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Racconti erotici sull'Incesto

I giorni dello Zodiaco

By 1 Marzo 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

LEI
Due settimane di vacanza.
Il mare, la sabbia bionda e calda, le onde che ti carezzano’
Dodici notti, quanti sono i segni dello Zodiaco.
Purché non rimangano sogni’
Erano questi i pensieri che precedevano i giorni che avrei trascorso con Piero.
Avrei voluto toccarlo, carezzarlo’ ma non volevo distrarlo dalla guida.
Traffico non eccessivo.
Eravamo partiti subito dopo un leggero lunch.
La perfetta climatizzazione dell’abitacolo ci proteggeva dal caldo.
Avevo una gonna abbastanza corta, leggera, e anche con uno spacco generoso. Sotto, il solito perizoma’ per l’occasione!
Potevo ancora permettermi una di quelle camiciole che s’incrociano e si annodano in vita, o davanti, senza che il seno, libero, rimanesse appeso. Ballonzolava appena, ai pochi sobbalzi dell’auto, e la stoffa lo carezzava piacevolmente, ne eccitava i capezzoli.
Ma io non avevo bisogno di quelle sollecitazioni.
Piero era in pantaloncini e camicia aperta.
Tratti del volto tra la bellezza di Apollo e la virilità di Marte.
Gambe robuste ma non sgraziate, un torace da far invidia agli atleti greci.
Ogni tanto gli ponevo la mano sulla coscia nuda, ero tentata di infilarla nei pantaloncini e di’ salire.
La stavo facendo troppo sporca.
Non dovevo anticipare la sorpresa.
Ma, sarebbe stata proprio una sorpresa, o subdorava qualcosa?
Sono stata sempre prudente, controllata, e ritengo di aver contenuto le mie manifestazioni nei limiti di una assoluta e naturale normalità, ma qualche carezza in più, qualche bacio di un certo tipo, qualche sguardo, possono aver tradito la vera natura di certi miei comportamenti.
Due settimane di vacanza.
Dodici notti.
I numeri mi giravano per la mente.
I diciannove anni di Piero.
Quelli di Mara, i miei, quarantuno.
I suoi 185 centimetri di altezza.
I miei 160.
La sua taglia vigorosa, ma non pesante.
Le mie misure che, immodestamente, ancora raccoglievano fischi di ammirazione e commenti abbastanza precisi.
‘A fata, sei ‘no schianto!’
‘A belle zinne, chi te sona er mandolino?’
Facevo finta di risentirmi, ma mi faceva piacere essere oggetto di apprezzamenti del genere, anche se abbastanza’ pesanti.
Ho già detto che le tette stanno su in modo eccezionale, e non ho nemmeno una smagliatura. Ventre piatto, liscio, senza grinze. Un ‘mandolino’ seducente, come dicono gli estimatori, e che ti stimola a trarne piacevoli e armoniosi accordi.
Breve sosta in una stazione di servizio.
Sono le sei del pomeriggio, le diciotto.
Siamo a destinazione.
Bellissimo Hotel, proprio in riva al mare, un po’ fuori del chiasso cittadino, con spiaggia propria. Un ambiente un po’ esclusivo, ma tranquillo e riservato.
Réception.
Accoglienza cordiale e premurosa.
‘La camera dei signori &egrave al secondo piano, centrale, con balcone fronte mare, lontana dall’ascensore.’
Piero aveva dato la chiave dell’auto al ragazzo dell’albergo e gli aveva detto di scaricare i bagagli e, poi, di mettere la macchina nel garage.
Mi aveva raggiunto.
Si rivolse all’impiegato.
‘Sono camere vicine?’
L’uomo lo guardò. Poi, con intelligente prontezza, mostrò il suo più convincente sorriso.
‘C’&egrave una sola camera, signore, ma &egrave molto ampia e dotata di tutti i comfort. Si troverà benissimo.’
Piero mi fissò.
Alzai le spalle.
Il commesso ci attendeva, con la chiave della camera.
Ci accompagnò all’ascensore. Secondo piano. Aprì la porta della camera.
Era davvero ampia, luminosa, accogliente, con un balcone-terrazzino di fronte al mare.
Di fronte al balcone, un ampio letto matrimoniale.
Indivisibile.
Pensavo alle dodici notti.
Dodici, come i segni dello zodiaco.
Li avrei ricordati, tutti.

Sembrerà strano, ma Piero non fece alcuna obiezione a quello stato di cose.
Non mi chiese come mai una camera e non due, non batté ciglio quando vide il grosso letto.
Appena il facchino mise a posto i bagagli, e dopo aver ricevuto la mancia uscì, si avvicinò al letto.
‘Tu dormi a destra, come al solito. Vero?’
Ero vicina alla toletta, intenta a rovistare nella borsa. Risposi senza volgere la testa, a mezza voce.
‘Si.’
Piero aveva aperto la valigia, e guardava le cose portate.
Rimase un momento pensieroso.
Chiuse tutto.
‘Io vado al bar, ti attendo là.
Per la cena c’&egrave tempo, hanno detto che la servono tra le otto e le nove.
Forse faccio un giretto sulla spiaggia, sui vialetti di cemento, fino alla battigia.
Ciao.’
Uscì, richiudendo piano la porta.
Mi tormentavo pensando a come stavo agendo.
Sembravo una di quelle falene che girano intorno alla fiamma dalla quale sono attratte e che può presagire la loro distruzione.
Cercai di scacciare questa specie di incubo.
Mi attardai senza combinare nulla.
Cambiai la gonna e la blusetta.
Mi truccai accuratamente, leggermente,
Mi guardai allo specchio.
Potevo andare.
Mancava ancora un’ora alla cena quando scesi al bar.
Piero non c’era.
Guardai verso la spiaggia.
Era in riva al mare, solo, con la testa leggermente chinata.
Lo raggiunsi.
Non mi sentì arrivare.
Gli poggiai la mano sul braccio.
Si voltò verso me.
Mi guardò attentamente, compiaciuto, con aria di approvazione.
‘Sei decisamente uno schianto!’
Girai su me stesse, civettuola.
‘Sto bene?’
‘Sei un vero incanto!’
Mi misi sotto braccio.
‘Offrimi un aperitivo.’
‘Andiamo.’
Ci avviammo al bar della rotonda, sedemmo, ordinammo gli aperitivi.
Ogni tanto ci scambiavamo qualche parola: sul viaggio, sull’albergo, sul tempo, sulle persone che passavano dinanzi a noi.
Non so come mi venne in mente, ma mi sorpresi io stessa quando accennai alla nostra camera.
‘Speriamo di riposare bene’!’
Piero ebbe un lieve tentennamento del capo.
‘Chissà!’
Suonò il gong per la cena.

SCORPIONE
Quando uscimmo dalla sala da pranzo, Piero disse che avrebbe gradito un drink.
‘Ti faccio compagnia’ ma uno solo, tu cosa prendi?’
‘Io un cognac, e tu?’
‘Per me un limoncello.’
Andammo a sistemarci sugli alti sgabelli del bar.
Centellinammo lentamente, guardando gli altri ospiti dell’albergo.
Coppie, in genere non giovanissime.
Con gli occhi mi accennò una coppia, abbastanza elegante, ma lui aveva almeno il doppio degli anni di lei.
Non riuscii a sorridere, e mi domandai perché proprio quel sottolineare una certa differenza di età.
Io avevo oltre il doppio dell’età di Piero.
Poco più delle dieci.
Qualcuno stava organizzando come passare la serata.
Io dissi a Piero che mi sentivo un po’ stanca, sarei andata a riposare.
‘Ti accompagno.’
Tornammo in camera.
Entrammo, chiuse la porta.
Senza particolare inflessione nella voce, disse che avrebbe voluto fare una doccia, ma che se io avessi voluto precederlo, lui avrebbe atteso.
‘No, Piero, grazie, va prima tu.’
Mi misi a conservare biancheria e abiti nei cassetti, nell’armadio, a sistemare le mie cose per il bagno, il trucco’
Non si trattenne molto, uscì avvolto nell’accappatoio.
Andò sul balcone.
‘Piero, adesso vado io a farmi la doccia.’
‘OK’
Mi trattenni un po’, fui lenta nell’asciugarmi.
Ero decisa a passare il Rubicone, in un certo senso l’avevo già fatto, ma ero nervosa, cominciavo a sentirmi insicura, temevo in una reazione umiliante, di scherno.
Rientrai col lenzuolo di spugna fermato sul seno.
Piero era a letto, mi fece cenno di avvicinarmi.
Quando fui accanto a lui, allungò la mano, prese un lembo del lenzuolino e lo tirò, con decisione, con l’altra mano si scoprì.
Il suo fallo era prepotentemente eretto, imponente.
Mi attirò verso di lui, significativamente.
Mi ricordai dello zodiaco, dei dodici segni, e guardando la virilità di Piero mi venne in mente lo Scorpione.
Scorpione’ in cauda venenum’ ha il veleno nella coda, ma quella era una mellifera cauda, coda che produce miele, e nella lingua di Roma il pene, membro virile, &egrave anche chiamato coda.
Piero mi carezzò i capelli, li afferrò dolcemente, teneramente, e spinse in basso la mia testa.
Fu dolcissimo accoglierlo tra le mie labbra, tra le mie fauci, lambirlo con la lingua.
Suculenta lacrimosa mellifera cauda.
Vigorosa coda stillante miele!
Anche se in preda ad una eccitazione torturante, non ritenni di insistere oltre.
Volevo conoscere la sua reazione.
Ma stava zitto, non parlava.
I crampi tormentosi della mia vagina imploravano la liberazione da quegli spasmi.
Quando m’ebbe fatto ingurgitare i fiotti del suo seme, cosa che fino a quel momento non avevo mai acconsentita, sgusciò via piano, si pose su un fianco.
Poco dopo lo sentii muovere, piano.
Allungò la mano.
Ero supina, col grembo in subbuglio.
Infilò la testa tra le mie gambe, ponendosele sulle spalle, e cominciò a impastarmi le tette, a pizzicare i capezzoli, poi sentii la sua lingua frugare in me, penetrarmi, insistentemente, esplorarmi. Dentro e fuori, e fu lui, in breve, a raccogliere la linfa del mio godimento voluttuoso.
Mi sembrò sprofondare nel nulla.
Quando mi risvegliai, lui era ancora così. Riposava col capo sui riccioli del mio pube.

TORO
Incredibile.
Non ci eravamo scambiati una parola, non una carezza, all’infuori di quelle pur deliziose manovre.
Ci svegliammo, nudi, come se avessimo da sempre dormito così, insieme. Con un affettuoso buongiorno e un bacetto neppure tanto caldo.
Decidemmo di scendere giù per la colazione, e poi al mare.
Giravamo per la camera, in cerca di cosa indossare, senza la minima difficoltà, e senza nulla addosso.
Nessuna inibizione.
Unica libertà, chiamiamola così, fu quando si avvicinò alla toletta per prendere il suo pettine.
Io ero in piedi, che mi specchiavo.
Sentii qualcosa di ben identificabile tra le mie natiche, e nel ritirare il pettine, si soffermò a soppesare una mia tetta.
Ne sembrò soddisfatto.
Quindi, costumi, pareo o pantaloncini e blusa, sandali ai piedi.
Sala per il breakfast, al mare.
Cabina, ombrellone. Sdraie.
Piero mi chiese se gradissi una breve gita in moscone, di quelli che oltre alla panca per il vogatore hanno una specie di pianale a doghe dove prendere il sole.
Mi raccomandò di portare un telo a spugna.
Quando fummo abbastanza al largo, soli, si fermò.
‘Vuoi fare un bagno di sole?’
‘Si, Piero, grazie.’
Aggiustai il telo, mi sedetti sopra, slacciai il reggiseno, mi distesi, misi sa una parte il reggiseno.
Era bello, caldo, il sole e il corpo sentiva la necessità di quel tuffo nei suoi raggi.
Avevo chiuso gli occhi, sotto i grandi occhiali da sole.
Ad un tratto, sentii armeggiare al mio fianco.
Mi si stava slacciando lo slip, da entrambe le parti, lo si sfilava del tutto.
‘E’ un vero peccato lasciare zone più bianche, devi prendere il sole dappertutto, sulle tettine, sulle gambe, tra le gambe, sul bel sederino tondo e sodo.’
Dopo aver detto questo, Piero tornò a sedere sulla panca.
Mi guardava, come se tutto fosse più che naturale, consueto, abitudinario.
Avevo sempre desiderato essere nuda dinanzi a lui, ma ora ne ero alquanto imbarazzata.
Guardò l’orologio.
‘Ora, voltati, altrimenti ti brucerai.’
Mi voltai, come un automa.
Venne di nuovo vicino a me, col flacone della crema protettiva, ne mise in mano, e cominciò a spalmarmi i glutei, la schiena. Ma sui glutei si soffermava, li palpava, li saggiava, intrufolava la mano tra essi.
Tornò sulla sua panca.
Trascorsi alcuni minuti, mi disse di alzarmi, di rivestirmi, saremmo tornati a terra.
Riconsegnò il pattìno, tornammo sotto l’ombrellone.
‘Grazie, Piero.’
‘E’ un piacere poter carezzare un corpo come il tuo, ma non so se faccio bene”
Si mise a guardare il mare.
Poi sembrò interessarsi agli articoli del giornale, con tanta attenzione che non si accorgeva di tenerlo alla rovescia.
Io feci più o meno altrettanto con la mia rivista.
Ora della doccia, del cambio in camera, del lunch.
Caff&egrave sulla veranda.
Mi aspettavo di proporre un ‘riposino”!
‘Che ne diresti di partecipare alla gita in barca a vela? Fra qualche minuto sarà qui davanti. Si torna in tempo per rinfrescarsi e per la cena.’
Per nessuna cosa al mondo e in nessun caso l’avrei contraddetto.
E così, dopo alcuni minuti, eravamo sulla snella imbarcazione, insieme ad altri gitanti, e ci dirigemmo al largo, verso gli impianti per l’estrazione del metano.
Oltre.
Unica ombra, quella delle vele.
Ciondolavo per il sonno.
Unico giaciglio, le gambe di Piero.
Unica attenzione, non lasciarsi attrarre dall’evidente gonfiore che comprimeva nei pantaloni. La bocca era ancora piena del ricordo della sera precedente.
Il dondolio della barca, però, permetteva di sfiorare quel bocconcino delizioso, senza che il movimento della testa destasse eccessiva curiosità negli altri.
Fu bello restare così, e sognare ad occhi chiusi ma perfettamente sveglia,
Quale segno dello zodiaco mi attendeva?
Si avvicinava la seconda notte.
Stessa ritualità per prepararsi alla cena, per drink, e la variante che mi propose di andare in una discoteca speciale: solo ‘liscio’, luci soffuse, suoni non assordanti.
Anche le due coppe di champagne furono deliziose, non certo, però, quanto sentirmi tra le sue braccia, stretta a lui, così tanto che gli abiti sembravano essere scomparsi.
Tornammo in albergo abbastanza presto, mentre gli altri ancora arrivavano in discoteca.
In ascensore mi cinse la vita, mi baciò sul collo.
Quando entrammo in camera, mi baciò sulla bocca.
Mi guardò teneramente.
Non ci misi molto a prepararmi per la notte.
Indossai una velata camicia da notte.
Mi misi a letto.
Lui andò nel bagno.
Tolse la camicia da notte, era una finzione ipocrita.
Piero rientrò nella trionfante nudità che manifestava la sua giovane gagliardia, l’evidenza della sua esuberante virilità.
Dio, che spettacolo!
Che palo della cuccagna!
Quale altro segno che non quello del Toro?
Aveva gli occhi lucidi, sfavillanti, le nari dilatate.
Venne dalla parte mia.
Gettò a piedi la copertina, rimase ad ammirarmi, in silenzio.
Il suo fallo vibrava continuamente.
La mia vagina sembrava impazzita.
Mise le mani sotto la mia schiena.
Mi sollevò.
Lui era in ginocchio, sul letto.
Mi alzò come un fuscello.
Era tra le mia gambe dischiuse.
La sua verga palpitava sempre più.
La presi, la portai al mio ingresso impaziente.
Entrò in me, decisamente, senza fretta e a mano a mano che mi penetrava suscitava sensazioni che s’impadronivano della mia carne, della mia mente, si diffondevano dappertutto.
Finalmente parlava.
‘Sei bellissima, Ma’, un incanto. Mi fai impazzire.’
E ci dava dentro a tutto spiano.
Io sentivo di mugolare, gemere, dibattermi in preda un furore erotico che mi squassava.
Era la mia conquista, il coronamento di un sogno a lungo vagheggiato.
Avevo già goduto, stavo godendo di nuovo.
Ecco, sentivo l’incalzare del suo pulsare, la sua frenesia, la sua passione’ecco’. Ecco’ stava scoppiando in me’. Scoppiava’. M’invadeva’ meravigliosoooooo!
Benedetto segno del Toro.
Come sarebbero stati gli altri dieci?

BILANCIA
Piero era sulla sdraia.
Il giornale era caduto sulla sabbia.
Dormiva.
Serenamente.
Lo guardavo e tornavo a pensare alla ‘non reazione’ a quanto, secondo il mio timore, in lui avrebbe potuto costituire uno shock violento, un trauma sconvolgente.
Niente di tutto ciò.
Sembrava come se lo sapesse, lo attendesse.
Nessun commento, nessun turbamento, nessuna emozione esteriore.
Non riuscivo a comprenderlo, a darmene pace.
Poi, riflettendo, mi dicevo: perché cacciarsi dentro tali contorcimenti mentali, ma che ti frega, Mara, di come abbia accolto la’ sorpresa. Hai visto? Ti aspettava a letto, ha esibito la sua vigorosa erezione, ti ha invitato a’ onorarla. Cosa, del resto, che tu, non puoi nasconderlo Mara, hai fatto con solerzia e diligenza, coronando il tutto con una inedita ma non spiacevole libagione conclusiva.
E lo hai fatto gratis, cio&egrave per semplice ed assoluta compiacenza, nell’intento, cio&egrave, di donargli piacere e non per riceverne altrettanto, anche se poi, sia benedetto Piero, la voluttà ti fu ampliamente ricambiata.
Ed anche la sera precedente.
Senza tanti preliminari, forse perché &egrave già tutto scritto nelle nostre vite, quell’ardore nel prendermi, scrutarmi nel volto per leggere il mio godere, e attenderlo, accrescerlo col suo fallo miracoloso, con le mani che mi stringevano le natiche.
Vedevo che i miei gemiti lo eccitavano, e lo sentivo vibrare nel mio ventre appassionato.
La sua meravigliosa confessione entusiasta’ sei bellissima’ sei un incanto’ mi stai facendo impazzire’
Ed ero io che deliravo, che ero scossa da brividi di passione quando mi riempiva del nettare della vita.
Avrei voluto averlo li, in quel momento, accoglierlo in me.
Ancora.
E fu difficile trattenermi dal carezzarlo, dal baciarlo.
Ci avvicinavamo all’ora del pranzo.
Chissà se, poi, mi avrebbe invitata a un’ riposino!
Premuroso più che mai, Piero, ogni tanto, mi lanciava degli sguardi che interpretavo come forieri di piacevoli delizie.
Mi aveva detto che sarebbe stato opportuno indossare il reggiseno, sotto la camicetta, un po’ troppo trasparente.
Piero geloso?
Ne ero orgogliosa.
I capezzoli si irrigidirono.
Alla fine del pranzo andammo in quello che stava divenendo il ‘nostro’ angoletto, sulla veranda del bar.
Lui desiderava un Irish coffee.
Mi associai a lui.
Che avrebbe proposto per dopo?
Lui, cos’ forte, così giovane, così esuberante, era certo sempre pronto ad assalti erotici.
Ma la bramosa ero io.
Volevo rifarmi del passato e avvantaggiarmi sul futuro.
Tremavo al solo pensiero che poteva non esserci un seguito.
Bevemmo lentamente la forte e aromatica bevanda, che gustai molto, malgrado la stagione non fosse proprio la più adatta a quel tipo di drink che certamente si addice di più laddove tutto &egrave spesso avvolto dall’Irish mist, la nebbia mista a pioviggine, che sale dal mare, caratteristica dell’Irlanda.
Stavamo poltrendo, pigramente,
Piero mise la mano sulla mia gamba, amorevolmente.
‘Alla Rocca c’&egrave una mostra mercato di prodotti locali, della terra e dell’artigianato.
Mi piacerebbe andarci.
E non ti nascondo che mi piacerebbe assaggiare le loro specialità che, a quanto ho letto nella cronaca regionale, ti preparano sul momento, espressamente.’
‘Cosa &egrave!’
‘Ci verresti?’
‘Certo!’
‘Ti attrae la sorpresa!’
‘Credi?
Come puoi sperare che ti lasci andare libero e indipendente?’
‘OK
Prego il commesso d’albergo di condurre l’auto all’ingresso.’
‘Ho visto un avviso, nella hall, parte da qui un pullman, alle 15,30 ed &egrave di ritorno per le 19,30.
Prendiamo quello, non devi guidare e, quindi, sari meno’ distratto!’
Piero mi sorrise e mi batté la mano sulla gamba.
‘D’accordo.
Mancano pochi minuti.
Ultimi posti’ visto che non guido’ ho le mani libere’ e non sono distratto dalla strada”
Quando ci alzammo per andare a prendere un leggero pullover, in camera, mi dette una graditissima pacca sul sedere.
Che si irradiò dappertutto, in me!
Abbastanza interessante la mostra, e molto ben organizzata.
Piero, che aveva un suo piccolo reddito per la modesta partecipazione nella nostra azienda, volle assolutamente regalarmi una collana di maiolica. Sfere policrome di diversa grandezza.
Io non riuscii a fargli scegliere qualcosa che gli piacesse.
‘Possibile che non vuoi dirmi cose ti piace?’
Mi mise un braccio sulla spalla, si avvicinò all’orecchio.
‘Possibile che tu non lo sappia?’
Prima dell’ora del ritorno, si avviò al reparto gastronomia.
Era questa la sua sorpresa.
Aveva un’espressione furbetta, come quella dei bambini golosi che si apprestano a gustare una leccornia.
Quali atteggiamenti avevo letto nel suo volto: golosità per una ghiottoneria, impetuosità amorosa.
Bellissima.
Insisté perché assaggiassi anche io un pezzo di piadina e prosciutto.
Buonissima.
Ma ne avrebbe risentito la cena.
Al ritorno, sul pullman, mi abbracciò stretta e, contando che per vederci si sarebbero dovuti voltare, mi carezzò le tette, a lungo.
Niente discoteca.
Non erano ancora le undici, di sera, quando mi guardò e finse di cadere dal sonno.
La solita ritualità ripetitiva, prima di andare a letto.
Ero per entrarvi, lui si avvicinò.
‘Hai un corpo eccezionale, neanche una modella delle Belle Arti può vantarne uguale. Sei splendida. Vieni, voglio sentire quanto pesi!’
Mi sollevò come un fuscello.
Aprii le gambe, le intrecciai dietro la sua schiena.
Prima di aggrapparmi a lui, presi il glande, che era bello e pronto, e lo accostai alla vagina, facendomi penetrare deliziosamente.
Avvicinò le sue labbra al mio orecchio.
‘Visto che lo sai cosa mi piace?!
Sei magnifica, e leggera come una piuma.
E io sono la tua bilancia”
Con le mani sotto al sedere mi guidava nel mio frenetico basculare, un continuo muovermi e oscillare intorno al suo poderoso asse.
Le mie gambe sentivano la spinta dei suoi fianchi e la mia vagina la riceveva voluttuosamente, avvicinandosi sempre più al momento del godimento supremo.
Com’&egrave vero che la parte essenziale di una bilancia &egrave l’ago.
Lo sentivo.
E che incanto l’estratto dell’ago!
Mi sembrò la colata d’un altoforno, che prendeva corpo in me.
Incantevole Bilancia.
Un altro segno del mio zodiaco lussurioso.

VERGINE
Avevamo passeggiato lungo la spiaggia.
Avevamo camminato abbastanza.
In silenzio.
Guardando l’onda che si frangeva sulla riva, sguazzando con i piedi.
Eravamo giunti al molo, la parte sud che costeggiava il porto canale, dove c’era qualche testardo pescatore che trascorreva ore ed ore in attesa di improbabili abbocchi.
Le pietre erano calde, noi eravamo scalzi.
Giungemmo alla fine, dov’era la luce che indicava, la notte, l’entrata del canale.
Sedemmo, con le gambe penzoloni.
Sotto, grossi massi, e lo spruzzare del mare.
Piero era alquanto meditabondo.
Gli presi la mano.
‘Un centesimo per i tuoi pensieri, tesoro.’
Mi guardò teneramente, mi cinse la vita, mi strinse a sé:
‘Penso a cosa direbbe tuo marito se sapesse di noi.’
Il richiamo a Carlo, mio marito, mi lasciò del tutto indifferente.
Lui, in quei giorni, si trovava, secondo programma, sugli impianti ‘Off Shore Sinai’ per uno dei periodici e interminabili accertamenti tecnici.
Il fatto di essere con Piero, di condividere con lui le notti, di aver realizzato lo strano e incredibile sogno che avevo cominciato a carezzare da qualche tempo, non mi creava alcun senso di colpa.
Ero legata a Carlo, stavo ancora bene con lui, anche dopo venti anni di vita coniugale, e quella ebbrezza sessuale che stavo vivendo stupendamente non riuscivo a considerarla tradimento, infedeltà, adulterio.
Ragionamento contorto il mio, forse forzatamente manipolato a mio uso e consumo, ma che l’aver fatto l’amore con Piero potesse costituire adulterio (parlo di ‘fare l’amore’ non di ‘scopare’, per puntualizzare) proprio non mi andava giù.
Come al solito, una parola tira un’altra, nel pensiero.
Adulterio, amore illecito.
Illecito, non ammesso dalla morale, dalla legge.
Morale, o anche etica, ciò che &egrave bene fare o non fare.
Legge, comportamento da osservare.
Va bene.
Unica (!) obiezione: tutto ciò non &egrave imposto dalle esigenze della natura, ma da quanto hanno stabilito degli uomini, soprattutto per cercare di evitare la eventualità, non peregrina, di dare a mangiare a figli non loro!
Giungo a tale conclusione non perché mi fa comodo, ma soprattutto perché sono convinta dell’ipocrisia di certe norme volute dall’uomo e non dalla natura.
Guardavo il bellissimo e seducente Piero.
Ma come si può pensare che fare l’amore con lui sia contro le regole della natura?
Mi guardava, attendeva una mia risposta.
Alzai le spalle.
‘Cosa direbbe Carlo?
Ha importanza?’
‘Credi che se ne avesse staremmo qui, adesso?’
Mi strinse ancora di più.
Non so cosa mi spinse a porgli io una domanda analoga.
‘E tu, cosa pensi che direbbe tuo padre?’
‘Sicuramente mi invidierebbe!’
Mi strusciai a lui, come una gattina.
Tornammo lentamente alla nostra cabina.
Quando rimasi nuda, per cambiare costume, prima del bagno, mi prese per la mano, mi fece girare su me stessa. Lentamente, più volte, guardandomi con occhi di fuoco.
‘Hai il corpo d’una giovinetta, un corpo verginale, che nasconde le meravigliose delizie della tua natura fortemente femminile. Sei bellissima.’
Il bacio che ci scambiammo fu eccitante, per entrambi, e fu difficile staccarci, trattenerci dal meraviglioso naturale incastro che ci tentava, del tutto inopportuno considerato il luogo.
Lunga giornata d’attesa.
Meravigliosa luce soffusa della nostra camera.
L’alcova era il nostro rifugio preferito.
Corpo verginale, mi aveva detto Piero.
E non desideravo che fargliene dono.
Era supino, e mi guardava con desiderio.
Io ero al colmo dell’eccitazione.
Gli fui sopra, a cavallo, sorreggendomi sulle ginocchia, afferrai il suo fallo e lo avvicinai alla mia vagina, mi ci impalai lentamente, illanguidendomi immediatamente nell’orgasmo che già andava impadronendosi di me.
Riuscii a riprendermi da quell’abbandono, perché volevo cavalcarlo, a lungo, e quasi strappargli il sesso e conservarlo in me, per sempre.
Fu una galoppata memorabile, con più conclusioni, per entrambi.
Non immaginavo di avere tale resistenza.
Non credevo nella inesauribilità che dimostrava.
Mi riversai su di lui.
Esausta, sudata, deliziosamente affranta.
‘Ero la tua verginella, Piero, ora sono solo tua.’
Nel segno della Vergine.

AQUARIO
E’ stato dolce risvegliarmi.
Sono su un fianco, rivolta verso Piero.
Lui verso me.
Mi stringe tra le braccia, in uno strano modo.
Le sue labbra sono all’altezza del mio seno.
Stringono un capezzolo, lo succhiano avidamente, con lunghe, avide ciucciate, come se sentisse sgorgare nella sua bocca il dolce tepore del mio latte.
Succhia’. Succhia’ golosamente.
Dormendo, senza destarsi’
Come un bimbo bramoso al seno che lo sfama.
Quel suggere si impadronisce di me, mi invade, giunge alla testa, scende lungo tutto il corpo, fino alla punta degli alluci, risale, penetra nel grembo, lo fa palpitare, mi provoca fremiti di voluttà.
E lui, Pierino, seguita, e si stringe a me.
Sensazione di tenerezza che s’intreccia al piacere.
Non riesco a trattenere le lacrime che mi rigano le gote, stillano sui capelli di Piero.
Mi muovo lentamente, impercettibilmente, cullandolo.
Piano piano, senza accorgermene, scivolo nel sonno.
Dolcemente.
Forse sto vivendo il mio canto del cigno.
Chissà che non sia scritto, nel mio destino, che questi sono gli ultimi giorni della mia vita, i più belli.
Tanto belli che valgono tutta la mia esistenza.
Forse mi avvio al mio naufragio.
Ma il naufragar d’&egrave dolce in questo mare.
Tenerezza e tristezza.
Tormento ed estasi.
Tormento perché so che questo finirà.
Estasi, perché io sto vivendo questo incantesimo, perché &egrave accaduto!
Esaltazione e ridicolo.
Esaltazione dei sensi.
Ridicolo per l’infatuazione di una ultraquanrantenne stregata da un giovane non ancora ventenne.
Ma non mi sento ridicola quando mi sembra di essere giovane come lui mentre ci amiamo pazzamente.
Che c’&egrave di ridicolo in una femmina che arde di desiderio per un maschio, di un solco che brama l’aratro che l’apra, il seme che la fecondi?
E’ solo l’incontro più naturale del mondo, dell’universo.
E’ stato bello il suo bacio, prima di alzarsi.
Incantevole sentirlo dietro me, mentre cerco di truccarmi, alla toletta, col suo cuneo prepotente che cerca rifugio tra le mie natiche impazienti, e le mani carezzarmi il seno, frugarmi tra i riccioli che contornano il mio sesso, e intrufolarsi in esso.
Purtroppo i giorni passano.
Si avvicina sempre più il rientro.
Che sarà?
Mi scuoto per non pensarci.
Vivere oggi’ in attesa di questa sera.
Non avrei mai immaginato la mia insaziabilità sessuale.
Mi erano parse volgari e sbruffone le frasi di Marietta, la rubiconda e robusta contadina dei tempi che trascorrevo in campagna, nella mia fanciullezza, quando confidava alla comare che il marito era partito per andare a trebbiare in un podere lontano, e che sarebbe rimasto fuori tanti giorni e altrettante notti, ma che lei lo aveva spremuto fino all’ultima stilla, s’era fatta una provvista di cazzo che le sarebbe bastata per tutta l’assenza di Menico. Ne aveva immagazzinati nella ‘fessa’ ,così la chiamava, almeno due metri!
Ora la comprendevo.
Mi accorgevo che stavo facendo lo stesso, con Piero.
Ma lui era inesauribile.
Non solo, ma facevo in modo da sentirlo dovunque.
Non un centimetro di me doveva restare senza il ricordo del suo sigillo.
I giorni, pur abbastanza simili nel loro srotolarsi, mi sembravano diversi l’uno dall’altro.
Il fil rouge che li collegava era la vicinanza di Piero, i suoi sguardi, le sue mani.
L’attesa della notte.
Ecco, mi tornava alla mente, come un rimprovero, quel termine: ‘ridicola’!
Alla tua età essere in ansia come una pivella al suo primo incontro amoroso!
Ebbene si, non solo ero in trepidazione, ma anche mi batteva il cuore in petto, e mi palpitava’ il resto.
Ero in poltrona, seguendo questo accavallarsi di pensieri, dopo aver preso il nostro caff&egrave del pomeriggio, quando sentii la sua mano sulla gamba e la sua voce.
‘Gentile signora Mara Rosi, che ne direbbe di andare all’Acquario, a pochi chilometri da qui? Ho letto che c’&egrave il solito autobus, con i soliti posticini in fondo.’
Aquario, un altro segno del mio Zodiaco.
Acquario, che porta la pioggia.
La pioggia inebriante di Piero che dissetava il mio sempre infiammato e desideroso grembo.
Acquario!
A me di andare a vedere i pesci guizzare nella vasca non &egrave che interessasse molto, ma l’essenziale era essere con Piero, vicina a lui. Sentire il suo tepore, rabbrividire di voluttà al tocco delle sue mani, respirare il suo respiro.
Fuori era abbastanza calda la temperatura, ma nel pullman si stava bene, anzi era consigliabile anche un qualcosa di leggero per l’aria fresca della climatizzazione.
A me bastava l’abbraccio di Piero.
Alle mie tettine le sue dita irrequiete.
Quello che avevo tra le gambe riceveva quelle non necessarie sollecitazioni, ma non c’era alcun bisogno di inviare il messaggio esto parata, sii preparata, lo era sempre!
Piero era lieto del mio interesse per i pesci, ma la gioia nei miei occhi dipendeva dalla sua vicinanza.
E fu più prodigo di attenzioni nel troppo breve viaggio di ritorno, quando le sue dita constatarono di che lacrime piangesse di gioia la mia vagina.
Cena.
Un po’ di tempo al piano bar.
Qualche ballo lento, con mille occhi che osservavano questa strana coppia: un lui certamente più giovani di una pur affascinante lei che sculettava raffinatamente strusciandosi languidamente al malloppo del partner.
Ma io già avevo in mente come e dove avrei tenuto al caldo quel prezioso tesoro, in quale scrigno avrei custodito lo scettro del mio signore.
Ero felice che anche Piero fosse eccitato e visibilmente impaziente.
Mi infilai nel letto, nuda, senza coprirmi.
Quando si avvicinò per coricarsi anche lui, gli tesi la mano, lo tirai verso me, su me, a cavalcioni, il più in alto possibile, lui in ginocchio, poggiato quasi sul mio petto.
Il suo poderoso battaglio amoroso trovò naturale accoglienza tra le mie tette che sapientemente cominciai a muovere in una sempre più incalzante carezza, che mi inebriava e che stava raggiungendo lo scopo di donargli tutto il piacere che volevo offrirgli, e lui, generosamente, unse la mia gola, il mio petto, il mio ventre, del suo prodigioso e delizioso balsamo.

GEMELLI
Il nostro viaggio zodiacale era al suo giro di boa.
Sesto giorno.
Zodiaco, zona della sfera celeste.
Zona celeste, divina, paradisiaca, incantevole.
Cosa c’&egrave di più celestiale dell’incontro di due esseri gemelli, identici?
Anime gemelle, esseri gemelli, corpi gemelli.
Quale più eccelso gemellaggio del fondersi dei due corpi?
Erano i pensieri che s’andavano sempre più affollando nella mente, specie quando, nelle prime ore del mattino, giacevo accanto a lui dormiente, carezzandolo lievemente per tema di destarlo, pur volendone risvegliare corpo e sensi.
Sesto giorno.
‘Finalmente Dio disse: E così avvenne’ e vide che quello che aveva fatto era molto buono: sesto giorno!’
Si, quello che &egrave stato fatto in questo giorno &egrave molto buono.
Sia benedetto il sesto giorno!
Sesto giorno.
Sesto: ‘non commettere atti impuri’!
Non mi riguarda, non ne commetto.
Nulla &egrave più puro, naturale, semplice, schietto, spontaneo, istintivo di quanto avviene tra me e Piero, e gli accadimenti della natura non sono mai, non possono essere, impudichi.
Pudìca natura, dicevano i latini.
Eravamo certamente simili Piero ed io, ed &egrave noto come il simile sia fatto per unirsi al proprio simile’ facillime congregantur’
Quel momento della mia vita era un periodo di aurea e voluttuosa promiscuità.
Neanche nell’immaginazione avevo creduto di poter vivere tali istanti, di totale e illimitata libertà: Piero ed io che giravamo nudi per casa, ognuno estasiandosi della nudità dell’altro. Gli occhi la divoravano golosamente pregustando le delizie che ne sarebbero seguite.
Forse, più o meno consciamente, stavamo vivendo intensamente, in fretta.
Ruit horas, le ore scorrono velocemente, si affrettano, incalzano’.
Mentre desideravo che presto giungesse la sera, la notte, per vivere la nostra costellazione, cum stella, nel nostro spazio divino, allorché ero nelle sue braccia era spontanea l’invocazione lente, lente currite noctis equi, correte lentamente, lentamente, cavalli della notte!
Io volevo riempirmi gli occhi del gemello della mia vita, di Piero, e nel contempo volevo saziare il mio grembo di lui.
Quella sera, a letto, non ricorsi a taciti inviti, a piccoli movimenti allusivi.
‘Sta quasi seduto, Piero, metti dietro le braccia, poggiati su esse. Voglio averti e vederti”
A mia volta, sedetti sulle sue gambe, come a cavallo, e avvicinai il mio grembo al suo sempre eretto obelisco, e lo accolsi in me, più che potei.
Fu naturale il nostro muoverci, incontrarci e allontanarci, fin quando ancora fondemmo insieme le essenze della nostra voluttà.

LUI
CANCRO
Era da qualche tempo che andavo sempre più fissandomi su Mara.
In un certo modo me ne meravigliavo.
Era molto bella, indubbiamente, attraente, con un corpicino incantevole, seducente, appetitoso, invitante.
Gambe lunghe e affusolate, seno splendido, e si vedeva che non aveva bisogno di sostegno, un sedere favoloso, affascinante.
Avevo anche potuto constatare che il tutto era ben sodo.
Che dire. Mara mi eccitava.
Me la sognavo la notte.
Avrei voluto stringerla tra le braccia, a modo mio, sentirne il tepore, farle comprendere il mio ardore.
Con tante ragazze che mi ronzavano intorno, disponibilissime, m’ero incaponito con un’ultrasexy che aveva superato i quaranta.
Mi sorprendevo a restare a lungo a guardarla, ammaliato.
Ed era un’attrazione tutt’altro che platonica.
Solo a pensarla mi venivano certe erezioni che mi mettevano a disagio, perché non era sempre facile dissimularle.
Figuratevi quando la vedevo allegra e ancheggiante.
Anche lei, però, mi guardava in un certo modo’
O forse era solo una mia presunzione, una mia inconscia speranza.
Ma quale speranza, potevo avere con quella donna incantatrice.
Poi capitava che era lei a sfiorarmi, e la fantasia galoppava.
Quando mi disse che aveva fissato due settimane di vacanza al mare, e che avrebbe avuto ‘tanto piacere’ se l’avessi accompagnata, e me lo disse con voce carezzevole, lusinghiera, suadente, invitante e promettente, non riuscivo a capire se lo faceva apposta o era la mia sbrigliata immaginazione, alimentata dal desiderio, che dava alle sue parole un certo senso.
Aveva preso la mia mano, intrecciata alla sua, e se l’era messa sottobraccio, a diretto contatto con la sua tettina, come se volesse svelarmi di cosa si sarebbe potuto trattare.
Ero curioso di sapere il perché di quell’invito.
Non nascondo che ero sempre più convinto che o si era accorta dell’effetto che aveva su me, e non le dispiaceva, o ero io ad avere un certo effetto, su lei, e non mi dispiaceva.
Possibile che la splendida Mara si sentissi attratta da me?
Dovevo cercare di indagare. Cautamente.
‘In quale hotel hai prenotato?’
Mi disse il nome. Il più elegante ed esclusivo della zona.
Ero sempre più curioso. Ma non volevo buttarmi come se non attendessi altro. (In effetti non lo speravo, non lo immaginavo neppure.) Chiesi tempo fino all’indomani.
Quella notte non dormii, sognavo Mara al mare, in costume, ‘ ed anche senza.
Telefonai all’albergo.
Dissi che la signora Rosi voleva la conferma della sua prenotazione.
Furono gentilissimi.
Era tutto in regola, la suite della signora era a disposizione per i giorni stabiliti.
La suite?
Mi risposero che la signora aveva prenotato la suite matrimoniale e che, del resto, era l’unica sistemazione disponibile in quel periodo e che era la più bella.
Quindi, Mara ed io in una sola camera. Matrimoniale.
Accettai l’invito, con misurato entusiasmo.
Mi frullavano mille idee, in testa.
Che voleva fare?
Pensai che dovevo escogitare qualcosa di shockante, e avrei agito a seconda della sua reazione.
Provocazione per provocazione.
Si, dovevo volgarmente metterla di fronte a un invito esplicito, di fronte al quale Monica Lewinski non si sarebbe ritirata.
All’Hotel, quando, alla mia ipocrita richiesta, il réceptionist rispose che eravamo nella stessa camera, accennai appena una alzata di spalle.
Adesso toccava a lei.
La sera andai a letto per primo.
Quando entrò in camera, dopo la doccia, avvolta nel telo di spugna, la attirai a me e le mostrai l’articolo, già bello e pronto, in attesa di un servizio alla deep throat.
Servizio adempiuto non solo con grande perizia, ma con passione, con entusiasmo, con coinvolgimento, tanto che, sempre più arrapato, mi affrettai a ricambiare la cortesia, conoscendo, finalmente, il miele di quella splendida femmina.
Dunque, la mia sensazione non era infondata.
Mara ci stava.
Ma che ‘ci stava’, era più desiderosa e ansiosa di me.
A mano a mano che la nostra intimità diveniva sempre più spontanea e disinvolta, i suoi gemiti crescevano, nessun freno nel gridarmi il suo piacere, la sua voluttà.
Mi sussurrava che stava vivendo il suo Zodiaco d’amore.
Tutto questo stavo ricordando, mentre, con lei, m’ero fermato, sulla battigia, a guardare gli sforzi di un piccolo granchio intento a riguadagnare il mare, la vita.
Il ‘granchio’, anche esso un segno dello Zodiaco, il Cancro.
Glielo dissi a Mara, e si strinse a me.
Nel menù era proposta la ‘granceola’, il ‘granzo’, il ‘granchio’.
Mara mi sorrise e la ordinò.
La guardavo mentre gustava la polpa saporosa.
Mi prese la mano.
‘Chissà se quando si accoppiano &egrave lui ad essere sopra, o viceversa”
‘Ma non sono mammiferi, Ma’, non credo si uniscano a quel modo.’
‘Comunque mi piace immaginarli così.’
‘Sopra lei?’
‘No, immagino sopra lui, e lei, prona, che lo riceve piacevolmente.’
Era accesa in volto, gli occhi fiammeggianti.
Mi eccitavo al solo guardarla.
Chiese di avere il caff&egrave al tavolo.
Aveva le nari frementi.
Io lo conoscevo quell’annuncio.
Lo steso fremito, palpito, era tra le sue gambe.
Mi sarebbe piaciuto accertarmene.
Mi chinai verso lei.
Che ne diresti di una ‘granceolata’ tra le lenzuola.
‘Non attendo altro, tesoro, non resisto più.’
Non chiudemmo neppure il balcone.
Ci spogliammo in un baleno.
Si gettò sul letto, bocconi.
Le fui sopra, come aveva sussurrato lei.
Diavolo d’un granchio, d’un cancro, se era così che scopava, si comprendevano le migliaia di granchietti che si vedevano in giro!

PESCI
Non &egrave facile, almeno per me, far comprendere la modificazione dei miei sentimenti.
Le prime incertezze, iniziano con l’uso dei termini.
Quali sono appropriati, pertinenti?
E’ giusto parlare di sentimenti, o si deve dire impulsi?
E’ esatto dire modificazione?
Riflettendo, credo che all’inizio si sia trattato di ‘impulso’, una sollecitazione interiore più forte della ragione.
Una pulsione istintuale.
Impulsio, passione, stimolo, incitamento, spinta, istinto. Istinto sessuale.
Certo, Mara mi attirava sessualmente, naturalmente.
Ero sicuro che lei avrebbe saputo saziarmi sessualmente. (E non sbagliavo!)
Poi, questa specie di raptus, s’era andato trasformando, in una continua metamorfosi, e alla pur persistente attrazione sessuale s’era aggiunta un qualcosa che non so descrivere. Forse &egrave amore, forse così si può definire l’insieme di affetto, tenerezza, dolcezza, attaccamento, ardore, passione verso l’essere che si desidera avere vicino, carezzare, baciare, vezzeggiare, coccolare, stringere, sentir palpitare tra le braccia, inebriato di voluttà.
Io ero follemente innamorato di Mara, assurdamente, ma appassionatamente.
Si, assurdamente, per mille ed una ragione, o per una sola, ed anche perché aveva il doppio dei miei anni.
E’ bello aggrapparsi ai luoghi comuni, ai proverbi, quando fa comodo: ‘al cuor non si comanda!’
E più realisticamente, il detto scovato nei Carmina Priapea: ‘Priapus erectus fortunatus est’, e la traduzione a lato specificava ‘a cazzo ritto non manca fortuna’.
Io, comunque, ero fortunato, in materia.
Quella che avevamo battezzata la ‘posizione del cancro’, lo aveva confermato.
Ancora una volta.
Avevamo visitato l’Aquario, vissuto il Cancro, eravamo al mare, nel regno dei Pesci.
Così, tanto per restare nell’argomento preferito da Mara: lo Zodiaco.
La mia vita, inaspettatamente, aveva imboccato un strada che non riuscivo a comprendere dove mi avrebbe fatto arrivare.
Improvvisamente era iniziata, per me, una ‘vita di coppia’.
Per il momento in luna di miele: insieme, sempre insieme, e immersi in una continua e insaziabile sfrenatezza sessuale.
Incantevole, meravigliosa, inebriante.
Cosa mi aspettava al rientro in sede?
Lo splendore del presente ogni tanto era velato di questi pensieri, i quali, però, erano subito scacciati dalla presenza di Mara, dal suo calore, dal suo volto sognante, da quel suo guardarmi incantevolmente, promettente, seducente, invitante.
E mi accorgevo di essere geloso.
Non glielo avevo detto, ma mi dava fastidio quel suo ridotto due pezzi che faceva voltare tutti gli uomini della spiaggia, ammirati e’, nonché tutte le donne, invidiose.
Con la scusa che era bene non prendere freddo (in estate!) l’avevo convinta a indossare il reggiseno sotto le scollate blusette.
Dal come mi aveva guardato compresi che ne aveva capito il motivo, e ne era contenta.
Il suo giovanissimo partner era geloso di lei!
Le belle ed eleganti vetrine ci rivelavano come ci facessimo trasportare da un certo sentimentalismo, inconsciamente.
Camminavamo tenendoci per mano, come les amoureux di Peynet, e a mio parere chi ci vedeva poteva pur fare qualche sorrisetto ironico osservando una coppia come la nostra: Mara non mostrava la sua età, d’accordo, mentre, di contro, io accusavo qualche anno di più di quelli che in effetti avevo, ma si vedeva che tra i due non ero il più giovane.
Potevo passare persino per un ‘mantenuto’. Il ché, a ben pensarci, non era del tutto sbagliato.
Eravamo usciti per curiosare, un po’ di window-shopping, guardare le vetrine senza comprare.
Decidemmo di rientrare a piedi, senza prendere l’autobus, che fermava proprio davanti l’Albergo, né di telefonare per venirci a far rilevare dal courtesy car.
Prima di imboccare il lungo viale, che in poco più di mezz’ora ci avrebbe condotto a destinazione, decidemmo di prendere un aperitivo, seduti ad uno dei tavolini che il piccolo caff&egrave aveva allineato nel grazioso e civettuolo giardino.
Si avvicinò, allegra e ancheggiante, una procacissima e giovane cameriera, con una mini da vertigine e due provocanti tette che traboccavano dalla più che generosa scollatura. Lo spettacolo divenne ancor più attraente quando si abbassò per dare una pulitina al tavolino, accompagnandola con uno sculettamento senza dubbio ad usum degli avventori.
Ci dette la carta delle consumazioni.
Mara, che con aria decisamente scocciata, aveva seguito avvicinamento, pulitina, e lo sculettare condito con appetitoso ondeggiar di tette, disse che lei preferiva il Golden Eagle, l’aquila d’oro.
Il volto della ragazza s’illuminò furbescamente.
‘Complimenti, signora, vedo che s’intende di uccelli’ voglio dire di aperitivi!’
Mara la fulminò con lo sguardo, i tratti del volto tirati.
‘Per lei, signore?’
‘Credo che sia il caso di un Bloody Mara, scusi, volevo dire Mary!’
La camerierina si allontanò, accentuando il dimenar di chiappe.
Mara pose con affettata dolcezza la mano sulla mia gamba.
‘Te la stai facendo con gli occhi!’
Non era solita a un linguaggio così esplicito.
La guardai, sorpreso.
Piacevolmente sorpreso.
Ero abituato a un certo modo di parlare, molto in uso, specie tra i giovani, e quella frase di Mara mi giungeva gradita, perché sottolineava una sempre maggiore intimità, il raggiungimento di una assoluta libertà, in tutto, anche nell’esprimere il proprio pensiero. Nessuna inibizione, non solo nei gesti, negli atteggiamenti, ma neppure nel discorso.
Decisi che la risposta doveva non essere da meno.
Misi la mia mano sulla sua e la strinsi.
‘Ma ti sembra che con una donna come te, con quel fisico da schianto, con quelle tette da primato, e la montagna magica del tuo culo meraviglioso, senza parlare del bosco malioso e della grotta incantata, io possa essere attratto da quella smorfiosetta?’
Non l’aveva scossa, quel modo di parlare, quella crudezza. In un certo senso, la lusingava, si sentiva considerata e trattata come una giovanissima, anche nell’eloquio.
‘Si, ma &egrave giovane’ giovanissima”
‘Perché, tu non sei più giovane di tutte le giovani?’
Sembrò rasserenarsi.
Intanto, erano giunti gli aperitivi.
Mara era raggiante, e nel ringraziare la ragazza, la squadrò da capo a piedi, con sufficienza.
Anche io la scrutai ben bene, e mi arrapai.
Comunque era vero: Mara aveva una ben altra classe!
In quel momento stava passando, lentamente, una carrozza di piazza, col cavallo che forse già pregustava il piacere della stalla.
Mara ebbe un piccolo sussulto.
‘Prendiamo la carrozza, Piero?’
Feci cenno al vetturino, che accostò al marciapiede, fermò.
Lasciai l’importo della consumazione, ed anche una buona mancia per essere ricordato (non si sa mai’), e presa sottobraccio Mara l’aiutai a salire.
Dicemmo dove era il nostro Hotel.
Lui, il cocchiere, doveva passarci davanti per rientrare a casa.
Lo pregammo di andare senza fretta.
Mara s’era appiccicata a me, e mi guardava fissamente.
Il solito rito della cena, del dopocena, di un po’ di piano-bar.
Quando fummo in camera, lei, nuda, sostava a guardarsi nello specchio, davanti, di dietro.
Le andai vicino.
‘Sei splendida, tesoro, non c’&egrave nessuna più bella di te. Non desidero nessuna. Solo te.’
Si voltò verso me. Sorridente.
Mi inginocchiai e la baciai sul pube, poi l’abbracciai, mi sembrava leggera come una piuma. L’afferrai e la capovolsi, nascondendo la mia testa tra le sue gambe.
Si afferrò alle mie natiche, le sue labbra, golose, cercarono il mio sesso, lo accolsero avidamente, mentre la mia lingua le frugava la vagina, le titillava il clitoride.
L’aquila d’oro aveva trovato il suo nido.
Mara, però, non era la sanguinaria, non era bloody, ma the sweety Mara, la dolce Mara, e suggevo golosamente il suo miele. Darling honey-pot! Adorato vaso di miele!
(Ma honey-pot, nel linguaggio’volgare, significa anche fica!)

LEONE
Spiagge affollatissime, ma non quella del nostro Hotel, che poteva considerarsi privata.
Il ‘rito della cabina’ consisteva nel baciarsi, carezzarsi, palpeggiarsi, anche freneticamente, come se non ci fossimo sciolti dai nostri nodi erotici da meno di due ore.
Poi il giretto in riva al mare, sulla battigia.
Decidemmo di avviarci a sud, dove c’era un lungo tratto di spiaggia libera, affollata di famiglie, di molti bambini, ma anche di tante coppie.
Belle ragazze e bei ragazzi.
Poco oltre c’era un altro stabilimento balneare, il ‘Bagno Teresa’, dal nome della concessionaria, un donnone, già nonna da tempo, che ancora aveva tracce evidenti della sua giovinezza. Doveva essere stata un gran bell’esemplare della sua terra, con due prosperose tettone ben controbilanciate dal consistente volume delle sue natiche che ancora si alzavano e abbassavano visibilmente sotto il largo e leggero vestito quando andava di qua e di là ad accertarsi che tutto fosse in ordine, che le cabine fossero pulite, e che le pomiciate si contenessero entro i limiti della quasi decenza.
Era uno stabilimento frequentato prevalentemente da turiste tedesche. Di tutte le età.
Floridi corpi assetati di sole… e di ben altro.
Alcuni ruderi, pateticamente esibiti, con la scusa di farsi baciare almeno dal solleone, nell’illusione di interessare qualche amatore dell’archeologia del sesso, mi facevano ricordare i noti versi: dagli atri muscosi, dai fori cadenti’, e immaginavo prolassamenti vari’
Inutile dire che anche li, specialmente li, Mara attraeva l’attenzione di tutti.
Magnifico esemplare della bellezza mediterranea, con un corpo che neppure Prassitele aveva mai avuto la fortuna di avere a modella.
Devo anche dire che gli sguardi delle belle teutoniche non mi trascuravano.
Ce ne erano alcune, in topless, che erano veramente spettacolari.
Mi veniva allora, alla mente, l’assonanza, in francese, tra teutoni e tette, che si pronunciano allo stesso modo: teutonnes et tétons! Già, le belles tétons des teutonnes! Le belle tette tedesche!
Una vera pacchia per i gagliardi bagnini!
La vecchia Teresa, alla quale avevamo chiesto, quando eravamo andati a gustare una delle sue rinomate granite di caff&egrave con panna, se avesse qualche piacevole ricordo dei tedeschi, dei tedeschi maschi precisammo, fece una significativa smorfia e ci rispose che di fronte alla grazia di dio casereccia, e del resto tanto ricercata, sarebbe stato come rinunciare a una robusta porzione di lonza nostrana per un wurstel! E scoppiò in una grassa risata che fece ballonzolare gli enormi globi carnosi che il reggipetto tratteneva a malapena.
Tornammo indietro lentamente.
Mara desiderava ripararsi sotto l’ombrellone, il sole era particolarmente caldo, del resto, era il primo giorno del solleone, entravamo nel segno del Leone.
Era il 23 luglio.
La vedevo un po’ strana, come fosse preoccupata.
Sedetti accanto a lei, le presi la mano.
Mi guardò, mi sorrise.
Chissà cosa la turbava.
All’improvviso fui assalito da un sospetto: che si sia accorta di essere incinta!
Non credo, continuai a pensare, del resto sono solo passati solo otto giorni dal nostro primo rapporto.
Altro pensiero: e che vuol dire? Se aspettava le sue regole, diciamo, per ieri, per oggi, e’niente’?
Beh, può essere incinta di Carlo.
Ma questo, allora, lo doveva già sapere, perché il marito manca da diverso tempo.
Vuoi vedere che sì é data alla pazza gioia con me perché tanto era già ‘in attesa’?
Non potevo restare con quel tarlo che mi girava in mente.
Le carezzai la mano.
‘Ma’?’
‘Si, tesoro?’
‘Sei preoccupata?’
‘E di che?’
‘Che so’ diciamo pensando al tuo maritino.’
‘Ma io sto qui, con te, amore mio.’
‘Ma’?’
‘Non &egrave che’ che ti sei accorta di essere incinta?’
Questa volta rise di gusto.
‘Ma come ti passano certe cose per la testa, sciocchino.
E se fosse?
Dovrei essere preoccupata?
E perché non felice, esultante?’
Le baciai la mano.
‘Scusami.’
‘Sei un bambinone, un magnifico bambinone.
Ti stringerei a me se non ci fosse tanta gente.’
Il pensiero di Mara incinta, di io come possibile padre, e quella sua dolcezza, avevano avuto l’effetto di un potente afrodisiaco. Ero anche a disagio’
‘Io vado a tuffarmi, Ma!’
‘Aspetta, vengo con te.’
Andammo abbastanza distanti dalla riva.
Nuotammo, ci abbracciammo, ci baciammo, sentivamo il reciproco desiderio.
Uscimmo dall’acqua, tenendoci per mano.
Passando dinanzi alle sdraie prendemmo i teli, la borsa’
In cabina i nostri corpi nudi si avvinghiarono, frementi, ma fu solo un piccolo assaggio di quello che avremmo gustato.
La sera, nel nostro letto.
Sul dondolo della veranda, dopo il caff&egrave, Mara ricordò anche lei che eravamo nel tempo del Leone.
Si mise sottobraccio.
‘Chissà come fanno l’amore i leoni. Lo sai, Piero?’
‘Veramente no, ma so come lo facciamo noi. Ed &egrave bello.’
Mi accorsi che aveva stretto le gambe.
Di nuovo un velo di tristezza nei suoi occhi.
‘Perché non vuoi dirmi cosa ti angustia, Ma’?’
‘Ci restano solo quattro notti!’
‘Perché, via da qui tutto finito?’
‘No, non potrà finire mai, ma non sarà lo stesso.
Qui siamo solo noi, senza distrazioni, senza occupazioni, soprattutto senza estranei: noi e noi!’
‘Come potremo stare ancora insieme?’
‘E’ certo che potremo rifarlo’ se tu lo vorrai’!’
‘Temo di non poter nascondere quanto ti amo, ti desidero’ E sono pazzamente geloso pensando che sarai tra le braccia di un altro uomo”
‘Non come tra le tue.’
‘Si, ma”
Mi mise un dito sulle labbra.
‘Zitto, sciocchino, non vuol dire niente, devo pur pagare qualcosa per il mio amore”
In effetti, pensare Mara e Carlo che scopavano insieme non mi andava giù, pur sapendo che erano moglie e marito.
Veramente era da tempo che quel pensiero mi turbava!
Non dovevo, però, guastare il presente, per un passato che non mi apparteneva, e con un futuro che poteva sorridermi.
Era caduta una barriera che ritenevo insormontabile.
Era come se fossimo stati divisi da una robustissima lastra di vetro infrangibile, quelle che ti mostrano un prezioso ma tu sai che non lo potrai mai avere. E’ irraggiungibile.
Poi, di colpo, quel diaframma si polverizza, e il tesoro &egrave tuo’ tuo’ tuo!
Pensai a ciò tutto il pomeriggio, arzigogolai sul come avere ancora Mara, con me, per me, una volta rientrati in sede.
Le sorrisi, a cena, fui anche premuroso e galante, ma non riuscivo a vivere pienamente il presente.
Ci pensò lei, la mia adorabile Mara, in camera.
Ancora una volta constatò la mia eccitazione, lesse sul mio volto la mia brama.
Era sul letto, mani dietro il capo, gambe larghe, bacino sollevato.
Mi rifugiai tra esse.
Alzò ancora di più le gambe, stringendomi i fianchi.
Indirizzai alle piccole labbra palpitanti il mio impaziente glande, e lo immersi nel calore del suo grembo.
Meravigliosamente.
‘Ecco, Ma’, &egrave cosi che devono fare i leoni quando hanno una leonessa come te.’
Mi dimenavo.
Si dimenava.
Sentivo che stava raggiungendo uno dei suoi travolgenti orgasmi, e che aspettava il mio.
Fu fantastico!

ARIETE
Quello che mi mancherà moltissimo sarà il risveglio del mattino.
Prima ancora che le nebbie del sonno si diradino completamente, e di uscire dal quel senso di confusione che si prova tornando alla realtà, mi sembrava seguitare a sognare, sentendo la meravigliosa rotondità di Mara sul mio grembo, una mia mano abbrancata alla tetta, col palmo solleticato dal capezzolo, mentre l’altra stringeva fortemente le grandi labbra, con un dito affondato nel tepore della vagina, a guardia di quel tesoro, e il fallo dolcemente sbaciucchiato dal palpitare del buchetto rosa che nascondeva tra le splendide natiche.
Lo stringersi e rilassarsi di quelle chiappette adorabilmente prensili mi dava un piacere languido e seducente e quasi mi conduceva a un godimento completo, come quello che s’impadroniva di Mara a mano a mano che le mie carezze divenivano più insistenti e penetranti.
Ma, come a volersi serbare tutte le mie risorse per gli incontri appassionati che completavano degnamente la nostra intensa giornata, la mia bellissima donna, rilassatasi dopo ciò che nella mia mente avevo battezzato la sua ‘anteprima’, si staccava da me, a malincuore, si voltava per baciarmi ardentemente, si abbassava per una fuggevole ciucciatina di saluto a quello che chiamava il suo ‘scettro’ divino, e correva sotto la doccia.
Io restavo ancora un po’ a poltrire.
Col comando che era vicino al comodino alzavo le serrande, e guardavo il cielo, il mare.
Dal bagno, Mara mi diceva di alzarmi, altrimenti se mi avesse trovato ancora a letto, sapeva come andava a finire.
‘Perché, Ma’, ti dispiacerebbe?’
Si affacciava, nella sua ammaliante nudità, mi guardava.
‘Sciocchino, voglio penare, desiderarti, per meritarmi lo ‘scettro’ di ‘signora della voluttà’, come mi sussurri quando &egrave il tuo ‘scettro’ a donarmi la vita.’
E ce ne voleva di acqua fredda, per farlo decidere a star quieto!
E così anche quella mattina.
Stavamo per entrare nella Sala, per il breakfast.
‘Piero, desidero un gelatone, di quelli che &egrave difficile finire. Perché non ce lo andiamo a mangiare alll’Igloo?’
L’Igloo, era la grande gelateria che era sulla strada principale del Paese, dopo la grande piazza dove posteggiavano le carrozzelle.
‘OK, principessa, faccio chiamare un taxi? Lo sai che ci sono circa quattro chilometri”
Si era messa sottobraccio a me, civettuola, con un fare di ragazzina.
‘Che ne diresti se ci facciamo dare un tandem dall’Hotel?’
Era proprio un capriccio un po’ infantile. Ma perché non assecondarlo?
Il ragazzo che portò il tandem dinanzi all’ingresso, ci suggerì di voltare alla prima strada a sinistra e poi alla successiva a destra, dove correva una pista ciclabile, comoda e sicura, che andava fino al porto canale. Noi, ad un certo punto, due traverse dopo la piazza che avremmo intravista sulla destra, avremmo dovuto voltare, sempre a destra, e ci saremmo trovati proprio all’Igloo.
Ringraziamento, mancia, e via col tandem, senza affrettarci.
Riuscimmo a non sudare, anche perché la pista ciclabile, sotto gli alberi, era perfettamente ombreggiata.
Poggiammo il tandem al parcheggio per le biciclette, e andammo a sedere ad uno dei tavolini sul marciapiede del corso, dove c’era molta gente in giro. Chi si recava al mare, chi al mercatino, chi bighellonava beatamente.
Cameriere nero come l’ebano, che poi ci disse essere studente a Perugia, con volto simpatico e sorridente, e un fisico di tutto rispetto, da buon Senegalese.
Ci disse che c’era la specialità del momento: Il ruggito del leone, una gran coppa, con tanti sapori, e un grosso cialdone piantato nel centro. Ci assicurò che era il preferito dalle donne.
Mara lo ordinò con entusiasmo, io optai per la mia prediletta granita di caff&egrave con doppia panna.
In effetti, il ‘ruggito del leone’ aveva un aspetto monumentale e quel robusto cialdone scuro aveva certamente qualcosa di fallico. Io pensai subito a che si poteva riferire a quello dello statuario cameriere senegalese. Dal come lo ciucciava, dopo averlo ben riempito di crema, Mara forse pensava alla stessa cosa.
Glielo accennai, con una certa malizia.
Mi sorrise, e guardandomi significativamente pose particolare cura in quella specie di fellatio gelatiera, che concluse con un morso secco che lo decapitò.
Poi ripose il resto del cialdone nella coppa.
‘Hai visto? Devi stare attento.
Non so se abbiano preso il suo a modello, non certo il tuo che, grazie a dio &egrave ben più sostanzioso. Altro che questo grissino.’
Quella specie di complimento, di apprezzamento, mi eccitava, e mi faceva constatare che quando era al bar Mara aveva un comportamento abbastanza disinibito e giovanile.
Dopo l’interminabile gelato, desiderò gironzolare, spiando nelle vetrine.
Andammo nella piazza.
Quando vide le carrozzelle si rammaricò di essere col tandem, perché le sarebbe piaciuto tornare in Hotel come la volta precedente. E aggiunse che in tandem non poteva starmi vicina come sarebbe stato possibile in carrozza.
Il vetturino ci propose ‘un giro’, gli dissi che dovevamo tornare in Hotel e gli accennai al problema del tandem.
Rispose che non c’era alcun problema, l’avrebbe legato dietro la carrozza.
Cosa che non facevo mai, gli chiesi il prezzo della corsa, profittando che Mara era a guardare certi orribili sandali che, per fortuna, non gli venne in mente di acquistare. Era una cifra piuttosto insolita, da ‘sfruttiamo l’occasione’ da parte del cocchiere, comunque non potevo non esaudire un desiderio di Mara, per così poco.
Gli detti la banconota, perché non volevo farlo sapere a Mara.
Mi avvicinai alla mia splendida ragazza ‘perché per me era tale- e le dissi che poteva salire in carrozza, saremmo passati a prendere il tandem e poi saremmo tornati in Hotel.
Batté le mani, gioiosamente.
In carrozzella era così vicina a me che mancava poco che non sedesse sulle mie gambe.
La guardavo con tenerezza, era bello vederla così entusiasta.
Dopo il solito caff&egrave pomeridiano, mi disse che aveva scoperto, nel giardino dell’Hotel, un angolino con un dondolo che sembrava fatto apposta per noi due.
Mi prese per mano, mi condusse dietro alcune piante.
Era proprio appartato.
Faceva piuttosto caldo, ma non volli contraddirla.
Appena mi sedetti, si alzò la gonna e venne a sedersi sulle mie gambe.
Cominciò a carezzarmi, baciarmi, movendo piacevolmente il suo delizioso sederino.
Restituii calorosamente i sui baci, e le mie mani erano attratte dai suoi tesori di cui non riuscivo a saziarmi: le belle tette, i fianchi, il boschetto delle delizie.
Rimanemmo così, a lungo, senza accorgersi del tempo che passava.
Solo quando ci alzammo, e guardammo in alto, ci accorgemmo che, malgrado la tenda sul dondolo, da qualche finestra potevano vederci.
Quando glielo accennai, alzò le spalle e sorrise.
‘Peggio per loro, mi avranno invidiata.’
E giunse la notte.
Mara venne subito a rifugiarsi tra le mie braccia.
‘Lo sai, Piero, che proprio mi &egrave piaciuto il ruggito del leone?
Dobbiamo tornarci, prima’ di andar via”
S’era fermata un momento nel dire ‘andar via’.
Forse per non far vedere che gli occhi le si erano empiti di lacrime, si voltò sull’altro fianco.
Le baciai il collo, le spalle, scesi a mordicchiarle le natiche, a carezzarle, a intrufolare la mano tra esse, e seguitare così, lentamente, mentre mi eccitavo sempre più, e lei cominciava a dimenarsi significamene.
Avvicinai la bocca al suo orecchio, le lambii il lobo, imitai, in sordina, il ruggito del leone..
‘Leonessa, ti piace il tuo leone?’
‘Da morire!’
‘Ora ti spiego come loro fanno l’amore.’
‘Come?’
‘Vieni”
La sollevai leggermente, in modo che poggiasse palme delle mani e piedi sul letto.
Ero dietro lei, le divaricai le belle natiche e portai il mio glande fremente vicino alla sua rorida vagina, la penetrai dolcemente, la tenevo sollevata con le mani sotto al petto.
Quando lo stantuffare divenne più deciso e rapido, e il suo grembo era sconvolto da ondate di piacere, dovetti sorreggerla, perché sembrava venir meno’ ma veniva solamente!
Poi fu il mio turno, meravigliosamente.
Giacemmo paghi ma non sfamati, e la sentivo ancora fremere sotto di me. Con quel suo meraviglioso, incantevole culetto.
Volse appena la testa, ancora affannata, sudata.
‘Per un momento ho creduto che tu imboccassi un’altra strada”
‘Non vuoi?’
‘Io voglio solo quello che vuoi tu, qualsiasi cosa’ ma non l’ho mai fatto’
Perché, tu vuoi?’
Avevo ancora il fallo tra le sue natiche.
‘Chissà!’

SAGITTARIO
Il mio compagno di banco, e attualmente di facoltà, Ninì Di Giacomo, napoletano figlio di napoletani, esiliato a Roma, come scherzosamente diceva, aveva alcuni modi di dire che sono intraducibili ma che, una volta acquisita una certa dimestichezza col dialetto, chiariscono bene le cose.
‘Pierì’ ‘mi diceva, accennando a uno che aveva preso una cotta per una ragazza- ‘chillo si &egrave proprio infessuto’ per quella là. E in quella parola, infessuto, c’era tutto: essere divenuto ‘fesso’, cio&egrave essersi istupidito, ed essersi incaponito per quella ‘fessa’, risaputo appellativo napoletano dell’organo riproduttivo femminile.
Va bene, diciamolo chiaramente, la ‘fica’!
Ninì aggiungeva anche che chillo non sarebbe stato appagato neppure se la ragazza lo avesse ospitato nella sua cosina juorno e notte! Neppure se avesse gli avesse fatto fare del suo grembo casa e putega, casa e negozio.
Marco Grassi, il veneziano, aggiungeva che era logico, i Napoli i sé monarchici, pervia della mona!
Ora l’infessuto ero io!
Totalmente, fino al punto che avrei fatto tutto per poter fare l’amore con Mara, a dispetto della tante volte ripetuta sensibile differenza di età.
Riuscivo a capire come uno si sposava, spesso convinto che in tal modo si assicurava l’esclusiva di quella femmina.
E capivo anche il rodimento di sapere quella femmina accoppiarsi con un altro.
Che poi lo facesse solo per ‘dovere’ era una pallida attenuante.
Forse lei non godeva, ma faceva godere un altro!
In altri tempi, una freccia ben diretta risolveva il problema.
Ancora in tempi anteriori, il capo avrebbe inviato al fronte lo sposo della donna che voleva, poi avrebbe reso gli onori alla memoria dell’eroe caduto in battaglia, mentre lui si godeva la vedova allegra.
Beati i tempi in cui bastava una freccia.
Un bravo sagittario, e via.
Mi sembra che sia Petrarca a dire ‘che l’arco scocchi il buon sagittario’.
La sagitta, la freccia, il dardo, lo strale amoroso’
‘Un dardo mi gittò’ (Cavalcanti) e mi fece innamorare’
E con quanta allegoria erotica, si narra del come lui l’infocato dardo pose in la regal faretra tal ch’entrambi ne provar diletto.
E così andai rimuginando nella mente, gli amori che da sempre sono stati narrati, e i piaceri per i quali tanto fu scritto.
La maga Circe, maliosa, inebriante, incantatrice, che con le sue arti avvincenti irretisce Ulisse.
Il fascino irresistibile delle sirene.
Per me, Mara era tutto: fata, maga, incantatrice, Circe, Sirena’ la deliziosa faretra per il mio dardo, o, come lei diceva, lo scrigno del mio scettro.
Si, ero completamente infessuto!
E quello che mi tormentava era il seguito, perché io non ne volevo venir fuori, nel modo più assoluto.
Mentre era tra le mie braccia, e ci carezzavamo voluttuosamente, glielo dissi.
‘Quale sarà il nostro domani?’
‘Dipende solo da noi.’
‘Si, ma’?’
‘Non ci sono ma, amor ante omnia, l’amore prima di ogni cosa.
Eva sapeva di perdere l’Eden offrendo la mela ad Adamo, ma sapeva anche quale altro Paradiso avrebbe conquistato.
E Adamo lo condivise.
Sfidarono il loro Signore, e furono scacciati.
Affrontarono sacrifici.
Ma insieme.
Sudarono il giorno, gioirono la notte.
Eva subì le doglie della maternità, ma fu compensata dall’amore di Adamo.
Ti senti di essere come Adamo?’
Quelle parole, dette con tono dolce, sereno, convinto, mi eccitavano.
Avrei affrontato tutto per lei, con lei. Anche l’ira del Signore!
Mi guardò con una tenerezza e un desiderio che cancellavano ogni preoccupazione.
Era bellissima, bocconi, con la sua magnifica schiena offerta ai miei baci, scesi ancora, mi piaceva mordicchiarle le natiche, e lei ci stava, con piccoli gridolini di gioia.
Ma non riuscivo a dominare la mia concupiscenza di fronte a quel corpo ammaliante e irresistibile, che era li, per me.
Il mio fallo era dolorosamente eretto, pulsante e fremente.
Mi misi in ginocchio tra le sue gambe, le afferrai, le sollevai, lo spettacolo incantevole del suo sesso, ornato e impreziosito di bruni riccioli capricciosi, era ammaliante, invitante, mi avvicinai a lei, condussi il mio glande all’ingresso della sua rugiadosa vagina, e il dardo andò a rifugiarsi nella faretra, lo scettro nello scrigno incantevole.
Ero io il sagittario.
‘Sono il Sagittario, Ma” il Sagittario”
‘Trafiggimi col tuo strale, amore, fammi morire così!’

CAPRICORNO
Mara ripeteva spesso che stavamo vivendo il nostro Zodiaco dell’amore, della passione, i nostri giorni di vacanza, i giorni dello Zodiaco.
Purtroppo solo dodici notti.
Da quella che inizialmente era sembrata solo una eccitazione dei sensi, una mera attrazione fisica, travolgente, che concupiva, soprattutto se non esclusivamente, il totale appagamento dell’istintivo desiderio con una fantastica abbuffata sessuale, era sbocciata, prepotentemente, la fiamma di un amore totale, forse a lungo covato nelle recondite pieghe del subcosciente.
Era evidente che io amavo da sempre Mara, e la volevo da sempre.
In ogni femmina che incontravo c’era qualcosa di Mara, ma non era lei.
Nessuna aveva i suoi occhi, il suo portamento, la sua fisicità che era dolce e aggressiva nel contempo.
Ed ora lo sapevo per certo, che in nessuna donna avrei mai potuto ritrovare Mara.
I segni dello zodiaco.
Capricorno, il mio segno.
Dicono che non sia tra i più facili da trattare, ma la dolcezza, la tenerezza, la dedizione e la passionalità di Mara rendevano tutto facile e piacevole.
Sorridevo, tra me e me, quando pensavo: peccato che sia sposata.
Poi sognavo di vivere con lei, solo con lei, sempre con lei, tutto il resto della mia vita.
Una voce mi diceva che fra vent’anni Mara sarebbe stata una signora abbastanza anziana ed io un baldo quarantenne.
Mara non sarebbe mai invecchiata, come le altre.
Comunque sarebbe stata sempre bella e attraente.
Mi sorprendevo a immaginare un nostro figlio: mio e di Mara.
La realtà era che domani si torna in città, al caldo della città, all’inferno della città. Perché senza Mara sarebbe stato un inferno.
Comunque, non dovevamo vivere tristemente la vigilia del rientro.
Dovevamo, invece, solennizzarlo.
I miei risparmi mi consentivano una serata particolare.
Proposi a Mara di andare a cenare all’Adriatic Eden, il raffinato locale lungo il porto canale.
Mi guardò con aria tenera, velata di tristezza.
‘Ma ci faranno entrare nell’Eden?’
‘Ma &egrave il nostro, tu Eva, io Adamo!’
‘Ricorda la Bibbia: they were banished from Eden for their sin against Heaven… Furono cacciati dall’Eden per il loro peccato contro il Cielo!’
‘Forse loro hanno peccato, non noi!’
Mi carezzò dolcemente il braccio.
‘E se cenassimo nel nostro Eden? Nella nostra camera?’
L’idea non era male.
Mara era appoggiata a me.
‘Solo ostriche e champagne, Piero’!’
Chiesi al segretario dell’Hotel se fosse possibile esaudire il desiderio di Mara.
Mi assicurarono che proprio il mattino erano giunte delle ostriche speciali, dalla Francia, e in quanto allo champagne non c’era che l’imbarazzo della scelta.
Dissi di affidarmi a loro.
In camera, per le ventuno.
Trovammo tutto pronto.
Tavola elegantemente imbandita, candele accese.
Su carrello, bellissime ostriche su un letto di ghiaccio tritato, e il secchio con lo champagne.
Ringraziammo il cameriere e dicemmo che ci saremmo serviti da soli.
Uscì, chiuse la porta.
Mara aveva gli occhi scintillanti.
Mi guardò, sorridente.
‘Dovremmo esser in abito da sera, non ti pare?’
‘E’ facile, anzi possiamo andare oltre, in abito da notte!’
‘Da notte?’
‘Si. Tu cosa indossi la notte, da quando sei qui, nel nostro Eden?’
‘Niente!’
‘Appunto’ via”
Cominciai a spogliarmi, completamente.
Lei fece lo stesso, ridendo come una bambina.
Non pensai all’effetto di vederla così, nella sua affascinante nudità, con solo la collana e gli orecchini.
Meglio sedermi subito, anche prima di lei, a tavola.
Ma lei si accorse di quanto m’era accaduto, e venne a porsi sulle mie ginocchia, stringendo il mio scettro svettante tra le sue splendide e tiepide labbra lanuginose.
‘Ma’, credi che riusciremo a gustare le ostriche e lo champagne?’
‘Perché conosci un modo migliore?’
Accostammo il carrello al tavolo, riempimmo i piatti con le ostriche, stappai lo champagne, lo versai nelle coppe.
Il muoversi per prendere le ostriche, per bere, e così via, era quanto di più eccitante mi fosse mai capitato.
Ed anche Mara era sempre più eccitata.
La sentivo.
Era tutto divinamente voluttuoso, condito con baci e carezze.
Le ostriche furono golosamente gustate, innaffiate col frizzante gradevole dello champagne.
Poi, all’unisono, ci avviamo al letto.
Si sdraiò.
Mi abbassai a baciarla tra le gambe.
Le alzò, afferrò le caviglie, e mi rivelò la bellezza del suo sesso, le sue magnifiche natiche, che cominciai a mordicchiare, a lambire.
Mi soffermavo sul suo buchetto palpitante, risalivo, scendevo.
Provai a introdurci timidamente la punta della lingua, intrisa di saliva.
Doveva piacerle, perché la sentivo sobbalzare.
Provai a sondare col dito la resistenza del suo sfintere.
Andava rilassandosi lentamente, accennava a dilatarsi.
La mia erezione era violentissima, incontenibile, poggiai il glande su quel buchetto malioso e sentii che veniva accolto senza contrazioni difensive.
Anzi, si andava allargando, lo accettava, lo gradiva, lo avvolgeva voluttuosamente,
Fu uno stantuffare inebriante, e lei mugolava sempre più intensamente, i suoi gemiti di piacere mi dicevano il suo godimento’
‘Si’Piero’ amore mio’ &egrave bellissimo’ dai’ dai’ dai’ si carezzami così’ bravo’ sì’ lì’ lì’ come sei bravo’ che dita bellissime’ sì’ lì’. lììììììììììììì’ ooooooh’ ti sento’ ti sento’ mi inondi’. &egrave splendido’.’
Dopo una contrazione più forte delle altre, si abbandonò, sfinita.

Eravamo alle porte di Roma.
La nostra vacanza era terminata, ma avevamo anche parlato di come, quando, dove vederci.
Non poteva finire così.
Mi guardava amorevolmente. Le posi una mano sulla gamba.
‘Quando torna tuo marito, ma’?’
Mi carezzò la mano.
‘Sai che proprio questa mattina mi sono venute le regole?’
‘Si, ma ti ho chiesto quando rientra il Carlo.’
‘Credo che lo troveremo a casa, tuo padre!’

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