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Racconti di DominazioneRacconti erotici sull'Incesto

I lati oscuri

By 11 Maggio 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Anche stasera, come sempre ultimamente, non mi restano nemmeno le energie per pensare anche solamente al mettermi ai fornelli. Rifletto e decido che forse una capatina per cena a casa di mia madre potrebbe essere niente male. La chiamo, e come spesso accade devo attendere almeno una decina di squilli prima che riesca a rispondere, probabilmente per l’abitudine all’essere sempre indaffarata in qualcosa.
– Pronto –
– Ciao Cristina, sono Edoardo –
– Ciao Edo…finito in ufficio?..chissà perché ma una chiamata a quest’ora solitamente presuppone un casuale autoinvito a cena’.sbaglio? –
– Ehm…a dire il vero faccio fatica ad ammettere che tu riesca a pigliarci sempre, nelle tue predizioni gastronomiche’-
– Eheheh…non ti conoscessi da così tanto’..-
– Scherzi a parte, ci sono problemi se passo?..hai da fare? –
– In effetti mi stavo preparando per uscire con Elena, viene a cena e poi abbiamo appuntamento fuori con le altre per le dieci, quindi un boccone anche per te possiamo anche permettercelo, l’arrosto &egrave in forno da un pò –
– Arrosto prenotato allora mamma…regolo il livello di fame sulla frequenza giusta, eheheh, e arrivo… –

Mi chiamo Edoardo, come probabilmente avete capito, ho 35 anni e mi occupo di consulenza aziendale. Ero un avvocato, o meglio, lo sono ancora, almeno sostanzialmente. Ho esercitato la professione per quattro anni, prima di decidere definitivamente di abbandonare le aule di tribunale in favore dell’ambiente aziendale commerciale, decisamente più congeniale al mio carattere ed al mio modo di lavorare.
Cedetti lo studio legale che era stato il punto di riferimento ed il vanto di mio padre, avvocato anch’egli, prima che una cliente dominicana decidesse che oltre alla prestazione professionale fosse anche il caso di accaparrarsi la totalità delle altre prestazioni rimanenti. Aveva lasciato lo studio nelle mani del sottoscritto e di tre storici colleghi ed aveva ben deciso che fosse arrivato il momento di dedicarsi alla cura di un pezzettino di spiaggia caraibica sulla quale aveva allestito il suo buen retiro.

Ovviamente la decisione di mio padre aveva incontrato una resistenza da parte della moglie, Cristina, non tanto in virtù di una fantomatica vena d’amore che ancora la unisse a lui, quanto invece per la necessaria organizzazione del futuro senza di lui, per la suddivisione dei beni e per la pianificazione della gestione del piccolo patrimonio di famiglia, che aveva sempre permesso a mia madre di dedicarsi alla cura della nostra splendida casa ed alla sua passione di pittrice, mai sopita dopo l’esperienza all’accademia delle belle arti, frequentata da giovane prima di incontrare lui.

Riflettendo a posteriori sul rapporto dei miei genitori, in effetti non posso non ammettere come l’equilibrio che reggeva la coppia fosse, almeno all’apparenza, stranamente stabile. Mio padre aveva da molto tempo, almeno da quanto ricordassi io, dedicato quasi totalmente la sua persona alla professione legale, investendo la maggior parte del suo tempo tra lo studio ed i movimenti internazionali che l’attività di internazionalista richiedeva, passando assai poco tempo in compagnia della famiglia. Non che ne avessi mai patito l’assenza, anzi, lo ricordo come sempre presente nella quotidianità, per quanto probabilmente fosse dovuto alla sicura qualità del tempo che mi dedicava, non tanto alla quantità.
Ricordo di aver cominciato a far caso al rapporto con la moglie solamente avvicinandomi all’adolescenza, ovviamente a causa del cambiamento da ragazzino a uomo che stavo provando, e quindi del mutato spettro d’osservazione sotto il quale misuravo le relazioni.

Non ho depositate nella memoria immagini connotate da un particolare slancio d’amore, quanto invece decisamente molte segnate dall’affetto. Ne avevo dedotto, in buona sostanza, che tra marito e moglie il tempo decreti un’evoluzione dei rapporti mirata alla serenità ed alla stabilità della famiglia, cristallizzando quella passione che divora e depositandola, probabilmente, in una remota cassetta di sicurezza della quale la chiave sia destinata all’oblio.
Quindi l’ipotesi che avessero una vita sessuale attiva, domanda che un adolescente ineludibilmente si pone, nel mio caso trovava scarsa risposta: o erano bravissimi nel dissimulare la quotidianità ritagliandosi sprazzi dei quali io non avevo mai avuto il minimo sentore, o era entrata in gioco la famosa cassetta di sicurezza’ Fatto sta che io mai li vidi o li sentii, cosa che a quanto pare invece costituiva gran parte dell’attività quotidiana di spionaggio dei miei coetanei smanettoni.

Ricordo invece la rigidità caratteriale di mio padre, che ne decretava una severità decisa anche nel rivolgersi alla moglie, nella gestione dialettica dei confronti tra loro, nelle litigate che, sinceramente, consistevano quasi sempre in un monologo imperioso inframezzato da tentati quanto vani accenni di protesta di mia madre, come se vi fosse uno squilibrio originario nelle posizioni di coppia, come se lei avesse quasi accettato la sottomissione morale del quasi asservimento al volere del marito.
Ho sempre pensato che ciò fosse dettato dall’atteggiamento preso da mia madre, donna dotata di una vivace intelligenza, la quale aveva forse capito come questo fosse l’unico modo per assorbire il carattere del marito ed evitare eventuali conseguenze, cosa a dire il vero mai accaduta.
Una volta soltanto ricordo di essere rientrato prima da un pomeriggio passato a studiare da un amico, ai tempi del liceo, e di aver avuto l’impressione di avere quasi interrotto qualcosa, per fortuna. Di sicuro quella volta il litigio doveva essere andato oltre il consentito, atteso che, dopo aver come al solito sbattuto la porta entrando, dal mio stato di immobilità in ingresso sentivo l’alto volume del diverbio che avveniva qualche stanza più in là. Quella volta sentii mia madre rispondere a tono, per quanto non percepissi il contenuto di quanto si stavano urlando. Percepii molto bene, però, lo schiocco secco dei due ceffoni che mia madre ricevette, accompagnati dalla voce autoritaria di mio padre che, prima di palesarsi in corridoio, disse: – E questi li hai tirati fuori gratis, stavolta’-.

Scuro in volto e degnandomi appena di uno sguardo se ne usci di casa per rintanarsi in studio, mentre io, a rallentatore, avanzavo in corridoio. Dopo qualche secondo apparve mia madre, portando sul viso evidente il rosso dei ceffoni, che alla mia domanda sul cosa fosse accaduto rispose semplicemente con un: – Non capiresti, il rapporto tra due persone non &egrave sempre facile’-.
Depositai l’accaduto, mai più verificatosi, in un angolo della mia memoria e mai avrei pensato che quel ricordo un giorno riaffiorasse, nell’istante in cui mi ritrovai a fare i conti con me stesso.

La decisione di mio padre di partire e ricrearsi una nuova vita aveva, ovviamente, creato una serie di conseguenze pratiche alle quali io e mia madre dovemmo far fronte. Per lo studio legale i problemi furono relativamente di facile superamento, io vi lavoravo da un paio d’anni e ci fu semplicemente un accentramento in mio favore delle quote e del portafoglio clienti appartenenti a mio padre.
Per la casa i problemi erano pochi, era sempre stata gestita da mia madre attraverso l’utilizzo di un paio di fedeli donne delle pulizie che a turno se ne occupavano, consentendole di concentrarsi sulle soluzioni estetiche degli arredamenti e sulla passione della pittura.
La rendita che derivava dal piccolo patrimonio immobiliare familiare era più che sufficiente a fronteggiare le spese di mia madre, visto che io da un paio d’anni vivevo da solo in uno degli appartamenti di cui eravamo proprietari e le mie finanze mi permettevano di condurre una vita economicamente serena.
In effetti un po’ mi spiaceva immaginarla sola nella casa, ma mi consolava il fatto che la sua vita fosse comunque pregna di impegni culturali legati all’arte e fosse popolata da una moltitudine di amiche, alcune delle quali presenti dai tempi della gioventù.

Cercavo di passare da lei spesso, specie da quando, un anno prima, era terminata la mia convivenza con Giulia. Capitava quindi che a pranzo o a cena, specie quando l’impegno professionale disintegrava i miei tempi, io ne approfittassi per farmi viziare dalla cucina casalinga, arte nella quale mia madre eccelleva, retaggio di una famiglia, la sua d’origine, appassionata di eno-gastronomia tanto che suo nonno possedeva una trattoria ben conosciuta, ai tempi.
Lei non mancava mai di farmi notare quanto somigliassi a mio padre nell’atteggiamento sul lavoro, cosa che rimaneva sospesa perché io non potevo confessare quanto il rintanarmi in studio mi evitasse di riflettere sul fallimento della mia convivenza.
Lei non mancava nemmeno di farmi notare quanto anche il mio carattere, con il tempo, stesse via via finendo per assomigliare ad alcuni aspetti di quello paterno, tanto nell’autorità dei toni con i quali mi rivolgevo alle persone, quanto nella rigidità di alcune posizioni che assumevo nei confronti di determinate tematiche, facendo fatica ad accettare opinioni contrastanti dalle mie.
Io reagivo sorridendo e glissando…ben sapendo quanto potesse avere ragione e quanto il confronto con lui potesse alle volte infastidirmi.
L’avevo infatti nettamente colpevolizzato di quanto accaduto, lo avevo ritenuto responsabile dell’aver, con leggerezza, deciso per l’accettazione del fallimento della sua vita familiare in favore della fuga con la sua giovane cliente dominicana.
Non mi ero nemmeno confrontato troppo con lui sulla questione, irrigidendomi nel giudizio e facendo del mutismo la mia arma di rivalsa, fino al punto in cui anche lui rinunciò al tentativo. Semplicemente erano quattro anni che non lo sentivo e non lo vedevo e, in soldoni, continuavo a ritenerlo un debole che aveva tradito mia madre e se ne era scappato.
Non che pensassi al tradimento come una ferita, almeno non nella mia vita quotidiana. Io stesso avevo ripetutamente tradito e non mi ergevo a tutore morale, per quanto, essendoci di mezzo mia madre, in questo caso avevo cristallizzato in suo favore il giudizio senza approfondire troppo, forse anche per difesa.

Confesso che lei stessa non mi parve subire un contraccolpo troppo intenso. Certo, le reazioni erano state quelle di una donna abbandonata nei primi tempi, ma la sua intelligenza l’aiutò a trovare nel resto risorse sufficienti per uscirne, a quanto mi constava, abbastanza bene.
Non le avevo mai domandato se intrattenesse qualche relazione, probabilmente per rispetto, per non sfiorare tasti forse per lei dolenti ed anche perché la cosa non mi interessava molto. In questo aiutava il non abitare sotto lo stesso tetto, garanzia sufficiente per far si che alcuni aspetti delle nostre vite non potessero incrociare i loro effetti.

Ritenevo comunque normale che lei avesse e dovesse avere una vita privata. Cristina era una donna di 55 anni che amava prendere cura di se stessa, che adorava le attività all’aperto, correva ed un paio di volte alla settimana dedicava qualche ora alla palestra, per quanto non le piacesse troppo. I suoi capelli biondo-castani erano sempre inappuntabili, grazie all’appuntamento settimanale con il parrucchiere di fiducia e le rughe fisiologiche donavano ai tratti del suo viso, ancora piacevole, quel fascino che non abbandona mai le donne belle.
Era una donna formosa, e per quanto non mi fossi mai interrogato su questioni relative alle sue taglie e misure, cosa che invece normalmente accadeva con le donne che conoscevo ed avevo frequentato, sapevo bene che il seno abbondante era uno dei suoi vanti, assieme alle gambe ancora snelle che terminavano in due sottili caviglie che parevano quasi disegnate sopra ai suoi piedi sinuosi ed illuminati dallo smalto delle unghie. La sua carnagione amava il sole e riusciva naturalmente a mantenere quel color dell’ambra anche nei mesi invernali.
Mi era capitato, seppur raramente, di sorprenderla mentre si cambiava e mi ero ritrovato a sorridere di quanto fosse ancora appetibile, cosa di cui la rendevo partecipe scherzandoci ed alla quale lei rispondeva scimmiottando quell’espressione snob che si dipingeva sul viso delle attrici di fronte ai complimenti. Una volta cominciò addirittura a recitare, enfaticamente: – Ed ecco a voi, madames et messieurs, la linea primavera estate di Yves Saint Laurent’.- improvvisando un defilee ironicamente estremizzato, mentre avanti ed indietro lentamente per la camera accentuava ridendo l’ondeggiare sensuale del suo sedere disegnato.
La quantità di risate tra noi in quei momenti era piacevolmente disarmante ed io mi ritrovavo stupito a pensare a quanto a volte il rapporto tra noi potesse essere così schiettamente amichevole.

Lei stessa non era mai stata troppo curiosa della mia, di vita privata, mantenendosi sempre ad una giusta distanza, accogliendo ciò di cui mi andava di parlare ed evitando di apparire invadente, cosa che spesso invece le madri si arrogano il diritto di fare.

Ciò permetteva che io mi sentissi sempre a mio agio con lei, ed anche nei momenti in cui il mio umore non era dei migliori trovavo molto piacevole godere della sua compagnia tanto quanto di quella di alcune delle sue più strette amiche, per lo più donne intelligenti ed impegnate culturalmente.

Elena, amica di mia madre dal liceo, apparteneva a questa cerchia ristretta, per cui non mi dispiacque affatto l’idea di cenare con entrambe, ben sapendo che gli stimoli intellettuali sarebbero stati molteplici.

Mai avrei immaginato quanto poi sarebbe successo.

Arrivato al portone suonai un paio di volte, riflettendo nell’attesa su quanto le orchidee multicolori che accoglievano gli ospiti sotto al portico fossero un miracolo della botanica, nella loro rigogliosa opulenza. Il pollice verde di mia madre non si smentiva mai.

Venne ad aprirmi Elena, sulla cui bocca era difficilmente contenuta una risata che all’evidenza si trascinava dalla cucina.
– Ciao Edo ‘
– Ciao Elena ‘ risposi ‘ posso sentirla anch’io…la battuta fulminante? –
– Ahahah, Edo lascia stare ‘ disse ‘ &egrave colpa di Cristina, stava vivisezionando con diabolica cattiveria l’esposizione del pittore neorealista di Milano che abbiamo visitato oggi…mi fa morire..eheheheh –
– E come non la conosco, avrà tirato la bocca di lato ed improvvisato un’aderente quanto tagliente tirata sull’abuso del colore nel simbolismo sincretico del neorealismo’.-
– Ahahah, ma allora la conosci bene anche quando fa la Vittorina Sgarbi della situazione’-
– Beh, Elena…se non la conosco io’-

Ci incamminammo ridendo verso la cucina, accompagnati dal sublime profumo dell’arrosto di mia madre, che salutai con un bacio mentre terminava di sfornare.

Come da previsione, la conversazione piacevole ed intelligente con le due donne e l’arrosto riuscirono a distogliermi un po’ dalla pesantezza delle riflessioni professionali, regalandomi un rilassamento peraltro aiutato dalle due bottiglie di barolo che opportunamente avevo stappato e che avevano diluito in leggerezza la giornata.

– Caff&egrave? – disse ad un tratto mia madre.
– Assolutamente ‘ rispondemmo quasi in coro io ed Elena, mentre mi alzavo per recuperare un filo di grappa nel mobile bar.

Mentre stavamo sorseggiando una deliziosa arabica, Elena mi domandò come andasse la mia vita oltre il lavoro.
– Mah, Elena, a dire il vero non &egrave che me ne rimanga molta, di vita oltre il lavoro ultimamente…sto collaborando nella ristrutturazione di tre aziende di dimensioni notevoli ed ogni volta mi sembra di non trovare il bandolo della matassa…motivo per il quale mi seppellisco in studio alla ricerca di soluzioni. –
– Proprio come tuo padre, Edo, concentrato al mille per mille –
– Già ‘ le fece eco mia madre ‘ sempre a duecento all’ora’-
– Ma stai attento, Edo ‘ continuò tagliente Elena ‘ a non commetterne almeno i medesimi errori… –
– Ma che dici Elena.. – risposi ‘ io non me ne sto ad aspettare di scoppiare per poi scapparmene via con una ragazzina’-
– Non parlavo di quello, Edo, ma del fatto che non sia il massimo non dedicare tempo alla propria vita personale, sociale e, perché no, anche sentimentale…ha delle conseguenze non piacevoli, questo sistema, lo sa bene tua madre… –
– Eh lo so…che lo sa ‘ sbottai ‘ non so come abbia fatto a resistere così per tutti quegli anni’ –
– Resistere per tutti quegli’.ahahahahah ‘ scoppiò Elena, mentre mia madre ridendo la apostrofava ‘ Ma quanto sei scema’-
D’un tratto il mio cervello, per quanto leggermente annebbiato dal barolo e dalla grappa, si bloccò e colse qualcosa…Io mi bloccai e dovetti divenire decisamente serio se Elena ad un tratto mi guardò, poi fissò mia madre e disse ‘ Oh, oh…Cristina…ho toccato tasti sconosciuti..?-
Cominciai a parlare piano: – Tasti sconosciuti, Elena?…Cristina? Che significa? –
Mentre mia madre stava per aprire bocca, la lingua svelta di Elena la precedette: – Che non &egrave stata proprio tutta colpa di tuo padre’ –
– Ah ‘ riuscii solamente ad esclamare, mentre Cristina, rossa in volto, non mi stava più guardando negli occhi.
Quando parlò, mi sembrò che il tempo sospendesse per qualche istante il suo naturale scorrere, lasciando alla mia mente la fatica di unire molti dei puntini rimasti soli nel disegno della mia adolescenza.
– Quando eri al liceo, Edo’- iniziò ‘ ho avuto una storia…no, una storia no..come dire..un’avventura con un uomo –
– Chi’- riuscii a dire sopraffatto da un misto di incredulità e curiosità.
– Un cliente di tuo padre’-
– Quindi vi tradivate quando ero ragazzo’-
– No – rispose lei ‘ lui mi ha tradito poi, con quella dominicana’-
– Aspetta, aspetta…quindi l’avevi tradito solo tu’? –
Sospirò mentre guardava il tavolo ‘ Si, Edo…non so..non chiedermi perché…non lo so..ma si, solo io. –

D’un tratto rividi nella mia mente il volto severo di mio padre, ed a fianco ci misi il volto di quel povero stronzo pronto a giudicare che era suo figlio, il quale era stato tranquillamente capace di dare il suo senso alla realtà facendolo diventare verità conclamata ed incontrovertibile. Pensai ai suoi tentativi di parlarmi, di spiegare. Pensai che per lui sarebbe stato molto più semplice dire ‘ Chiedi a tua madre e fatti spiegare da lei’- ma non lo aveva mai fatto. Era stato molto più onesto e corretto di quanto io avrei almeno dovuto essere con lui.

Mi alzai dal tavolo ed uscii a fumare una sigaretta in terrazzo, mentre in lontananza sentivo mia madre discutere con Elena’
Dopo qualche minuto Elena mi raggiunse per salutarmi: – Vado Edo…credo di avere già fatto abbastanza questa sera…capisco come tua madre non abbia molta voglia di uscire con noi ora e mi scuso anche con te…avrei dovuto farmi i fatti miei, ma pensavo che, dopo tutto questo tempo e conoscendo il rapporto schietto che vi lega, te ne avesse parlato’-
– Invece no’- riuscii solo a rispondere ‘ non l’aveva mai fatto’-

Elena se ne andò ed io rientrai in casa. Mia madre era ancora seduta al tavolo della cucina, solo che stavolta notai gli occhi umidi, accentuati dalla stanchezza e dal barolo.

– Hai voglia di fare due chiacchiere? – mi chiese.
– A dire il vero in questo momento non lo so…sono…frastornato.-
– Lo posso immaginare’.non sai quante volte ci ho pensato…non sai quante volte ho pensato che dovessi essere punita per quello che avevo fatto’.-

La mia mente aveva ricollegato il tutto a quel pomeriggio in cui sentii lo schiocco dei due ceffoni. I miei pensieri stavano andando a tremila in direzioni che non conoscevo, stavo esplorando sensazioni e riflessioni che non mi appartenevano. In sostanza non capivo come stavo, cosa mi stava succedendo.

– Me ne vado un attimo in bagno ‘ dissi e la lasciai li seduta a capo chino.

Cristina in quel momento non era, a dire il vero, molto lucida. Ricordava bene l’avventura con quell’uomo, ci aveva pensato spesso negli anni successivi. Ritornare a quei momenti era il modo che lei conosceva per chiudere gli occhi e provare gli orgasmi più intensi, quando si masturbava. Era sempre stata troppo intelligente per riuscire a vivere serenamente quella parte di lei che l’uomo le aveva fatto scoprire..o meglio, imposto di scoprire. Si era ordinata di chiuderla in una scatola, di mettere in congelatore quelle sensazioni perché la vita organizzata della quotidianità reclamava una donna diversa, una donna ferma e costruita.
‘perfetto ‘ rifletteva mentre sentiva Edo al rubinetto aperto del lavandino in bagno ‘ grande Elena!..ottima trovata, bell’amica, pareva quasi ci godesse a scavare nell’imbarazzo, come se non se ne fosse accorta che non sapeva’.-.
La mente in certi istanti correva a mettere a fuoco alcuni di ‘quei’ momenti con ‘quell’uomo’. Per quanto lei si sforzasse di non farlo accadere, le frasi dell’amica avevano istantaneamente riaperto una cucitura della sua mente, facendone fuoriuscire quei pezzi di vetro ricoperti di miele che lei stava cercando di ricacciare dentro.

‘Quell’uomo’ era stato un cliente di suo marito. Durante gli anni della mia adolescenza, per un periodo non troppo lungo ed a causa del pensionamento della vecchia segretaria di mio padre, Cristina si era occupata della segreteria dello studio legale, presidiandone le incombenze. All’epoca era una donna vivace ed intelligente di trentacinque anni, curiosa di poter valutare la possibilità di collaborare con il marito anche professionalmente, nonché affascinata dalle tematiche di respiro internazionale di cui lui si occupava.

Cominciò a ricordare un mercoledì di settembre quando, mentre riordinava gli appuntamenti dello studio, ricevette la chiamata del marito che, in ritardo a causa di un volo mancato a Bruxelles, le chiedeva di ricevere un cliente che si sarebbe palesato negli uffici prima dell’orario di chiusura.
– Basta che non passi troppo tardi ‘ rispose al marito ‘ sai che i tuoi colleghi per le sei sono in fuga ed io non adoro starmene là dentro da sola…quell’austerità mi mette i brividi…eheheh ‘ continuò scherzando.
– Tranquilla Cri, il signor De Bona deve solo lasciare dei contratti che gli ho chiesto di siglare per la questione Chemical Trade – .
– Quel De Bona’? – proruppe lei ridendo – …quello che ha lo zoo in villa’?-
– Si..lui..quello che tratta gli affari come se dovesse catturare animali selvatici…ma nella sua rudezza si nasconde un intelletto decisamente fine…motivo per cui lo ritengo un partner più che ottimo..-
– Basta che arrivi in orario…partner o no..tu fammi sapere quando arrivi –
– Colazione assieme domani, se l’aereo non ritarda ‘ chiuse la comunicazione.

Mentre Cristina stava per chiudere, verso le sette e venti il campanello dello studio suonò.
– Si? –
– Sono De Bona –
– Le apro ‘ disse mentre riagganciava il citofono e schiacciava il pulsante del portone.
Alla porta il cliente le si presentò, la stretta di mano vigorosa, uno sguardo penetrante promanava dagli occhi scuri di quell’uomo slanciato e dalla fisicità prestante.

– Dov’&egrave l’avvocato? – esordì seccamente guardandosi intorno.
– Mio marito non &egrave riuscito a rientrare in tempo da Bruxelles, credevo l’avesse avvertita ‘ disse Cristina ‘ comunque spero non costituisca un problema lasciare i contratti siglati a me. –
– I contratti’.siglati? – sibilò De Bona ‘ Cosa devono sentire le mie orecchie’non esiste alcuna firma su quella carta straccia. Già…perch&egrave quello che ha scritto suo marito &egrave carta straccia…cosa che invece di sicuro non pensano alla Chemical Trade. –
– Mi scuso ma non conosco gli aspetti specifici della pratica’- provò ad intervenire Cristina – …di sicuro però non mi piace sentir messa in discussione la professionalità di mio marito. –
De Bona proruppe in una risata tagliente ‘ Ahahah…la professionalità…come se una segretaria, la moglie poi, con tutto il rispetto ovviamente, fosse in grado di valutarne il livello’-
– Senta signor De Bona, la conversazione si sta facendo immotivatamente irritante. Mi dispiace se non &egrave soddisfatto della consulenza, ma credo sia giusto interrompere qui e che lei ne parli direttamente con mio marito.-
– Come se io avessi il tempo per passare a richiesta’mah, fanculo! –
– A fanculo può andarci direttamente lei ‘ ribatt&egrave rossa in volto Cristina, mentre si avvicinava alla porta per favorire l’uscita dell’uomo.
Si sentì prendere da un polso e stringere mentre veniva costretta a voltarsi ‘ Non alzare troppo la testa e stai al posto che ti compete ‘ disse a denti stretti De Bona ‘ io gli animali li conosco molto più in profondità di quanto tu possa pensare…e li riconosco… –
– Mi lasci subito ‘ disse lentamente Cristina ‘ come cazzo pensa di permettersi, guardi che io’-. Il ceffone arrivò improvviso quanto forte, perfettamente a segno sulla guancia destra di Cristina, la cui testa si volse di scatto seguendone l’inerzia.
Lei rimase immobile. In quei cinque secondi che sembrarono durare un’eternità solo la sua mente cominciò a girare vorticosamente attorno a ciò che stava succedendo, a ciò che stava percependo. Si era rotto qualcosa nella costruzione della concezione educativa di convenzione e rapporto sociale che la sua mente aveva conformemente operato durante la sua vita. Normalmente, ad un atto violento subito si tende a reagire con la difesa e la chiusura volta all’autoprotezione. Subentra il funzionamento di determinati recettori che lavorano a tutto spiano per trovare la via d’uscita. E di tutto questo lei era perfettamente consapevole e partecipe. Ma’..ma quel colpo, il primo che subiva nella sua vita di adulta, l’aveva eccitata…in quei cinque secondi che sembrarono durare un’eternità le normali sinapsi del cervello l’avevano abbandonata e una reazione primordiale aveva invece cominciato a farle bagnare le mutandine’

Mentre si voltava lentamente a fissare di nuovo gli occhi sullo sguardo dell’uomo, una parte di lei se ne andò altrove, e rimase quella che tre secondi dopo ricevette con sguardo e sorriso di sfida il secondo ceffone.

– Ti ho detto che conosco…e riconosco gli animali’- disse De Bona con un’espressione sardonicamente soddisfatta mentre, con la mano saldamente appoggiata alla spalla di quella Cristina rimasta, la faceva inginocchiare sul pavimento in marmo nero.

Lo vide per due mesi, quattro o cinque volte al massimo in cui ella subì i trattamenti più disparati, prima che ‘quell’uomo’ si trasferisse definitivamente in Germania, seguendo le tracce degli spostamenti che le sue società avevano abilmente effettuato ed uscendo definitivamente anche dalla vita professionale del marito di Cristina. Non senza che durante l’ultimo colloquio che i due ebbero, De Bona confessasse con il sorriso sulle labbra quanto accaduto e mio padre riuscisse fortunatamente a mantenere il controllo sull’arma che teneva stretta con la mano infilata nel primo cassetto della scrivania. Cosa che, alterato, aveva riferito alla moglie il famoso pomeriggio in cui io sentii gli schiocchi secchi.

Cosa che, da quel famoso pomeriggio, cambiò radicalmente mia madre nella donna costruita e, per quanto così intelligente, circondata dei paletti che conoscevo.

Che se ne stava ora seduta al tavolo della cucina con lo sguardo a terra.

Che io, non sapendo nulla, avevo sempre ritenuto vittima.

Che io avevo appena sentito confessare la cosa che forse poteva aver incrinato le cose fino all’estrema conseguenza della frattura familiare.

Mentre lasciavo che l’acqua fredda scrosciasse sulle mie mani mi guardavo allo specchio, bombardato da pensieri ed immagini, altalenante tra le sensazioni più opposte e disparate.
L’aveva fatto lei…era stata lei’ed ha anche il coraggio di parlare di punizioni…che forse dovesse essere punita’ Mi sciacquai vigorosamente la faccia due volte, l’acqua fresca era come un’iniezione di adrenalina, fino a quando tornai a fissare il mio volto allo specchio. Solo che non era più il mio. I tratti somatici appartenevano indissolubilmente a me ma l’espressione’.quell’espressione no, quella durezza no. Soprattutto, non mi apparteneva quello strano ghigno che vedevo, al cui posto era stato il sorriso’

Successe tutto in modo abbastanza automatico, non vi fu un accompagnamento cosciente di pensieri, fu spontaneità allo stato più puro.

Uscii dal bagno, le maniche della camicia bianca bagnata arrotolate, e tornai, percorrendo lentamente il corridoio, sino a raggiungere la porta della cucina.

Lei alzò lo sguardo e vide qualcosa, la sua espressione mutò ma non riuscii a decifrarla, non subito.

‘Eccolo che torna ‘ pensò una confusa Cristina, sentendo i passi in corridoio ‘ credo sia il caso di parlare un po’..ma cosa dire..di spiegare, tentare di spiegare..-
Alzò lo sguardo e fissò Edo, ma ciò che vide la lasciò interdetta. ‘Quello sguardo ‘ pensò ‘ ma come…dio, quello sguardo &egrave…no &egrave impossibile ‘ mitigava la scarsa lucidità rimastale ‘ quello sguardo &egrave’-

Mi avvicinai a lei, le misi due dita sotto il mento per alzarlo delicatamente, le scostai i capelli e la colpii a mano piena.

Rimase bloccata, stupefatta da ciò che stava accadendo, mentre le labbra cominciavano a tremolare leggermente.
– Ma cosa fai…Edo..- non la lasciai finire. La mia mano si abbatt&egrave ancora una volta sulla sua guancia, mentre l’eco della memoria richiamava la familiarità di quel suono.

Lei non disse una parola, nemmeno quando le afferrai saldamente i capelli…nemmeno quando, dopo essermi seduto sulla sedia vicina alla sua, cominciai’.

Tenendola per i capelli l’adagiai sopra le mie ginocchia, appoggiata con la pancia, come si fa con i bambini che sono stati cattivi. La mia mano destra cominciò ad alzare il bordo della gonna per scoprire il suo sedere, velato da un tanga in pizzo bianco.
Lei era così immobile che non ebbi nemmeno più bisogno di stringerle i capelli, quasi rassegnata.
Quando tutto il suo culo fu disvelato, la mia mano cominciò ad abbattersi sistematicamente e ripetutamente sulle sue forme, mentre la pelle si arrossava con una rapidità impressionante. Una, sette, sedici volte…e ancora e ancora…mentre dalle sue labbra cominciava a levarsi un lamento strano, sempre più strascinato.

Mi fermai istantaneamente, ancora con la mano a mezz’aria. A mezza voce dissi: – Ma cosa sto facendo’-
La mia mente vagava assorta mentre da lontano, molto lontano giunse alle mie orecchie un suono che prendeva man mano forma, definendosi sempre più: – Ancora’-

Cercai di concentrarmi su quel suono, fino a che riuscii ad isolarlo ed a focalizzarne la provenienza…veniva dalle labbra di mia madre.

La parte di me che aveva bloccato l’azione si scosse, mentre sempre più distintamente si faceva sentire quella che non poteva essere altro che una richiesta: – Ancora…continua…ancora’-

L’ultimo barlume di inibizione e controllo si sciolse come neve al sole: – Ne vuoi ancora’-

Come un automa le mie mani strapparono il tanga bianco e lo lasciarono scivolare a terra, mentre le mie dita inconcepibilmente puntarono alla spaccata contornata di peli curati di mia madre. Stupefatto mi fermai quando mi accorsi che Cristina era completamente bagnata, tanto che i suoi umori avevano cominciato a colare copiosamente lungo le natiche.

Mi alzai lasciandola a terra: – Seguimi’- mentre mi accingevo a percorrere il corridoio – …a quattro zampe -.
Lo fece, mentre i suoi lunghi capelli le schermavano il viso in quell’andatura, mi seguì docilmente nella sua camera da letto. – Sali sul letto e spogliati completamente ‘ dissi mentre varcavo la porta del bagno.
I miei occhi cercarono e trovarono velocemente ciò che volevo, o meglio ciò che voleva quella parte di me che stava guidando ogni mia mossa ed intenzione. Presi due cinture dagli accappatoi appesi al muro, dalla mensola presi, tra i prodotti di bellezza, tre contenitori cilindrici di crema, di diverse dimensioni, nonché alcune mollette di legno dallo stendibiancheria a muro.

Uscii e la trovai come ordinato, adagiata sul letto e completamente nuda. Ciò che mi lasciò quasi interdetto fu quando incrociai e fissai il mio nel suo sguardo…così difficile da descrivere nella sua intensità, pareva a volte esprimere desiderio profondo, in alcuni istanti l’oblio.

Mi avvicinai in silenzio, sebbene un silenzio fragoroso nell’effetto.

Mi sedetti sul bordo del letto, mentre ammiravo le sinuosità di quel corpo, il contrasto del rosso sui glutei, frutto delle percosse, quel viso segnato dalle invisibili linee lasciate dalle lacrime, quella bocca sulla quale si muovevano quelle labbra leggermente dischiuse.
D’un tratto le afferrai il polso destro e lo unii con la caviglia destra, legandolo stretto, poi con l’altra cintura operai allo stesso modo a sinistra, lasciandola in quella posizione, le sue gambe e la sua vagina oscenamente spalancate, il suo seno arrogantemente esposto e segnato dall’estremo turgore dei capezzoli.

Cristina non parlava, ansimava mentre il suo sguardo cercava a tratti il mio, a tratti il pavimento.

– Quale preferisci..? – le chiesi alludendo ai contenitori cilindrici appoggiati sul letto.
– …quello che preferisci tu..- disse con voce rauca, guardandomi in modo tale da riuscire a toccare di nuovo quei miei tasti sconosciuti.

L’impulsività prese ancora una volta il sopravvento, come se avessi quasi avvertito un eco lontano di sfida nella sua risposta. Mi avvicinai alle labbra spalancate e bagnate e cominciai a stringere tra le dita il suo clitoride, piano piano, aumentando sempre più mentre sentivo quel corpo fremere. Inserii un dito dentro di lei, poi due mentre aumentavo il ritmo’.stava godendo. Ma era come se ogni cosa dovesse ricadere nel mio totale controllo, per cui rallentai proprio quando lei cominciò ad implorarmi di continuare…estrassi le dita e le avvicinai alla sua bocca…lei mi fissò mentre apriva le labbra cominciava a succhiarle. Non mi controllai, l’espressione di quel viso mi scatenava un contrasto di sensazioni tale che un altro ceffone la colpì sulla guancia. Mentre lei continuava a fissarmi in silenzio.
Presi uno dei contenitori cilindrici, sette, forse otto centimetri di diametro per una ventina di centimetri di lunghezza. Lo avvicinai alle labbra della sua vagina, ve lo appoggiai e cominciai a spingere. Entrò senza troppa resistenza, non era molto grande e Cristina ansimando lo accolse dentro di se fino in fondo. Cominciai a masturbarla con quella cosa, aumentando la frequenza e spingendo sempre più a fondo.
Era chiaro come a dominare fosse la parte di me che aveva deciso di accogliere la sua richiesta di punizione…come se l’offrirsi quale vittima sacrificale della rabbia di suo figlio potesse presupporre una purificazione.
Quella parte di me voleva vedere fino a che punto punizione, immoralità e libidine potessero concorrere…voleva vedere se l’aver cominciato ad intuire come mia madre fosse davvero potesse aver spalancato le porte alla possibilità di capire come io stesso fossi davvero.
Quella parte di me voleva anche arrogarsi il diritto di rivendicare la liceità di tutto ciò che stava accadendo, per questo, mentre la masturbavo in quel modo osceno, le chiesi: – E’ questo che vuoi..?..vuoi che ti tratti in questo modo..?…&egrave di questo che hai bisogno? -.
Si limitò ad annuire…ma non era sufficiente, volevo di più, volevo tutto. La colpii con un altro ceffone: – Voglio sentire la tua voce’- dissi di rimando. – Si’- rispose.
– Si cosa? – chiesi piano. Chiuse gli occhi mentre la mia mano sul cilindro non accennava a fermarsi: – E’ quello che voglio…ho bisogno di questo’-.
– Che cosa sei’? – le chiesi. – …voglio che tu me lo dica…che cosa sei..? –
– Sono una cagna’. – disse a bassissima voce – …sono una cagna -.

Mi tolsi la camicia ed i pantaloni, mentre la osservavo in quella posa, mentre guardavo l’oscenità di quell’espressione, lo sguardo smarrito implorante piacere. Rimasi nudo mentre la vedevo contrarsi attorno a quel cilindro ben infilato dentro di lei, come volesse farlo muovere, visto che le cinture le tenevano ben unite mani e caviglie, impedendole di usarle.

Poi fu solo istinto.

Mi avvicinai appoggiandole alle labbra il membro, che immediatamente sparì mentre Cristina lo ingoiava avidamente ed in profondità.
Incrociai il suo sguardo e cominciai a scoparla rudemente in bocca, fermandomi solamente negli istanti in cui tossiva e lasciando fosse poi lei a reingoiare con foga il mio uccello.
La mia mano destra cercò e trovò l’estremità del cilindro e cominciò con forza a farlo entrare ed uscire. D’un tratto lo estrassi dalle sue labbra e mi staccai da lei, immobilizzata ed immolata sull’altare del piacere perverso incestuoso.

Piano piano sfilai il cilindro e cominciai ad infilare le mie dita, mentre l’altra mano cominciava a violare la rosa dell’ano.
La bocca socchiusa e lo sguardo vacuo di una Cristina che riusciva a dire solo ‘ Fammi godere…fai quello che vuoi ma fammi godere..-
Cominciai a masturbarle il culo senza alcuna delicatezza e dolcezza, mentre la mano sinistra tornava a tirarle i capelli e dalle sue corde vocali emergeva un lamento gutturale che cresceva sempre più. Venne così, mentre le mie dita la penetravano senza ritegno, mentre un getto incontrollato di urina sgorgava violento dalla sua vagina aperta, bagnando entrambi.

Non pago mi avvicinai al bordo del letto e presi il cilindro di dimensioni più grosse. Lei mi fissava mentre sputavo sull’oggetto lubrificandolo, poi aprì a bocca mulinando la punta della lingua. Mi stava provocando, le piaceva così tanto che mi stava provocando. Avvicinai il mio viso al suo e le sputai addosso una prima volta, e continuai sputandole tra le labbra mentre il suo corpo incontrollabilmente fremeva.

Avvicinai quell’oggetto alle labbra turgide della sua fica e cominciai a farlo entrare, con difficoltà per l’eccessivo diametro. Mentre affondava piano dentro di lei, cominciò ad ansimare e gemere rumorosamente, per poi esplodere ‘ Schifoso…si..ficcamelo fino in fondo…aprimi…fammi male…mmmahh’-.
Presi il contenitore che avevo usato prima e lo avvicinai al suo ano scuro, inserendo piano piano anche quello, fino in fondo.
Poi mi staccai ancora e la lasciai così, vergognosamente riempita dal piacere artificiale, incapace di controllare gli spasmi dell’orgasmo, ridotta ad uno stato quasi animalesco.

Riassestando il ritmo del respiro mi guardò chiedendomi ‘ Slegami’schifoso, slegami, ho bisogno delle mie mani..-. La guardai mentre con un assurdo ed insano sorriso continuava ‘ Slegami dai…voglio farti vedere come uso le mie mani…non vuoi vedere questa lurida cagna mentre usa le sue luride mani? -.
Mi avvicinai e cominciai a sciogliere i nodi. Appena terminato, mi si avvicinò piano, ancora ben riempita dai due oggetti, e cominciò a leccarmi’.cominciò leccando le dita delle mie mani, il palmo. Continuò leccando il mio torace, i capezzoli. Mi spalancò le gambe e cominciò a concentrare la sua lingua sul mio orifizio anale, umettandolo e penetrandovi. Passò poi alle gambe ed ai piedi, succhiando e leccandomi le dita e la pianta. Stavo impazzendo dal piacere. Era socialmente inaccettabile ciò che stava accadendo ma io stavo semplicemente scatenando i miei istinti sulla cagna e tanto bastava. Di tanto la mia mente si accontentava. Tanto voleva.
Poi portò le sua mani ai due oggetti cominciando a masturbarsi violentemente con entrambi, a fondo, chiedendomi di continuare a scoparla nella bocca, come se fosse stata la sua fica.
Mi misi sopra il suo viso ed affondai nuovamente nella sua gola. Continuammo fino a quando, scossa dall’ennesimo orgasmo, mi chiese di prendermi il suo culo con forza, mi implorò di sbatterlo ed usarlo come volessi, e pretese che fosse il suo culo ad accogliere il mio piacere.
Eccitato all’estremo da ciò che stavo vivendo, alla pretesa aumentai il ritmo e mentre urlava venni copiosamente dentro di lei.

Quando mi ripresi, qualche minuto dopo, una luce si accese nelle tenebre istintive della mia mente, come a ricordarmi chi ero e cosa avevo appena fatto, nonché con chi.

Mi staccai da quella Cristina sazia e mollemente illanguidita e la guardai.

Non sapevo cosa dire e cosa fare, presi velocemente una sigaretta dal pacchetto e dopo essermi allacciato un telo alla vita me ne fuggii in terrazzo a fumare, confuso.
‘E ora’?- mi chiedevo ‘ che faccio? Ho picchiato e violentato mia madre…o meglio, quella puttana masochista che ho scoperto essere mia madre..ed io..cazzo io sono un sadico, ed alla fine mi &egrave piaciuto così tanto punirla e vederla godere mentre soffriva’.
‘Quindi questo sono…bene..- continuavano i miei pensieri ‘ bene, bene…’.

Sorridendo tornai dentro casa, percorsi il corridoio sino alla camera di Cristina ed entrai cercandola con lo sguardo. Era ancora sul letto, ora immondamente bagnato di umori e sudore. Si stava toccando…incredibilmente si stava toccando.
Mi guardò e disse solo ‘ Vieni’-.
Mi avvicinai con un ghigno degno di cosa avevo capito di essere, le presi i capelli tirandoli con forza ed avvicinando la sua bocca al mio pube. Lei spalancò le labbra turgide e fissò i suoi occhi nei miei, mentre il primo getto di urina calda le riempiva il palato e la sua gola deglutiva ampie sorsate di suo figlio.

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