpo di scena!
La telefonata misteriosa sviluppò in me una certa adrenalina, per la curiosità e per la paura … nuda? perche nuda … boh?
Ma non potevo deludere la zia, dopo quello che stava facendo per me.
Mi tolsi la gonna, la camicetta e le calze e sistemai tutto su una poltroncina … mentre mi accingevo a togliere le mutandine, la porta si aprì ed entrarono due ragazze, veramente molto belle, altissime e tornite nei punti giusti.
Erano vestite in modo sobrio, tutt’ e due lo stesso, come fossero delle hostess.
Tubino nero alla caviglia, calze chiarissime color carne e decolté nere col tacco basso, entrambe indossavano una maglia svasata color carminio, con un’ ampia scollatura a barca.
Una era bionda, leggermente diafana, l’ altra dai tratti orientali e gli occhi a mandorla sembrava mongola o tibetana … entrambe avevano qualcosa di speciale nello sguardo, ma solo nel momento in cui mi fissarono per valutarmi, durò un secondo, poi abbassarono gli occhi e mi concedettero un piccolo inchino, accennato con la testa.
Tra me e me, pensai ‘queste sono matte!’ Ero sorpresa perché aspettavo un ‘signore’ …
Le ragazze con modi sbrigativi ma cortesi, si impadronirono completamente di me e della stanza. La bionda fece sparire in un armadio i miei abiti dismessi e le mie valige, la tibetana mi aiutò a togliere le mutandine che mi erano rimaste all’ altezza delle ginocchia.
Velocissima da una sacca di pelle che avevano portato con loro, stese sul pavimento una sciarpa su cui pose una serie di vasetti e bottigline colorate, che sembravano profumi.
Rapida e veloce, si tirò su le maniche e, raccolta tra le altre, una piccola ampolla, vi infilò due dita, traendone fuori una sostanza verde scurissimo. Con questa mi spalmò le ascelle le gambe e parte del pube … immediatamente avvertii che non aveva un buon odore, ma soprattutto che mi pizzicava leggermente.
Non potei lamentarmi perché mi fece cenno di tacere con un sorrisetto complice, intanto si dedicò al mio viso e con l’ acqua delle rose, mi tolse il trucco completamente.
Poi tornò alle mie cosce, con una tovaglia di spugna mi sfregò via la pomata puzzolente dai punti in cui l’ aveva posata.
Immediatamente una sensazione di freschezza si impadronì delle mie carni e passandoci sopra le dita scoprii con stupore, che la mia pelle era diventata come quella di una bambina, soffice, deliziosa al tatto, morbosamente cedevole.
Poi anche l’ altra si dedicò a me, mi trasportarono quasi di peso nel bagno e si divertirono a torturarmi sotto la doccia, strapazzandomi con saponi, detergenti, corroboranti e guanti di crine … poi mi asciugarono, mi massaggiarono, mi profumarono con una rapidità e una efficienza che mi fecero sentire come la ‘vecchia Panda’ quando la portavamo all’ autolavaggio.
Infine mi fecero indossare delle francesine nere, allacciate poco più sopra del ginocchio da un nastrino bianco e un mantello nero di seta, foderato anch’ esso di raso bianco.
Mi pettinarono e prendendoli da un astuccio nero, mi misero una collana e degli orecchini a pendaglio favolosi.
Se i diamanti di cui sentivo il peso al collo e ai lobi erano veri, in quel momento avevo addosso un patrimonio.
Poi, mi portarono per mano nel salotto e mi fecero sedere ad attendere. Volevo chiedere qualcosa … almeno per uscire da quella atmosfera irreale, ma poi: la porta si aprì.

La persona che entrò era notevole, me ne accorsi immediatamente, mentre le due ragazze abbozzavano un inchino, io non sapendo che fare, abbassai la testa, sperando venisse interpretato come un saluto.
Il ‘signore’ si guardò intorno, come se venisse da lontano e cercasse di raccapezzarsi. Era vestito di grigio, un abito dai riverberi metallici di un tessuto che non conoscevo. Anche la camicia era antracite, ma con qualcosa di luminoso nella stoffa, con l’ effetto della luce, l’ uomo sembrava circondato da un leggero alone, come se fosse leggermente ‘sfocato’.
Si fermò di fronte a me senza guardarmi, mentre una delle donne si precipitava a fornirgli una delle poltroncine.
Ne approfittai per guardarlo meglio … era anziano, ma dritto e possente, sembrava più alto di quanto già fosse, per la sua postura che, così come l’ abito ‘metallizzato’ e il bastone nero che adoperava, ricordava un guerriero di quelli che si vedono al museo.
Sedette di fronte a me e mi scrutò con due occhi completamente neri e profondi come un abisso.
Involontariamente mi spostai sul divano, a disagio.
Quello sguardo triste e antico, profondo, mi attraversava letteralmente l’ anima, facendomi temere di non farcela a sostenerlo.
Il ‘signore’ tormentava con la mano la testa di barboncino, forse d’ argento, posta come pomo del suo bastone.
– Giovanna, vero? ‘ disse in uno strano italiano, come parla uno straniero, la voce era calda e aveva un che di carezzevole, di paterno, che mi strinse il cuore.
– Si ‘ risposi, pronta a sciogliermi davanti a quell’ essere possente, a uno che mi parlava così avrei potuto e voluto dire tutto, tutta la mia vita, anche i segreti più nascosti che nemmeno mia madre conosceva, tanto, ne ero certa, lui leggeva in me …
Sorrise sinceramente: – Brava, ragazza, hai pensato una cosa giusta. ‘ senza ragione e come un ebete ero lieta di averlo fatto sorridere, mi sarei messa a scodinzolare per la gioia.
– Giovanna ‘ disse tornando serio ‘ tu sai chi sono? ‘
Entrai nel panico, non sapevo cosa rispondere, ritenevo potesse essere Satana, ma mi vergognavo di pensarlo … la mia mentalità moderna era troppo ostile e impreparata a certi concetti.
– Satan, Woland, Behemoth, Diabolo … sono solo dei nomi trasfigurati dalla storia, io non ho un nome comprensibile per i vostri canoni … io sono un Principio, identifico un’ antitesi … ma lasciamo perdere per ora … tu puoi chiamarmi ‘signore’. Come fanno tutti, qui ‘ e indicò intorno vagamente.
– Volevo vederti prima di domani, perché i tempi terrestri stanno cambiando velocemente … è tanto che manco e volevo capire … di persona, alcuni aspetti del vostro stato attuale. ‘
Poi con eleganza inaudita mi disse: – Posso chiedere la tua ospitalità per questa sera? ‘
Le due donne ebbero un attimo di sconcerto ed io stessa non sapevo cosa dire …
– Ma, ‘signore’, certamente … ma, io, vedete non sono nessuno … veramente non so cosa fare, perdonatemi. ‘ ero veramente confusa ‘ Cosa devo fare? Ditemelo e sarò lieta di fare del mio meglio … ‘
Sorrise ancora ‘ No, no, Giovanna, niente cerimonie, le mie ancelle fedeli penseranno a tutto, vero? ‘ Poi più imperioso, si rivolse alle due vallette
– Conto su di loro, signore, per assaggiare qualcosa che valga la pena di questo viaggio … ‘ e aggiunse ‘ e del vino italiano degno di questo nome! ‘
Mentre le donne scattavano per la stanza per organizzare la cena, il ‘signore’ si rivolse a me ‘ Cara, giovane speranza … vuoi aiutarmi a mettermi a mio agio? ‘ e prendendomi per le spalle mi condusse in camera da letto.
Lo aiutai a togliere le scarpe le calze e gli abiti, quando gli abbassai i pantaloni vidi che non portava mutande e che tra le gambe gli pendeva una specie di clava morbida e affascinante.
Lui non notò, o finse di non notare, il mio sguardo curioso ai suoi genitali.
Anche lui indossò un mantello nero, foderato e delle pantofole di seta greggia, lavorate con fili d’ oro di fattura tipicamente araba.
Intanto nel raffinato salone dell’ appartamento i camerieri avevano apparecchiato una tavola sontuosa, con molte pietanze preparate in un modo mai visto prima ed estremamente appetitose.
Sedemmo al tavolo tondo, le ragazze servivano, ma io non volli essere da meno e mi volli rendere utile, per quanto potevo.
– Perfetta padrona di casa, brava! ‘ disse soddisfatto il ‘signore’ ‘ si preoccupa personalmente dei suoi ospiti. ‘
Visto che le donne avevano già approntato dei piatti con alcuni assaggi, presi il vino rosso da un decanter e lo porsi al mio ‘ospite’.
– Grazie, Giovanna ‘ apprezzò lui ‘ Adesso ti svelo un segreto, non vedi in giro la bottiglia … perché questo vino l’ ho fatto portare io. E’ Falerno, direttamente offerto dalle cantine imperiali di Cesare. ‘
Credetti che mi prendesse in giro … un vino vecchio di 2000 anni … impossibile!
– Non sopporterei del vino dalle vostre terre inquinate di oggi … ‘ disse ‘ sono oltre 200 anni che appestate l’ aria di questo pianeta. –
Piluccai tra quelle delizie e assaggiai il vino, era delizioso e profumato, delicatamente speziato.
Il ‘signore’ volle sapere molte cose, chiacchierando amabilmente e facendomi sentire ‘grande’, le altre donne ascoltavano compiaciute, finché lui si alzò e maestosamente si spostò su una poltrona del salotto.
– Ora io riposo, mentre Godra e Sonia ti preparano per la notte ‘ disse lui ‘ ne vedrai di ‘cose nuove’, ragazza! ‘ e così dicendo trasse da una tasca invisibile del mantello un piccolo libro scuro, aggiunse poi quasi sussurrando ‘ Prima il dovere, poi il piacere. – Poi non si curò più di noi tre.

Entrarono dei camerieri che rapidamente sparecchiarono e portarono via tutto.
Le ragazze, mi si avvicinarono sorridenti, come se volessero scherzare con me … continuavano a non profferire una sola parola, ma a gesti si facevano capire.
Volevano che bevessi un bicchierino di un liquore rosso e denso … ma per me già il vino era abbastanza.
Dalle loro moine capii che ero praticamente obbligata a bere: lo feci, non era liquore ma una specie di sciroppo medicinale che mi fece venire sonno e pesantezza quasi immediatamente.
Godra fu lesta a piazzarmi sul divano perché non cadessi, mi stese le gambe e mi sistemò distesa, mentre Sonia si recava discretamente dal ‘signore’ per avvertirlo di qualcosa. Lui mi guardò con attenzione da sopra le pagine del suo libricino …
– Adesso, amica mia, sentirai una piccola puntura … è assolutamente necessario, fidati di noi e di Iside … ‘
Si alzò solenne e si avvicinò a me. Le due assistenti si piazzarono ai suoi lati, quasi nude, avevano solo i collant con gli slip sotto e una mantellina rituale sulle spalle.
L’ uomo in nero, staccò con un gesto la testa di cane dal suo bastone e vidi nel dormiveglia confuso che nascondeva un piccolo punteruolo.
Porse a Sonia una fiaschetta, da cui la ragazza trasse delle gocce nere e, con quelle, cominciò a massaggiarmi la fronte.
Ora, nonostante l’ anestetico, ero terrorizzata: avevo capito che la puntura sarebbe stata in testa, ma non riuscii a ribellarmi.
Allora la musica di sottofondo che permeava la stanza svanì e un silenzio di tomba si impadronì dell’ ambiente.
Il ‘signore’ intonò questa specie di preghiera:

Bella Dea col dardo,
Dea della caccia e dei cani fedeli,
Tu che vegli con le stelle
mentre il sole va a dormire,
Tu che con la Luna in fronte
squarci il buio con vista acuta,
Regina della notte,
Dea del cacciatore:
dona la vera vista alla tua figlia:
Giovanna.
Regina della notte,
Dea del cacciatore:
dona la vera vista alla tua figlia:
Giovanna.

Così dicendo con precisione e determinazione, mi infilò lo spillone nel mezzo della fronte.
Il dolore fu potente ma durò solo pochi secondi, immediatamente si avvicinò Godra e appena lo spillone fu estratto mi pose sulla fronte delle garze col ghiaccio dentro.
Le ragazze mi aiutarono poi ad alzarmi ero spossata e mi avvicinarono allo specchio … trasalii, al centro della fronte una pallina grossa come un rosso d’ uovo si era formata nella carne e si muoveva roteando, mi venne da rimettere, ma il ‘signore’ mi pose la mano sulla bocca.
– Non temere Giovanna, tra pochi minuti, tutto ritornerà normale ‘ disse ‘ però sappi che ti è stato appena sbloccato il ‘Terzo occhio’. ‘

La musica diffusa dall’ albergo riprese discreta, le ragazze regolarono le luci ponendo tutto in penombra, andai in bagno a sistemarmi, a riprendermi … quando tornai il divano era stato spostato di fronte al letto e lì mi fecero sedere …

Il ‘signore’ si era sistemato, comodo e seduto, sul grande letto con addosso il suo mantello aperto. Il fisico possente, il pene abbandonato tra le gambe, a riposo.
Piluccava dell’ uva.
– E ora il piacere … ‘ disse, ma con poco entusiasmo e batte una sola volta le mani.
Come se si fondessero due statuine, le due ragazze in collant e mantellina presero vita, rinunciando al loro aspetto efficiente e quasi militaresco.
Lentamente e languidamente, seguendo la musica in maniera perfetta, presero possesso dello spazio tra il letto e il divano dove mi avevano accomodata.
Ogni dolore era passato, stavo benissimo ero tranquilla, quieta in pace col mondo e non ricordavo più nulla: ero lì … nel benessere, nel piacere e me la godevo, forse già immaginavo che quella serata sarebbe stata indimenticabile per me.

Le due donne danzavano senza seguire alcun passo particolare, ma la perfetta sincronia dei loro movimenti con i ‘tempi’ della musica, mozzava il fiato. I loro corpi torniti, illuminati nella maniera più appropriata, donavano uno spettacolo delizioso ed eccitante.
Sempre danzando iniziarono a spogliarsi, dedicandosi una a denudare l’ altra.
Trasmettendo un desiderio eccitante anche a chi guardava, si esploravano con libidine, i collant scivolavano lenti sulle lunghissime gambe, le mantelline caddero delicatamente dalle spalle, scoprendo i seni spettacolari e diversi.
La bionda aveva una misura notevole e prorompente, l’ aureola era grande, circolare, di un roseo scuro che attraeva la lingua e i capezzoli grossi come funghetti, marroncini, da succhiare come piccoli peni, a sazietà.
L’ altra, il corpo intagliato come una modella d’ alta moda, era sottile e nervosa, più mascolina nel tipo e i seni erano più piccoli con capezzoli duri e piccini come bottoncini rosa.
Adesso che avevano solo le mutandine addosso, si poteva ammirare ogni parte del loro corpo: il ‘signore’ apprezzava lo spettacolo e anche il suo cazzo, grosso, adagiato in mezzo alle gambe, dava segni di inquietudine, ballonzolando quando la danza diventava più lasciva e perversa.
Ora mimavano un atto sessuale ballando: la bruna dagli occhi a mandorla, menava il bacino verso il sedere della bionda, girata, i cui seni danzavano nella penombra a suon di musica.
Sempre esagerando volgarmente una scopata, la ragazza tirava giù il tanga della bionda, mettendo completamente a nudo i ‘fiori’ che aveva tra le cosce.
La bionda, come una puttana da casino, girò per la stanza mostrando il culetto e la figa a noi, gli spettatori: la sguaiatezza dei gesti involgariva volutamente lo spettacolo, rendendolo sempre più eccitante, infatti la mia figa era ormai bagnata e io guardavo arrapata il duetto.
Ora toccava alla ‘tibetana’ denudarsi del tutto e fu la bionda a vendicarsi, inseguendola per toglierle le culottes.
La ragazza, sempre danzando come una professionista, mimava paura e sgomento, il modo civettuolo di una donna per dire che … ci sta.
Incastrata infine alla parete, dalla sua cacciatrice, la donna mimò la pudicizia e la sua rassegnazione a subire il sesso.
Si mise davanti alla bionda, un braccio intorno al seno, e l’ altro sulla pancia, come se volesse proteggersi il pube.
L’ altra ragazza fu implacabile e, al ritmo di una musica quasi tribale, da dietro, a scatti, le tirò giù le mutandine, mentre l’ altra davanti cercava di non aprire le sue gambe, in difesa.
Bellissimo spettacolo! Pur essendo donna, non riuscivo a staccare gli occhi da quelle due e dal loro pube … ma la tibetana mi rese per un attimo perplessa, danzava da ferma e non apriva le cosce, il pube era disegnato da un triangolo bruno e perfetto di pelo, ma giù, scendeva liscio e piatto … ma dove le cominciava la figa?
La bionda voluttuosa le girò intorno e con gesto di conquista e di vendetta, la costrinse a mostrarsi al ‘pubblico’ e le aprì le gambe fingendosi violenta e …
la svergognò.
Le gambe spalancate, le ginocchia leggermente piegate, saltellando sui talloni e girando su se stessa, la ragazza tibetana, mostrò un lungo pene floscio, che le dondolava tra le cosce aperte come un batacchio.
La bionda allora, uniformandosi al suo ritmo, da dietro lo prese con due mani e iniziò a mungerlo, finché il cazzo della ‘ragazza?’ prese vita e si indurì come un’ asta di bandiera, strano, con uno scroto appena accennato e le palline piccine, eppure … lo avrei preso in bocca con tutto il trasporto, specialmente adesso che ero eccitata e lei-lui era tutta sudata.
Applaudimmo quelle due fantastiche ragazze, non avevo mai visto niente di tanto bello e sensuale.
Anche loro si erano evidentemente eccitate e fecero piccoli inchini, sorseggiarono qualcosa dai loro bicchieri e si asciugarono il sudore con delle asciugamani di lino.
Poi tornarono in posizione di attesa, come due cani fedeli, ma il ‘signore’ che aveva ormai il cazzo gonfio, le chiamò a se con un gesto.
Subito si precipitarono sul letto, mettendosi ai suoi lati e lasciando che le esplorasse, tranquillamente con le mani.
Poi con gesti delicati, ma decisi, lui impartì il ‘ritmo’ al rapporto: fece si che la bruna, in ginocchio sul letto erigesse il pene sottile, come un trofeo, mentre la bionda, chinata su di lui, gli massaggiasse la pancia con le grosse zinne deliziose, intanto che faceva il pompino all’ efebo.
Il ‘signore’ induriva il cazzo, che sembrava un tronco d’albero, pieno di vene e scuro come un tizzone, sotto la grossa sacca con i coglioni, faceva venire voglia di succhiargliela. Intanto toccava il culo a tutt’ e due e con le dita esplorava gli ani morbidi e arrendevoli.

Guardavo vogliosa la scena ipnotica ed eccitante, ma pensai che ancora un volta avrei dovuto affidarmi alle mie dita per raggiungere l’ orgasmo …
era strano, sia nella vita da ragazza di provincia, sia adesso che navigavo nel vizio e nei piaceri, non riuscivo a farmi chiavare decentemente … odiai la mia remissività e la mia scomoda verginità.
Ora le donne si erano abbassate e facevano un bocchino a due al ‘signore’
facendoglielo più tosto che mai.
Finalmente lui si alzò e si mise in ginocchio sul letto.
Volle avere a suo favore la bionda, che si mise a quattro zampe, e si fece penetrare immediatamente, aiutata dall’ efebo dal corpo di donna.
Poi, mentre chiavava estasiato guardando il soffitto, il ‘signore’ con una mano attirò dietro di se la ragazza col pene lungo e sottile.
Quella capì i suoi desideri e gli leccò il culo divinamente, il signore accettava quel lavoretto estatico, fermo e col cazzo bloccato nella bionda.
La bellissima ragazza si sollevò e puntò il cazzo tra le natiche del maschio, che molto poco virilmente, con lentezza esasperante, se lo fece infilare tutto nel culo.
Quando il suo ano si fu rilassato, cominciò ad attirare la giovane dalle natiche per farle capire che doveva pompare a tutto spiano.
Allora vidi la scena più eccitante della mia vita: l’ efebo aveva un cazzo lungo come un serpente e penetrava come una trivella nel culo del vecchio, i suoi affondo tra le natiche, venivano ricevuti e goduti, mentre si propagavano in botte tremende nella figa della bionda che, a pecorina, si teneva la bocca sulle braccia per non urlare di piacere.
I cazzi sembravano pistoni ed entravano ed uscivano dai buchi, martellando in modo forsennato.
Improvvisamente si fermarono, la ragazza tibetana, tremando sulle gambe mi fece cenno di avvicinarmi, io non mi aspettavo di essere chiamata, ma non mi feci ripetere l’ invito.
Mi fece capire che dovevo mettermi sotto di loro con la testa, così vidi la scena da un’ angolazione incredibile.
Vedevo in primo piano il cazzo enorme del ‘signore’ che era infisso nella ragazza fino ai coglioni e non la mollava, fermo.
La tibetana invece con lentezza ricominciò a incularselo, tirava fuori quel cazzo sottile per quasi un palmo e poi lo infiggeva di nuovo, come una lunga spada, nel culo del vecchio uomo che si dilatava e si sfondava.
Dopo una decina di colpi ritmati e precisi, la giovane si fermò vibrando in quel culo aperto.
Ansimando e col battito a mille, l’ efebo dalle forme perfette, sborrava completamente, infisso nel culo del vecchio ‘signore’.
L’ altro invece si ritrasse dalla figa della ragazza bionda, aveva il cazzo più grosso, nodoso e duro che io potessi mai immaginare.
Probabilmente si era fermato per non venire a sua volta.
Restarono tutti fermi, sopra di me che vedevo tutto, dal di sotto e che facevo forza su me stessa per non godere.
Era difficile evitare di infilarmi le dita nella figa.
La bionda mi offriva la sua vulva bagnata e slabbrata dalla ‘portata’ della penetrazione, mentre dal culo del signore, in cui era ancora infisso il cazzo della tibetana, lentamente colava la sborra del giovane, finendomi direttamente in faccia.
Poi l’ uomo si scrollo di dosso la ragazza col lungo pene e si distese sul letto, tenendosi il cazzo in mano.
– Ora tocca a te Giovanna, le ragazze ti aiuteranno, vieni piccina … ‘
le disse con voce eccitata ‘ Preferisco deflorarti nell’ intimità di questa stanza che gronda di piacere … ‘ poi, con gentilezza mi disse ‘ Tu lo vuoi? ‘ Ma ero certa di non dovere, né potere rispondere di no; in quei giorni il mio destino era praticamente già stato scritto e mi pervadeva come un’ ondata a cui non puoi resistere.
– Ne sarei onorata, mio ‘signore’ e ne ho grande desiderio! ‘
Vidi che era soddisfatto della mia risposta.
Intanto mi ero completamente ristabilita, la mia fronte si era stabilizzata, ogni dolore era passato e solo un piccolo puntino rosso al centro della fronte mi ricordava la ferita che mi avevano inflitto.
Mi avvicinai al lettone in modo sinuoso e intrigante e mi tolsi la mantellina, lasciai al loro posto le calze nere, che di sicuro mi avevano fatto indossare per rendermi più intrigante e sexy.
L’ uomo sul letto era ancora infoiato, mentre le ragazze ne erano scese e mi aspettavano, invitanti.
Ancora in piedi cominciarono a carezzarmi e a baciarmi, mi stringevano e prendevano confidenza col mio corpo.
Senza che nessuno me lo ordinasse, volli regalare soddisfazione al mio ospite e così mi abbassai sul letto con la testa e spalancai a dovere le labbra per riuscire a prenderglielo in bocca.
Ancora una volta lui apprezzò e mi accarezzò i capelli, sfiorandomi l’ orecchio con le dita.
Le ragazze non perdevano tempo e a turno mi slinguavano la fighetta con una maestria mai provata.
Poi, come seguendo un rituale, si fecero ai mie lati e fecero in modo che io salissi sul letto, mi fecero preparare accovacciata, salendo sul bacino di quello strano essere dall’ enorme fallo.
Mi morsi il labbro immaginando di perdere la verginità proprio con un coso così grosso, di certo sarei stata male …
Proprio era deciso che dovessi soffrire!
Mi presero per le ascelle e mi poggiarono sul glande enorme a forma di fungo.
Io mi poggiavo sulle dita dei piedi e con le mani mi sostenevo sul petto possente di lui. Le nostre due sorprendenti ancelle, mi tenevano in alto e senza sforzo, così anche per me iniziò una danza sul cazzo del ‘signore’.
Aiutata dai movimenti rotatori e sussultori che mi imprimevano, danzavo sulla cappella, come se fossi poggiata sulla testa di un perno di carne.
Il grosso bastone mi seguiva docile, catturato dalle grandi labbra, il glande rosso e liscio era talmente spropositato, che inserito nelle mie grandi labbra, veniva risucchiato a ventosa, dalla mancanza di aria tra le nostre due superfici carnose: sembrava fatto su misura per la mia vagina vogliosa.
– Domani notte ‘ disse il ‘signore’ arrapato e pronto a farmi del tutto ‘ ci sarà una grande festa, il Sabba e ripeteremo per il pubblico questa operazione … ma stanotte il piacere sarà solo nostro, va bene? ‘
A me la voce uscì tremante, avevo troppa voglia per dire di no ‘ Siiii ‘ dissi languida ‘ fatemi per favore, mio signore, sfondatemi … adesso! ‘
Tutte le contorsioni e tutti gli aiuti delle giovani, il continuo lubrificare della mia vagina arrapata, non sarebbero mai riusciti a vincere, senza spaccarlo,
la resistenza del mio imene virginale.
Il mio velo di carne se ne stava lì, imperturbabile, come una trafila di acciaio, come un mastino di guardia … solo con la forza e … il dolore poteva essere vinto.
Come un tuffatore che si decide a superare una prova terribile, ma necessaria, guardai negli occhi le mie collaboratrici erotiche e feci segno di si con la testa.
Poi chiusi gli occhi e serrai il labbro inferiore tra i denti.
Satana capì e si inarcò, rendendo la sua arma più offensiva che mai: contemporaneamente, le due ragazze mi calarono di peso sul cazzo che sembrava di pietra.
Il dolore lancinante mi attraversò la schiena e arrivò tremendo fino al mio cervello … ma io non gridai.
Ce l’ avevo tutto dentro e mi aveva sfondata, espugnata … come un ariete.
Era scivolato prepotentemente in vagina, senza curarsi dell’ ostacolo e spaccandomi la carne delicata.
Dalla figa dolorante scivolò giù un rivoletto di sangue vivo, e dai mie occhi scesero alcune lacrime. Entrambi i miei liquidi, intrisi di goduria, vennero leccati dalle donne che mi aiutavano.
Non me la sentivo ancora di pompare sul grosso pene, ma il piacere di averlo tutto dentro, superò rapidamente ogni ritrosia.
Dopo alcuni minuti di adattamento, lentamente cominciai a chiavare, cavalcando su e giù, stringendo il petto del mio cavaliere superdotato, che riceveva con soddisfazione lo sfregamento cadenzato dei miei genitali sui suoi.
Per farlo godere di piacere ancora più intenso la ragazza col bastone mi tradì.
Sali sul letto e si posizionò alle mie spalle.
Io mi rassegnai e volli provare quell’ ennesimo piacere proibito, forse l’ ultima frontiera del piacere sensuale.
Mi chinai in avanti verso il ‘signore’ che mi teneva sospesa per i seni, circondandoli completamente con le sue grosse mani, ed offrii il sedere all’ efebo dal lungo pisello.
Lei ‘ Lui ne approfittò rapidamente.
Il mio culetto era bagnato dagli umori della vagina e dal sangue perduto con la deflorazione, si fece strada con poca resistenza, allargando facilmente il mio sfintere, arrendevole e voglioso.
Il cazzo di lei non era spesso, però era lungo, e poiché lo infilava decisamente, tutto nel mio culo, mi ‘pungeva’ quasi alla fine del mio budello anale, facendomi sussultare ad ogni infilatura.

Non mi fermai, accettai i due cazzi con spirito di sacrificio e tanta, ma tanta goduria: ero alle stelle, non sentivo più dolore, non sentivo più nulla, solo il piacere di sentirmi riempita come un otre.
Ero gonfia di cazzi, che non contenti, mi scopavano dentro incessantemente.
Senza un lamento, ma tirandomi per i fianchi, il ‘signore’ sborrò nel profondo della mia fica, sentii i fiotti precisamente, mentre si infilzavano nell’ utero e nella pancia … non lo potrò mai dimenticare.
Mai una sborrata l’ avrei più identificata così perfettamente, goccia per goccia: perché quel seme era gelido, come il ghiaccio ed io lo sentivo dentro, perfettamente.
Il signore mugolava, forse e al contrario, lui apprezzava il mio calore vaginale, in quell’ amplesso unico e irripetibile.

Anche la ragazza venne poco dopo nel mio culo, abbracciando i miei seni e spingendomi con i suoi dietro la schiena.
Non so perché fui felice di darle tanto piacere, come se le volessi bene.
Il cazzone di Satana, nonostante fosse venuto da alcuni minuti, non si ritirava dalla mia fregna, allora decisi di pensare anche a me, finalmente, spinsi fuori dall’ ano pieno il cazzo di lei e mi voltai su me stessa, senza far uscire il grosso perno dell’ uomo sotto di me.
Mi poggiai sulle mie ginocchia e misi le mani sulle sue, le ragazze, spossate si misero sul letto, ai fianchi del ‘signore’.
Sapevo che tutti e tre, alle mie spalle si godevano lo spettacolo del mio culetto ancora aperto che perdeva sperma lentamente, infatti lo sentivo colare, caldo e vitale.
E vedevano anche la radice del cazzone di lui, che si perdeva nella mia figa, che se lo ‘lavorava’ fasciante come un guanto.
Feci del mio meglio per essere sensuale e lasciva e per dare piacere con lo spettacolo esuberante delle mie intimità … offerte ai loro sguardi eccitati.

Ero lì, impalata come una polena, nuda e bellissima, installata sul puntale di una nave del passato.
Rimasi ferma, immobile, col grosso cazzo piantato fino alla radice, un leggerissimo bruciore mi ricordava di essere stata una ‘vergine’ fino a pochi minuti prima.
In quegli ultimi giorni avevo imparato a fare tutto, pompini, seghe, inculate, avevo fatto l’ amore lesbico, avevo leccato la figa di mia madre e della mia ava … ma avercelo in grembo, sentirsi un cazzo di quell’ entità tutto nella figa, era un’ altra cosa.
Seduta a cosce aperte sul Diavolo in persona, mi feci un lungo ditalino, mentre le ragazze, comprensive mi carezzavano le natiche e la schiena.
E così lentamente, formando un monumento osceno e depravato, finalmente me ne venni anch’ io.

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