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By 29 Agosto 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

MEZZANA 1429

Fiorenzo era rimasto in casa, una febbre fastidiosa lo aveva costretto a restare a letto, aveva comandato sua moglie, Giustina, di avvertire il maniscalco della sua assenza prima di raggiungere la villa dove prestava servizio.
Sua moglie, Giustina, lo aveva lasciato alle cure della figlia, Alba.
Le chiuse delle finestre erano accostate ed un tiepido raggio di sole illuminava la stanza da letto, stava meglio ma il medico gli aveva raccomandato il riposo.
Alba in cucina infornava una pagnotta di farina e ceci, la ragazza era graziosa, i capelli neri raccolti in una crocchia le incorniciavano il viso tondo e gli occhi scuri.

‘Babbo ‘vuoi della zuppa per pranzo ?’
‘No figlia, gradirei della carne, tua mamma ne ha portata ieri, cosciotto di lepre ”
‘Va bene Babbo ”

Alba era felice di restare a casa ad accudire suo padre, non aveva voglia di aiutare sua madre nelle faccende domestiche presso la villa della Contessa Ubertini.
Il figlio della contessa, poi , era un giovanotto sgarbato e volgare, non perdeva occasione, durante lo svolgimento dei servizi, di guardarle sotto la gonna o di importunarla.
Un giorno, approfittando del fatto che Alba stava sistemando la stalla, l’aveva bloccata contro lo steccato e le aveva alzato le vesti toccandola tra le gambe.
Lei si era opposta, ma il giovane era riuscito a farsi strada attraverso la sottoveste. Alba ancora tremava alla sensazione di vergogna che aveva provato quando la sua natura si era bagnata al tocco prepotente delle dita del ragazzo.

Aprì la dispensa e vide che le carote erano terminate : ‘non posso preparare il cosciotto al babbo senza carote ” pensò.

Rivolta a suo padre urlò :’Babbooo, vado a prendere le carotine da messere Luigi.’

‘Va bene piccina mia ” rispose il padre dalla camera da letto.

Alba uscì, stette alcuni secondi a godere del sole che le riscaldava il viso, era una splendida giornata : non era andata a lavorare e l’aspettava una breve passeggiata per la via dei fruttivendoli, era felice.

Passeggiò spensierata per la strada salutando, di tanto in tanto, questo o quel negoziante, nel paese si conoscevano un po’ tutti.
Entrò nella bottega di messere Luigi, prese a due carote ed un cipollotto, voleva preparare al padre un piatto gustoso. Uscì canticchiando dalla bottega quando, un urto violento, la fece caracollare a terra.
Una mano ruvida l’aiutò a rialzarsi, alzò lo sguardo e trasalì.
L’uomo che l’aveva urtata era alto, indossava un saio nero ed il suo volto era nascosto da un altrettanto nero cappuccio.

‘mi scusi gentil donzella ” disse l’uomo incappucciato, ‘ ‘ non ho potuto evitarla, la prego, mi permetta di farmi perdonare !’

‘Non fa nulla buon uomo ” rispose Alba spolverandosi le vesti, ‘ è una cosa da poco.’

L’uomo annuì, armeggiò tra le pieghe del suo saio e ne estrasse un sacchetto.

‘Tenga, come risarcimento per la brutta caduta ” disse l’uomo porgendole un sacchetto di iuta legato in cima con una cordicella dorata.

Alba ringraziò l’uomo ed aprì il sacchetto : conteneva una catenina metallica con un ciondolo, al centro era incastonata una pietra rossa, non un diamante, somigliava all’ambra.
La ragazza se la rigirò tra le mani, scorse un baluginio nella pietra.

‘la indossi graziosa donzella, le porterà fortuna e gloria !’ le disse lo sconosciuto.

Alba mise al collo il ciondolo, emozionata e felice, non era uso a quei tempi per la gente del popolo possedere gioielli ed ornamenti, sorrise allo sconosciuto accennando un inchino di ringraziamento.
Lo sconosciuto la salutò e riprese il suo cammino.

Alba volse i suoi passi verso casa, il ciondolo le pendeva morbido nell’incavo dei seni giovani e sodi, lasciò la piazza principale passando a fianco della chiesa.
La campana iniziò a rintoccare l’ora, un capogiro assalì la ragazza che, barcollando, si resse al muro della chiesa.

‘Aiahii ‘.’ Urlò. La pietra bruciava. Un altro rintocco, di nuovo il capogiro. Corse verso casa, ad ogni rimbombo della campana il mondo si capovolgeva, la realtà circostante sbiadiva per poi tornare vivida.
Ansimando giunse alla porta di casa. Si sedette sugli scalini antistanti premendosi lo stomaco con le mani.
La campana aveva cessato di suonare, Alba alzò gli occhi al cielo, il suo sguardo era diverso, il colore dei suoi occhi era divenuto ancor più scuro, rise, sguaiatamente, ed entrò.

Suo padre era ancora a letto, chiusa la porta alle sue spalle sfilò la sopravveste e le mutande lasciando indosso solo la lunga veste bianca che le lasciava scoperto, per buona parte, il seno rigoglioso.
Entrò nella camera da letto, suo padre era sdraiato guardava fuori dalla finestra.

‘Alba, cosa fai seminuda figliola ?’
‘Oh babbo, fa così caldo oggi, sai ? La passeggiata mi ha stancato, posso sdraiarmi sul letto accanto a te ?’
‘Certo figlia ” rispose Fiorenzo dando una fugace occhiata alla pelle bianca del seno che sbordava dalla scollatura della veste.

Alba si sedette a capo del letto, poggiando la schiena sulla pediera, allargò le gambe coprendo portando la stoffa della veste tra le gambe.

‘E la lepre ?’ chiese il padre, ‘non la prepari ?’
‘Si babbo, fammi riposare un pochino ” rispose Alba iniziando a massaggiare il piede del padre, ‘tu come stai ? ora la tua figliola ti massaggia le gambe, son tanti giorni che sei a letto.’

Le mani della ragazza iniziarono a massaggiare le gambe del padre , dapprima i polpacci, poi, con movimenti energici, salì verso le ginocchia alzando la sottoveste da notte del genitore.
Alba salì ancora, i suoi palmi massaggiavano le cosce possenti del padre : era un uomo muscoloso, gli anni trascorsi nella bottega del maniscalco lo avevano reso un uomo forte.
Il massaggio si spostò verso l’interno delle cosce, pericolosamente vicino all’inguine dell’uomo. Alba iniziò a sfiorare delicatamente i testicoli del padre che ebbe un sussulto, al tocco delicato della figlia.

‘Alba ” disse l’uomo con la voce flebile, ‘..che fai ? Fermati !’

La ragazza proseguì incurante delle parole del padre. L’uomo le fermò il polso ma la ragazza si liberò con una forza inaspettata lanciandogli uno sguardo minaccioso. Il ciondolo che pendeva tra i suoi seni emise un fugace bagliore. Dinanzi a lui non c’era più una fanciulla innocente, il suo sguardo, nero come la pece, lo fissava impertinente, teneva la lingua poggiata sul labbro superiore della bocca donandogli un aria lasciva.

La mano di Alba strinse il membro del padre, lo sentì inturgidirsi tra le sue dita, si portò il pollice alla bocca, lo umettò abbondantemente con la saliva, poi afferrò di nuovo il cazzo muovendo la mano su e giù mentre, usando il pollice insalivato, carezzava il glande con movimenti lenti e circolari.

Fiorenzo scattò in avanti afferrando la figlia per le spalle scuotendola energicamente.

‘Basta ora fermati ” urlò , ‘ ‘ basta ti ho detto !’

La ragazza gli afferrò entrambi i polsi, l’uomo gridò sentendo la sua carne sfrigolare al tocco incandescente delle mani di Alba. Il dolore lo fece ricadere sdraiato sul letto.
Sua figlia prese di nuovo il cazzo tra le mani sollevando la veste dell’uomo, avvicinò le sue labbra al glande teso e grosso, lo stuzzicò con la lingua e lo ingoiò tra le sue labbra.

Fiorenzo era terrorizzato, l’essere che era intento a leccargli l’uccello non era sua figlia, non poteva esserlo.
La ragazza alzò la testa guardando con aria maliziosa l’uomo, si sfilò la sottoveste rimanendo completamente nuda, i riccioli neri della sua fica erano fradici.

‘Ti piace la tua figliola eh babbino ? Ora la tua piccola ti fa godere ” bisbigliò Alba all’orecchio del padre.
‘Tu non sei mia figlia, dov’è mia figlia, che ne hai fatto di mia figlia ?’ urlò Fiorenzo.

Una forza misteriosa fece muovere le lenzuola del letto che, simili a serpenti di stoffa, si annodarono ai polsi dell’uomo legandolo alla spalliera del letto. Fiorenzo era totalmente inerte. Alba si accovacciò su di lui, sopra il suo cazzo duro, con le mani si allargò le terga e si fece scivolare il cazzo del padre nel culo.

‘Ohhhh sii, che bel cazzo babbino, non lo avevo mai preso ‘ Tu sei il primo a rompermi il culo sai ? Lo vedi come si apre ? Lo vedi come sfondi il culo alla tua figlioletta devota ?’

‘Anche la sua voce è cambiata’ pensò Fiorenzo, fissando i grossi seni turgidi di sua figlia ballonzolare eccitanti mentre si muoveva su di lui.

L’uomo sentiva il piccolo sfintere della ragazza stringersi intorno al suo cazzo, contrarsi ad allargarsi ad ogni affondo. Le mani di Alba si poggiarono sul petto dell’uomo che venne bruciato dal calore che sprigionavano.

‘Mhhh lo sento ‘. Lo sento che stai per sborrare ‘. Ohhhh si ! La tua piccola sa cos’è la sborra !’ continuò Alba, ” ed oggi paparino sarai tu a farmela assaggiare per la prima volta ”

La ragazza estrasse il cazzo lurido del padre dal suo culo e lo poggiò all’ingresso della fica, spinse.
Fiorenzo poté sentire il sangue della figlia colare sul suo cazzo teso, era vergine.
Alba urlò, un suono gutturale, non umano, gridava frasi in una lingua sconosciuta, si muoveva come un ossessa cavalcando suo padre, inerme e terrorizzato.

‘Sborra ora ‘ sborra ‘ SBORRRRAAAAA ” lo incitava spingendo sempre di più il bacino verso il ventre del padre, ‘Ohhhh si sborrami dentro ‘ sborra dentro tua figlia ”

Fiorenzo non si trattenne, venne copioso dentro Alba. Colto dagli spasmi dell’orgasmo iniziò a piangere, la sua piccola era sparita, niente di lei era rimasto in quell’essere.

La porta di casa si aprì, apparve la moglie di Fiorenzo sulla soglia.

‘C’co’cosa sta succedendo ” chiese stupita, con gli occhi sgranati, al marito.

L’uomo approfittando del momento di distrazione si catapultò fuori dal letto ed indicando la figlia, ancora nuda e fremente sotto l’effetto dell’orgasmo, urlò con terrore : ‘DIMONIO ‘DIMONIO ”

MEZZANA 2013

Era pieno Agosto, Mara era scesa in paese molto presto, doveva recarsi in comune per avere lo stato di famiglia. Tra qualche mese lei e suo marito, Giulio, avrebbero festeggiato le nozze d’argento.

Camminava a passo veloce verso gli edifici del comune, le botteghe iniziavano a tirare su le saracinesche, dai bar arrivava l’odore invitante di cornetti caldi appena sfornati.

‘Non ci pensare nemmeno !’ pensava tra se, ‘Niente cornetti ! Vuoi mandare all’aria due mesi di dieta ?’

Aveva compiuto da poco quarantanove anni, era una donna mora, un pochino bassa di statura : non arrivava al metro e sessanta, ma era ancora piacente grazie alle sue diete ferree ed al suo lavoro al monastero.

Tutta la sua famiglia lavorava al monastero di Monte Crucio : lei si occupava del refettorio e della pulizia dell’ostello, suo marito della manutenzione degli stabili annessi al monastero, sua figlia Carlotta l’aiutava nelle pulizie e si occupava della contabilità nell’ufficio amministrativo della Badessa, Giorgio, il primogenito lavorava nell’orto e nelle fabbricerie, dove si producevano gli oggetti artigianali che erano venduti all’interno del monastero a visitatori e turisti.

Il monastero sovrastava Mezzana con la sua imponenza, costruito nel XVI secolo era incastonato nella parete sud di Monte Crucio, ad un altezza di settecento metri. Eretto sotto il papato di Eugenio IV era stato costruito in tempi record per quel periodo : la costruzione iniziò nel 1431 e si concluse nel 1434.

Ora vi dimoravano sia l’ordine dei monaci Benedettini che quello delle suore della Santa Vergine del Rosario. I due ordini vivevano, rispettivamente, nell’ala ovest e nell’ala est del monastero.

Le cronache riportavano molte leggende riguardo l’enorme complesso, si vociferava che Papa Eugenio IV lo avesse fatto costruire per creare una sorta di alcova, da cui lui potesse scegliere giovani ed ingenui novizi per soddisfare le sue voglie contro natura, altri narravano che il monastero era stato adibito a quartier generale dell’inquisizione.

Nel 2006 una parte del monastero era stata adibita a struttura riabilitativa per condannati con gravi disturbi psichici, personale civile e membri della comunità religiosa operavano a stretto contatto nelle costruzioni esterne alla cinta muraria principale. La struttura era situata ad ovest, costeggiava gli orti e gli uliveti, era composta dall’infermeria e dalla sezione detentiva, un passetto sopraelevato univa le due costruzioni.

Mara arrivò al comune, compilò il modulo di richiesta del certificato e lo consegnò allo sportello. L’impiegato era di una lentezza esasperante, mentre digitava sulla tastiera buttava l’occhio nella scollatura abbondante di Mara. La donna sbuffò spazientita.

Dopo essere uscita dagli uffici comunali la donna si diresse verso il capolinea del bus che l’avrebbe riportata al monastero. Al suo passaggio gli uomini, che sedevano ai tavolini dei bar, si giravano a mirare il suo culo abbondante e tondo, Mara sentiva quegli sguardi su di se e ne era compiaciuta, era una donna calda, attenta al suo aspetto fisico.

Purtroppo suo marito non apprezzava quella femminilità così curata, negli ultimi anni raramente erano stati insieme nello stesso letto, ed ancor più raramente avevano avuto rapporti.

Il bus la fermò nel piazzale antistante il portone di ingresso del monastero, percorse il viottolo laterale che univa il vialone principale alla foresteria, dove viveva con la sua famiglia.

La casa era vuota, suo marito e i ragazzi erano già al lavoro, si spogliò rimanendo in mutandine e reggiseno, indossò un grembiule blu e si diresse verso l’ostello.

CHIESA DEL MONASTERO

Padre Alphonse camminava concitato verso l’abside dell’antica chiesa di Monte Crucio, i suoi passi veloci rimbombavano forti nella navata principale. La badessa lo seguiva seria e silenziosa.

Suor Brigida era la badessa di Monte Crucio dal 2006, lo stesso anno in cui si era stato istituito il centro di riabilitazione del monastero. Era una donna severa, poco incline alla tolleranza, temuta e rispettata sia dalle suore e che dai monaci.

Erano dietro il presbiterio, sul pavimento c’era un sigillo di pietra scura, in rilievo era rappresentato un leone che schiacciava, con le sue zampe, un serpente dall’aria minacciosa.

‘Eccola Madre la vede ? E’ qui, prima era piccolina, ma ora si sta allargando.’

Padre Alphonse indicava un punto del sigillo, gli occhi neri e penetranti della badessa osservarono la crepa, era forse di due centimetri, profonda.

‘Da quanto tempo l’hai notata ?’

‘sono circa tre mesi madre, durante la messa l’ho vista aprirsi davanti ai miei occhi, poi ne è uscito uno sbuffo di fumo denso e bianco, poi più nulla. Avevo pensato che forse era il fumo dell’incenso ma, ieri, parlando con padre Raffaele, ho scoperto che anche lui ha visto del fumo uscire dal sigillo, ed anche padre Giovanni.’

‘Va bene ” rispose la badessa, ‘ ‘ vai a cercare Giulio, lo dovresti trovare in foresteria a quest’ora, digli di provvedere a stuccare con del cemento la crepa; digli che è cosa urgente !’

Lasciato il monaco alla sua incombenza la badessa si diresse verso il suo ufficio, vi si arrivava dalla sagrestia, seduta alla scrivania prese il telefono e compose un numero.

‘Si, sono Madre Brigida, la badessa di Monte Crucio, mi metta in contatto con la santa sede.’
OSTELLO DI MONTE CRUCIO

Mara stava rassettando una delle stanze nell’ostello. Nel 2008 una parte del monastero era stata adibita ad ospitare turisti e visitatori in cerca di un contatto con la natura ed il silenzio.
Una delle stalle del complesso era stata ristrutturata, vi avevano creato delle stanze confortevoli ed una reception efficiente che si occupava di gestire il flusso di visitatori, per lo più tedeschi e polacchi. L’edificio distava poche centinaia di metri dalla foresteria, dalla parte opposta al vialone principale.

Sbuffava Mara, sua figlia Carlotta doveva essere lì con lei a darle un aiuto ma non si era fatta viva, aveva anche provato a contattarla al cellulare ma non vi era stata risposta.

Giorgio si affacciò nella stanza dove sua madre stava lavorando, rimase nascosto.
La osservava china sul letto, il grembiule corto che indossava le scopriva le cosce piene ma armoniose, il suo culo generoso e tondo era irresistibile, Giorgio ebbe un erezione, si toccò l’uccello, si sarebbe masturbato dinanzi a quello spettacolo.

Suor Kim, uscendo dal ripostiglio sul corridoio, ebbe un sussulto quando vide il ragazzo fermo sulla soglia della stanza 313 mentre si accarezzava tra le gambe, le sue guance avvamparono, scappò giù per le scale cercando di non far rumore, Giorgio la seguì con lo sguardo.
La suora tornò alla reception, chiamò la sorella che doveva darle il cambio, dopo la notte di turno, e tornò nella sua stanza. Il dormitorio delle suore era nell’ala est del complesso centrale, vi si accedeva dal chiostro centrale.

DORMITORIO ALA EST ‘ SUOR KIM

Il monastero contava circa una quarantina di suore, comprese le novizie. Alloggiavano tutte nell’ala est, al primo piano. Dalla parte opposta, nell’ala ovest, c’erano i dormitori dei monaci, i due luoghi erano separati dagli uffici dirigenziali del monastero, accanto ai rispettivi uffici c’erano le stanze da letto della badessa e dell’abate, padre Ignacio.

Le piccole stanze, nel dormitorio delle suore, erano disposte su entrambi i lati di un lungo corridoio. All’interno c’era un lettino singolo, un armadio ed una scrivania. Il bagno era in comune ed era posto alla fine del corridoio.

Suor Kim non riusciva a placare il suo turbamento, l’immagine del ragazzo, sorpreso con le mani tra le gambe, la faceva sentire sporca. Cercò di calmarsi, si diresse verso il bagno, entrò nella zona docce e si spogliò, era deserto, le altre sorelle erano tutte occupate nei loro servizi quotidiani.

La ragazza era originaria delle filippine : bassa e magra, con capelli cortissimi e labbra piccole e carnose. Era graziosa, aveva ventidue anni. Nel suo paese entrare a far parte del dell’ordine era considerato un grande onore ed una fortuna.

Il getto d’acqua calda non fugò i pensieri sconci che la vista del ragazzo le avevano procurato, si asciugò indugiando sui suoi seni appena accennati , scese verso il basso, si passò il telo sul sedere stretto e piccolino, con le dita accarezzò il suo buchino stretto e scuro, rabbrividì. Non riusciva a calmarsi, non si spiegava tanto turbamento, decise di scendere in chiesa a pregare, in quel luogo ogni pensiero impuro l’avrebbe abbandonata.

La chiesa era deserta, andò verso l’altare, vi si inginocchiò dinnanzi ed iniziò a pregare.

Dall’altra parte dell’altare una luminescenza verdastra iniziò ad uscire dalla crepa che padre Alphonse aveva mostrato alla Badessa. Il sigillo chiudeva l’ingresso al reliquiario, erano almeno duecento anni che non veniva rimosso. Una nebbia densa e maleodorante si diffuse nell’aria, Suor Kim sentì l’odore forte e nauseabondo, si alzò cercando la fonte della bruma che stava coprendo interamente il pavimento della chiesa.
La nebbia proveniva dal sigillo in pietra, si chinò su di esso, uno sbuffo di vapore la colpì al viso spaventandola e facendola cadere a terra.

Si toccò le guance, erano umide, si avvicinò di nuovo alla sorgente di quella strana foschia, le sembrava di udire delle voci provenire dal sigillo. Era impossibile, il reliquiario non era mai stato aperto da quando era arrivata, poggiò l’orecchio sulla pietra fredda, nessun rumore, nessuna voce, la bruma iniziò a ritirarsi, risucchiata dalla crepa, poi una voce, distinta, chiara, femminile : ‘KIIIIIIIIIMM’

La giovane suora si alzò di scatto, spaventata, corse verso l’uscita laterale ed imboccò le scale che portavano ai dormitori. Si mise a letto, tremava, gocce di sudore freddo le imperlavano la fronte, la stanza sembrava girarle intorno. Improvvisamente le candele, poste su di una mensola sopra il letto, si accesero da sole, l’armadio spalancò le sue ante. si alzò dal letto e le richiuse.

Si avvicinò alle tre candele, le stette a guardare con occhi vitrei, il sudore le colava sul viso, si liberò della tunica e del velo, si tolse le mutandine ed il reggiseno di cotone bianco restando nuda, ritta a fissare le tre candele votive che ardevano di una fiamma verde ed intensa.

La suora toccò la fiamma di una delle tre, era fredda, la prese tra le mani e soffiò, un po’ di cera le colò sulle mani, era fredda anch’essa, la fiamma si spense. Si sedette sul bordo del letto, allargò le gambe, sentì un brivido caldo salirgli dal ventre fino ad arrivare al volto, le avvampò le guance, spinse con entrambe le mani il cilindro di cera, largo ed irregolare, dentro di sé.

Era vergine ma non avvertì dolore, il rosso del suo sangue sporcò la candela, lei continuò a spingerla tra le cosce, le allargò di più, ripiegò la testa all’indietro e chiuse gli occhi iniziando a gemere ad ogni spinta; con le dita della mano libera teneva aperte le grandi labbra della fica, inarcò il bacino, ansimava e gemeva senza alcun freno.

Si alzò e prese un piccolo specchio che teneva nel cassetto del comodino, pose lo specchio su una sedia che aveva avvicinato al letto, lo sistemò in modo che lo specchio rimandasse l’immagine della sua fica oscenamente spalancata.

La cera della candela, a contatto con il calore del suo corpo, si fece più morbida, arrotondandosi nella parte che penetrava nella fica fradicia e calda. Suor Kim guardava con eccitazione crescente l’oggetto che si muoveva dentro di lei lordo di umori. Non si era mai soffermata sulla sua intimità, mai si era toccata.

Ora, vedendo quella candela squassarle la vagina aprendole le labbra della fica, provava una sensazione esaltante, perversa. Ogni spinta aumentava la sua voglia di sentirsi piena, sporca, lurida come una puttana.

Si girò, il culo rivolto verso lo specchio, divaricò le cosce, scorse l’immagine del suo buchino stretto, umettò con la lingua le dita e se le passò tra le natiche, le leccò con gusto saggiando per la prima volta il proprio sapore. Sentì la sua carne tenera cedere gradualmente mentre il dito si faceva strada nel suo culo, gemette quando lo spinse a fondo.

‘KIIIIMMMM ‘ FALLO ORAAAA ‘SSSSIIIIIIII ‘

Di nuovo udì la voce, non proveniva da un punto preciso della stanza, era come se la voce l’avvolgesse. Suor Kim sapeva cosa voleva la voce, sapeva cosa doveva fare.

Insaziabile, poggiò la punta della candela a contatto del suo buchino inesplorato e morbido, spinse con forza, lo sentì cedere, lentamente, dolorosamente. Il cilindro di cera penetrava nel suo culo centimetro dopo centimetro, la ragazza mugolava, aveva le labbra aperte, il respiro affannato, quasi sospeso, gli occhi chiusi nell’estasi del godimento.

Continuava a guardare nello specchio, vedeva il suo piccolo orifizio slargarsi osceno allo scivolare della candela tra le sue natiche, spingeva forte, voleva infilarla tutta dentro di lei, voleva riempire tutta se stessa in quell’attimo perverso. Strinse con la mano libera il suo capezzolo fino a farsi male, sentì i muscoli dello sfintere contrarsi intorno alla candela ben piantata nel suo culo, urlò, l’orgasmo la sorprese, inaspettato ed intenso.

Si accasciò, letteralmente, sul letto, le natiche all’aria, la candela ancora profondamente dentro il suo culo, le sue cosce erano madide di sudore, sporche, gli occhi di fissi sullo specchio. Un occhio, malevolo, malato e spento, la fissava da dentro lo specchio mentre lei era ancora in quella posa oscena, lei gli parlò, sussurrando : ‘ Per te, solo per te, per sempre !’

CHIESA DI MONTE CRUCIO ‘ GIANNA E GIULIO

Gianna era scesa nella chiesa del monastero, era pomeriggio tardo. Si era sposata con Leandro tre giorni prima, in Calabria. Erano venuti a Mezzana per il viaggio di nozze. Molto religiosi entrambi, avevano deciso per un viaggio all’impronta della spiritualità e del riposo. L’ostello del monastero gli era piaciuto molto, si potevano fare lunghe passeggiate nel bosco, dietro la chiesa, o si poteva meditare in silenzio all’interno del bellissimo chiostro centrale.

Suo marito era rimasto in stanza, avevano visitato il bellissimo centro di Mezzana ed avevano pranzato in una delle trattorie caratteristiche della cittadina. Ora Leandro giaceva satollo sul letto, russava come ghiro e lei si stava annoiando.

Pregava in ginocchio su una delle panche che riempivano quasi per intero la navata della chiesa, Gianna non riusciva a scacciare la noia di quel pomeriggio. Un rumore la distolse dai suoi pensieri, girò lo sguardo : era l’inserviente a servizio del monastero, Giulio.

L’uomo stava spazzando tra le panche, quando il bastone della scopa urtava il legno delle sedute il rumore rimbombava tra le pareti della chiesa amplificandone l’effetto.
Gianna sentiva gli occhi dell’uomo addosso, non le piaceva.

Giulio era basso, aveva i capelli grigi, degli occhi scuri e piccoli come un serpente. Era sempre vestito con una camicia bianca informe su cui spiccavano gli aloni di sudore da sotto le ascelle, la sua pelle era unta e screpolata.

La donna si isolò nella preghiera, mani giunte, capo chino, cercò di ignorare la presenza dell’uomo.
Giulio non staccava gli occhi dalla donna che stava pregando.

‘è una bella vacca ” pensava l’uomo mentre spazzava svogliatamente, ‘guarda che fregna, me la scoperei qui davanti l’altare, altroché ”

Le squadrò il culo, la donna indossava un vestito bianco, decorato con una fantasia di fiori rossi e neri, le scarpe erano rosse con un tacco appena pronunciato, il vestito fasciava il suo seno rigoglioso. Giulio sognava di tuffarsi tra quelle tette. Si avvicinò alla donna, aveva una vistosa erezione, iniziò a spazzare la fila di panche di fronte a Gianna, fece in modo di far risaltare il bozzo che tendeva il tessuto dei pantaloni.

Gianna, ad occhi chiusi sentì l’uomo che si era spostato proprio di fronte a lei, quell’uomo non aveva rispetto, alzò lo sguardo, trasalì, vide il bozzo duro che l’uomo aveva tra le gambe, arrossì, lui se ne accorse. La donna, con fare indignato si spostò nella prima fila di panche, a ridosso dell’altare, si inginocchiò di nuovo, Giulio ammirò il suo culo morbido nell’atto della genuflessione, gli stava scoppiando il cazzo.

La nebbia verdastra iniziò a fuoriuscire dalla crepa nel sigillo, Gianna non si accorse della bruma che si andava addensando ai suoi piedi, sentiva il fruscio della scopa farsi più vicino.

‘Che cazzo è questa roba ” esclamò giulio.

‘Ma insomma, si contenga, siamo in chiesa, un po’ di rispetto ” si adirò Gianna.

‘Che calmo e calmo, guardi ai suoi piedi, quella roba verde, che cos’è ? mai vista in vita mia ”

Gianna si accorse della nebbia che le stava avvolgendo le gambe, era verde, brillava nella penombra della chiesa di un verde opaco, malato. I due, incuriositi dal fenomeno, cominciarono a guardarsi intorno cercando il posto da dove aveva origine la nebbia.

UFFICIO DI SUOR BRIGIDA

Suor Brigida aveva avvertito la santa sede, le era stato passato il Cardinale Mazzi, il suo referente diretto all’interno del Vaticano. Il vescovo era quello che l’aveva nominata a capo della congrega di suore nel monastero ed era il suo mentore. La badessa gli aveva riferito della crepa nel sigillo raccontandogli di Padre Alphonse e della sua scoperta. Il cardinale l’assicurò che avrebbe mandato qualcuno di fiducia a controllare, le raccomandò di tenere, nel frattempo, la cosa sotto controllo. Dopo i saluti di rito Suor Brigida chiuse la comunicazione.

Scriveva su un diario delle annotazioni quando entrò nella sua stanza Carlotta, la figlia della famiglia Lorci, i laici che vivevano nella foresteria e che lavoravano al servizio del monastero. La ragazza era giovanissima, diciannove anni appena compiuti, un bel viso pulito ed allegro, portava i capelli, color castano, a caschetto, era alta e longilinea, frequentava l’istituto commerciale di Mezzana, era all’ultimo anno.

‘Dimmi Carlotta ” le chiese la badessa alzando i suoi occhi severi verso la ragazza.

‘Mi scusi madre, le ricevute della Tergaflex sono state registrate ed archiviate, dobbiamo ancora ricevere quelle di giugno e luglio, dal loro ufficio amministrativo hanno detto che le manderanno a giorni.’

‘Bene Carlotta, per oggi puoi andare, abbiamo finito.’

La ragazza stava uscendo quando la badessa la richiamò.

‘Carlotta, dì a tuo padre che in chiesa c’è una crepa nella pietra ornamentale dietro l’altare, va chiusa, urgentemente !’

‘si madre.’

La ragazza uscì, Suor Brigida riprese a scrivere sul diario, era preoccupata, sentiva nell’aria qualcosa di negativo, la calma apparente che regnava nel monastero le faceva paura, e lei non aveva mai paura.

GIULIO E GIANNA

‘Me lo aveva detto padre Alphonse di chiudere questa cazzo di crepa, ma guarda qui che strano !’ esclamò Giulio.

‘insomma, il linguaggio ” lo riprese nuovamente Gianna.

‘Guardi, è da qui che esce il fumo ” disse l’uomo ignorandola.

‘è più una nebbia ”

‘la chiami come cazzo le pare, ma è strano ”

Gianna stavolta ignorò l’ennesima parolaccia dell’inserviente, si chinò a guardare verso la crepa, la nebbia diventava sempre più densa, ora le aveva raggiunto le ginocchia, poteva scorgere l’apertura nella pietra nera solo agitando le mani diradando la caligine che li stava avvolgendo.

Giulio era rapito dalla vista del sedere della donna, così chinata sulla crepa metteva in mostra quel culo invitante, il suo cazzo era di nuovo duro, si mise dietro la donna, le spinse contro il culo la sua erezione, sentì il suo uccello adagiarsi tra le natiche della donna.

‘MA COSA FA ? E’ IMPAZZITO ?’ urlò la donna, la sua faccia era furiosa.

‘Mi scusi ” rispose l’uomo, ”sono scivolato ”

‘SCIVOLATO UN CAZZO ! LEI E’ UN PORCO, LA BADESSA SARA’ INFORMATA DEL SUO COMPORTAMENTO ”

La donna era su tutte le furie, le sua urla risuonavano tra le pareti della chiesa, la nebbia continuava a salire, si annodava sulle colonne, salendo fino al soffitto, la luminescenza sembrava aumentare all’aumentare delle urla di Gianna, fili sottili di bruma le penetrarono nelle narici, anche Giulio era completamente circondato da quella caligine malsana, ormai ne erano completamente ricoperti.

Era come sprofondare in acque gelide, i suoni erano scomparsi, la vista sfocata dalla nebbia, la sensazione di freddo gli bloccava le membra, le voci iniziarono a bisbigliare dentro di loro.

Gianna e Giulio, uno di fronte all’altra erano immobilizzati, la cacofonia di voci e suoni aumentava, il pavimento della chiesa iniziò a tremare, immagini oscene riempivano le loro menti.

Misteriosamente la nebbia fu risucchiata, in un mulinello, dentro l’aperura nella roccia, le voci scomparvero, gli occhi di Gianna e Giulio erano vitrei, spenti. Stettero fermi a fissarsi, paradossalmente l’erezione di Giulio era ancora presente, Gianna guardò la patta dell’uomo, una voce sensuale dentro di lei le ordinava di afferrare il membro dell’uomo, Giulio ammirava i fianchi prominenti della donna, vi poggiò le mani, l’attirò a se.

Si spostarono dietro una delle colonne che delimitavano l’abside della chiesa, avvinghiati in un bacio perverso, le loro mani si intrecciavano frugando uno sotto le vesti dell’altro. Giulio le scoprì il seno abbassando con impeto il tessuto del vestito a fiori. Gianna infilò la sua mano nei pantaloni afferrando quel cazzo duro e grosso.

Gianna si staccò dall’uomo guardandolo come se si fosse accorta solo in quel momento di cosa stava facendo. Corse via, il ticchettio dei tacchi sul pavimento scomparve quando uscì dal pesante portone di legno, l’uomo restò appoggiato alla colonna, il cazzo teso gli doleva tra le gambe.

GIANNA E LEANDRO

Gianna entrò in camera, il cuore che gli batteva forte nel petto. Suo marito dormiva ancora, non era passata nemmeno un ora da quando lo aveva lasciato. Riempì la vasca e vi si immerse, l’acqua calda e profumata le rilassò i muscoli, passavano i minuti ed il ricordo di quello che era successo in chiesa svaniva lentamente.
Rimase nella vasca per mezz’ora, si asciugò e si mise a letto, Leandro bofonchiò qualcosa e girò la testa dall’altra parte, continuando a dormire.

Era un brav’uomo suo marito ma, pensava Gianna, non era un granché come maschio. Si sdraiò, completamente nuda, fissava il soffitto, il ricordo della nebbia era svanito, allargò le gambe, si toccò tra le cosce, la sua fica era bagnata. Guardò il marito, provò a scuoterlo, la sua mano gli accarezzò le spalle, scese verso l’inguine, si insinuò nei suoi slip.

‘Dai Gianna, sono stanco, non ho voglia ” grugnì Leandro infastidito.

La donna guardò l’ora, erano le 19.30, aveva fame, una fame vorace.

‘Ho fame !’ disse rivolta al marito.

‘Sei pazza, dopo quello che ho mangiato oggi il vedere solo lontanamente del cibo mi ucciderebbe !’

‘Uff, io esco in paese, vado a cercare qualcosa.’ Rispose lei.

Stizzita Gianna si diresse verso la valigia, poggiata su una sedia a lato dello specchio, frugò al suo interno cercando qualcosa da indossare.

Trovò un perizoma nero, trasparente, lo indossò e si girò a mirarsi allo specchio, il filetto del minuscolo indumento le spariva tra le natiche tornite e sode, mise su una camicetta bianca, molto scollata, senza reggiseno, i capezzoli trasparivano sensuali ed invitanti. Era indecisa tra una gonna grigia di cotone leggero ed una nera di pelle lucida, molto corta, si girò verso il marito che dormiva ronfando beatamente, scelse la gonna nera. Andò in bagno e infilò i piedi in dei sandali neri con un tacco a spillo dorato.
Si rimirò allo specchio, il rossetto color amaranto le dava un aria da puttana, si compiacque.

‘Ciao tesoro, vado a mangiare qualcosa.’ disse mentre usciva dalla stanza.

Leandro si alzò a sedere sul letto, gli occhi arrossati dal sonno.

‘Stai uscendo veramente, non stavi scherzando ! E come sei vestita ?’

‘No, ho fame, è tutto il pomeriggio che dormi, sono annoiata ed affamata, ho bisogno di carne ! Poi ‘ come vesto sono affari miei ! Ciao !’

La donna uscì lasciando il marito a guardare la porta chiusa con aria smarrita.
RICOVERO DI MONTE CRUCIO ‘ ORE 20.00

Suor Brigida sedeva di fronte al direttore del ricovero di Monte Crucio, il dottor Sibelli. La particolarità della struttura era la sua ispirazione riformista, l’area doveva servire come struttura di detenzione per persone affette da gravi turbe psichiche ma al contempo era destinata alla ricerca di cure all’avanguardia, atte a curare quelle stesse affezioni.

La direzione era stata affidata alla badessa, in qualità di madre spirituale per tutti i pazienti, all’abate, che curava la direzione logistica ed organizzativa, a al dottor Sibelli, medico della polizia di stato, che si curava della sicurezza e delle terapie mediche e psichiatriche.

Il dottor Sibelli era alto, dinoccolato, sulla cinquantina, capelli neri e ricci, il mento volitivo unito ad uno sguardo arguto ed intelligente lo rendevano un uomo attraente, aveva molte storie ma nonostante questo non era sposato.

‘La vedo preoccupata Brigida, che le succede ?’ disse il dottore rivolgendosi alla suora.

Stava versandosi del brandy in un paio di bicchieri, ne porse uno a suor Brigida.

‘Dalla Santa Sede sono preoccupati dalla presenza della nostra ospite, le alte sfere del clero stanno ricevendo molte pressioni da alcuni organi di governo ”

‘Lo so, anche io ricevo almeno un paio di telefonate al giorno, la mia sensazione è che qualcuno in alto abbia paura, al momento la nostra ospite non spiccica una parola, se ne sta immobile seduta al centro della stanza, mangia a forza, deve essere vestita e lavata.’

‘E le sedute ?’ chiese la badessa sorseggiando il liquido ambrato.

‘Nulla, ho provato con tutte le metodologie standard ma non ho ottenuto alcun risultato, mutismo assoluto, nessuna reazione agli stimoli visivi.’

‘Va bene, tienimi informata se ci sono novità, ho delle brutte sensazioni e non vorrei che la cosa ci scoppiasse in mano.’

Il dottore le pose una mano sulla spalla : ‘stai tranquilla, lo sai che di me ti puoi fidare.’

MEZZANA ‘ ORE 21.00 ‘ GIANNA E LEANDRO

Leandro aveva raggiunto il centro del paese, si era fatto dare il motorino da Giorgio, il figlio dei Lorci, dietro l’elargizione di un piccolo compenso.
L’improvvisa uscita della moglie lo aveva insospettito, ripresosi dal torpore si era vestito in fretto e in furia con l’intento di raggiungerla.

Si era fidanzato con Gianna che era molto giovane, l’aveva conosciuta nell’ambito della parrocchia del quartiere, si erano piaciuti subito. Leandro cercava una brava ragazza senza troppe pretese, semplice, che avrebbe cresciuto i suoi figli e che avrebbe badato alla casa.
Geloso, come la maggior parte degli uomini del sud, non concepiva affatto quel guizzo di libertà improvviso che aveva colto la neo sposa.

Gianna si alzò dalla tavola dopo aver pagato il conto, il filetto al pepe verde aveva soddisfatto la sua fame. Durante la cena gli altri ospiti guardavano di sottecchi quella donna bella e provocante che mangiava sola al ristorante, lei incurante dei loro sguardi era persa nei propri pensieri.

Era arrivata vergine al matrimonio, nonostante i numerosi corteggiatori che si erano cimentati nell’arduo compito di farle tradire il suo fidanzato e si aspettava notti focose ed appassionate. Invece Leandro era stato una delusione, arrivati nella camera da letto, la prima notte di nozze, non le aveva fatto provare quelle sensazioni magiche che lei si aspettava.

Suo marito non le aveva concesso quei baci intimi e quella passione che una donna si aspetta durante la sua prima volta, dopo pochi minuti di coito si accasciava a letto ronfando come un ghiro, lasciandola insoddisfatta. Ed oggi, da quando aveva lasciato la chiesa del monastero, si sentiva inquieta e su di giri aveva bisogno di provare emozioni forti, come se qualcosa dentro di lei spingesse per far uscire una parte di lei mai conosciuta.

‘Fanculo a quel coglione ” esclamò a voce alta appena uscita dal ristorante rise mentre si dirigeva verso il neon azzurro di un locale che , a prima vista, le sembrava un disco pub.

Era una sera bellissima, la luna piena illuminava le case antiche del paese, i mattoni in pietra grezza delle abitazioni risaltavano al chiarore tenue dei lampioni ad olio.

Entrò nel locale, non c’era molta gente, due o tre gruppetti di comitive che bevevano birra e chiacchieravano tra loro, alcuni uomini erano seduti sugli sgabelli di fronte al bancone centrale.
Lo spazio centrale, dove si sarebbe potuto ballare era deserto.
Ovunque il locale era illuminato da neon fosforescenti che davano all’ambiente un aspetto da night di quart’ordine.

Si avvicinò al bancone, seguita dagli sguardi dei presenti, la gonna di pelle nera le faceva risaltare il culo, una ragazza diede una gomitata al suo fidanzato che stava guardando Gianna con ammirazione allupata. Si sistemò su uno sgabello, accavallò le gambe scoprendo le sue cosce abbronzate e ben fatte.

L’aria condizionata era la massimo, il freddo le fece inturgidire i capezzoli che trasparivano duri ed erti dalla camicetta bianca. Uno degli uomini al bancone si avvicinò a lei.

‘Ciao, sei sola ? Ti posso disturbare ?’ approcciò uno dei clienti, avvicinandosi con lo sgabello a Gianna.

‘Lo stai già facendo ‘ se non sbaglio ” rispose Gianna sorseggiando la Tennents direttamente dalla bottiglia.

L’uomo rise, aveva i denti cariati, un riporto unto gli copriva a malapena la pelata tonda della testa, la sua camicia era tenuta chiusa solo da un bottone, tesa a dismisura dalla sua pancia prominente.

‘Sei un camionista ?’ gli chiese lei guardandolo con curiosità.

‘Si ”

‘Anche io sono un camionista ” disse un altro uomo che le si era affiancato al bancone.

” è un mio amico.’ Puntualizzò il cicciotto.

Il nuovo arrivato doveva essere dell’est Europa, era alto, biondo, occhi azzurro chiaro che teneva ben fissi sulle tette di Gianna.

‘Wow è la mia serata fortunata allora ” disse ridendo la donna, ‘ ‘ dove avete i vostri camion ?’

Rispose il cicciotto : ‘ sono parcheggiati dietro il bar, sono molto grandi ‘ e comodi !’

‘E voi ‘..siete grandi ? Sapete, una donna sola, di notte, si deve poter fidare di due uomini ‘ grandi ‘ che si prendono cura di lei !’

Il ragazzo dell’est le prese delicatamente la mano, la fece scendere dallo sgabello, nel movimento aderì a lei strusciandole il pacco sulla gamba.

‘Che ne dici ? Può andare ?’

” vediamo i vostri camion !’ rispose Gianna leccandosi le labbra.

Si appoggiò al braccio del biondo e prese per mano il cicciotto facendosi scortare fuori dal bar.

Leandro scorse sua moglie mentre usciva da un bar accompagnata da due uomini mai visti. Il primo impulso fu di aggredirla e riportarla all’ostello ma invece la seguì, attento a non farsi scorgere.

La donna sculettava giuliva tra i due energumeni, uno alto e l’altro basso e ciccione, si dirigevano verso il retro del bar, arrivarono ad un parcheggio dove stazionavano due grossi tir cromati, Gianna fu fatta salire su quello rosso, nell’aiutarla il basso le mise una mano sul culo, sua moglie non fece una piega.

Leandro era roso dalla rabbia, si avvicinò al camion.

MONASTERO DI MONTE CRUCIO ‘ ORE 22.00

Padre Alphonse era chinato sul sigillo, con le mani scorreva il rilievo del leone scolpito sulla superficie della pietra. Il monaco consultava un libro antico poggiato al suo fianco. Le sue dita si infilarono nei fori delle orbite sporgenti del leone, non successe nulla, un’espressione delusa si dipinse sul suo volto.

Un rumore lo distolse dalla sua ricerca, un clangore metallico rimbombava nel silenzio della chiesa deserta, sembrava che qualcuno battesse con del metallo su una delle colonne.

Padre Alphonse gridò : ‘Chi è là, fatti vedere ”

Il rumore aumentò di intensità, il monaco non riusciva ad identificare la provenienza del suono, prese la torcia e si diresse verso il fondo della navata. La luce si rifletteva spettrale sui muri di pietra.

‘CLANG ‘ CLANG ‘ CLANG’

‘Basta, chi è che si diverte a giocare in un luogo sacro ‘ SMETTETELA !’ Urlò di nuovo.

Il monaco illuminò un punto, dietro una colonna della navata, da dove sembrava venisse il rumore, non c’era nulla, il suono cessò improvvisamente, una risata femminile si propagò nella chiesa, rumori di passi affrettati. Padre Alphonse tornò correndo al sigillo, il libro era sparito.

Diresse il raggio di luce verso il fondo dell’abside, negli angoli nascosti, non scorse nulla. Un dolore sordo ed improvviso lo colpì dietro la testa, si toccò la nuca, era bagnata, la sua mano era sporca di sangue.

Prima che potesse realizzare cosa stava succedendo un altro colpo lo raggiunse, facendolo crollare a terra, il colpo lo aveva raggiunto sulla fronte, sentiva il sangue colargli sugli occhi e gocciolare sulla pietra scura del sigillo, cercò di trascinarsi lontano, la testa formicolava. Un terzo colpo, la vista sbiadiva, l’ultima immagine che vide fu il suo sangue che veniva risucchiato dalle orbite nere del leone ‘ poi il nulla.

MEZZANA – GIANNA ‘ ORE 22.30

Leandro, una volta che vide chiudersi la portiera del camion rosso si avvicinò attento a non farsi scoprire. Il tir era troppo alto perché lui potesse scorgere qualcosa affacciandosi ai finestrini. Tese l’orecchio a captare le voci che provenivano dall’abitacolo.

A bordo Gianna sedeva in mezzo ai due uomini, appoggiati su dei cuscini rimediati nel retro dell’abitacolo stavano bevendo della vodka. Gianna era seduta in mezzo ai due uomini, l’uomo biondo si chiamava Dimitri, veniva dall’Ucraina ed era sposato con una donna italiana di Verona mentre Il suo amico, il cicciottello, si chiamava Calogero, era della Sicilia, trasportava materiale chimico per la Tergaflex, l’industria farmaceutica situata nella zona industriale a ovest di Mezzana.

La gonna di Gianna copriva ben poco della delle sue gambe, i due la palpeggiavano in modo sempre più audace. Calogero pose la sua mano in mezzo alle cosce della donna, le sue dita sfioravano il tessuto sottile delle minuscole mutandine.

‘Come mai il tuo maritino ti lascia sola la notte ? Hai detto che sei in viaggio di nozze.’ chiese Dimitri mentre con la mano frugava dentro la camicetta di Gianna tastandole il seno.

‘Diciamo che lui non mi dà quello che mi merito ” Rispose Gianna allargando le gambe e guardando maliziosa l’ucraino.

Calogero scostò le mutandine di Gianna toccandole le labbra invitanti ed umide della fica, mise la testa tra le sue gambe ed iniziò a leccarla. Dimitri iniziò a baciarla, sbottonandole la camicetta e scoprendo i seni nudi.

Leandro, da fuori, riusciva a sentire soltanto scampoli della conversazione, si rodeva il fegato a pensare quello che stava succedendo al suo interno.

Gianna interruppe i due uomini, il suo sguardo si era fatto vacuo, una strana luminescenza verde gli illuminava le iridi, un sorriso malvagio le si dipinse sul volto.

‘Fuori c’è un uomo ‘ mio marito ” disse con una voce che non sembrava nemmeno più la sua, ‘ ‘ voglio che lo prendiate, lo voglio legato ”

Calogero e Dimitri si scambiarono un occhiata complice e divertita, quella puttana era perversa e senza scrupoli, si sarebbero divertiti quella notte. L’ucraino prese le corde da traino da sotto il sedile ed aprì la portiera.

‘Che cazzo fai, ci stai spiando ” disse Dimitri scendendo dall’abitacolo.

‘Ma ‘ io ‘ c’è mia moglie lì sopra ” balbettò Leandro colto sul fatto.

Dimitri lo afferrò forzandogli le mani dietro la schiena. Calogero lo tenne fermo mentre il suo compare gli legava i polsi, Leandro cercò di divincolarsi ma la sua corporatura magrolina non gli permise di avere la meglio.

Dalla cabina scese sua moglie, la gonna ancora tirata su e raccolta sui fianchi, le mutandine scostate gli lasciavano scoperte le labbra della fica, la camicetta lasciava fuoriuscire i seni. Iniziò a girare intorno al marito canzonandolo.

‘Mhh ‘ al maritino segaiolo oggi impartiremo una bella lezione ”

‘Gianna ‘ ti prego ‘ che stai facendo ” urlò Leandro in preda la panico.

Gianna indicò ai due uomini il boschetto dietro il parcheggio. ‘Lì, portatelo tra gli alberi, staremo comodi ”

I due uomini, trascinando Leandro per un braccio, seguirono Gianna che li precedeva. Aveva ancora la gonna tirata su, il suo splendido culo era illuminato dalla luna, il passo reso sensuale dai tacchi alti che indossava la facevano apparire bellissima e fatale.

Arrivarono in una radura, non distante dal parcheggio ma abbastanza coperta da non essere vista dalla strada. I due camionisti legarono Leandro ad un albero.

‘Qui è pieno di guardoni e froci ” Disse Calogero rivolto alla donna.

‘Tirategli giù i pantaloni e le mutande, lo voglio nudo ” ordinò Gianna ai suoi nuovi amici.

Leandro, incapace di ribellarsi, restò nudo, legato all’albero, il pisello moscio gli pendeva inerte tra le gambe.

‘Che cazzetto piccolo che hai amore mio ” disse ridendo Gianna, di nuovo il barlume verdastro saettò nei suoi occhi, ‘ ‘ ora vediamo dei veri cazzi ”

Gianna si abbassò davanti i due camionisti, iniziò a toccarli tra le gambe, gli tirò giù i pantaloni, i cazzi dritti degli uomini erano davanti al suo viso, allargò la bocca ingoiando quello di Calogero. Il cazzo dell’uomo era spropositato, non molto lungo ma aveva una circonferenza paurosa, la bocca di Gianna riusciva a fatica a far entrare quel basto di carne tra le sue labbra. Dimitri le tormentava i seni, strizzando i capezzoli, leccandoli e mordicchiandoli. La donna teneva le gambe ben spalancate, iniziò a colare copiosa tra le gambe, sgocciolava oscena i suoi umori.

Calogero spingeva il suo cazzo sempre più a fondo, lei lo guardava negli occhi mentre faceva sparire, centimetro dopo centimetro, il suo enorme membro nella sua bocca.

‘Miii che troia che è questa Dimitri, mi sta succhiando l’anima ” disse sognante il siciliano.

Gianna rise malvagiamente per un attimo guardando il marito legato all’albero, costretto a guardare la scena.

Un fruscio tra gli alberi, alcuni uomini si avvicinarono alla radura, erano circa una decina, tutti si toccavano tra le gambe spiando la scena. Leandro girò la testa vedendo il gruppo di guardoni proprio alla sua destra.

‘Vi prego liberatemi ” implorò.

I guardoni non gli dedicarono nemmeno uno sguardo, la loro attenzione era totalmente rivolta alla donna che si stava impalando sul cazzo dell’uomo biondo sdraiato sull’erba. La bocca della donna era riempita dal cazzo dell’uomo cicciottello.

Calogero le teneva la testa per i capelli imprimendo alla donna il ritmo del pompino. Gianna succhiava e leccava il cazzo del siciliano lordandolo di saliva, ansimava mentre l’uomo le spingeva il membro duro giù per la gola. Con le mani poggiate sull’erba Gianna spingeva il suo bacino forte verso il cazzo di Dimitri, le gambe spalancate verso il gruppo di guardoni che, incoraggiato dalla mancanza di reazioni, si avvicinò alla scena.

Leandro ebbe un erezione, seppur stravolto da quello che stava accadendo il suo corpo reagiva in maniera autonoma alla scena eccitante che stava avendo luogo nella radura.

Il gruppo di guardoni si era fatto coraggio, avevano fatto girare Gianna, Dimitri l’aveva fatta montare a cavalcioni sul suo cazzo scopandola forte e tenendola per i fianchi, uno dei guardoni la stava inculando, le era scivolato dentro come nel burro, le allargava le natiche, sputava sul suo buco del culo mentre glielo allargava con le dita.

La lingua di Gianna, la sua bocca, erano impegnate a soddisfare gli uomini che le porgevano i loro cazzi duri dinanzi al volto. Li stava spompinando tutti, alcuni le cominciarono a sborrare in faccia caldi getti di sperma, la bocca le colava di liquido vischioso ed acre.

Leandro si girò quando sentì una mano afferrargli il cazzo duro. Un travestito spuntato alle sue spalle gli stava silenziosamente facendo una sega. Era vestito con una canottiera nera aderente, una gonna azzurra e delle calze a rete. Si vedeva che portava una parrucca, bionda, col caschetto, le sue labbra erano cariche di rossetto. Il travestito si infilò il cazzo di Leandro in bocca, iniziò a leccargli l’asta dura mentre la sua mano continuava a masturbarlo.

A turno gli uomini stavano scopando Gianna come una cagna, i suoi vestiti erano lordi di sperma, la fica era arrossata e fradicia, le sue grandi labbra avvolgevano i cazzi gonfi che le scivolavano dentro. Il suo culo si era oscenamente slabbrato, sentiva quei bastoni duri penetrarle nello sfintere uno ad uno, li sentiva quando, all’apice del piacere, le schizzavano dentro, avvertiva il liquido scivolarle lento fuori dal culo per colarle tra le cosce.

Il travestito si era piegato davanti Leandro facendosi inculare mentre teneva il gonnellino azzurro raccolto sul davanti. Leandro guardava il sua cazzo entrare comodo in quel culo sfondato e caldo. Il travestito ansimava muovendo il bacino, Leandro godeva vedendo sua moglie profanata da tutti quegli uomini rudi.

Gianna urlava in preda agli orgasmi che le squassavano il ventre, era coperta di sperma, la bocca, il viso, i capelli. Gli uomini continuavano imperterriti a scoparla, si era poggiata con le mani ad un albero mentre veniva presa da dietro, la sua fica ed il suo culo erano ormai oscenamente dilatati e luridi.

Gli uomini lasciavano la radura una volta soddisfatti. in silenzio, Gianna, ormai rimasta sola, ansimava
per il godimento, era come se il suo corpo non resistesse a sensazioni così intense. Alzò gli occhi, vide suo marito che, ancora legato, stava ricevendo un pompino da un travestito agghindato come una troia. Lo vide venire nella sua bocca, il travestito ingoiò soddisfatto, salutò Leandro e se ne andò, sparendo tra gli alberi del boschetto.

Gianna si avvicinò al marito, pose le sue labbra sporche di sperma alle sue. Leandro ancora eccitato da tutte le emozioni vissute ebbe una nuova erezione. Gianna si abbassò e glielo prese in bocca, continuarono, in silenzio, non ancora sazi delle sensazioni che i loro corpi potevano donare.
MONASTERO DI MONTE CRUCIO ‘ FORESTERIA ‘ ORE 00.00

Giulio non riusciva a prendere sonno, sua moglie Mara dormiva pesantemente girata di spalle. Si alzò dal letto con uno strano senso di irrequietezza, quello che era successo il pomeriggio in chiesa, con la donna ospite dell’ostello, non smetteva di provocargli una forte eccitazione.
Andò in salone, accese la televisione facendo zapping tra i vari canali privati che trasmettevano pubblicità di telefonia erotica. Le immagini che scorrevano sullo schermo lo eccitavano, si tirò giù i calzoni del pigiama iniziando a carezzarsi il cazzo teso.

‘GIULIOOO ‘ VAI DA TUA FIGLIA ‘ ORA !’

La voce lo fece saltare dal divano col cuore in gola. Era arrivata da un punto imprecisato del salone, era una voce indistinguibile, non avrebbe potuto dire se femminile o maschile, molto bassa, suadente. Si sistemò i pantaloni e si alzò dirigendosi verso la stanza di Carlotta. Camminava in uno stato di trance, era spaventato ma la sua volontà era stata sostituita da un irrefrenabile desiderio. Aprì la porta socchiusa di sua figlia. Nella penombra scorse i suoi capelli castani e le sue spalle, coperte da una canottiera viola.

Entrò nella stanza attento a non far rumore, si avvicinò al letto sedendosi sulla poltroncina rossa di fronte. Poteva scorgere il culo della figlia coperto soltanto da un minuscolo perizoma di colore nero, le sue gambe lunghe ed affusolate, i suoi piedini graziosi si muovevano durante il sonno.

Giulio si tirò fuori il membro, guardando sua figlia iniziò a masturbarsi, vedere il sedere di Carlotta lo eccitava, immaginava di toccarlo, di allargarle le natiche scoprendo la sua natura morbida e giovane.

La stanza iniziò a vibrare, lievemente, un ronzio sommesso coprì i rumori della notte, Carlotta si girò, nel movimento una spallina della canottiera scese scoprendo il seno appena accennato. Giulio fissava l’areola gonfia e rosea, il capezzolo turgido. Venne nella sua mano, in silenzio, il ronzio cessò improvvisamente. Si pulì sulla maglietta ed uscì dalla stanza per tornare nel letto con sua moglie. Si addormentò immediatamente sognando di possedere Carlotta tra i banchi della chiesa.

MONASTERO DI MONTE CRUCIO ‘ UFFICIO DELLA BADESSA ‘ ORE 9.30

Suor Clara sedeva di fronte la scrivania di Suor Brigida, la Badessa. La novizia aveva le mani giunte sulle gambe e si stava tormentando le unghie. Seduto su una poltrona rossa c’era l’abate, Padre Ignacio, che ascoltava attentamente il resoconto della giovane suora.

‘Quindi Clara, dicci cosa è successo. Cosa giustifica l’averci convocato così urgentemente a quest’ora.’ Chiese la badessa mentre scarabocchiava distratta su un foglio bianco.

‘Madre, questa notte è successo un fatto gravissimo ” Si interruppe guardando l’abate sprofondato con i suoi centoventi kilogrammi nella comoda poltrona, ‘ ‘ verso la mezzanotte ho iniziato ad udire dei rumori inquietanti provenire dalla cella a fianco la mia, quella di Suor Luigia, mi sono alzata per capire da cosa fossero provocati ”

Suor Clara tremava nervosamente durante il racconto : ‘ Ho poggiato l’orecchio al muro, sentivo dei lamenti ed allora sono andata a vedere cosa stava succedendo. Ho aperto la porta della cella di Suor Luigia ed ai miei occhi è apparsa una scena disgustosa ”

Suor Clara si interruppe. Suor Brigida la incitò ad andare avanti mentre l’abate si alzò dalla poltrona distogliendo lo sguardo dal seno prorompente di Suor Clara, che risaltava nonostante la tunica nera della novizia.

‘Ho visto Suor Luigia di spalle, con la camicia da notte tirata su fino alle spalle e dietro di lei ‘. Mio Dio ‘ dietro di lei c’era padre Luca, nudo dalla cinta in giù che si muoveva come un ossesso in atti che non oso nominare Madre.’

‘Cosa sta dicendo sorella ?’ intervenne severo Padre Ignacio, ‘ ‘ che due membri della nostra congrega sono stati colti durante un atto impuro, ne è certa ? E’ una cosa molto grave quella sta dicendo, ne è sicura ?’

Suor Clara sussultò, l’abate ammirò, non visto, il l’eccitante seno della suora che tendeva il tessuto scuro del suo abito.

‘Ne sono sicura, Madre la prego mi creda, mai potrei inventare una storia del genere ” Disse quasi piangendo la giovane novizia.

‘Padre Ignacio ? Che dice ?’ Disse la badessa rivolta all’abate.

L’uomo distolse lo sguardo dal petto della novizia. L’abate era imponente, completamente calvo, aveva una barba lunga e luciferina, le sopracciglia folte oblique gli davano un aspetto terrificante, Suor Clara tremava intimorita.

‘Sorella ” Disse rivolto alla badessa, ‘ ‘ Direi di gestire l’accaduto ciascuno per proprio conto, lei con Suor Luigia, io con padre Luca ‘ la pena sarà severa, non posso permettere che un fatto del genere possa passare senza conseguenze ‘ prevedo per il mio confratello un lungo soggiorno nella cella di costrizione ‘ lei come vuole procedere ?’

La badessa accennò un sorriso perfido, guardò l’uomo dritto negli occhi, un lampo di intesa passò tra i due, inavvertito da Suor Clara.

‘Ho i mei metodi Abate, se vuole posso condividerli con lei al momento della punizione ‘ ‘ Rispose la badessa.

L’uomo annuì, sembrava soddisfatto.

‘Suor Clara, voglio che vada lei a comunicare a Suor Luigia la notizia. Voglio che le dica di rimanere chiusa nella sua cella fino a che non la farò chiamare ‘.’ Ordinò la badessa, ‘ora può andare sorella.’.

Una volta che la suora fu uscita dalla stanza padre Ignacio si pose dinanzi la scrivania della badessa :’ La nuova ospite ?’
‘Ho parlato ieri col Dottore, non ci sono segni di coscienza, rimane inerme nella sua stanza, non parla né interagisce col mondo esterno.’

‘Mhhh capisco, vorrei poterla vedere.’ Disse l’abate, serio.

‘Vedremo cosa si può fare, Sibelli è molto severo riguardo le influenze ‘ esterne. Ho fatto richiesta più volte per una visita ma mi è stata negata. Il Dottore sta aspettando dei cenni di coscienza da parte della paziente, inoltrerò comunque la sua richiesta.’

‘Allora ci aggiorniamo madre, mi faccia sapere quando intende procedere riguardo la nostra novizia peccatrice ” Si rivolse padre Ignacio alla badessa.

‘Certo, confido che porterà l’attrezzatura richiesta ” Rispose la superiora sorridendo.

‘Non mancherò ‘ a dopo.’ Disse l’uomo uscendo dall’ufficio.

RICOVERO DI MONTE CRUCIO – ORE 10.45

Il dottor Sibelli si trovava in una delle salette mediche del ricovero, legata in un lettino c’era una paziente : una donna di trentatré anni, castana, con i capelli castani rasati cortissimi. La paziente era sedata, Indossava un camice verde, era assicurata al lettino con delle cinghie di cuoio che le tenevano ferme braccia e gambe. L’infermiere che assisteva il dottore la guardava assorto.
‘Strano, a vederla così non immagineresti mai che, dopo essere stata licenziata, ha fatto a pezzi con una mannaia tutti i suoi ex colleghi.’ Disse l’infermiere.
‘Si, è veramente carina ” Rispose una delle due guardie che erano nella stanza insieme al dottore ed all’infermiere.
‘Mi prepari venti ml di composto, grazie ” Disse il dottor Sibelli rivolto all’infermiere, era impaziente di iniziare la dimostrazione. Erano anni che lavorava al composto, era nervoso ed esaltato, era la prima volta che i risultati dei suoi studi venivano presentati alla comunità medica.
Alla presentazione erano stati invitati vari componenti dell’apparato medico-carcerario del paese, i rappresentanti delle varie forze dell’ordine ed alcuni agenti dei servizi segreti della santa sede. La lista gli era stata fornita dalle alte sfere.

Iniettò nel braccio della donna il liquido incolore e fece un cenno all’infermiere di portare la paziente nella sala conferenze. L’infermiere uscì, trasportando il lettino, seguito dalle due enormi guardie ed il dottore.

RICOVERO DI MONTE CRUCIO ‘ STANZA 7 – ORE 10.45

Nella stanza di detenzione numero sette l’ospite silenziosa iniziò a muoversi, avanti e indietro. Era seduta a gambe incrociate al centro della stanza, le braccia inermi poggiate sulle gambe, il volto rivolto verso il basso non permetteva di guardare il suo viso. Iniziò a cantilenare sommessamente, il movimento del suo corpo accelerò le pareti della stanza iniziarono ad imbuirsi come se la luce del sole, che filtrava attraverso la grande finestra, posta nella parte alta di uno dei muri scrostati e sporchi, non le raggiungesse.
La stanza di detenzione iniziò a tremare, vibrava come se accanto qualcuno vi avesse acceso il motore di un jet. Il tremolio crebbe di intensità richiamando l’attenzione di due infermieri che si affacciarono dallo spioncino della robusta porta metallica che chiudeva la stanza.

Dallo spioncino i due uomini poterono vedere la ragazza seduta al centro, ma la loro attenzione fu catturata dal sangue che ricopriva le pareti. Il liquido rosso sembrava sgorgare dal nulla, colava lento dai muri raccogliendosi davanti la ragazza che si muoveva ondulando avanti e indietro.

‘Chiama qualcuno, sta succedendo qualcosa di strano.’ Disse uno degli infermieri allarmato.

RICOVERO DI MONTE CRUCIO ‘ SALA CONFERENZE – ORE 11.15

Gli invitati alla dimostrazione si zittirono all’ingresso del lettino. La paziente venne posizionata nella sala conferenze, adibita ad ambulatorio per l’occorrenza. L’infermiere iniziò ad accendere i macchinari medici di controllo mentre il dottor Sibelli cominciò ad illustrare alla platea gli obiettivi della sua ricerca.

‘Come sapete al momento la nostra situazione detentiva è arrivata ad un punto critico : sovraffollamento, mancanza delle strutture adatte al recupero, scarsa preparazione del personale. Con questa ricerca abbiamo voluto operare direttamente sul detenuto andando ad agire chimicamente sui suoi centri nervosi per eliminare i circuiti ‘malati’ che ne hanno provocato l’azione criminale, qualunque sia la sua entità.’

Andando verso la paziente, che iniziava a risvegliarsi il dottore proseguì.

‘Abbiamo preso come prima dimostrazione dell’efficacia della nostra ricerca una donna all’apparenza normale. Questa donna è stata condannata per l’omicidio di otto persone, suoi ex colleghi, persone che con lei avevano avuto rapporti di amicizia, con cui aveva diviso una gran parte della sua vita ”

Poi continuando a parlare Sibelli attivò il proiettore al suo fianco : ‘ ‘ e qui possiamo vedere il massacro compiuto da questa donna due giorni dopo essere stata licenziata.’

Le immagini proiettarono una carneficina spietata, i corpi delle vittime smembrate giacevano in un lago di sangue, i muri dell’ufficio dove era stato consumato il massacro erano ricoperti di sangue.

‘Ora !’ Disse il dottore per attirare di nuovo a se l’attenzione, ‘ Abbiamo somministrato alla paziente un composto capace di intercettare le comunicazioni neuronali del cervello e deviarle verso zone sinaptiche che vengono programmate attraverso questo macchinario. La nanotecnologia ci ha permesso di veicolare i ricettori in zone prestabilite scelte secondo le nostre direttive. Il composto dovrebbe avere effetto fra circa 15 minuti, nel frattempo sveglieremo la paziente e cercheremo di farla reagire in maniera violenta, quando il composto inizierà il suo lavoro vedrete che a quelle stesse sollecitazioni la paziente reagirà in maniera del tutto diversa.’

Poi rivolto verso l’infermiere disse :’ Può procedere.’

La donna sul lettino cercava di liberarsi dalle cinghie di cuoio, i suoi occhi iniziarono a mettere a fuoco l’ambiente circostante, si agitava sempre di più man mano che realizzava dove si trovava.

‘Cosa cazzo volete farmi maledetti succhiacazzo ‘ ‘ Strillava la donna tendendo i suoi nervi nello sforzo di liberarsi, ‘ ‘ brutti stronzi rottinculo ‘ vi squarto tutti ‘ bastardiiiii ‘. Lasciatemi stare ‘ lasciatemi stare ”

Ad un cenno del dottore l’infermiere si avvicinò alla paziente, gli strappò il camice verde facendone saltare alcuni bottoni. La donna rimase nuda, con solo le mutandine indosso. Ad un altro ordine di Sibelli anche le mutande le furono tolte facendola rimanere completamente nuda. La sua fica era totalmente rasata, il suo seno grande e tondo si muoveva eccitante nello sforzo di liberarsi.

‘Nooooo ‘.. nooooo ‘. Bastardi figli di puttana ‘ cosa volete da meeeeee.’

La donna era impazzita, come una tarantolata si agitava nel lettino, schiumava di rabbia, l’infermiere ne era intimorito.
Sibelli si avvicinò al macchinario, regolò il potenziometro posto sotto lo schermo ai fosfori verdi che rimandava grafici e dati monitorati. Spinse il pulsante rosso di accensione. La donna si immobilizzò immediatamente, il silenzio nella sala ora era assoluto.

Il dottore armeggiò con la piccola tastiera Bluetooth collegata alla macchina, poi guardando l’infermiere ordinò :’ Puoi liberarla ora ”

L’infermiere guardò serio il dottore, come ad assicurarsi di aver capito bene l’ordine. Slegò la donna che rimase inerme sdraiata sul lettino.

‘La paziente, durante la sua detenzione ha manifestato una particolare avversione alle avance sessuali ” Proseguì Sibelli, ‘ ‘ l’anno scorso ha strappato a morsi il naso ad un nostro inserviente che aveva tentato di toccarle il seno. Oggi abbiamo deviato i suoi ricettori sinaptici in modo di convogliare le informazioni nervose verso l’area del suo cervello atta a ricevere le sollecitazioni erotiche, aumentandole artificialmente di intensità. In poche parole, l’abbiamo trasformata, se mi concedete il termine, in una ‘cagna in calore’.’

Sibelli si avvicinò alla donna che sdraiata quieta sul lettino lo guardava con aria assente. Il dottore le afferrò il capezzolo tra l’indice ed il pollice, strinse aumentando gradualmente la pressione. La donna iniziò a muovere le gambe, stringeva forte le gambe per poi allargarle mostrando alla platea di ospiti la fica implume.

‘Mhhh dottore ‘ che fa ? ‘ Disse la donna sdraiata con una voce completamente diversa da quella dell’ossessa che si agitava sul lettino qualche minuto prima.

Sibelli incurante dei mugolii della paziente prese due mollette metalliche legate tra di loro da una catenella, le applicò ai capezzoli della donna aumentandone la stretta attraverso una vite di regolazione. Stretti nella morsa i capezzoli diventarono violacei mentre la donna si era portata le dita alla fica iniziando a masturbarsi, incurante dei presenti alla dimostrazione.

‘Stringa dottore la prego ‘ sto godendo ” Gemeva la donna nell’estasi della masturbazione.

Il dottore tirò verso l’alto la piccola catenella che teneva insieme le due pinze, il seno della paziente fu tirato verso l’alto dai capezzoli tesi ed allungati. Qualcuno dal pubblico iniziò a muoversi sulla sedia cercando di sistemarsi più comodamente per gustare meglio lo spettacolo.

La paziente mugolava ad alta voce, invocava il godimento, la bocca del dottore si increspò in un sorriso soddisfatto :’ Ora cari signori passiamo ad una fase successiva. La paziente sarà sottoposta ad una sollecitazione più profonda e dolorosa, prego infermiere introduca la macchina.’

L’aiutante del dottore portò nella sala un macchinario metallico con un albero a camme alla cui estremità erano fissati due enormi falli in plastica. L’infermiere li unse, poggiò i due falli a ridosso dei buchi umidi della donna che, a gambe oscenamente larghe, aspettava ansimando l’ingresso nei sui più intimi pertugi di quei due mostri di plastica morbida.

L’infermiere spinse, facendo gridare dal piacere la donna, accese la macchina che, sferragliando sommessamente, iniziò a muovere i due enormi cazzi finti nella fica e nel culo della donna. La paziente inarcò la schiena, un fallo di color neutro le slabbrava la fica mentre un altro, nero e molto largo, le stava sfondando il piccolo forellino anale uscendone lordo ed umido.

‘Ohhh Dio come mi sfondano, ancora ‘. Ancora ‘. Siiii ‘.’ Implorava la donna ad occhi chiusi.

Tra i presenti si levò un leggero brusio, qualcuno avanzò dalle ultime file per cercare di vedere meglio quello che stava accadendo sul lettino.

Ad un cenno del dottore l’infermiere spense la macchina e fece scendere dal lettino la donna, la fece girare facendola adagiare al bordo del lettino con le gambe divaricate, dalla sua fica colavano gli umori viscidi del suo godimento. L’infermiere fece entrare di nuovo il fallo nero nel culo della paziente, poi a forza infilò anche l’altro, lo sfintere a stento reggeva la divaricazione di quei due enormi cazzi finti. Di nuovo l’infermiere accese la macchina, i due falli entravano nel culo della donna slabbrandole l’orifizio arrossato ed oscenamente aperto.

‘Ora procediamo con l’ultimo test ‘ chi è così coraggioso da infilare il suo uccello nella bocca di questa potenziale assassina ?’ Chiese il dottore, con una punta di divertimento nella voce, al pubblico.

Il generale dell’esercito alzò la mano, fu invitato ad avvicinarsi alla donna. Il militare si sbottonò i pantaloni sfoderando il suo cazzo duro e gonfio dall’eccitazione. I due falli artificiali entravano senza fatica nell’ano slargato della paziente che strillava convulsamente. Il generale infilò il cazzo con brutale crudezza nella bocca della donna che lo accolse ingorda. La paziente ciucciava come un ossessa il membro del generale, lo sentiva in gola, lo leccava avida saggiandone il sapore forte. L’infermiere, evidentemente eccitato, aumentò il ritmo della macchina, le cosce della donna erano bagnate dai suoi umori, venne schizzando un getto di liquido caldo che colpì l’infermiere sul camice.

Il generale venne nella gola della donna tenendole la testa con la mano fino a fargli bere anche l’ultima goccia di sborra.

L’infermiere staccò la macchina, la donna gli si buttò ai piedi implorandolo :”Ancoraaaa ‘. Ne voglio ancora ‘. Dai sbattimelo ancora nel culo ‘. Ancoraaaa ‘.’

Il dottore fece portare via la donna mentre concludeva la sua dimostrazione :’ Signori, abbiamo finito, spero che i risultati del test abbiano soddisfatto i nostri comuni amici e ‘ finanziatori ”

Gli invitati risero complimentandosi con il dottore, uscirono dalla sala conferenze fermandosi nella stanza attigua dove era stato allestito un rinfresco.

Il generale si avvicinò al dottore :’ Complimenti, sono soddisfatto ‘ in tutti i sensi ‘ mi dica ‘ non è possibile avere una dimostrazione privata del vostro composto diciamo ‘ ehm ‘ la prossima settimana ? lo sa che posso influenzare decisioni molto ‘ importanti se opportunamente ‘. sollecitato.’

Il dottore sorrise furbescamente :’ Mio caro general e, mi chiami la prossima settimana, farò in modo che lei possa scegliere il soggetto che più l’aggrada !’

‘Perfetto, la richiamerò sicuramente.’ Disse il generale soddisfatto.

Il dottor Sibelli guardò lo schermo dello smartphone, il sorriso che lo aveva illuminato pochi secondi prima fu spento dal messaggio proveniente dalla sezione di detenzione, corse via senza salutare nessuno degli invitati, c’erano problemi con la nuova ospite.
UFFICIO DELLA BADESSA ORE 14.00

Padre Ignacio sedeva sulla poltroncina in sala d’attesa, di fronte alla scrivania di Carlotta, la segretaria della badessa. La ragazza stava correggendo il contratto di manutenzione per i lavori di rifacimento della facciata lato est del monastero, dove le suore avevano i loro dormitori.

L’abate guardava con interesse la ragazza, era assorta a scrivere sul computer, indossava una camicetta nera ed una gonna grigia aderente, seduta a gambe accavallate muoveva il piede digitando sulla tastiera, l’uomo ammirava le sue gambe affusolate, le sue caviglie fini esaltate da sandaletti grigi con un tacco abbastanza alto.

‘Quando ha detto che potrà ricevermi la Badessa ?’ Chiese l’abate impaziente.

‘Non è ancora nel suo ufficio, mi ha detto che sarà qui tra poco e di aspettarla. Ha tenuto a precisare che la faccenda è molto urgente.’ Rispose Carlotta.

Il telefono squillò, Carlotta alzò la cornetta, era Sergio, il suo fidanzato. La ragazza parlava a bassa voce cercando di non far ascoltare all’abate la sua conversazione privata. L’espressione della ragazza era seria, dall’altra parte qualcuno le stava dicendo qualcosa di poco piacevole, muovendosi con la sedia ad aprire un cassetto la ragazza allargò leggermente le gambe scoprendo, alla vista dell’abate, le sue mutandine nere.

Padre Ignacio fantasticava sul corpo della ragazza, ne percorreva con lo sguardo le curve delle cosce, la vista delle mutandine lo eccitava, immaginava la fichetta della ragazza senza peli, con le labbra pronunciate ed il clitoride sporgente, come piaceva a lui.

L’uomo non era mai stato uno stinco di santo. Aveva preso i voti per fuggire dalla miseria delle favelas brasiliane ma quello che aveva appreso durante la sua gioventù lo aveva forgiato ad essere prepotente ed incline alla violenza. Aveva avuto donne sia prima che dopo aver preso i voti, anzi, della sua posizione ne aveva approfittato, facendo cadere nella sua rete ignare e semplici devote.

La sua carriera nel clero era stata veloce, spinta da ricatti ed intrighi, forte delle sue connivenze con la malavita brasiliana era riuscito a farsi trasferire a Roma, nella città del vaticano, da dove aveva fatto da tramite con la malavita locale.

La droga era il suo vizio più radicato, dopo anni di traffici ed espedienti la polvere bianca gli era diventata un supporto insostituibile alle sue depravazioni.

La badessa entrò trafelata nella stanza, seguita dal dottor Sibelli e da un inserviente del ricovero evidentemente scosso e spaventato.

‘Venga nel mio ufficio Abate, abbiamo cose importanti di cui parlare.’ Disse la badessa mentre apriva la porta di legno massiccio del suo ufficio.

L’abate si alzò lentamente, la sua stazza lo faceva muovere a rilento, l’imponenza della sua figura aveva sempre provocato una sorta di timore e lui ne faceva un suo punto di forza. Diede un ultima occhiata alle cosce scoperte della segretaria ed entrò nell’ufficio.

CANTIERE ALA EST ‘ ORE 14.10

Suor Clara passeggiava nell’uliveto all’esterno delle mura centrali del monastero. La facciata est della costruzione era coperta dalle impalcature erette per la messa in opera dei lavori di ristrutturazione della struttura antica. Gli operai urlavano e sudavano lavorando sospesi sulle palanche di legno della struttura metallica.

La Religiosa si sedette all’ombra di un ulivo, da lì poteva seguire i lavori, la vista di quegli uomini sporchi e operosi la distraeva dai pensieri cupi che la opprimevano. Aveva comunicato a Suor Luigia la punizione che l’aspettava. La sorella aveva reagito in maniera violenta alla sua comunicazione accusandola di essere una spia. Clara ascoltava le urla dei lavoranti, erano tutti provenienti dall’est, rumeni, moldavi, Ucraini.

L’impalcatura tremò leggermente, gli uomini che vi erano sopra si ressero ai tubi metallici per non cadere, la bruma verde iniziò a salire verso l’alto, tentacoli incorporei ricoprirono la struttura pensile rendendola irreale, gli uomini allarmati si guardavano gli uni con gli altri. Suor Clara si alzò, avvicinandosi al fenomeno, vide gli operai tentare di scendere quando la nebbia irreale li avvolse completamente per poi sparire misteriosamente come era apparsa.

Gli uomini scesero a terra, si guardavano senza parlare, come se tra di loro ci fosse un legame, come se facessero parte di un branco. Suor Clara si accertò che stessero bene, gli operai annuirono silenziosamente avviandosi verso l’impalcatura ma senza salirvi. La suora tornò all’ulivo ripensando allo strano fenomeno. Il gruppo di cinque uomini era riunito in cerchio ai piedi della struttura metallica, parlavano tra di loro senza parole, la donna li guardava incuriosita.

Suor Clara si stancò di osservare gli operai, erano ormai dieci minuti che stazionavano senza muoversi e senza parlare, si incamminò nel folto dell’uliveto, il sole era alto e la luce donava al posto un qualcosa di magico. Si fermò ai piedi dell’albero più vecchio, il suo tronco ricurvo incuteva timore e rispetto, era alto e l’ombra che proiettava a quell’ora del giorno era invitante.

Suor Clara si sdraiò sull’erba, guardava le nuvole quando un fruscio la fece alzare, i cinque operai le erano intorno, con le loro mani in tasca, le loro canottiere macchiate di vernice, le loro facce assenti ma, allo stesso tempo, pericolose.

La donna si alzò impaurita :’Cosa volete ‘ che fate qui ”

Uno degli uomini le si avvicinò al volto, aprì le labbra, un sottile sbuffo verdastro usci dalla sua bocca insinuandosi nelle narici della suora. La Religiosa tentò di fuggire, corse verso il dormitorio scartando gli uomini che, immobili, la fissavano inespressivi. I rami bassi degli ulivi le strapparono il velo sciogliendole i capelli lunghi e mossi. Ogni passo le sembrava più pesante, la vista sfuocava a tratti rendendole ardua la fuga, girava la testa per controllare gli uomini alle sue spalle ma quelli restavano fermi come ad aspettare.

Suor Clara si fermò ansimando vistosamente, le sue gambe iniziarono a muoversi autonomamente verso gli operai, tornò indietro, il suo corpo non le obbediva, il gruppo si allargò a semicerchio per poi accerchiarla una volta che lei fu giunta nel mezzo. Le loro mani iniziarono a toccare il corpo della suora, il suo petto veniva stretto con violenza. Le fu alzata la veste, indossava delle calze bianche che le furono strappate all’altezza dell’inguine, anche le mutandine bianche di cotone le furono tolte a forza. Dita callose e tozze si insinuarono nella sua fica.

Suor Clara era sopraffatta, la sua coscienza si era sdoppiata, la sua mente rifiutava le attenzioni oscene degli operai ma il suo corpo reagiva sotto il controllo di una misteriosa malia, allargò le gambe, le dita degli uomini frugavano dentro di lei, le stringevano il clitoride facendola gocciolare copiosa.

‘No ‘ non voglio ‘ lasciatemi vi prego ” Implorava la religiosa mentre si offriva impudica agli uomini che la circondavano. Uno di loro le sbottonò la tunica, i suoi seni ballonzolarono fuori dal reggiseno scoprendo i capezzoli inturgiditi, le sue mani furono portate ad afferrare i membri eretti degli uomini, le dita della suora carezzavano le loro aste tese e nodose.

La religiosa fu fatta inginocchiare, lacrime calde le solcarono le guance mentre la sua bocca veniva profanata dalle cappelle rosse e gonfie dei suoi aguzzini. Da dietro fu fatta piegare, sentì mani sconosciute afferrarla per i fianchi, urlò quando la presero da dietro, con foga animalesca, infilandole nella fica i loro cazzi duri. A turno iniziarono a scoparla da dietro.

Due degli operai si alternavano nella sua bocca, mentre li leccava le loro mani torturavano il suo seno enorme, i capezzoli le venivano stretti, tirati violentemente, schiaffeggiati con forza.

La donna assaporava il gusto acre dei cazzi che le scopavano la gola, il suo corpo sussultava ad ogni colpo di bacino dell’operaio che la stava prendendo in quel momento, iniziò a godere, la sua mente non si stava più sforzando di resistere, dal suo ventre ondate di piacere salivano prepotenti facendola urlare.

‘Oh mio Dio ‘ cosa fate ‘ mhhh ‘ mi piace ‘ mi sta piacendo ‘ che il signore mi perdoni ‘ godo .. godooo.’

Gli uomini, incoraggiati dalle sue grida, iniziarono a scoparla con più foga, uno degli operai le allargò le natiche, la donna senti la cappella spingerle all’ingresso del buco stretto e scuro del suo culo, sentì la carne calda del cazzo penetrare dentro di lei con forza riempiendola e facendola urlare dal piacere.

‘Ahhh ‘ cosa ? Dio mio, nel culo ‘ allargatemi tutta ‘ sono una puttana ‘. Sono una puttana ”

Una spinta più forte.

‘Siii sfondami, ancoraa !’

L’uomo le afferra le natiche e le allarga per poi penetrare dentro il suo culo slargato fino alla radice del cazzo, fino a farla godere nell’essere completamente aperta.

‘Ancoraaaa, più in fondo, più grande, lo voglio più grande ‘ vi prego scopatemi.’

La suora aveva perso qualunque freno, squassata dagli orgasmi pregava quegli uomini rudi e maschi di scoparla fina al limite. La fecero alzare per legarle le braccia, con il cordone della tunica, ad un ramo del vecchio albero di ulivo. Le schiaffeggiano il seno, che ballonzola eccitante ad ogni colpo, segni rossi le compaiono sulla pelle chiara. Da dietro un altro degli operai la scopa nella fica scivolando tra i suoi umori caldi, la donna geme, urla, si dimena.

Ad ogni schiaffo il suo utero si contrae di piacere, le afferrano le gambe e la penetrano da davanti mentre uno degli operai le lecca il buco del culo che cola liquidi caldi ed intensi. La slegano, la fanno accucciare a terra, con il culo esposto ai loro occhi, pronto per i loro cazzi.

A turno le slargano il culo, ciascuno degli uomini le schizza fiotti di sperma caldo e denso nello sfintere facendola gemere come un ossessa.

‘Mhhh siii nel culo, com’è calda, sono una troia vero ? Siii mi sento tanto troia, trattatemi come una lurida cagna ”

Rivoli di sperma escono dal culo oscenamente dilatato della suora, lei lo raccoglie con due dita, se le porta alla bocca, lecca avida masturbandosi e leccando i cazzi lordi degli uomini che le sono davanti.

Dopo aver goduto gli operai lasciano la donna inerme sul prato, nuda e lorda di sperma, lei alza gli occhi, le sembra di scorgere un volto, un volto maligno che la fissa e ride, lei allarga le gambe, allunga le braccia verso l’amante immateriale, il volto sogghigna malvagiamente e scompare. Suor Clara sviene in un limbo senza coscienza.

UFFICIO DELLA BADESSA ORE 15.00

‘Allora ha iniziato ad ondeggiare ‘ e il sangue ‘ il sangue usciva dalle fottute pareti ”

Il racconto dell’inserviente aveva scosso i nervi della badessa, lo sapeva che la nuova ospite avrebbe portato dei problemi, dal suo arrivo a Monte Crucio non c’era stato giorno in cui la madre superiora non aveva rivolto un pensiero a quella ragazza misteriosa su cui tutti avevano puntato la loro attenzione.

Il dottor Sibelli congedò l’inserviente, poi guardando i suoi interlocutori chiese : ‘E ora che si fa, scientificamente non posso nemmeno immaginare un fenomeno del genere, forse voi dall’alto della vostra esperienza spirituale potete aiutarmi.’

Padre Ignacio rispose : ‘Siamo certi dell’attendibilità dell’inserviente ? Forse è un visionario, forse lo stare con i pazzi tutto il giorno ha fatto impazzire anche lui ..’

‘Ci sono testimoni, l’inserviente è affidabilissimo, valuto attentamente ciascun lavoratore che viene assunto nella struttura ” Disse il dottore rivolto a Suor Brigida, era lei l’ago della bilancia, era la badessa quella che, alla fine, prendeva sempre la decisione giusta.

‘C’è anche un altro problema e, mi sembra strano che Padre Ignacio non ne sia al corrente ”

‘Cosa devo sapere ?’
‘Padre Alphonse è scomparso, nessuno al monastero lo ha visto da ieri. Era venuto da me avvertendomi di un ‘ anomalia giù in chiesa e da quel momento nessuno ne ha avuto più notizia, l’ultimo ad averlo visto è stato Giulio Lorci, il marito di Mara ”

‘Quale anomalia ?’ Chiese il dottore.

‘Non si preoccupi, sta arrivando qualcuno dalla santa sede che si deve occupare del problema, forse è il caso, se padre Ignacio è d’accordo, di coinvolgerlo anche in questa misteriosa sparizione ”

‘Se mi aggiornerà su quanto sta succedendo non vedo problemi a permetterlo, se invece lei continua a gestire questo posto come se io e ‘ il dottore non esistessimo ‘ mia cara mi permetta di dirle che non permetterò a nessuno di mettere il naso negli affari dei miei monaci.’ Disse stizzito padre Ignacio.

I tre iniziarono a litigare, Carlotta dalla stanza d’attesa ascoltava le urla distrattamente, il suo cuore era stato spezzato da quello stronzo del suo fidanzato. Era stata lasciata dopo che aveva concesso al ragazzo la sua verginità. Si sentiva ingannata, usata. Lui l’aveva presa sui sedili posteriori della macchina, senza romanticismo, senza dolcezza, un atto meccanico a cui lei si era concessa per amor suo.
Si sentiva disperata, guardò l’orologio, erano le 16.00, dall’ufficio della badessa le urla continuavano, uscì, il suo turno di lavoro anche per oggi era terminato.

FORESTERIA ‘ ORE 16.15

Carlotta rincasò, seduti in cucina c’erano Giulio, suo padre, con Marco, suo fratello.

‘Dov’è la mamma ?’ Chiese acida Carlotta, aveva ancora gli occhi arrossati dal pianto.

Marco, con un gesto rapido fece sparire dal tavolo la bustina di cocaina che aveva usato poco prima con suo padre. I due si rifornivano da Padre Ignacio, legati non solo dal vincolo famigliare ma anche da vizi e perversioni, padre e figlio guardarono Carlotta mentre posava a terra la borsa.

‘E’ dovuta scappare a Roma, in vaticano, per una commissione urgente, sarà a casa domani sera ” Rispose Marco, ‘ ‘ tu cosa hai fatto ?’

‘Quello stronzo di Sergio mi ha lasciata, per telefono, nemmeno il coraggio di guardarmi in faccia ha avuto!’

Giulio, il padre, si alzò dalla sedia, raggiunse sua figlia e l’abbracciò, cercò di non aderire al corpo della ragazza a causa dell’erezione che la sola vista di Carlotta gli aveva provocato.’

‘Piccola mia, non ci pensare, quello stupido non ti merita, vedrai che oggi tuo babbo e tuo fratello ti coccoleranno tanto fino a farti dimenticare lo stronzo.’

‘Grazie babbo, ora vado a fare una doccia ed a cambiarmi, poi ci organizziamo per la cena, ho voglia di cucinare per distrarmi, vi preparo qualcosa di buono.’

Padre e figlio si scambiarono un occhiata di intesa mentre seguivano la ragazza che si avviava verso il bagno.

‘Marco, vai a comprare del vino rosso, almeno sei bottiglie, poi vai in videoteca e prendi un bel film, stasera passiamo una serata in famiglia e facciamo rilassare tua sorella.’

Carlotta fece la doccia, andò in camera sua, strappò tutte le foto che la ritraevano col suo, ormai, ex-fidanzato. Indossò degli shorts gialli di cotone leggero ed una maglietta colorata che le lasciava scoperta la pancia. Quando uscì dalla stanza suo padre era ancora in cucina che sfogliava il giornale, aprì il frigorifero scegliendo il menu di quella sera. La doccia aveva lavato via parte delle sue sofferenze, canticchiava mentre tagliava le zucchine. Giulio guardava sua figlia, gli shorts le fasciavano il sedere piccolo ma ben fatto, i fianchi appena accennati e le sue gambe lunghe erano invitanti.

Marco aveva noleggiato un film di fantascienza e preso il vino, quando rientrò a casa trovò sua sorella china ad infornare il tortino di zucchine che aveva preparato, in quella posizione poteva ammirare il culo della ragazza in tutto il suo splendore. Suo padre era seduto al tavolo anche lui rapito da quella vista.

Giulio versò il vino in tre bicchieri e lo offrì ai suoi figli, brindarono sorridendo, Carlotta proseguì a cucinare, Marco mise su della musica, sorseggiavano sereni il vino mentre ognuno si occupava della cena.

Quando fu ora di mangiare le bottiglie vuote sul lavello erano arrivate a tre, si misero a tavola, brilli, facendo battute e ridendo. Carlotta si era completamente rilassata, Marco guardava incuriosito suo padre che faceva il simpatico con la figlia, il ragazzo iniziava ad intuire dove voleva arrivare il genitore e l’idea lo stuzzicava.

In generale Marco non mancava occasione per spiare la sorella o la madre, la notte si masturbava forsennatamente pensando a sua madre, alle sue cosce tornite e sensuali, al suo culo abbondante. Nelle sue fantasie allargava le natiche di sua madre per leccarle avido il buco del culo, vedeva se stesso affondare estasiato il cazzo tra le cosce della donna che lo aveva messo al mondo.

‘buonissimo il tortino amore ” Disse Giulio rivolto alla figlia mentre le versava dell’altro vino.

‘Grazie papà, la mamma è una buona insegnante, sono contenta che vi piaccia ”

Finirono la cena, Marco e Giulio andarono in salotto, accesero il televisore. Marco tirò fuori la bustina con la polvere bianca.

‘Ne vuoi ?’ Chiese al padre mentre gli porgeva la banconota arrotolata.

‘Si perché no ” Rispose il padre chinandosi sul tavolino ad aspirare la sostanza stupefacente.

In quel momento entrò Carlotta, aveva finito di lavare i piatti e li stava raggiungendo per vedere insieme a loro il film noleggiato.

‘Babbo, che stai facendo ? Sei pazzo ? Quella è cocaina !’ Esclamò la ragazza stupita, biascicava leggermente a causa del vino, era scalza, i suoi piedini graziosi si muovevano armoniosi mentre cercava di stare in piedi senza barcollare troppo, era ubriaca.

‘Dai tesoro, che c’è di male, facciamo un lavoro di merda tutti quanti, sempre a correre per questo o quel servizio, poi una volta finito torniamo in una casa che non è nostra, un po’ di aiuto per decomprimere la tensione ‘ poi, con quello che ti è successo oggi, servirebbe anche a te.’ Disse Giulio, porgendo la banconota alla figlia che era ancora ferma sulla soglia.

‘Dai, non succede niente, solo per rilassarsi un po’ ” Proseguì Marco, sornione.

La ragazza, titubante si avvicinò al divano, si sedette tra il padre ed il fratello, afferrò la banconota e si chinò sulle strisce di polvere bianca preparate dal padre. Nel chinarsi gli shorts si spostarono mostrando il perizoma a strisce colorate che incorniciava le sue natiche giovani ed invitanti.

‘E’ la prima volta, mi si è addormentato il naso ” Rise Carlotta ubriaca e leggera, il cuore le batteva forte.

Nel frattempo Marco aveva fatto partire il film, il protagonista era Vin Diesel, Carlotta era entusiasta.

‘E vaaai, grande Marco ” Urlò contenta, ‘ ‘ mi piace troppo lui, me lo farei proprio ”

Resasi conto di avere esagerato guardò suo padre : ‘Scusa babbo, mi sento un po’ alticcia ”

Giulio le poggiò la mano sulla coscia sorridendo : ‘Piccola mia, non ti preoccupare, siamo tutti un po’ su di giri, ma è la serata che ti avevo promesso no ? Come stai ?’

‘Benissimo ” Rispose lei, bevendo un altro sorso di vino.
‘ ‘ posso usarla ancora ?’ Chiese indicando la cocaina sul tavolo.
‘Certo ” Rispose il padre.

Carlotta inalò di nuovo la polverina bianca, si accoccolò sul divano tra i suoi due maschi, Marco ogni tanto occhieggiava le gambe della sorella, le carezzava i piedi, era eccitato, il contatto con le dita graziose della ragazza lo stuzzicava, le massaggiava la pianta e la caviglia, le passava le sue dita tra le dita dei piedi.

Carlotta rimirava Vin Diesel, era sempre stato il suo sex symbol, forte, maschio. Beveva con gusto il vino rosso e denso, aveva la testa leggera, intorpidita da alcool e droga, appoggiò la testa sulla spalla del padre che le cinse le spalle con il braccio stringendola a se.

Marco salì a carezzarle il polpaccio, superò il ginocchio ed arrivò alle cosce, la pelle della sorella era liscia, vellutata, si spostò verso l’interno, il suo cazzo era teso all’inverosimile.

Giulio abbracciava la figlia, la sua mano era all’altezza del seno, poteva vederne la curva lieve dalla maglietta sbrindellata. Provò a sfiorarla, il dorso della mano toccò lievemente il seno della figlia attraverso il cotone fino, Carlotta non si scompose, si girò verso il padre con gli occhi lucidi e gli bisbigliò all’orecchio : ‘Babbo, ne prendo un altro pochino ‘ mi fa stare bene ”

Giulio annuì, aveva il cazzo che spingeva dolorosamente nei pantaloni.

‘Uff ‘ ‘ Sbuffò Giulio.
‘Che hai fatto babbo ?’ Chiese la figlia mentre tirava un’altra striscia.
‘Ho i pantaloni stretti e sto scomodo ma non mi va di cambiarmi, mi piace il film ” Rispose Giulio.
‘Levateli ‘ tanto siamo in famiglia ” Disse Carlotta risistemandosi tra i due nella stessa posizione.

La ragazza prese la mano del fratello e la portò alla gamba facendogli capire che quella coccola gli piaceva. Giulio si sfilò i jeans stretti, rimase in slip, il bozzo della sua erezione era palese, Carlotta poggiò la testa sulla sua spalla, i suoi occhi guardarono fugacemente le mutande tese del padre.

Carlotta allargò lievemente le gambe, lo sguardo fisso allo schermo, suo padre le sfiorò di nuovo il seno, stavolta le sue dita si intrufolarono nella maglietta, il suo mignolo toccò il capezzolo della figlia, piccolo e turgido.

Marco salì ancora con la mano, era a ridosso dell’inguine della sorella, azzardò un contatto, le sue dita sfiorarono il tessuto leggero degli shorts, aumentò leggermente la pressione del tocco, tastando la morbidezza delle piccole labbra della fica di Carlotta attraverso il cotone.

Le dita di Giulio giocavano col capezzolo della figlia, i suoi polpastrelli disegnavano piccoli cerchi intorno all’areola del piccolo seno, si stringevano morbidi a stuzzicare il capezzolo turgido ed invitante. Carlotta si stava godendo la sensazione languida delle carezze che stava ricevendo, la sua testa era leggera, il suo cuore batteva all’impazzata per l’eccitazione delle sensazioni proibite che quei tocchi lievi le stavano donando.

Carlotta si versò dell’altro vino, il liquido le riscaldò la pancia facendola rabbrividire, la testa le girava, si sentiva umida tra le gambe, si chinò a sniffare altra polverina bianca, si rimise sul divano, allargò le cosce, ormai senza pudori, aspettava la visita delle mani di suo padre e suo fratello.

Giulio, ormai consapevole di aver raggiunto il suo scopo tirò su la maglietta della figlia, si chinò a leccarle i seni piccoli e morbidi, la sua lingua titillava i capezzoli. Marco le aveva scostato gli shorts, le sue dita entravano nella fica della sorella, era fradicia, leccò il suo sapore, poi portò le dita umide alla bocca di Carlotta che tirò fuori la lingua assaggiando i suoi stessi umori.

La mano della ragazza scese verso le gambe del padre, carezzò il membro del padre che, prepotente, uscì fuori dal bordo degli slip, le dita di Carlotta toccarono la punta rossa e dura del cazzo paterno, lo afferrò stringendolo, sentendolo inturgidirsi nel palmo della sua mano.

Marco sfilò gli shorts e le mutandine alla sorella, si chinò tra le sue cosce ammirando la sua fichetta implume, le sue labbra piccole e arrossate dall’eccitazione, bagnate dall’eccitazione; la sua lingua iniziò a titillare il clitoride della ragazza, scese verso la fessura fradicia e gocciolante, con le dita le teneva aperte le labbra della fica.

Carlotta ansimava, il cazzo del padre le riempiva la mano, lo masturbava lentamente, col pollice gli toccava la cappella gonfia, l’eccitava sentire il membro turgido che guizzava ad ogni suo tocco.

Marco si era sbottonato i pantaloni, aveva allargato le gambe della sorella afferrandole con le mani, spinse il cazzo dentro di lei, il calore lo avvolse, le labbra umide della sua fica si chiusero intorno al suo membro, iniziò a muoversi dentro di lei.

Giulio montò in piedi sul divano, Carlotta ingorda allargò la bocca ed ingoiò il cazzo del padre. Il sapore acre del membro paterno la faceva impazzire. Suo fratello la stava scopando in modo divino, sentiva il cazzo che le scivolava dentro, la sua fica era fradicia ed accogliente, il piacere, la droga, l’alcool, si mischiavano in un’unica turbinante sensazione di godimento. La sua lingua si avvolgeva intorno alla carne dura del cazzo di Giulio, lo ingoiava avida, giù fino in fondo, con la cappella che le riempiva la bocca.

Marco ed il padre si cambiarono di posto, Carlotta poté assaggiare il cazzo del fratello odoroso dei suoi stessi umori, la sua lingua percorreva per intero l’asta dura di Marco per poi ingoiarla tutta, serrando le labbra e succhiando forte.

Giulio scopava la figlia come un forsennato, le sue dita, dapprima dolci e delicate, stringevano forte i capezzoli di Carlotta, li stava torturando strizzandoli e tirandoli oscenamente.

Carlotta gemette nel momento in cui Marco le venne in bocca, sentì la sborra calda irrorarle la gola scendendo nel suo stomaco, inghiottì tutto gustando il sapore acidulo dello sperma.

Giulio stava per venire, si sfilò dalla figlia e le fece tirare fuori la lingua mentre lui si masturbava il cazzo dinanzi il volto di Carlotta. Lo schizzo le inondò la faccia, colandole sulle guance e sul collo.

Marco si accese una sigaretta, soddisfatto, Carlotta si accoccolò al padre in preda all’estasi dell’orgasmo, Giulio sedeva rilassato accarezzando i capelli della figlia e pensando alle future porcate che lo aspettavano.

UFFICIO DELLA BADESSA ‘ ORE 17.00

‘Sorella, io capisco tutto, ma lei ancora non mi ha risposto su cosa sta succedendo nella chiesa ” Urlava Padre Ignacio verso Suor Brigida.

La badessa restava ferma sulla sua posizione, i suoi nervi iniziavano a cedere, erano tre ore che discutevano e non riusciva a far calmare l’abate.

Bussarono alla porta, la badessa andò ad aprire, sulla soglia apparve un uomo alto di circa quaranta anni, massiccio, lunghi capelli neri ed unti gli scendevano sulle spalle larghe, i suoi occhi erano di un nero profondo.

‘Buonasera, mi chiamo Astor Almond, mi manda la santa sede ‘ è lei suor Brigida ?’

La badessa annuì e lo fece accomodare, l’uomo la turbava, era bello, di una bellezza selvaggia e misteriosa, la religiosa lo mise al corrente degli ultimi avvenimenti, l’uomo ascoltò in silenzio mentre nel monastero il buio prendeva, lentamente, il posto della luce.
UFFICIO DELLA BADESSA ‘ ORE 17.30

Il dottore venne congedato, l’arrivo dell’uomo dalla santa sede richiedeva una riunione ristretta tra lui la badessa e l’abate.

Suor Brigida si sedette alla sua scrivania, nella foga della discussione avvenuta qualche minuto prima con padre Ignacio una ciocca di capelli biondi le era fuoriuscita dal velo.

Il nuovo arrivato, Astor si sedette nella poltroncina antistante la scrivania, padre Ignacio sprofondo in quella più capiente.

‘Dunque ” iniziò Suor Brigida ‘ ‘ ora che siamo soli possiamo iniziare, lei sa del sigillo ?’

‘Si, ho letto il dossier del Cardinale Mazzi ” Rispose l’uomo dagli occhi scuri, ‘ ‘ ma non c’è molto. Sappiamo solo che è molto antico e che il monastero fu costruito a custodia del sigillo. Il resto della documentazione parla più che altro di leggende e dicerie popolari, cose già note riconducibili ad altre leggende inerenti demoni e possessioni, nulla di concreto.’

‘Il sigillo si è incrinato ” Rispose Suor Brigida, il monaco che ha scoperto la crepa è scomparso, l’ho fatta chiamare per avere una rassicurazione sulla stabilità della pietra e sulle procedure da adottare in caso di un suo cedimento, la biblioteca del monastero, le suore, i monaci sono a sua completa disposizione.’

‘Di cosa si occupa precisamente lei signor ” Chiese padre Ignacio con un tono di voce leggermente infastidito.

‘Astor, mi chiamo Astor Almond. Diciamo che faccio parte di una sezione del vaticano che si occupa di quei fenomeni che non hanno una spiegazione ‘ razionale. Il sigillo di Monte Crucio fa parte della nostra sfera di competenza anche se né io né tantomeno il cardinale ne conosciamo il motivo. Il responsabile dei documenti riguardanti il monastero è scomparso misteriosamente portando con sé tutte le informazioni. Ecco perché il cardinale, avuta la notizia da Suor Brigida, ha avuto premura di inviarmi in loco.’

‘Mhh, quindi potrebbe anche non essere niente, sa, l’idea di avere qualcuno di estraneo che va in giro a curiosare mi infastidisce alquanto ” Puntualizzò padre Ignacio.

‘Se la infastidisce ‘ evidentemente ha qualcosa da nascondere ” Rispose con una calma serafica Astor.

‘Si sbrighi ‘ faccia il suo lavoro e se ne vada ” Concluse l’abate irritato, ‘ ‘ al contrario di suor Brigida io non pendo dalle labbra del cardinale.’

L’abate si alzò dalla poltrona di pelle scura, salutò l’uomo dai capelli lunghi e si rivolse a Suor Brigida : ‘il mio monaco, padre Luca, è rinchiuso nella cella di costrizione e ne uscirà tra una settimana, a quando la punizione per la sua novizia ?’

‘Stanotte, le farò sapere l’ora più tardi, grazie della sua premura.’ Rispose suor Brigida increspando le labbra in un sorriso.

Una volta l’abate fu uscito suor Brigida rimase sola con l’uomo della santa sede. Non riusciva a guardare a lungo i suoi occhi scuri, la sua voce, il suo accento dell’est le suonavano familiari, l’uomo la rendeva nervosa e non riusciva a spiegarne il motivo.

‘Bene ” Disse Almond, ‘ ‘ se mi indica dove posso sistemarmi andrei a riposare, conto di iniziare le mie ricerche domani mattina.’

‘Può prendere una stanza nell’ostello, appena fuori il chiostro centrale, sulla destra, troverà una sorella alla reception che le assegnerà una stanza.’

‘Grazie, la terrò informata.’

Almond uscì dalla stanza, suor Brigida lo seguì con lo sguardo dalla finestra che dava sul chiostro centrale. Gli occhi dell’uomo la turbavano, la memoria cercò di ripescare il ricordo di qualcosa che era stato rimosso qualcosa che aveva influenzato per sempre la vita di Brigida Albini.

SICILIA ‘ ERICE – 1981

Brigida era una ragazza molto bella, bionda con capelli lunghi ed occhi verdi. Suo padre era un siciliano di vecchio stampo, un uomo autoritario e di poche parole, sua madre era di Monaco ed aveva conosciuto il padre di Brigida durante una vacanza estiva.

L’adolescenza di Brigida fu segnata dalla severità del padre, non le era permesso frequentare i suoi coetanei, tantomeno quelli di sesso opposto, crebbe reclusa in casa, sempre controllata dal padre e mai difesa dalla madre. Al compimento del diciottesimo anno di età suo padre la promise in sposa ad Alfonso Viganò, il vecchio notaio del paese che aveva da tempo messo gli occhi sulla ragazza.

Il matrimonio fu celebrato nel paese in presenza di pochi conoscenti ed amici, i due neosposi partirono immediatamente alla volta di Roma, dove il notaio aveva comprato una grande casa con annesso il suo studio, con l’intenzione di esercitare la sua professione nella capitale.

Ben presto Brigida scoprì la vera indole del marito , erano nel nuovo appartamento romano, la prima notte di nozze. Dopo che lei si fu spogliata, il notaio chiamò ad alta voce il suo autista che irruppe nella stanza da letto. Prima che Brigida potesse realizzare cosa stava succedendo l’uomo alto e muscoloso la buttò sul letto facendola girare. Il notaio sedeva comodo su una sedia accanto al letto, l’autista tirò fuori il suo membro mentre si sputava sulla mano per lubrificare la ragazza vistosamente spaventata.

L’uomo le entrò con violenza dentro, tenendola per i fianchi, tirandole i capelli biondi fino a farla strillare, il cazzo usciva dalla sua fessura sporco del suo primo sangue, il notaio incitava il suo autista a possederla più brutalmente. Le mani dell’uomo si strinsero intorno alla gola della ragazza, ormai stremata dai colpi di bacino che le squassavano il ventre. L’anziano marito si era spostato sul letto, proprio di fronte il volto sofferente della giovane, si toccava il cazzo floscio e raggrinzito, la forzò a prenderglielo in bocca. Brigida fu scossa da un conato di vomito mentre la sua bocca veniva invasa da quell’uccello disgustoso.

La fecero girare, l’autista le afferrò le caviglie allargandole le gambe mentre la penetrava, iniziò a scoparla con foga, il notaio riuscì ad avere un erezione, Brigida sentì il suo cazzo indurirsi tra le labbra, era la prima volta per lei, completamente all’oscuro di tutto, teneva la bocca aperta mentre il marito le infilava il cazzo in gola spingendo fino a farla soffocare.

I due uomini al culmine del godimento avvicinarono i loro membri al volto della ragazza, le schizzarono in bocca, attenti a riempirla completamente del loro liquido vischioso ed acre, la costrinsero ad ingoiare tutto schiaffeggiandola ed insultandola pesantemente.

Passarono i mesi, le sevizie continuarono puntualmente, suo marito iniziò a giocare a carte, usciva tutte le notti per rincasare sempre più tardi, ogni notte perdeva sempre più danaro, ogni volta che perdeva sfogava sulla giovane moglie le frustrazioni. A volte Brigida veniva legata al letto, prona, il notaio le scudisciava le natiche con un frustino di cuoio mentre il suo assistente le infilava il cazzo in bocca, altre volte veniva sodomizzata con l’ausilio di un gigantesco fallo di legno levigato.

Brigida sopportava in silenzio, attenta a non irritare l’anziano, la sua educazione le aveva insegnato che non le conveniva ribellarsi.

A causa delle continue perdite di gioco il notaio cadde preda di usurai e malviventi, i soldi ormai erano finiti e l’uomo iniziò a cedere sua moglie per placare le continue richieste di denaro da parte degli strozzini. Brigida venne posseduta da molti uomini, a volte anche più di dieci in una sola serata, venne introdotta all’uso di cocaina e pillole. Col passare degli anni le continue angherie iniziarono a provocarle piacere, la droga ed i continui abusi sessuali la fecero cadere in un percorso di depravazione che la irretì irrimediabilmente.

Durante uno dei festini in cui era stata catapultata conobbe l’uomo misterioso che le cambiò la vita.
Era in una villa fuori Roma, il festino era stato organizzato da un uomo che apparteneva alle alte sfere del clero, droga ed alcool erano abbondanti. Mentre veniva posseduta a turno dagli astanti si accorse di un uomo che sedeva su una sedia nell’angolo della stanza. Il suo volto era nascosto da un cappello a larghe tese. Brigida poteva sentire su di lei lo sguardo dell’uomo. Lo vide alzarsi e dirigersi verso di lei, le porse la mano, gli uomini che la stavano scopando si ritrassero timorosi mentre l’uomo la portava via dalla stanza.

Senza dire una parola la portò in un locale enorme, al centro c’era un letto a baldacchino ed una vasca di ghisa piena di acqua calda fumante e profumata, la invitò ad entrare nella vasca, Brigida si rilassò immediatamente, l’uomo non parlava ma non le staccava gli occhi di dosso. Dopo il bagno la fece asciugare, le porse un abito elegante che la ragazza indossò.

Sempre senza parlare la condusse attraverso il dedalo di corridoi della villa fino ad arrivare in una studio enorme, alla scrivania c’era un uomo vestito di porpora, indossava una papalina che incorniciava un viso intelligente e furbo.

L’uomo si presentò come il cardinale Claudio Mazzi, consigliere personale del papa e responsabile di una sezione segreta dell’intelligence del Vaticano. L’uomo misterioso che l’aveva condotta nello studio si congedò baciando galantemente la mano a Brigida e mentre stava uscendo le sussurrò all’orecchio con un accento straniero : ‘Meriti molto più, questa è la tua occasione, sfruttala al meglio e non farti troppe domande ”

Il cardinale le parlò a lungo, le disse che era stata sotto osservazione da molto tempo, le propose di prendere i voti, sarebbe stata istruita da persone fidate che le avrebbero insegnato la gestione di una realtà complessa come quella di una struttura monasteriale, le chiese un assoluta fedeltà nei suoi confronti e le promise che il suo passato sarebbe stato cancellato.

Poco prima di entrare in convento come novizia le arrivò una foto chiusa in una busta anonima. Nella foto suo marito, il notaio, pendeva da una trave dell’appartamento romano con una corda al collo, dietro la foto c’era scritto con un pennarello : ‘Sei libera ora.’

UFFICIO DELLA BADESSA ‘ ORE 18.00

Brigida si risvegliò dal turbinio di ricordi che l’avevano assalita, si sedette alla scrivania, si sentiva nervosa ed emozionata, aveva bisogno di sfogarsi, di abbandonare l’apparente serenità e di liberare la sua parte più nascosta. Chiamò la suora che era di sevizio al dormitorio : ‘Pronto, sono la Badessa, comunichi a Suor Giulia di presentarsi presso il mio ufficio alle 22.30, grazie.’
Chiamò Padre Ignacio e disse : ‘Stasera, alle 22.30.’
Si alzò dalla sedia e si ritirò nelle sue stanze, l’aspettava una lunga notte.
MONASTERO DI MONTECRUCIO 18.30

Astor Almond si dirigeva a passi lenti verso l’ostello, giunto a metà strada deviò verso l’ingresso della chiesa, entrando avvertì un odore acre, nauseabondo, appena accennato. Era come se quell’odore avesse permeato l’ambiente severo e silenzioso.
Si diresse verso il sigillo, vi notò la figura scura inginocchiata dinanzi, era una suora, piccolina, muoveva le labbra in una sorta di preghiera impercettibile, non si accorse dell’arrivo dell’uomo.
‘Ehmm’.’ Tossicchiò Astor per distogliere la donna dalle sue preghiere.
La suora girò il volto verso di lui, l’uomo notò il baluginio rossastro che per un attimo le illuminò gli occhi scuri.
”Mi scusi sorella, non la volevo distrarre ‘. Ero rapito dalla bellezza della raffigurazione ‘.’.
‘Lei è ?’ rispose la suora guardinga incrociando le braccia all’altezza del petto.
‘Mi permetta di presentarmi ‘.’, rispose l’uomo, ” mi chiamo Astor Almond e sono stato invitato qui nel monastero per una studio relativo alle sacre esequie racchiuse nelle chiese delle strutture monasteriali’.
La suora soppesò le parole dell’uomo con diffidenza.
‘Mi chiamo Suor Kim’.faccia pure ‘. Avevo finito comunque’.
‘Grazie ‘ mi scusi la domanda ‘. è solita inginocchiarsi di fronte il reliquiario per le preghiere ?’
‘Si ‘.’, rispose stizzita la suora, ‘Tutti i giorni al calar della luce, quando nella chiesa non ci sono ‘.. scocciatori’.
La donna si diresse verso l’uscita della chiesa senza degnare Astor di un saluto.
L’uomo si chinò sul sigillo, l’odore in quel punto era più forte. Osservò gli occhi vuoti e scuri della bestia che vi era raffigurata, le fauci del leone erano spalancate, sembrava ruggisse furioso.
Sotto le sue zampe giaceva il serpente, la lingua sibilante e biforcuta sembrava viva, le fessure degli occhi guardavano minacciosi la bestia che lo sovrastava, la sua coda era attorcigliata intorno alla zampa che lo stava schiacciando. Un particolare della coda fece avvicinare Astor alla lastra. Dei simboli sconosciuti, appena visibili, erano scolpiti nella parte finale, aprì la sacca di pelle al suo fianco e prese una macchientta digitale, scattò due foto ravvicinate dei simboli.
Almond si tolse la giacca, diede una rapida occhiata in giro sincerandosi che non vi fosse nessuno. La mano toccò la pietra fredda, scorse il rilievo del serpente percorrendone con le dita il bordo levigato.
All’improvviso iniziò a sentire un gran freddo, si propagava nelle sue carni a partire dalla mano con cui stava toccando la figura. Le immagini scorsero veloci nella sua testa ‘ il fuoco, c’era del fuoco. Nel fuoco una figura nera, nascosta, lo guardava malevolmente.
Si riprese per un attimo, la mano sembrava non potesse scollarsi dal contatto con il rilievo. Arrivarono altre immagini, il freddo era diventato insopportabile, le ginocchia cedettero facendolo cadere con il volto a pochi centimetri dal sigillo. Nella visione c’era un villaggio rurale, basse case con i tetti in legno, dagli abiti delle persone si poteva intuire che il periodo storico doveva essere intorno al 1300 ‘ 1400.
Tra le strade del villaggio la visione si soffermò su una figura femminile, poi lo sfondo cambiò, era nella deserto, la terra era rossa, all’orizzonte un vulcano attivo riversava il suo liquido incandescente attraverso la sua bocca famelica e roboante. Una lingua sconosciuta intonava una nenia cantilenante, una figura esile coperta di stracci si chinava ad adorare l’eruzione distruttiva del vulcano. Poi la figura si voltò di scatto, solo un ombra, solo uno sguardo maligno, poi il buio.
Astor Almond si svegliò pochi minuti dopo, il suo corpo ancora scosso dai brividi di freddo, la fronte imperlata di sudore. Tremava.
Si mise a sedere, cercò di scaldarsi le mani strofinandole tra di loro, sospirò, si fece il segno della croce e, quando fu sicuro che le sue gambe avrebbero retto , si alzò. Si diresse verso l’uscita, barcollando lievemente, quando fu sulla porta si girò verso il crocefisso che sovrastava l’altare e disse : ‘credo di aver bisogno di un aiuto questa volta !’.
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SOTTERRANEI DEL MONASTERO 22.30

Padre Ignacio bussò alla pesante porta di legno della sala punizioni. La stanza era situata nel complesso labirinto di corridoi bui e tetri sottostanti il pozzo, situato al centro del chiostro.
La badessa aprì la porta, non portava l’abito, indossava una vestaglia scura e lunga legata alla vita. L’abate entrò nella stanza, al centro della sala c’era suor Luigia, legata in ginocchio ad una gogna di legno a cui erano intrappolati i polsi e la testa. La suora era completamente nuda, un bavaglio di cuoio con al centro una palla forata le impediva di urlare ma non di respirare.
Gli occhi terrorizzati della donna si posarono sull’abate.
‘Vedo che è già pronta ‘. ‘ esclamò con soddisfazione l’uomo.
‘Un infuso di mandragora al posto del tè ed il gioco è fatto ” disse soddisfatta suor Brigida, ” la nostra peccatrice è caduta come un sasso ‘ portarla qui non è stato difficile vista la sua esilità’.
‘Veniamo a noi ‘ ‘ disse l’uomo aprendo la valigetta di pelle che aveva portato con se.
L’abate sistemò un piattino di argento sul tavolo antistante la gogna, vi versò la polverina bianca contenuta in una bustina, iniziò a preparare strisce di cocaina per lui e la badessa.
‘Prego sorella ”, disse porgendo a suor Brigida una cannula argentata mentre lui iniziava a spogliarsi.
Suor Luigia iniziò a mugolare cercando di chiamare aiuto, impedita dal bavaglio che le teneva spalancata la bocca e le impediva di articolare le mandibole.
Padre Ignacio era completamente nudo, si chinò sul piattino ed inalò anche lui la polvere bianca, ne versò altra e la portò alle narici della donna legata. La costrinse ad inspirare. Suor Luigia tossì così forte da temere di soffocare mentre sentiva il suo naso perdere di sensibilità.
Padre Ignacio le strusciava la cappella sulle guance rigate dalle lacrime.
‘La nostra peccatrice piange, poteva pensarci prima di accoppiarsi come una cagna con Padre Luca, non è vero Badessa?’
Suor Brigida era persa nei suoi pensieri, la droga iniziava a fare effetto, i pochi freni inibitori cadevano col passare dei minuti. Si spogliò, il suo corpo era ancora bello e tonico. Ammirava estasiata il cazzo duro dell’abate che strusciava oscenamente il viso della suora impaurita, la fica le si bagnò dall’eccitazione.
‘Certo Padre Ignacio, questa puttanella deve imparare per bene cosa significa commettere atti impuri nel nostro monastero, deve toccare il fondo per redimere la sua anima da puttana in calore’.
Suor Luigia era confusa, le fu fatta inalare altra droga, il cazzo dell’uomo le veniva sbattuto forte sulle guance, sulla bocca. Piangeva silenziosamente.
Suor Brigida afferrò un frustino posto sul tavolo, si mise dietro la donna legata, scudisciò il culo della donna che emise un urlo di dolore.
‘Ti piace puttana ? Eppure ti piaceva farti prendere da dietro da Padre Luca ” le sussurrava all’orecchio l’abate mentre slacciava il bavaglio alla donna.
Suor Luigia, libera di respirare, ansimò affannosamente riempiendo d’aria i suoi polmoni. Un’altra scudisciata la colpì facendola sussultare ed urlare.
‘Basta vi prego, non lo farò più, perdono ‘perdono ” singhiozzò.
‘Non implorare cagna, la tua bocca sta per essere riempita di nuovo, allargala e fai silenzio se vuoi che la tua punizione finisca presto ‘ ‘.
Padre Ignacio porse la cappella umida alle labbra della suora legata. Suor Luigia le strinse, l’uomo la schiaffeggiò violentemente.
‘Non ti azzardare, apri quella tua bocca da troia e non ti azzardare a rifiutare ”.
Suor Luigia, ormai vinta, aprì la bocca, il cazzo nodoso dell’abate le scivolò umido sulla lingua, lo inghiottì. Padre Ignacio spinse forte il suo membro nella gola della donna tenendole la testa con le mani.
Suor Brigida prese una pompetta nera che terminava con una cannula fina, la riempì con un liquido chiaro prelevato da un ampolla presa dalla borsa dell’abate. Infilò la cannula nel culo della suora legata. Spinse forte la pompetta riempendo l’intestino della donna.
‘Tribulus Terrestris ‘.’ Disse la badessa rivolta alla suora, ‘ ‘ l’erba della lussuria, veniva usata nei tempi antichi per aumentare l’eccitazione e la fertilità della donna ”
Suor Luigia mugolava mentre il palo di carne dell’abate la scopava selvaggiamente in bocca.
Brigida riempì nuovamente il clistere.
‘Vedi grandissima troia, una piccola dose aiuta la fertilità, la dose che ti sto somministrando io accenderà nel tuo ventre un fuoco inestinguibile, sarai tu a pregarci di spegnerlo’.’.
Suor Brigida e l’abate si allontanarono dalla suora. Lei rimase legata ed ansimante, con la bocca finalmente libera respirava a pieni polmoni. Dal suo culo colava il liquido iniettatole poco prima, il suo orifizio si allargava umido ad espellere la sostanza vischiosa.
Suor Brigida tirò una altra striscia di coca, si inginocchiò di fronte l’abate, prese il suo cazzo in bocca, umettandolo con la lingua, l’uomo guardava estasiato la suora legata, iniziava a contorcersi inarcando la schiena, la sostanza iniziava ad avere il suo effetto sulla suora peccatrice.
L’uomo slegò la suora e la prese per mano, la portò verso il tavolo, le fece piegare fino a toccare con il viso il legno levigato, le allargò le natiche.
Suor Brigida riempì nuovamente la pompetta, si mise chinata di fronte l’orifizio umido di suor Luigia, leccò i suoi umori saggiando con le dita l’elasticità invitante del suo culo, infilò la cannula e spinse a riempire l’intestino della peccatrice. Suor Luigia ora gemeva, le labbra della fica colarono sulle sue cosce, ansimava.
‘Trattieni mia piccola pecorella smarrita ” le consigliò la Badessa.
Suor Luigia sentiva il suo ventre pieno e caldo. Padre Ignacio le si avvicinò da dietro, poggiò la cappella turgida all’imboccatura del suo piccolo buchino, spinse.
Suor Luigia gridò. La badessa le teneva le natiche aperte mentre l’abate inculava la donna, Il liquido nel suo intestino iniziò a fuoriuscire caldo sulle cosce. Il cazzo dell’uomo veniva inghiottito dal culo ormai ben lubrificato della suora. La badessa raccoglieva con la lingua le gocce di lussuria che colavano durante l’amplesso.
Suor Luigia godeva, la badessa iniziò ad inserire le sue dita nel culo ormai slabbrato dal cazzo dell’abate. L’uomo teneva i fianchi della Suora, afferrò il frustino ed iniziò a scudisciarla mentre il suo culo veniva oscenamente slargato.
‘Ahhhhhh, oh mio Dio, ancora ‘. Frustatemi, scopatemi ‘.. siiiiii ‘. ‘ gemeva la suora in preda alla droga ed al godimento che il trattamento le stava procurando’
”.sfondatemi il culo, sono una lurida peccatrice’ incitava.
Suor Brigida prelevò dalla borsa dell’abate uno strapon, lo indossò, il fallo artificiale era di color nero, la sua superficie era ricoperta di piccole protuberanze sferiche.
L’abate si sfilò dal culo aperto della Suora, le avvicinò il cazzo umido di umori alla bocca. Suor Luigia lo ingoiò avida, leccava gemendo i suoi stessi succhi. La badessa iniziò ad infilare il fallo di gomma nella fica della suora.
L’orgasmo sopraggiunse inaspettato, la donna urlò mentre l’abate le schizzava in gola getti di sborra calda e densa. Suor Brigida aveva sfilato lo slip con il fallo finto ed ora si stava masturbando in ginocchio di fronte alla vista della fica colante di Suor Luigia leccando i suoi umori bollenti.
CHIESA DI MONTECRUCIO ‘ MEZZANOTTE

Il sigillo brillava di una luce intensa nel buio della chiesa. La bruma verdastra iniziò a fuoriuscire dai bordi della lastra. Suor Kim era in ginocchio di fronte al sigillo.

‘Si mio signore ” disse.
” sarà fatto’.
RICOVERO DI MONTECRUCIO 01.00 ‘ STANZA N. 7

Le pareti della stanza numero sette, nella sezione detentiva dal ricovero di Montecrucio, erano avvolte nel buio. Il silenzio era interrotto saltuariamente dalle urla lontane degli altri ospiti della struttura.

La ragazza dai capelli neri era seduta al centro della stanza, immobile. I suoi occhi fissavano un punto indefinito nel muro di fronte.

Una bruma verdastra ricopriva, bassa, il freddo pavimento di linoleum. La ragazza chiuse gli occhi, flashback improvvisi iniziarono a popolare la sua mente. Una villa, un uomo anziano, il buio, un esplosione di luce e le grida, i lampeggianti blu.

Il corpo della ragazza viene scosso dai brividi, si accascia sul pavimento, gli occhi si chiudono, altre immagini, altri lampi di memoria la fanno scoppiare in un urlo silenzioso. Vede i resti di una vecchia chiesa, centinaia di figure scure, incappucciate, intonano una nenia cantilenante, ossessiva e lugubre ‘..

‘L’lucia’

‘.. quattro donne giacciono incatenate su altrettanti lastroni di marmo bianco, tuniche bianche coprono la loro nudità ‘. .

‘I’.Io ‘.. sono ”’

‘..Corpi nudi si avvinghiano sulle quattro donne, un altro flashback, una donna che la guarda in modo amorevole, il buio, di nuovo gli uomini incappucciati che le possiedono selvaggiamente, a turno ‘.
‘Io sono Lucia ‘.. Io sono la S’.Somma ‘..’
Ora la ragazza si contorce, sdraiata sul pavimento, le sue mani si stringono sulle cosce, salgono verso il ventre ‘. Le sensazioni di quello che sta vedendo le può sentire dentro di se, le scuotono le membra ‘ la fica è fradicia, infila dentro di se le sue dita sporche ‘..

‘ io sono la Somma Tentatrice !’

‘ io sono la serva di Lilith !’

‘io sono QUI !’

Le mura sono scosse da un tremito, un boato scuote l’intero edificio, il cielo notturno, poco prima sereno, è ora coperto da scure nubi cariche di pioggia ed elettricità, i lampi illuminano a giorno il monastero ed i suoi edifici.

Al centro della stanza Lucia si erge in piedi, le braccia distese lungo i fianchi, gli occhi chiusi a due fessure cariche di odio brillano nell’oscurità, un ghigno malvagio increspa le sue labbra rosse.

MONASTERO DI MONTECRUCIO ‘ DUE GIORNI DOPO ‘ OSTELLO ‘ ORE 9.00

Erano due giorni che Mara era tornata da Roma, non le piaceva recarsi in vaticano, di solito la stanza che le assegnavano odorava di vecchio e muffa. La città era troppo caotica per lei, piena di gente maleducata e frenetica.
Stava rassettando la stanza dei due neosposi che erano stati ospiti dell’ostello nei giorni precedenti. Mancavano ormai pochi mesi alle sue nozze d’argento. L’idea non l’allettava molto, l’amore tra lei e suo marito, Giulio, era scemato da tempo, sostituito da un silenzioso distacco.

Gli anni erano passati, erano arrivati i figli ed erano cresciuti, alla fine Mara si era ritrovata, ad una certa età, sola. Aveva iniziato una dieta, si era dedicata a se stessa, aveva intensificato le visite dal parrucchiere o dall’estetista, aveva perso circa quindici chilogrammi e le sue forme erano magicamente tornate a fare il loro dovere. Ora quando si vedeva a fianco del marito, sciatto, trasandato, sporco, si rendeva conto di quanto fosse aumentato il divario tra loro due.
Il loro matrimonio era una farsa, costretti a rimanere insieme per mantenere quel lavoro che li faceva sopravvivere dignitosamente e che, a fronte di un divorzio, avrebbero perduto, il monastero non avrebbe mai potuto continuare ad avvalersi dei loro servigi se avessero divorziato. Mara e Giulio lo sapevano, ecco perché continuavano a vivere le loro vite come estranei sotto lo stesso tetto.

FORESTERIA ORE 9.15

Marco era al telefono, lui e suo padre avevano bisogno di droga. Padre Ignacio, l’abate del monastero, li riforniva regolarmente ed era lui che ora stava sbraitando dall’altra parte della cornetta. Negli ultimi tempi l’abate era sempre più restio a concedere credito ai due personaggi, il loro ritardo nei pagamenti lo irritava, lo irritava il fatto che li dovesse incrociare costantemente, odiava quei due individui così squallidi, così ai margini.

‘Quante CAZZO di volte ti devo ripetere che non mi devi chiamare a questo numero piccolo testa di merda ‘.’

‘Scusi Padre Ignacio, lo so che non dovrei farlo, ma abbiamo bisogno ” rispose mellifluo il ragazzo.

L’abate era lì per scoppiare, quello che non si spiegava era come fosse stato possibile che quella gran fica di donna che era Mara avesse potuto accoppiarsi con un decerebrato come Giulio. E quello che ancora di più lo faceva infuriare era come avesse potuto mettere al mondo un altrettanto decerebrato essere, di sesso maschile, come quello che lo stava importunando al telefono.

‘Scusi, mi scusi, chiedo scusa ”mi ci pulisco il mio santissimo culo con le tue scuse ‘.. Tu e quel deficiente di tuo padre siete sotto di settemila quattrocento euro, se non vedo i soldi non vi do niente ‘ capito ? Nienteeeee ‘.’

Marco era disperato, aveva bisogno di coca, ora si era aggiunta anche la sorellina ad utilizzare la polverina bianca e la durata delle dosi si era notevolmente ridotta.

‘La prego Padre Ignacio, siamo disposti a qualsiasi cosa per ‘..’

‘Qualsiasi cosa ?’ lo interruppe l’abate.

‘Qualsiasi ” disse titubante il ragazzo.

‘Bene, ascolta bene quello che voglio ‘.’

‘Si signore, mi dica ‘.’

L’abate disse qualcosa che fece strabuzzare gli occhi al ragazzo.

‘ma ‘non so se ci riesco !’ disse Marco con un filo di voce.

‘Tu fallo ed io ti faccio stare senza problemi per un mese ‘. Vecchi debiti compresi” disse Padre Ignacio.

‘Vecchi debiti ‘ mio dio ‘. Si ‘. Certo ‘. Ci proverò” disse Marco riagganciando.

OSTELLO DI MONTECRUCIO ‘ ORE 10.00

Mara aveva concluso il giro della mattinata, scese le scale che dal primo piano portavano alla reception dove una suora, sofferente, cercava a fatica di sbrigare le pratiche di chek-in per una scolaresca proveniente da Roma.

Una donna bionda, giunonica, con i capelli raccolti a coda di cavallo, cercava di calmare una decina di studentesse schiamazzanti.

‘Ragazze ‘..zitte per favore ‘.. fate lavorare la sorella ‘..’

‘Professoressa, la sorella di chi ?’ esclamò canzonatoria una ragazzetta, con i capelli rossi e l’aria di essere una furbetta impenitente, scatenando le risate sguaiate delle sue compagne.

‘Agata smettila di fare la spiritosa, guarda che ti lascio in stanza per tutta la durata della gita !’ rispose stanca la professoressa con un accento che tradiva le sue origine tedesche.

Mara passò accanto alla donna, mentre si dirigeva verso l’uscita, ne ammirò l’abbigliamento curato, gli occhi azzurri incorniciati da un paio di occhiali da vista Dìor, la gonna nera attillata che fasciava i fianchi pronunciati, la camicetta bianca che tratteneva a malapena il seno rigoglioso.

Un ometto basso, pelato, con un vestito a quadri, anacronistico, si avvicinò al donnone con reverenza.

‘Ehm Helga, se mi dici il numero della mia stanza io salgo a posare le valigie ‘.’

‘Tiziano, ti prego, invece di aiutarmi con queste belve te ne vuoi andare ?’ rispose sconsolata la professoressa, ‘Ti prego falle calmare, provaci almeno !’.

Tiziano era il professore di chimica nell’istituto romano da cui proveniva la scolaresca. Dal modo in cui aveva parlato con la donna alta e dalle reazioni divertite delle ragazze non doveva avere molto ascendente né sulle sue alunne né tantomeno sulla professoressa.

Mara uscì, la giornata era splendida, si diresse verso la foresteria, doveva preparare il pranzo per la famiglia.

RICOVERO DI MONTECRUCIO ‘ ORE 10.00

Il dottor Sibelli, suor Brigida ed Astor Almond erano in piedi davanti al monitor del computer che ritornava dei segnali disturbati.

‘Quindi tutte le riprese delle telecamere a circuito chiuso hanno smesso di funzionare dall’una alle due di stanotte ?’ chiese Almond.

‘Esatto, i guardiani notturni hanno udito un grosso boato all’incirca verso le una e trenta, sono entrati nell’ala di detenzione femminile ed hanno trovato tutte le pazienti sveglie, alcune erano impazzite. La paziente della stanza numero undici ha sbattuto talmente forte la testa contro la porta che adesso è ricoverata in rianimazione ” Rispose il dottore.

‘E ‘la paziente speciale ?’ Chiese Suor Brigida.
‘Immobile, ferma, muta ‘.’

‘Posso parlarci ?’ chiese Almond.

‘Domani ” rispose il dottore, ‘ ‘ oggi ci sono le visite di controllo, preferisco che veniate domani mattina verso le nove, i pazienti sono più calmi a quell’ora.’

‘Va bene ” rispose Almond fissando il monitor, poi rivolto verso la badessa disse :’io mi reco nella mia stanza, col vostro permesso.’

Si girò ed uscì dalla sala di controllo del ricovero.

FORESTERIA ‘ ORE 10.30

La casa era ordinata, Carlotta aveva sistemato prima di andare a lavorare nell’ufficio della badessa. Mara mise l’acqua a bollire sul fornello della cucina. La cucina era stata costruita in muratura da suo figlio Marco. Il lavoro che svolgeva, sin da piccolo, insieme ai monaci nelle fabbricerie del monastero, gli aveva insegnato l’arte del costruire, era bravissimo e Mara non perdeva occasione per elogiarlo. A volte il ragazzo era troppo cupo o circospetto, introverso, ma Mara adorava quel figlio alto, dinoccolato, col suo ciuffo ribelle che gli copriva gli occhi.

La donna, mentre tagliava le verdure, non si accorse che Marco la osservava fermo sulla porta della cucina. Il ragazzo ammirava la madre. Mara indossava una vestaglia bianca, Marco poteva osservare le sue forma attraverso il tessuto trasparente, i suoi fianchi larghi ed il suo vitino stretto, il suo sedere abbondante e tondo, le mutandine di cotone nero non riuscivano a coprire l’opulenza delle sue natiche sode.

Marco si era eccitato, scese con lo sguardo verso i piedi della donna intenta a cucinare, era scalza, le sue unghie tinte di un rosso acceso, le sue caviglie erano eleganti. Marco ebbe un erezione.

‘Piccolo, ciao ! come mai non sei in laboratorio ?’ chiese Mara cogliendo di sorpresa il ragazzo.

‘Ciao Mà, buongiorno, oggi c’era poco lavoro, abbiamo finito ieri di intagliare i portachiavi e le statuine, sono in fase di spedizione, sono libero, che cucini di buono ?’

‘Spezzatino ‘.’ Rispose la donna baciandolo sulla guancia.

I pantaloni di Marco erano ancora tesi dall’erezione, Mara se ne era accorta, sapeva che Marco la spiava. Quando era all’ostello, intenta a rassettare le camere, coglieva la sua ombra nascosta, quando era in bagno sotto la doccia scorgeva la figura del figlio che si toccava in mezzo alle gambe spiandola. Non era allarmata da quell’atteggiamento, sapeva che il figlio stava crescendo, che era normale per lui avere quelle pulsioni.

Marco si avvicinò alla madre, con la scusa di prendere la bottiglia dell’acqua strusciò la sua erezione contro il sedere di Mara.

La donna non si mosse, suo figlio non era mai arrivato a tanto, poteva capire il tentativo di carpire immagini fugaci della sua nudità ma il contatto fisico non l’aveva previsto. Rimase interdetta.

‘Tu hai finito all’ostello ?’ disse vago Marco, versandosi dell’acqua dalla bottiglia.

‘Si giornata tranquilla.’

Marco finì di bere, posando la bottiglia aderì alle natiche della madre con più insistenza, sentì la sua erezione adagiarsi nel solco morbido delle sue natiche, il cazzo teso nei suoi pantaloni ebbe un guizzo, spinse leggermente col bacino.

Mara, sorpresa, lasciò il coltello reggendosi con entrambe le mani al bordo del piano di lavoro, poteva sentire l’uccello del figlio spingere da dietro tra le sue natiche, girò leggermente il viso verso il figlio.

Marco vide la madre voltarsi verso di lui, vide l’espressione interrogativa animare i suoi occhi verdi, un leggero rossore le comparve sulle guance, le mani del ragazzo si posarono morbide sui fianchi della donna.

Mara sentì le mani del figlio scenderle lungo i fianchi, stringere la sua carne. Il ventre del figlio spingeva insistente contro il suo culo, chiuse per un attimo gli occhi, vinta dalla sensazione che quel contatto le stava provocando. Troppo tempo era passato da quando delle mani maschili l’avevano toccata con tanto ardore.

Marco stava ansimando, eccitato, spaventato, il cazzo gli stava scoppiando, iniziò a muoversi stringendo i fianchi della madre, salì verso il seno, lo afferrò con entrambe le mani, le sue dita strinsero, dolcemente, i capezzoli.

Mara tremava, fremente, le mani del figlio le stavano stringendo il seno. Sentì le sue mutandine bagnarsi. Teneva gli occhi chiusi, impietrita dalle sensazioni contrastanti che la stavano facendo eccitare, dalla vergogna di quello che stava accadendo. Era incapace di reagire. La sua mente stava elaborando un piano di fuga mentre il suo corpo la teneva inchiodata in quella posizione, a sottostare ad ogni spinta di bacino del figlio, ad assaporare il brivido caldo che quel contatto le stava donava ad ogni movimento.

Marco pose le sue mani sul ventre di Mara, le alzò la vestaglia, si insinuò tra le sue cosce, sentì il tessuto umido delle sue mutandine, incoraggiato dall’eccitazione della madre scostò il tessuto elastico, i suoi polpastrelli accarezzarono la pelle delicate delle sue grandi labbra.

Mara sentì le dita del figlio sfiorarle le labbra della fica, il liquido caldo della sua eccitazione le colava copioso tra le cosce. Istintivamente divaricò le gambe. Le dita di Marco entrarono dentro di lei, scivolarono morbide tra le labbra umide della sua fica.

Marco sentì la mano della madre tirargli giù la zip dei pantaloni, le dita della donna si strinsero intorno alla carne turgida e calda del suo cazzo.
Mara iniziò a muovere i suoi fianchi assecondando il movimento delle dita del figlio che la stava masturbando. Il cazzo di Marco pulsava nella sua mano, la sua cappella era lucida e tesa, lo voleva, la sua fica pulsava avida di sensazioni .

Un rumore sommesso fuori dalla porta di ingresso li fece smettere immediatamente, qualcuno stava rientrando in casa, forse Giulio. Marco si ricompose scappando verso la sua camera per nascondere l’evidente erezione. Mara si sistemò la vestaglia e continuò a cucinare.

Durante il pranzo nessuno disse una parola, l’aria era tesa. Il padre di Marco non si accorse delle occhiate fugaci che il ragazzo lanciava verso la madre.

Mara era eccitata, per tutto il pranzo non aveva fatto altro che pensare a quel cazzo che aveva tenuto tra le mani pochi minuti prima, voleva sentire ancora le mani del ragazzo su di se, voleva sentirsi desiderata, nulla importava se si trattava di suo figlio, la vita non le aveva riservato grosse soddisfazioni, i suoi sogni erano stati ridimensionati, impacchettati e consegnati senza che lei potesse fare nulla.

Dopo il pranzo, non appena Giulio si chiuse in camera da letto per il consueto pisolino pomeridiano Mara entrò nella camera di Marco. Il ragazzo era sdraiato a letto con indosso le cuffie, muoveva i piedi a ritmo di musica.

‘Ciao mamma, sei arrabbiata ?’ chiese timoroso.

‘No piccolo mio ‘.’ Sussurrò Mara.
Si era seduta a bordo del letto, la sua mano risaliva lenta verso l’inguine del figlio, raggiunse la patta, già tesa, dei pantaloni, sganciò i bottoni dei jeans, tirò giù la zip.

Marco guardava il viso di sua madre, i suoi capelli neri e ricci, i suoi occhi verdi lo fissavano, i primi due bottoni della vestaglia erano sganciati, la pelle morbida ed invitante del seno attirava magnetico le attenzioni del ragazzo.

Ora Mara stringeva il cazzo del figlio nella mano, scendeva lentamente, risaliva toccando con i polpastrelli la sua cappella dura, lucida ed invitante.

‘Mamma ‘. Ma c’è papà nell’altra stanza ‘ come facciamo ?’

‘Lo so ‘. Ma è così difficile smettere ‘. ‘

‘Ho un idea ‘..’ disse Marco.

Mara si interruppe, il cazzo del figlio pulsava caldo nel palmo della sua mano.

Marco proseguì : ‘ il laboratorio di falegnameria nel pomeriggio è chiuso, io ho le chiavi. Nel retro c’è un piccolo stanzino adibito ad ufficio, con una scrivania ed un divano, potremmo vederci lì fra un ora, che ne dici mamma ?’

‘E se ci scoprono ?’ rispose lei senza lasciar scivolare dalle sue mani quel palo di carne turgida e vibrante.

‘Non ci scopriranno !’ rispose sicuro di sé Marco.

Prese la mano della madre con la sua, accelerò il movimento con cui Mara lo stava carezzando, chiuse gli occhi, pregustando quello che sarebbe successo da lì ad un ora più tardi.

OSTELLO DI MONTECRUCIO ‘ ORE 14.00

La scolaresca era stata sistemata nelle stanze dell’ostello. Le studentesse in quelle da tre posti, i docenti erano stati sistemati nelle stanze singole, più grandi e confortevoli.

Nei corridoi regnava il caos, le ragazze giravano da una camera all’altra, la suora alla reception, suor Benedetta, sbuffava vistosamente alzando gli occhi al cielo con infinita pazienza. La professoressa Helga dormiva un sonno profondo, stremata dal viaggio e dalle sue alunne, Tiziano Meier, il professore di chimica, era scomparso dopo aver raggiunto la sua camera.

Una ragazza mora, si presentò al bancone della reception : ‘Scusi Suora, si può fare un giro nel monastero ?’

‘Si figliola ” esclamò Suor Benedetta immaginando la pace che avrebbe regnato nell’ostello, ‘ ‘ l’importante è che rimaniate nell’area del chiostro, nel boschetto fuori le mura potete fare come volete, siete libere.’

‘Che è er Chiostro ?’ rispose in romano la ragazza.

‘Santo cielo, lo spazio con le colonne intorno ed il pozzo al centro ” rispose leggermente acida e scocciata la Suora.

La ragazza si girò, facendo svolazzare il gonnellino a quadri scoprendo le sue gambe giovani ed atletiche.

‘Ragazzeeee si può fare un giro, chi viene ?’ urlò salendo i gradini a due a due.

CHIOSTRO DEL MONASTERO ‘ ORE 14.15

Dopo quindici minuti il gruppetto di ragazze girovagava senza meta precisa nel chiostro del monastero, il silenzio del primo pomeriggio era irreale, le alunne, residenti in una grande città, non erano abituate a quell’assenza di suoni, le loro voci echeggiavano cristalline nel chiostro.

Eva, la ragazza mora della reception, saltellava sulle mattonelle che lastricavano il corridoio, Agata la ragazza con i capelli rossi sedeva sul seggio del priore, posto sul corridoio a nord, masticando sguaiatamente un chewing gum.

Dal portone in legno massiccio che portava alla chiesa del monastero uscì un monaco, si fermò sul gradino guardando curioso le ragazze. Era Padre Giovanni, un uomo altissimo, calvo, con un espressione perennemente corrucciata dipinta sul volto. I suoi occhi erano arrossati. La sua mano sinistra tremava vistosamente.

Il monaco continuava ad osservare le alunne che bighellonavano nello spazio del chiostro, quando i suoi occhi si fermarono su Agata un sorriso appena accennato increspò le sue labbra. Si diresse verso di lei, il tremolio della mano smise immediatamente.

‘Buongiorno ‘.’ Disse il monaco con una voce profonda e senza inflessione.

‘Buongiorno ‘.’ Rispose Agata coprendosi gli occhi con la mano a causa del sole.

‘Cosa fate qui ? Non sapete che questo è un luogo di silenzio ?’

Agata si limitò ad alzare le spalle, l’idea della gita le era sembrata divertente quando aveva cercato di convincere i suoi genitori a sborsare i centocinquanta euro della quota, ora invece stava realizzando che una gita di tre giorni in un monastero non era il massimo del divertimento.

‘Cosa c’è, ti hanno morso la lingua ?’ disse duro il monaco.

La mano sinistra dell’uomo riprese a tremare, le sue labbra iniziarono ad intonare una nenia in una lingua sconosciuta. Come se fosse risucchiata in un vuoto pneumatico Agata iniziò a perdere i contorni visivi del chiostro e delle sue compagne, era come se fosse in un tunnel indefinito ed etereo dove c’erano soltanto lei ed il monaco.

‘Seguimi ” ordinò il monaco.

Agata si alzò dal seggio, indossava una corta gonna di tweed e camicetta bianca, l’uniforme dell’istituto. Seguì il monaco all’interno della chiesa. Le compagne della ragazza non si accorsero della sua scomparsa, era come se camminasse nascosta da una nebbia immateriale. Attraverso una tenda, posta a lato dell’abside, entrarono in una stanza spoglia illuminata solamente dai candelieri appesi alle pareti umide.
Il monaco tirò verso il basso una pietra sporgente facendo scattare l’apertura di un ingresso nascosto sul pavimento della stanza. Agata, ipnotizzata, seguì l’uomo scendendo gli scalini in pietra dello stretto passaggio.

Arrivarono in una stanza scarsamente illuminata, il monaco accese le candele, i muri dell’enorme stanza erano ricoperti di teschi ed ossa, le fiammelle delle candele creavano effetti di luce ed ombra sui quei resti macabri facendoli sembrare vivi.

Al centro della stanza vi era un altare sacrificale coperto da una tovaglia nera ornata di disegni dorati, ai lati erano posti due candelabri, ciascuno con sette candele. Il monaco le accese, fece sistemare Agata sull’altare, sdraiata. Come un automa la ragazza obbedì, apparentemente ignara del luogo dove si trovava.
Alle spalle del Monaco apparve la figura minuta di una suora con il volto coperto da un cappuccio scuro, osservò la ragazza per alcuni minuti senza profferire parola. Padre Giovanni attendeva in silenzio come se dal lei dipendesse la sua vita, traspariva dal suo volto un timore reverenziale ed una paura malcelata.

‘E’ perfetta ”

Padre Giovanni tirò un sospiro di sollievo.

La suora si scoprì il capo, era Suor Kim, si avvicinò alla ragazza, percorse con le dita la pelle bianca delle sue gambe fermandosi all’orlo della gonna.

Il torpore che aveva avvolto Agata stava scemando, riprendeva il controllo del suo corpo. Suor Kim fece un cenno muto al monaco che armeggiò ai piedi dell’altare estraendo da un baule, nascosto dalla tovaglia nera, delle cinghie di cuoio. L’uomo legò mani e piedi di Agata all’altare.

‘Bene ‘.’ Disse Suor Kim carezzando il volto truce del monaco. Scese con la mano verso il suo inguine, il saio del monaco lasciava trasparire l’erezione. Suor Kim attraverso il saio afferrò il cazzo duro del monaco iniziando a masturbarlo, le loro lingue si incrociarono in un bacio blasfemo ed umido.

‘C.. cosa succede ‘ dove sono ?’ disse la ragazza legata all’altare ormai cosciente.

Suor Kim avvicinò il suo volto a quello di Agata, pose le sue labbra su quelle della ragazza che, sorpresa, strabuzzò gli occhi. Una lieve bruma verdastra uscì dalla bocca della suora insinuandosi sinuosa in quella della ragazza. Le fiamme delle candele si animarono, le orbite vuote dei teschi sembravano osservare, come muti testimoni, il rituale che stava avendo luogo nella stanza.

Agata tossì, sembrava soffocare, il monaco si mosse verso di lei ma venne bruscamente fermato da suor Kim. Un respiro a pieni polmoni, la ragazza sembrava stare bene di nuovo, guardò Suor Kim negli occhi, sorrise.

FABBRICERIA DI MONTECRUCIO ‘ ORE 15.00

Marco, attento a non farsi vedere da nessuno , aprì la porta della fabbriceria del Monastero. L’ambiente era enorme, c’erano torni, banchi di lavoro ricoperti di strumenti adatti a lavorare legno e metallo , tutto era ben conservato e pulito, i monaci erano ordinati ed attenti alla sicurezza.

Padre Ignacio era in piedi, poggiato al bordo di uno dei banchi di lavoro.

‘Allora ?’ disse senza alzare gli occhi dalla rivista che stava sfogliando.

‘Sta arrivando, si deve nascondere, almeno per adesso ” rispose Marco.

‘Si, dietro la finestrella del piccolo ufficio c’è un anfratto da dove si può osservare tutto senza farsi vedere, mi nasconderò li dietro in attesa, attendo un tuo cenno ”

L’abate si diresse verso il punto di osservazione. Marco attese qualche minuto. La porta si aprì e Mara entrò furtiva nel laboratorio. Indossava una camicetta aperta sopra una canottiera nera che le fasciava il seno prosperoso, una gonna bianca di cotone leggero e dei sandali bassi.

‘Ti ha visto qualcuno ?’ chiese preoccupata Mara al figlio.

‘No, sono stato attento. Vieni ” le disse indicando il piccolo ufficio, ‘ ‘ di là c’è un piccolo frigo bar con del centerbe fatto dai monaci.’

I due si diressero verso lo stanzino, c’era una scrivania, un divanetto a due posti ed un piccolo armadio al cui interno era sistemato il frigo bar.

Marco versò il liquido verde in due bicchieri, lo porse alla madre che trangugiò il liquore in un sol sorso, si sentiva tesa ed aveva bisogno di rilassarsi.

Mara si sentì subito meglio, il liquido le scese caldo nella gola, poggiò la schiena, divaricando leggermente le gambe. Marco le poggiò una mano sulla coscia, iniziò a salire verso l’inguine, scostandole la gonna.

Mara si versò altro liquore, bevve avida, si levò la camicetta restando in canottiera. La dita di suo figlio si intrufolarono nelle mutandine, un gemito le sfuggì quando le dita di Marco le sfiorarono la fica già calda e bagnata. Si baciarono. Mara portò la sua mano dietro la nuca del figlio, la vergogna per quel gesto così intimo ed incestuoso era sopraffatta dalla sua eccitazione.

Sentire le dita del ragazzo dentro di lei le facevano sciogliere il ventre in un calore umido. Era da tempo che non provava quelle sensazioni, si sentiva sporca ed allo stesso tempo elettrizzata.

Marco masturbava la madre, estasiato del contatto con quel corpo generoso, sentire gli umori della donna sulle sue dita lo incoraggiava ad essere più audace, il sapere che l’abate li stava spiando non lo stava infastidendo, lo stava eccitando. Sfilò le mutandine della madre, le alzò la canottiera scoprendo i seni rigogliosi che lo avevano allattato. Come un ritorno alle origini li prese in bocca, iniziò a succhiarli, li mordicchiava, li tirava con i denti.

Mara stava gemendo, il dolore dei suoi capezzoli torturati dalla bocca del figlio, si mischiava al piacere. Allargò le gambe, si portò la mano di Marco tra le cosce, la sua fica accolse le dita del ragazzo, si sentiva piena, le sentiva muoversi dentro di lei, godeva come non ricordava di aver mai fatto, in quel momento avrebbe concesso tutto.

Marco si sfilò i pantaloni, tirò via gli slip, si sedette sul divano invitando la madre a sedersi su di lui, sentì il cazzo che scivolava tra le gambe della donna, la afferrò per i fianchi imprimendole il ritmo.

Mara stava godendo, si sentiva troia, esaltata da quel cazzo giovane e duro che le scivolava nella fica facendola sbrodare come non mai. Porse i suoi seni, premendoli insieme con le mani, alla bocca del figlio che iniziò a succhiarli, le sue mani stringevano forte i fianchi generosi della madre.

L’abate si stava masturbando spiando la scena, aveva sempre intuito la natura da puttana di Mara, molte volte, nel corso degli anni, si era ritrovata a fissarla mentre camminava per il portico del chiostro o mentre era impegnata nelle faccende dell’ostello, era attratto da quella donna, dalla sua bocca carnosa e rossa, dai suoi capelli ricci, da quel culo tondo ed abbondante. Certo, a volte si conciava come se fosse l’ultima delle sguattere, ma era sicuro che una volta che la donna si fosse sciolta non ci sarebbero stati freni a quello che si poteva ottenere da lei.

‘Lo senti come ti scopo mamma, ti piace il mio cazzo nella fica ?’

Marco aveva fatto inginocchiare la madre sul divano, la stava prendendo da dietro. Le sputò sul buco del culo, lo umettò con cura, vi infilò il pollice mentre la scopava come una cagna.

‘Si, oddio quanto mi fai godere, infilami le dita nel culo, dai, bravo tesoro mio, trattami come una vacca ‘.’

Mara era in estasi, poggiata allo schienale del divano gemeva ad ogni affondo del figlio dentro di lei, le dita del ragazzo le slabbravano il culo, la saliva con cui l’aveva lubrificata le colava caldo ed odoroso. Non le bastava, voleva di più, volevo solo godere.

Come se le avesse letto nel pensiero Marco la incitò :

‘Non ti basta un solo cazzo vero mamma ? ne vuoi altri ? vuoi essere riempita in tutti i tuoi buchi da puttana ?’

‘Si amore mio, trattami da cagna, vorrei un altro cazzo nel mio culo, nella bocca, dappertutto, voglio essere sfondata. Dai. Daaai !’

Marco si sfilò la maglietta, l’arrotolò, bendò la madre mentre la scopava. Fece un cenno all’abate, era il momento. Il monaco uscì dal suo nascondiglio, il cazzo già duro e lucido.

Padre Ignacio si mise, attento a non farsi sentire, dietro il divano, poggiò la sua cappella turgido sulle labbra dischiuse di Mara.

‘Ma chi ?’ esclamò la donna sorpresa.

‘Shhhh ” fece Marco, ”.è il tuo desiderio che si realizza ‘. Prendilo in bocca, fammi vedere come succhia la mia mamma troia !’

Mara allargò le labbra, sopraffatta del godimento. Il palo di carne dell’abate le scivolò in gola, il suo sapore acre non fece altro che farla eccitare di più, lo sentiva guizzare eccitato nella sua bocca, spinse la testa fino a farselo arrivare in gola, voleva essere scopata ovunque, fino in fondo.

Marco aveva infilato tre delle sue dita nel culo della madre, mentre la scopava guardava eccitato il buco elastico allargarsi ad ogni affondo della sua mano, le sue dita uscivano dall’orifizio di Mara bagnate di umori odorosi e caldi.

L’abate levò la benda improvvisata dagli occhi della donna, lei alzò lo sguardo verso l’uomo che la stava scopando in bocca, nel vederla, con gli occhi strabuzzati dalla sorpresa, il monaco si infoiò ancora di più spingendole la testa verso di se e soffocandola con il suo cazzo nodoso.

Marco ormai era ipnotizzato dall’orifizio slargato della madre, le aveva infilato nel culo quattro dita che scivolavano nel suo sfintere come se fosse burro. Continuava a scoparla con foga affondando con forti colpi d bacino.

Mara era impazzita, mai si era sentita così puttana, mai aveva concesso così tanto a degli uomini, mai con due uomini, godeva, ansimava, li incitava.
‘Dai così tesoro, sfondami il culo, continua ‘.’

L’abate sfilò il cazzo dalla bocca di Mara, andò vicino a Marco, salì sul divano in piedi ed infilò il cazzo nel culo della donna, sprofondando dentro di lei.

‘Ahhhhh mi sfondiiii, siiiii ‘..’ urlò la madre di Marco, ‘ ‘..siiii mi piace, due cazzi per me, continuate così brutti porci, scopatemi come una vacca in calore ‘..’

Eccitati dalle urla di Mara i due aumentarono la forza con cui stavano letteralmente sfondando la donna, le cosce erano fradice dei suoi umori, le colavano dal culo, dalla fica. Entrambi i suoi orifizi dilatati da quei pali di carne vigorosi, nodosi, duri.

Al culmine del godimento Mara iniziò a gridare così forte che padre Ignacio dovette tapparle la bocca con la mano, i sussulti degli orgasmi le facevano muovere il bacino convulsamente, mugolava come una cagna.
I due stavano per sborrare, la fecero mettere in ginocchio, entrambi si posero ai suoi lati schizzandole in viso il loro liquido caldo e vischioso.

Mara leccò la sborra che le colava ovunque, ingoiò ingorda il loro seme ansimando e continuando ad essere preda degli spasmi dell’orgasmo.

Si accasciarono sul divano, le mani di Mara saldamente ancorate sui loro cazzi umidi.

‘E brava puttana, sei una donna dalle mille sorprese ‘.’ Esclamò il monaco.

‘Mhhh ‘ mai goduto così tanto ” disse la donna.

‘Mai dire mai ‘.’ Esclamò l’abate sorridendo.

OSTELLO DI MONTECRUCIO – ORE 17.00

Astor Almond aveva passato buona parte della giornata a cercare sui libri della grande biblioteca del monastero informazioni circa il sigillo. Nei volumi non aveva trovato nulla, era come se il complesso fosse stato costruito intorno al manufatto. Quando stava per arrendersi la sua attenzione fu catturata da un documento antico che illustrava la pianta del monastero alla fine del 1451. Il documento mostrava, nella parte sottostante il chiostro, diversi cunicoli e stanze accessibili da un unico punto, al centro del chiostro stesso. La lingua in cui era scritto il documento doveva essere ungherese, scorse le didascalie che descrivevano le varie stanze, si bloccò su una scritta a lui familiare, ‘K’nyvt’r’ : biblioteca.

Astor si alzò dirigendosi verso l’entrata della biblioteca, il monaco che si occupava di gestire il catalogo dei volumi presenti alzò gli occhi su di lui.

‘Mi scusi, questa è l’unica biblioteca del monastero ?’, chiese Almond.

‘Certo, non ce ne sono altre ” rispose il monaco, guardando l’uomo dinanzi a lui come se fosse un po’ ritardato.

Almond ringraziò il monaco per la sua disponibilità ed uscì dalla biblioteca, il sole ancora illuminava il monastero, si diresse verso il pozzo, si sporse, l’acqua immota rimandava la sua immagine. Si chinò alla base della costruzione, i mattoni rossi non evidenziavano nessuna apertura, nessun meccanismo.

Il secchio di legno era agganciato al telaio metallico che univa le due sponde del pozzo, lo sganciò forzando il piccolo lucchetto che lo ancorava alla struttura. Notò che il lucchetto e la carrucola non mostravano i segni del tempo, a differenza della struttura metallica a cui erano ancorati : il lucchetto era nuovo e la carrucola ben oliata. Lasciò cadere il secchio, la catena sferragliò fino al tonfo del secchio che cozzava con l’acqua. Afferrò la catena e tirò su, udì uno scatto provenire dalla parte opposta del pozzo.

Almond si avvicinò nel punto in cui aveva udito il rumore, una pietra si era scostata rivelando un bottone metallico, lo pigiò e si aprì una passaggio nascosto nel terreno erboso a ridosso del pozzo. L’uomo si guardò intorno, non c’era nessuno, scese le scale ripide, sentì il passaggio alle sue spalle richiudersi, il buio l’avvolse.

STANZA DA LETTO DELLA BADESSA ‘ ORE 18:00

Suor Luigia era stesa sul letto, le mani ed i piedi legati con robuste cinghie di cuoio, completamente nuda, eccetto il velo. Attendeva con ansia il momento in cui si sarebbe aperta la porta.

La punizione a cui era stata sottoposta dalla badessa e padre Ignacio qualche giorno prima non era ancora terminata, Suor Brigida l’aveva relegata nella sua camera da letto tenendola a disposizione per i suoi capricci e le sue voglie. Nei due giorni seguenti era capitato che la badessa rientrasse in stanza per abusare di lei, per usare con violenza e depravazione, il suo corpo per poi lasciarla, di nuovo, legata in camera in attesa del dolce supplizio successivo.

Il leggero ticchettio di un orologio a muro scandiva i minuti, lentamente. Suor Brigida l’aveva lasciata legata avvertendola che sarebbe tornata per elargirle una nuova punizione. La novizia cercava di immaginare cosa le sarebbe capitato, la sua fica era già bagnata, affamata di quelle sensazioni forti e nuove a cui l’avevano iniziata.

Lo scatto della serratura la fece sobbalzare, la badessa entrò nella camera da letto, vestita anch’essa soltanto dal velo e da un paio di autoreggenti velate, al suo seguito Suor Luigia vide entrare tre uomini di colore, vestiti con abiti da lavoro, erano alcuni degli inservienti che lavoravano nel reparto caldaie.

Senza parlare la badessa si avvicinò alla suora legata, afferrò il frustino posto sul comodino ed iniziò a scorrere la pelle nuda della donna, si soffermò sui suoi seni, alzò la mano e scudisciò i suoi capezzoli, ad ogni colpo Suor Luigia gemeva di dolore e piacere inarcando la schiena.

Nel frattempo gli uomini di colore si erano spogliati, erano grossi e muscolosi, sudati. I loro cazzi erano già duri, le cappelle rosse erano invitanti, gonfie e lucide.

La badessa slegò la donna, avvicinò la bocca alla sua, la baciò suggendo la sua lingua con passione, con una mano scorse lungo la sua schiena arrivando alle natiche, le sue dita si insinuarono nel solco morbido delle natiche, saggiarono l’elasticità del tenero buco del suo culo, un gemito sfuggì dalle labbra di suor Luigia.

I tre uomini erano sul letto, le loro mani si avventarono curiose sul corpo della suora, dita forti le stringevano le carni facendole provare dolore. Suor Brigida ricominciò a frustarla, gli uomini le schiaffeggiavano i seni e le natiche. I suoi capezzoli erano turgidi, la pelle del suo seno abbondante arrossata dagli schiaffi e dalle scudisciate che stava ricevendo, la sua fica colava copiosa, era eccitata, ad ogni colpo il suo corpo rispondeva con l’aumentare della sua voglia, si sentiva succube, usata come una schiava, un oggetto da usare ed abusare per donare il piacere ai suoi aguzzini.

Uno degli uomini la prese a forza, la rigirò sul letto spalancandole le cosce, si sputò sulla mano per poi ungere il suo cazzo enorme di saliva, le entrò dentro con violenza mentre gli altri due le stavano infilando a turno i loro cazzi nella bocca. Suor Luigia succhiava a turno le verghe odorose degli uomini, il suo ventre aderiva a quello dell’uomo che la stava scopando.

Nel frattempo la badessa si masturbava guardando la novizia che veniva presa da quegli uomini rudi, tra le sue gambe muoveva un grosso fallo artificiale dal diametro enorme, lo spingeva con forza tra le sue grandi labbra umide e prominenti mentre con l’altra mano stringeva il clitoride.

Gli uomini fecero girare suor Luigia, due di loro si misero in piedi dietro di lei, le aprirono le natiche generose con le mani, il primo scivolò nel suo culo con brutalità, la donna urlò, il secondo si posizionò poggiando la sua cappella gonfia dove il suo compagno la stava inculando, spinse forte fino ad entrare anch’esso nel culo della donna. La badessa iniziò a succhiare il cazzo dell’uomo ai piedi del letto, leccava l’asta turgida dalla radice alla cappella lasciando sul membro un sottile filo di saliva, nel mentre si avvicinò a gambe larghe verso la bocca di suor Luigia, la lingua della novizia si insinuò tra le labbra sporgenti della Badessa leccando avida il piacere della sua aguzzina.

Il culo di suor Luigia continuava ad essere slabbrato dai due uomini dietro di lei, il suo orifizio dilatato accoglieva i due grossi cazzi colando liquidi caldi, le sue natiche erano arrossate dalle frustate e dai poderosi colpi di bacino che i due neri le davano, affondando nel suo culo.

‘Ti piace schiava ? Ti gusta farti inculare ?’, chiese la badessa alla novizia.

‘Siiii ‘.’, mugolò la suora, stravolta dal piacere.

‘… mi sento sfondata ‘ sono la vostra cagna mia superiora !’

La badessa, si alzò, ordinò agli uomini che stavano inculando la donna di sfilarsi, si mise in piedi dietro la suora, allargandosi la fica con le mani, iniziò a pisciare sul suo culo dirigendo il getto di urina sul buco orrendamente slabbrato.

I tre uomini infilarono a turno i loro uccelli tra le labbra della suora, spingendo fino a strozzarla, la riempirono di sperma caldo, bianco e cremoso, la suora leccava il liquido colato ai lati della sua bocca godendo del suo orgasmo.

Una volta congedati i tre uomini suor Brigida si avvicinò alla novizia :’La tua penitenza è finita ora mia piccola puttana ‘ fai attenzione ai tuoi atti, la prossima volta sarò più severa ”

Suor Luigia annuì abbassando lo sguardo, fremendo all’idea di essere di nuovo punita.

RICOVERO DI MONTECRUCIO – ORE 18.00

Padre Giovanni arrivò al posto di guardia, situato all’ingresso del lungo corridoio dell’ala detentiva del ricovero. La guardia lo salutò distrattamente aprendo la pesante grata metallica. Il monaco si avviò lungo il corridoio spingendo il carrello che portava i contenitori caldi della cena da distribuire ai detenuti.

‘La ceeeennnnnaaaaa ‘.’ Urlò il monaco, per avvisare i detenuti della sua presenza.

In ogni porta Padre Giovanni infilava il vassoio nello spioncino, mani ossute, sporche, ritiravano il pasto, tremanti ed avide.

Il monaco proseguì con la sua opera fino a quando, giunto dinanzi ad una cella, si fermò, guardando in direzione del posto di controllo. La guardia era intenta a guardare un film sullo schermo del computer, Padre Giovanni sollevò un lembo della pesante tovaglia bianca che copriva il carrello, dallo scompartimento in basso uscì Agata, la studentessa che qualche ora aveva incontrato nel chiostro.

‘E’ questa la cella ?’ Chiese la ragazza all’uomo alto che controllava guardingo il posto di controllo.

‘Si’, rispose lui sottovoce.

Dallo spioncino si scorgevano due occhi neri, bui come la pece, che osservavano in silenzio i due, fermi dinanzi la pesante porta metallica.

Agata poggio la mano sulla serratura, una luce incandescente si avvolse sul metallo della serratura, con gli occhi chiusi la ragazza recitava una strana preghiera, il metallo iniziò a sfrigolare, uno scatto annunciò l’apertura della cella.

Agata entrò furtiva, Padre Giovanni richiuse la porta accostandola e proseguì con la distribuzione del cibo.

Di fronte ad Agata c’era una ragazza di poco più grande di lei, lunghi capelli neri, occhi altrettanto neri e malvagi, le labbra rosso vermiglio ben pronunciate ed invitanti.

‘Sono ai tuoi ordini mia padrona ‘.’ Disse Agata inginocchiandosi ai piedi della ragazza.

Lucia avanzò verso la studentessa, i suoi occhi si contornarono di una luce fluorescente, malata, poggiò le mani sulla testa della ragazza, i suoi capelli rossi si rizzarono, come attirati da una forte carica elettrostatica che faceva sfrigolare l’aria circostante.

Agata fu pervasa da una serie di convulsioni, la sua bocca si storse in una smorfia silenziosa di dolore, cercò di divincolarsi dal tocco di Lucia ma era come se mani invisibili le tenessero ferma, immobile, ancorata al pavimento, incapace di muovere un muscolo.

La coscienza di Agata stava svanendo, poteva vedere la sua anima fuoriuscire da se stessa come un flusso evanescente di materia inorganica.

Uno spasmo, l’ultimo, Lucia si accasciò a terra interrompendo il contatto con Agata, inginocchiata dinanzi a lei.

La ragazza dai capelli rossi si rialzò ansimando, stette a contemplare il corpo della ragazza mora sul pavimento, inanime, freddo, si avvicinò alla porta di metallo e la aprì, imboccò il corridoio in direzione del posto di controllo, la guardia era ancora distratta. Il poliziotto si avvide della fuga della prigioniera quando questa era a pochi passi dalla sua scrivania, imprecò mentre cercava di pigiare il bottone rosso, situato a fianco del computer, per dare l’allarme.

Agata mosse una mano, il collo della guardia si torse in un movimento innaturale e si accasciò a terra, come un sacco vuoto, la ragazza si incamminò verso l’uscita.

Lucia fu investita dalla luce, era tanto tempo che non usciva all’aria aperta. Le piaceva il corpo della ragazza dai capelli rossi, tracce della sua essenza risuonavano dentro di lei come echi di voci lontane. Si incamminò verso l’ostello, la memoria della ragazza che aveva abitato quel corpo prima di lei si erano fusi con i suoi, salutò le sue compagne mentre saliva verso la camera dell’ostello, entrò, non c’era nessuno nella stanza.

Dietro la porta c’era un grande specchio, Lucia si fermò ad ammirare la sua nuova forma. Aveva i capelli rossi, raccolti in due codini fanciulleschi, gli occhi erano verde chiaro, il suo naso era puntellato di graziose lentiggini, le sua labbra erano carnose e rosse. Si spogliò, le sue mani percorsero il corpo della ragazza, si soffermarono sui seni piccoli e sodi, la sua fica era ornata di radi peli ricci e rossicci, le sue grandi labbra erano sporgenti, rosee ed invitanti. Infilò un dito dentro di lei, era bagnata, tornare a sentire il piacere del sesso la fece sorridere, le piaceva quel corpo, poteva servire ai suoi scopi, agli scopi del suo padrone.

Lucia chiuse gli occhi, scrutò con la mente l’ambiente circostante, padroneggiava poteri a lei sconosciuti, non era più né Agata né Lucia, era un essere diverso, riusciva a vedere le sue compagne che schiamazzavano come oche nella stanza accanto, poteva udire i loro discorsi futili. Allargò il raggio del suo potere, visualizzò la stanza del professor Meyer, l’insegnate di chimica.

L’uomo era disteso nudo sul letto, con una mano teneva una foto che ritraeva tre ragazze della sua classe, con l’altra si masturbava armeggiando un cazzo enorme, ritto e venoso.

Agata uscì dalla stanza dirigendosi verso quella del professore, bussò.
‘Ehmm ‘ mhhh ‘ Chi è ?’ sentì rispondere dall’altra parte della porta.

‘Professore, sono Agata, ho bisogno di chiederle una cosa, posso entrare ?’, le labbra della ragazza erano increspate in un sorriso malizioso.

‘Aspetta cinque minuti Agata, ora ti apro la porta ”, rispose il professore in tono imbarazzato.

Il professor Meyer aprì la porta invitando l’alunna ad entrare, una canottiera bianca ed un paio di pantaloni color caki, sgualciti, tradivano la fretta con cui si era rivestito.

Agata restò ai piedi del letto mentre l’uomo richiudeva la porta, la invitò a sedersi su una poltroncina, lui si sedette ai bordi del letto.

Agata aveva i primi due bottoncini della camicetta sbottonati, la pelle morbida e candida del suo piccolo seno faceva capolino dalla scollatura, la soffice gonna di tweed si alzò leggermente nella seduta, il professore guardò imbarazzato per poi distogliere immediatamente lo sguardo.

Nel rivestirsi l’uomo non si era infilato le mutande, il bozzo che sollevava la stoffa dei pantaloni all’altezza dell’inguine era inequivocabile, Agata gli diede una rapida occhiata, assunse un’espressione ingenua e maliziosa.

‘Professore ‘ sono stata molestata ”, disse la ragazza abbassando gli occhi.

‘Come ? Chi ? Dove ?’, rispose trafelato il professore sgranando gli occhi.

‘Nel chiostro, mentre ero con le mie compagne, uno dei monaci mi ha toccato ‘.’

‘Dove ti ha toccato ?’

Agata si mise in piedi, era di fronte al professore, alzò la gonna mostrando le sue cosce nude e le mutandine bianche, premette con un dito tra le gambe in modo che il cotone morbido delle mutandine disegnasse il contorno della sua fica implume.

‘Qui !’, disse la ragazza lasciando il suo dito tra le gambe, il tessuto delle mutandine si ombrò leggermente a contatto con il liquido che le stava bagnando la fica.

Il cazzo del professore ebbe un guizzo eccitato, la ragazza gli afferrò la mano.

‘Faceva così ”, continuò Agata portando la mano piccolina ed ossuta dell’uomo all’altezza del suo inguine, impugnò un suo dito e se lo portò sulla fica iniziando a strofinare il tessuto umido delle mutandine.

Il professor Meyer era inebetito, il cazzo gli stava scoppiando, i rossi accesi sulle guance della ragazza lo eccitavano ancor più del contatto con la sua fica. Agata gli lasciò la mano, lui continuò a toccarla con le dita, la voce rotta dall’emozione : ‘Faceva proprio così ?’

‘Si professore, poi mi ha portato dietro una colonna e mi ha fatto girare ”, disse piagnucolante Agata.

‘Come ?’, chiese l’uomo eccitato all’inverosimile.

Agata si girò abbassandosi le mutandine, mostrò le sue natiche piccole e sode all’uomo, le allargò con le mani e disse : ‘Così ! Mi ha toccato il buchino ”

‘Questo buchino ?’, chiese l’uomo in maniera ingenua portando le sue dita sul piccolo forellino ambrato della ragazza iniziando a massaggiarlo delicatamente.

L’entità che aveva preso il posto di Agata stava godendo di quei tocchi, i mesi di prigionia in stato catatonico le avevano precluso ogni forma di soddisfazione sessuale, le sue sensazioni ed i suoi appetiti si stavano risvegliando prepotentemente, bramava di essere presa in maniera animale.

‘Mhhhh professore, si, mi toccava così, a me piaceva ‘ sono cattiva ? Anche adesso mi piace, mi sento così strana, mi sento così umida !’

‘No è normale ” rispose l’uomo mentre si umettava le dita con la saliva.

Toccò la fica dalla ragazza, era fradicia, iniziò a masturbarla mentre lei si teneva su la gonna con le mani. Meyer tornò a toccarle il culo, le sue dita umide di saliva ed umori si fecero strada nella carne morbida tra le natiche di Agata.

La ragazza gemette quando le dita dell’uomo entrarono nel suo sfintere morbido e caldo. Il professore le infilò completamente il suo dito nel culo mentre con l’altra mano le masturbava la fica.

Agata si staccò da lui, iniziò a spogliarsi, l’uomo fece lo stesso abbassandosi i pantaloni e scoprendo la sua erezione. Completamente nuda la ragazza si mise in ginocchio sul letto.

‘Lo rifaccia professore ‘ lo rifaccia usando quello ”, disse Agata indicando il cazzo enorme dell’uomo.

Meyer afferrò la ragazza per i fianchi, poggiò la sua cappella umida all’ingresso dell’invitante buchino premendo delicatamente.

Il suo cazzo venne avvolto dal calore umido di quel culo giovane ed eccitante, spinse leggermente entrando dentro di lei lentamente. La ragazza chiuse gli occhi gustandosi quel bastone nodoso che, centimetro dopo centimetro, le stava allargando lo sfintere, respirò profondamente per poi aderire all’uomo facendosi sprofondare quel cazzo nodoso interamente nel culo.

Il professore afferrò i codini della ragazza piegandole la testa verso l’alto, iniziò a muoversi sentendo scivolare il cazzo nel caldo avvolgente del suo culo. Agata ansimava e si contorceva dal godimento, con una mano si strofinava il clitoride per accentuare il piacere. Il professore guardava il culo di Agata allargarsi ad ogni suo affondo, la ragazza sembrava indemoniata, si muoveva veloce assecondando il suo movimento, con le mani si allargava le natiche per far entrare più a fondo il cazzo dell’uomo.

Agata si sfilò dal professore sdraiandosi sul letto, allargò le gambe afferrando con le dita le sue grandi labbra, allargò la fica invitando l’uomo dentro di lei.

La vista della fica così spudoratamente offerta eccitò Meyer che le afferrò le caviglie allargandola ancora di più, entrò dentro di lei, era fradicia e calda. Mentre veniva scopata la ragazza si stringeva i capezzoli rosei, roteava la lingua come a leccare un cazzo immaginario.

Mayer stava per venire, la ragazza lo fermò :’Non ancora ”, disse afferrandogli il cazzo e stringendolo forte alla radice, allargò le labbra, lo fece scivolare in bocca ingoiandolo completamente.

Sentiva il sapore forte dell’uomo sulla sua lingua, lo succhiava avida ed eccitata.

Gli occhi della ragazza si illuminarono leggermente di un iridescenza verde, opaca, una bruma sottile iniziò ad avvolgere il membro dell’uomo che teneva la testa della ragazza per i codini imponendole il ritmo del pompino.

La nebbiolina salì avvolgendo l’uomo, insinuandosi nella sua bocca, nelle sue narici, il godimento salì di intensità. Il professore schizzò nella bocca della ragazza, ormai sopraffatto e senza coscienza, i suoi occhi mutarono colore, erano punti neri in un abisso scuro.

La ragazza continuò a succhiare il cazzo dell’uomo gustando ogni singola goccia di sperma caldo, la volontà di Meyer cessò di esistere, si alzò guardando la ragazza con occhi spenti e scuri, lei lo guardò maligna e rise.

‘Ascoltami ed esegui ”, disse la ragazza rivolta a quello che un tempo era il professor Tiziano Meyer.

STRADA PER IL CONVENTO DI MONTECRUCIO ‘ ORE 21.00

La Ford focus procedeva lentamente sulla strada che conduceva al monastero, il buio era rotto dai fari opachi della macchina, alla guida una donna dai capelli rossi imprecava, sporgendosi oltre il volante, cercando di capire dove stava andando.
‘Porca troia impestata ‘ non si vede un cazzo su questa strada, ci siamo persi ‘cazzo ‘ cazzo ‘ cazzo !!!’
Al suo fianco il ragazzo dai capelli scuri fissa la strada buia senza dire una parola, conosce sua madre, sa che in questi momenti la cosa migliore è lasciarla perdere.

‘Luca ”, continua la donna, ‘dì una cazzo di parola bello di mamma, aiutami ogni tanto ‘. Certo che di tutti i figli imbranati proprio a te mi doveva lasciare quello stronzo di tuo padre ”

Patrizia frenò all’improvviso, scese dalla macchina arrancando con i suoi tacchi alti verso l’indicazione illuminata dai fari. Luca fissava la madre che imprecava e si dimenava in maniera nervosa, la gonna nera aderente le si era tirata su arrivando a scoprirle le natiche ed il minuscolo perizoma nero.

‘Un monastero, siamo vicini ad un cazzo di monastero, che sfiga ‘ che sfiga ”, disse la donna rientrando e battendo la portiera così forte che Marco fu mosso dallo spostamento d’aria.

‘Non servi a un cazzo, nemmeno una cartina sai leggere ” continuò la donna rivolta al figlio mentre guidava la macchina verso il monastero.

Luca osservava i suoi seni gonfi ondeggiare, tenuti a stento da un top bianco semi trasparente, i capezzoli trasparivano invitanti, resi turgidi dall’aria frizzante della notte.

Arrivati al monastero Patrizia urlò al figlio di prendere la valigia dal portabagagli, insieme si incamminarono verso l’ostello seguendo i cartelli illuminati posti ai lati del viottolo sterrato. Entrando nell’ostello furono accolti dalla suora di turno alla reception, la religiosa guardò severa la donna vestita succintamente.

‘Buonasera, come posso esservi utile ?’ chiese la suora.

‘Ci siamo persi in questo buco di montagna, avete una stanza per passare la notte, siamo io e mio figlio.’

Luca fu distratto dalle voci delle alunne che provenivano dalle scale, era un bel ragazzo alto, occhi verdi, chiari, il suo sguardo era perennemente serio e pensieroso, sua madre non perdeva occasione per rimarcarlo.

Erano stati abbandonati dal padre un anno prima, l’uomo era stanco dei continui tradimenti della moglie, una donna avida e volgare. Luca era rimasto con la madre, si era chiuso in sé stesso, parlava poco ma era molto intelligente, la sua sensibilità veniva spesso confusa per debolezza. Lavorava come apprendista in una società di Web Service ed era diventato piuttosto bravo con i computer, la notte abbandonava i suoi panni di ragazzo introverso per diventare uno degli hacker più conosciuti in Europa, il suo nick era DemonSlayer.

‘Grazie eh ! Daje, muoviti idiota che stanotte dormiamo qui e domani ce ne scappiamo da stà merda ”, disse con acidità la madre di Luca rivolta al figlio, la suora alla reception scosse la testa sconsolata.

SOTTOSUOLO DI MONTECRUCIO – ORE 21.00

Astor Almond frugò nella sua borsa di pelle alla ricerca della torcia, il cono di luce illuminò le pareti umide di un cunicolo stretto e basso, tenendo in mano il vecchio documento trovato nella biblioteca del monastero proseguì, seguendo le mappa disegnata sulla carta ingiallita dal tempo. Iniziarono a comparire, ai lati dello stretto passaggio, delle pesanti porte di legno. Provò ad aprirne una, il legno inumidito scricchiolò cedendo sui cardini, spinse con la spalla riuscendo ad aprirla.

Passata la porta Astor si trovò all’interno di una piccola stanza, uno scheletro mummificato era incatenato al muro, lo ispezionò attentamente, era una donna, diresse il fascio di luce nell’ambiente circostante fino a bloccarsi su una scritta incisa sul muro :’séta’, andatevene.

Astor uscì dalla stanza tornando nel cunicolo, seguendo le indicazioni percorse gli stretti corridoi, il silenzio era quasi irreale, udiva i suoi passi rimbombare lievemente tra le anguste pareti. Proseguì fino a trovarsi di fronte ad un corridoio cieco, sulla mappa erano indicati tre punti dorati dove doveva essere l’ingresso della biblioteca, sulla parete c’erano tre piccoli fori, vi infilò le dita della mano, udì il rumore di un meccanismo ferroso che si metteva in moto, la parete si scostò di lato aprendo la strada verso quella che doveva essere la biblioteca.

L’uomo entrò, dirigendo la luce della torcia in modo di illuminare l’ambiente circostante, sembrava immenso, ai lati dell’ingresso vi erano due piccoli bracieri, Almond prese l’accendino dalla borsa e provò ad accenderli.

Alimentate da un ramificato marchingegno ad olio le lampade appese alle pareti della biblioteca iniziarono ad accendersi in sequenza, nel giro di un minuto l’enorme stanza fu illuminata.

Eccitato Almond iniziò a scorrere gli scaffali, migliaia e migliaia di libri antichi, impolverati, alcuni inumiditi, una tale quantità di conoscenza e bellezza che non riusciva a contenere la sua gioia.

OSTELLO DI MONTECRUCIO ‘ ORE 22.00

Agata lo aveva lasciato il professor Meyer poche ore prima, la possessione era avvenuta durante il loro rapporto, la corruzione si era impadronita dell’anima dell’uomo svuotandolo dei suoi sentimenti, lasciandolo in preda di una bramosia atavica rivolta alla ricerca del piacere e della depravazione. Il male si era avvinghiato ai suoi desideri più sordidi e li aveva usati per estinguere ogni briciolo della sua umanità.

Dopo l’incontro con quella che, all’apparenza, era ancora l’alunna Agata Federici, l’uomo si mise in cerca di altre vittime. Prendendo come pretesto l’eccessiva esuberanza di due alunne il professore le portò con se nella sua stanza, il fluido malefico penetrò nelle menti innocenti delle ragazze che, una volta soggiogate, furono usate ed abusate dal professore.

Nella stanza occupata da Luca e sua madre, nel frattempo, si stava consumando l’ennesimo litigio.

‘Nemmeno la valigia hai disfatto, sempre con quel cazzo di computer ” urlava Patrizia contro il figlio.

Luca era seduto sul letto, il computer portatile sulle gambe, stava hackerando il profilo di un cyberbullo. Il ragazzo, nella rete, si sentiva una sorta di Robin Hood, le sue azioni erano rivolte a raddrizzare i torti di chi, a suo giudizio, aveva subito qualche ingiustizia.

Volse gli occhi verso sua madre. Era china sul letto intenta a rovistare nella valigia in cerca di qualcosa, il suo grosso culo tondo e nudo rivolto verso il figlio che, suo malgrado, ebbe un erezione.

Il seno abbondante della donna era avvolto nell’asciugamano bianco, guardò il figlio, i suoi occhi scesero verso la protuberanza evidente della sua eccitazione.

Patrizia era una donna ingorda di sesso, negli anni di matrimonio non aveva esitato a cogliere ogni occasione le si presentava per tradire il marito, il suo fisico giunonico e provocante l’aveva aiutata ad avere ogni tipo di uomo. A letto concedeva tutto, senza nessuna remora o rimorso. Si sedette accanto al figlio, con la mano sfiorò l’inequivocabile erezione, Luca si ritrasse mugugnando.

‘Mhhh ‘ non fare il puritano, lo vedo come mi guardi, sei un porco come gli altri uomini ‘ ‘

Patrizia si alzò ridendo e si vestì indossando una sottana trasparente di color viola, i suoi capezzoli erano turgidi, Luca cercava di distogliere lo sguardo dalle areole enormi e rosse della madre, dai suoi seni prorompenti. La desiderava, era vero, ma la sua morale gli impediva ogni tipo di approccio, sentiva che era in qualche modo sbagliato.

La porta della loro camera si aprì di colpo. Luca e sua madre, stupiti, rimasero immobili, bloccati mentre un uomo calvo e basso fece il suo ingresso seguito da due giovani ragazze seminude.

ANTICA BIBLIOTECA ‘ ORE 22.00

Astor Almond era intento a leggere su di un antico libro la storia del monastero. Il volume era posto su un leggio al centro dell’enorme biblioteca. Le lampade ad olio facevano danzare, sulle pareti illuminate, ombre inquietanti. Una bruma sottile iniziò a spandersi lungo il pavimento polveroso. L’uomo scattò al suono di un clangore metallico che rimbombò tra le pareti della biblioteca, urtò il leggio che cadde a terra rivelando uno scomparto segreto in cui era riposto un libro consunto finemente intarsiato con motivi dorati.

Astor si mise a sedere sul pavimento sfogliando il libro misterioso, un rumore sommesso di passi lo interruppe. Si alzò andando in direzione del punto da cui era provenuto il rumore. Altri passi, da un altro punto del grande ambiente. Le ombre sembravano irridere l’uomo con i loro movimenti tremolanti, assumevano forme umane per poi mutare in facce maligne. La nebbia melliflua aveva ricoperto interamente il pavimento della biblioteca. Almond frugò nella borsa di pelle, impugnò una pistola a tamburo, continuò a percorrere il dedalo di corridoi formato dalle alte librerie della stanza, si voltò all’improvviso, il rumore dei passi si era fatto più vicino, una risata cristallina e femminile risuonò chiara alle sue spalle. Non vide nulla, gocce di sudore freddo iniziarono ad imperlare la fronte dell’uomo, poi, un dolore sordo alla testa lo fece barcollare. Il buio calò improvviso, Almond cadde a terra, mani esili lo afferrarono trascinandolo a forza fuori dalla biblioteca, perse conoscenza.

Il dolore alla testa era insopportabile, Almond aprì gli occhi, si trovò appeso per le braccia al centro di una stanza spoglia, le pareti di roccia grezza erano illuminate dalle stesse lampade ad olio presenti nella biblioteca. Ai suoi piedi una piccola ragazza mora, completamente nuda stava succhiando il suo cazzo duro con foga, sentiva le labbra della sconosciuta serrarsi intorno al suo membro, la sua lingua titillava la cappella gonfia ed eccitata. La ragazza alzò lo sguardo su di lui, era la piccola suora incontrata in chiesa, ai piedi del sigillo. Suor Kim sorrise all’uomo, il suo cazzo interamente sprofondato tra le sue labbra. Dagli occhi della religiosa si dipanava una tenue luce verde fluorescente.

‘Ben svegliato ” lo apostrofò la piccola suora tenendo tra le mani il pene dell’uomo, ‘hai un grosso cazzo, buono da succhiare ‘ ti dispiace se ho iniziato durante la tua incoscienza ?’

Almond farfugliò qualcosa, ancora intontito dal colpo ricevuto, le catene non gli lasciavano alcuna possibilità di fuga. La suora continuò nel suo lavoro, tirò fuori la sua lingua sinuosa, la avvolse intorno al cazzo duro di Almond, leccò la sua asta voluttuosamente per poi ingoiarlo lentamente stringendo le labbra ed iniziando a succhiare. L’uomo incatenato sentiva la sua coscienza scivolare via dal suo corpo, chiuse gli occhi, si concentrò cercando di resistere all’attacco che stava subendo.

Almond conosceva le insidie dei posseduti, era stato allenato dalla chiesa, in giovane età, a resistere ai desideri carnali, a combattere le insidie demoniache con la volontà. I componenti della sua ‘congrega’ erano scelti in base determinati requisiti e forgiati dai maestri con decenni di duro allenamento e sacrificio.

La suora si alzò, avvicinò il suo viso a quello dell’uomo, le sue piccole mani percorrevano avide il suo membro eretto.

‘Non resistermi, non puoi ‘ il mio signore mi ha donato la conoscenza, la forza necessaria a farti cadere ‘ alla fine ‘ cadrete tutti !’

‘Chi è il tuo signore ‘ dimmi il suo nome posseduta !’

Suor Kim rise, continuando a carezzare morbida la cappella dell’uomo con le sue dita affusolate, gli girò intorno, senza mai lasciare il suo cazzo, si chinò dietro l’uomo, gli allargò le natiche iniziando a leccargli il culo mentre con la mano continuava a masturbarlo.

Almond continuò ad esercitare la sua volontà, svuotò la mente, fece ricorso ai suoi ricordi più puri, ai suoi sentimenti più nobili. Doveva conoscere il nome del demone che stava manifestandosi nel monastero per poterlo combattere, doveva riuscire a trovare il rituale per distruggerlo.

Ogni demone ha il suo peculiare peccato da diffondere, ha il suo unico punto debole con cui può essere distrutto o imprigionato.

La suora si pose dinanzi all’uomo, si chinò di spalle poggiando il cazzo dell’uomo tra le sue natiche, spinse, lasciando che l’erezione la penetrasse morbidamente, accogliendo la voglia di Almond dentro di se, iniziò a muoversi allargando con le mani le natiche per far entrare più a fondo il palo di carne pulsante del suo prigioniero.

‘Resisti uomo di chiesa ‘ ma il tuo cazzo mi sta dicendo altre cose ” lo incitava la suora, ” lo sento come pulsa nella mia fica, come me la apre, grosso e duro ‘ sei un porco, sei un depravato, il mio signore mi ha detto cose su di te, mi ha fatto vedere ”

‘Chi è il tuo signore ? Chi ti comanda ‘. Dimmelo ” chiese urlando Almond.

La suora si sfilò, portò le mani sul cazzo dell’uomo, lo accolse in bocca, gustando il sapore dei propri umori.
La stanza era sparita, intorno alla coppia un vortice nebbioso, roteava attutendo le loro grida con un rumore assordante. I bracciali di metallo che tenevano Almond si aprirono, come divelti da una mano misteriosa, restò fluttuante nell’aria, le braccia alzate come sollevato da un invisibile aguzzino.

‘Chi è il demone che ti possiede, chi ti ha fatto diventare la sua marionetta ” urlava l’uomo rivolto alla ragazza.

Suor Kim si girò di nuovo, prese il cazzo di Almond tra le mani, lo portò tra le sue natiche, spinse, inculandosi selvaggiamente, iniziò a muoversi, il cazzo le dilatava oscenamente lo sfintere, gocce umide di piacere le scivolavano lungo le cosce.

Almond distolse lo sguardo, vedere il suo cazzo slargare il culo della suora gli faceva perdere concentrazione, chiuse di nuovo gli occhi, visualizzò il suo desiderio più puro , si dissociò dal corpo, le membra si sciolsero dalla presa invisibile che lo bloccava.

Suor Kim sentì lo sperma inondare il suo culo, caldo e vischioso, rise sguaiatamente credendo che l’orgasmo dell’uomo coincidesse con la sua resa.

Almond calò a terra, liberato dalla forza che lo teneva sospeso, sferrò un pugno violento verso la ragazza. Suor Kim, sorpresa, si asciugò le gocce di sangue al lato della bocca, si avventò verso l’uomo con un grido inumano, gli strinse il collo con le braccia rivelando una forza inaspettata per la sua piccola stazza.

Almond cercò di divincolarsi, la donna era aggrappata alla sua schiena, gli stringeva il collo cercando di soffocarlo, la vista iniziò ad essere meno nitida, doveva liberarsi. Si lanciò di schiena verso il muro facendo cozzare la donna violentemente contro la parete, sentì la presa farsi più leggera. Si piegò facendo caracollare la donna sul pavimento, scappò verso l’uscita della stanza.

La donna lo doveva aver portato in un’altra parte del labirintico sottosuolo del monastero, cercò di orientarsi, doveva tornare alla biblioteca, la pistola doveva essere rimasta lì quando era stato colpito.

Corse verso destra cercando di ricordare la mappa che lo aveva guidato qualche ora prima, alle sue spalle poteva distinguere chiaramente i passi affrettati della donna.

Suor Kim lo chiamava, poteva chiaramente udire il suo ansimare, l’uomo era indebolito, sentiva l’odore della sua preda diventare più forte.

Almond scorse il corridoio che portava alla biblioteca, accelerò, la voce della donna si era fatta più profonda, ruvida, come quella un animale. Entrato nella biblioteca scattò verso il luogo dove era stato aggredito, la sua inseguitrice era vicina, con la coda dell’occhio la vide : i suoi lineamenti erano trasfigurati, era come se qualcuno avesse puntato un dito al centro del suo viso ed avesse premuto attirando la pelle verso il punto di contatto conferendole un aspetto demoniaco.

Almond si buttò a terra, la pistola sul pavimentò venne urtata dalla sua mano scivolando in avanti, le mani della donna gli afferrarono le caviglie, scalciò colpendole il viso deformato, scivolò verso la pistola, l’urlo inumano della donna lo fece rabbrividire, quello che era rimasto di suor Kim balzò in avanti, verso la preda ormai a pochi centimetri.

Lo sparo rimbombò forte tra le pareti della grande sala, suor Kim rimase immobile, come sospesa nell’aria, lo sguardo incredulo, il sangue le disegnò una rosa rossa all’altezza del petto, dove il proiettile era entrato facendole esplodere il cuore corrotto.

Almond vide il corpo della donna crollare a terra, si sdraiò guardando il soffitto della biblioteca, svenne, sopraffatto dallo sforzo.

STANZA DI PATRIZIA E LUCA ‘ ORE 22.30

Erano entrati nella camera come degli ossessi, Luca aveva quasi lasciato cadere a terra il suo computer portatile talmente tanto era stato lo spavento.

Le due ragazze erano seminude, una bionda con i capelli lunghi, non bellissima, magra e bassina, l’altra più carina, con i capelli scuri legati, rotondetta e con un bel seno.

L’uomo era pelato, con un ridicolo riporto, aveva un aspetto insignificante, i suoi occhi sembravano luminosi, chiusi in un espressione maligna che trasmetteva timore.

‘Cosa cazzo vi viene in testa brutti stronzi ”, inveì Patrizia, rivolta con lo sguardo al professore Meyer.

L’uomo era in canottiera e slip, guardò la donna rossa che lo stava insultando come se fosse una nullità, non le rispose, fece un cenno alle due ragazze alle sue spalle che, come obbedendo ad un ordine prestabilito, si avventarono su Luca immobilizzandolo sul letto.

‘Cosa state facendo ?’, urlò il ragazzo mentre le mani esili delle due ragazze gli afferrarono le braccia portandole dietro la sua schiena, erano forti, per quanto cercasse di divincolarsi il ragazzo non riuscì a sfuggire alla loro morsa.

L’uomo si gettò su Patrizia, le mise una mano sulla bocca interrompendo le sue urla, la scaraventò sul letto strappandole la vestaglia viola e scoprendole i seni enormi.

‘Guarda che bocconcino ‘ è bella la tua mammina non è vero ?’ disse l’uomo rivolto verso Luca che, a sua volta, aveva la mano della ragazza mora premuta forte sulla bocca.

Il professor Meyer afferrò il coltello dal tavolo, accanto al cestino di frutta, omaggio dell’ostello, lo puntò verso Patrizia e disse :’Non fiatare, non dire una parola, non urlare o ti apro un buco nella pancia ‘ vedrai che sarà bello, già sento che ti amerò, già so che sarai nostra !’

Patrizia era spaventata, con lo sguardo passava dal professore a suo figlio. Luca era immobilizzato, le ragazze gli leccavano i lobi delle orecchie tra risolini e versi eccitati.

‘Legatelo ed imbavagliatelo, lui è diverso, lui non può essere dei nostri ” ordinò il professore.

La ragazza mora si alzò, prese il cordone della tenda e legò le mani di Luca, poi strappò la federa dal cuscino e gliela mise sulla bocca, legandola stretta per impedirgli di urlare.

‘Bene ”, disse il professore, ” ora a noi due.

Con il coltello iniziò a scorrere lungo la pelle di Patrizia, toccò con la punta gelida dell’arma i suoi capezzoli che, per reazione, si inturgidirono.

‘Non dirmi che ti piace ”

‘Bastardo ” gli rispose la donna piagnucolando.

L’uomo la schiaffeggiò, Patrizia si toccò la guancia dolorante. Il professore si chinò su di lei, il loro volti erano a pochi centimetri, dalla sua bocca esalò un rivolo di fiato verdognolo e sinuoso, la bruma malefica venne inalata dalla donna impaurita, singhiozzò mentre la mano del professore scendeva tra le sue cosce.

Patrizia restò per un secondo senza fiato, sentiva qualcosa farsi strada dentro di lei, occupando lo spazio dentro il suo corpo, perse il controllo di se stessa, le sue pupille si dilatarono, ora sentiva soltanto il tocco delle dita dell’uomo sulla sua fica, si eccitò, allargò le gambe.

‘Bene bene bene ‘ è nostra ‘ora ci possiamo divertire ” esclamò il professore rivolto alle sue alunne.

La ragazza bionda si chinò ai piedi di Luca, gli sfilò i pantaloni, gli carezzò il cazzo, tirò giù gli slip e, allargando le labbra, lo accolse, sentendolo indurirsi nella sua bocca.

Luca, seduto sul letto, inerme, cercava di resistere senza riuscirci, la ragazza ingoiava il suo cazzo, fino alla radice, stringeva le labbra succhiando forte, poi lo sfilava lentamente leccandogli l’asta dura.

Il professore con la mano nella fica di Patrizia muoveva le sue dita umide dei liquidi della donna che, adagiata sul letto con le cosce spalancate, stringeva i suoi capezzoli erti fino a farsi male.

Meyer si sfilò gli slip offrendo, alle labbra carnose della donna, il suo grosso cazzo teso.

Patrizia allargò la bocca, lo ingoiò avida ed eccitata, la carne pulsante e calda la eccitava facendola bagnare tra le cosce in maniera oscena, strinse il cazzo dell’uomo affondando con la testa fino a farlo arrivare nella sua gola.

La ragazza mora, alle spalle di Luca, teneva il suo cazzo nella mano mentre la sua compagna lo spompinava ferocemente. Il ragazzo non riusciva a distogliere lo sguardo dalla madre, il vederla a cosce larghe, con la fica stillante di piacere, lo eccitava.

STANZA DI SUOR BRIGIDA ‘ ORE 22.30

Suor Brigida era andata a letto presto, la telefonata la svegliò di soprassalto, era il dottor Sibelli, la sua voce era preoccupata.

‘E’ morta ‘ Lucia Solieri è morta, è stata trovata nella sua cella priva di vita, nessun segno che possa indicarne la causa.’

‘Sta scherzando, com’è possibile, nessuno se ne è accorto ?’

‘La guardia è stata trovata morta, collo spezzato ma nessun segno evidente ”

‘Che sta succedendo ? Maledizione ‘ mi lasci avvertire l’abate, ci vediamo nel mio studio tra quindici minuti ” Disse la badessa alzandosi dal letto.

ANTICA LIBRERIA DI MONTECRUCIO ‘ ORE 23:00

Astor Almond si rialzò dal pavimento su cui era svenuto. Guardò il corpo esile della suora privo di vita, si fece il segno della croce, benedicendo quell’anima stuprata dal male che si stava diffondendo nel monastero. Veloce si diresse verso il leggio, raccolse i due volumi che stava leggendo prima dell’aggressione ponendoli nella sua borsa di pelle. Doveva parlare con la badessa, doveva avvertirla che il monastero era in pericolo.

STANZA DELL’ABATE ‘ ORE 23:00

Suor Brigida aveva lasciato il dottor Sibelli nella sua camera. Era dinanzi la porta che dava nella camera da letto dell’abate, nella mano reggeva una torcia elettrica, era uso tra i monaci staccare la corrente elettrica, una reminiscenza dell’antico voto di povertà. L’abate non rispondeva al telefono, la badessa preoccupata si era diretta velocemente nell’ala del dormitorio dove alloggiavano i monaci.

Nessuna risposta, la donna scese le scale fino ad arrivare al chiostro, la notte era buia, la luna coperta da nubi nere e dense, le vetrate della chiesa erano illuminate.

‘Ma cosa sta succedendo qui ” esclamò a voce alta la suora.

Un rumore pietroso la fece sobbalzare, una botola si aprì sul suolo a ridosso del vecchio pozzo, Suor Brigida vide una figura scura uscire dal terreno, diresse la luce della torcia in quella direzione, era Astor Almond, che le sorrise debolmente.

STANZA DI PATRIZIA E LUCA ‘ ORE 22.30

La ragazza mora si era piegata verso Luca, il ragazzo aveva sentito il suo cazzo sprofondare morbido nella sua fica, l’alunno bionda si chinò tra le gambe della sua compagna, iniziò a leccarle la fica fradicia di umori, la sua lingua titillava il clitoride, gustava il sapore umido del cazzo del ragazzo, che usciva lordo e lucido dalle grandi labbra spalancate della ragazza mora.

Il professor Meyer aveva fatto girare Patrizia, facendola inginocchiare sul bordo del letto, le aveva sputato sul buco del culo per poi sprofondare dentro di lei con un colpo di bacino violento.

Patrizia godeva e gemeva, guardava il figlio mentre veniva scopato dalle due giovani alunne, ammirava il cazzo di Luca uscire madido dalla fica colante della ragazza mora.

Meyer si accorse dello sguardo eccitato della donna, sentiva il suo sfintere mentre si stringeva intorno ala suo cazzo.

‘La mammina vuole il suo figlioletto, lasciateglielo un pochino ” disse il professore rivolto alle sue alunne.

Le ragazze si allontanarono da Luca, Patrizia si sfilò dal professore, si diresse verso il figlio.

‘Mamma ‘ ti prego .. no ” implorò Luca.

‘Shhh ‘ il tuo cazzo ti tradisce ‘ ‘ disse la donna, ‘ ‘lascia fare alla mamma ”

Patrizia si inginocchiò dinanzi al figlio, il cazzo del ragazzo era lucido, teso e nodoso, la donna si leccò le labbra guardandolo fisso negli occhi, un sorriso malizioso ed eccitato le illuminava il volto. Prese con le mani i suoi seni stringendoli sul pene turgido del figlio, iniziò a muoverli, lentamente. Fece colare oscenamente la sua saliva sul petto, continuava a stringere il cazzo muovendo le sue enormi tette.

Luca era inebetito dal godimento immenso che gli stava donando sua madre, fissava la pelle morbida dei seni stringersi intorno al suo piacere, avvertiva il soffice contatto delle tette materne col suo pene.

Le ragazze si abbassarono a leccare a turno il culo slargato e fradicio di Patrizia, insinuavano le loro lingue tra le natiche abbondanti della donna assaporando il gusto forte dei suoi liquidi.

Meyer si pose dietro l’alunna bionda, le allargò le natiche magre con le mani, poggiò la sua cappella sul buchino stretto del suo culo e spinse. La ragazza urlò dal dolore ma allo stesso tempo lo incitava, ormai preda di una malefica malia.

‘Daaaaiiii ‘. Si nel culooo !!!!’ urlava la ragazza bionda.

L’alunna mora continuava a leccare il buco largo di Patrizia, infilava le sue dita nel culo della compagna, mentre il professore la inculava, tenendole le natiche con le mani.

Luca schizzò sul viso della madre, la inondò di sperma caldo. Patrizia continuò a masturbarlo col suo seno lordo di sborra, il cazzo del ragazzo rimase duro e reattivo.

L’alunna bionda sentì il suo intestino riempirsi di sperma, il professore era venuto urlando come un ossesso, sborrando copioso tra le sue natiche.

Luca sentì che le corde che lo tenevano legato avevano ceduto, provò a liberare le mani.

“Ora morirai piccolo uomo, non servi al nostro signore …” disse il professore, tentando di mettere le mani al collo del ragazzo.

Luca sentì la stretta ferrea dell’uomo stringergli il collo, forzò le corde, che gli lasciarono libere le mani. Afferrò dal comodino il pesante lume di ottone, colpì il professor Meyer alla tempia, il suono scricchiolante fu terribile, l’uomo si accasciò a terra, il suo corpo si muoveva in preda agli ultimi spasmi.

Patrizia e le due ragazze rimasero immobili, lo sguardo perso nel vuoto, come fossero bambole vuote.

Luca si rivestì, afferrò il computer e lo pose nella zaino, lo indossò e corse fuori dalla stanza cercando aiuto, la scena che si presentò ai suoi occhi lo lasciò incredulo, nell’ostello regnava il caos, studentesse e monaci erano in preda di un orribile maleficio, nel corridoio una decina di frati erano occupati a scopare a turno una studentessa nuda, sdraiata sul pavimento, le sue compagne masturbavano gli uomini in attesa del loro turno, bocche giovani ingoiavano quei membri duri e nodosi come se fossero delle prostitute navigate.

Luca passò oltre, ignorato dal gruppo, dalle stanze provenivano gemiti e grugniti, andò verso le scale, una studentessa seduta sui gradini si stava facendo leccare la fica da una sua compagna che, nel frattempo, veniva inculata da un frate. L’uomo teneva con una mano il saio sollevato mentre con l’altra stringeva forte il culo della ragazza incitandola in maniera oscena.

Alla reception una suora stava succhiando il grosso cazzo di uno degli infermieri del ricovero, spalancava la sua bocca avida ad ingoiare l’enorme membro dell’uomo. Ai piedi della poltroncina nella saletta di attesa una suora giaceva morta in una pozza di sangue, dal petto le spuntava il manico di un coltello.

Luca si gettò fuori da quel delirio, le urla nel monastero erano inquietanti, corse verso il chiostro cercando qualcuno che non fosse preda di quella pazzia dilagante.
CHIOSTRO DEL MONASTERO DI MONTECRUCIO – ORE 24:00
Astor Almond e Suor Brigida videro il ragazzo correre a perdifiato verso di loro, si fermò ad un paio di metri, boccheggiando.

‘Voi ‘voi siete ‘normali ?’, chiese il ragazzo.

‘Normali ?’, chiese la badessa.

‘Si ‘ normali, non vi state accoppiando e non vedo cadaveri vicino a voi ‘ dovete essere normali ‘ lo siete ?’

Astor guardò il ragazzo, preoccupato, il silenzio della notte era rotto da urla e grida.

‘Stai calmo, raccontaci cosa è successo ‘ se per normali intendi dire se siamo noi stessi ‘ si ‘ siamo normali.’

Luca iniziò a raccontare la sua storia, l’improvvisa irruzione del professor Meyer e delle due alunne, la violenza, lo stato catatonico della madre, la situazione degenerata che regnava nell’ostello.

‘Mio dio, una suora morta ” si rammaricò Suor Brigida, ” ma cosa sta succedendo ?’

‘Credo di avere qualche risposta, qui, chiusa nella mia borsa ‘ dobbiamo trovare un posto sicuro”, disse Astor.

‘Nella mia stanza ‘ venite ‘lì troveremo anche il dottor Sibelly ”, li invitò la badessa, ” andiamo.’

MEZZANA ‘ ORE 00:00

Chiara ed Eleonora dormivano profondamente, il rustico in cui abitavano gli era stato lasciato dai genitori. Le due ragazze si recavano a Mezzana l’estate per preparare le prime sessioni degli esami universitari in tranquillità e silenzio, lontane dal caos della città. Il rustico era stato costruito abbastanza lontano dal centro abitato, circondato da una fitta vegetazione, vi si arrivava solo attraverso una piccola stradina sterrata.

Eleonora si svegliò di soprassalto, la sorella ronfava al suo fianco, dormivano sempre insieme, inseparabili, anche se avevano tre anni di differenza l’una dall’altra. Chiara aveva ventuno anni, mora, magra ed alta, un bel viso dolce, la sorella era bionda, aveva ventiquattro anni, più tonda e formosa, una terza piena che non mancava di suscitare sguardi ammirati al suo passaggio.

Eleonora sentiva dei rumori all’esterno, le erano sembrati dei passi. La ragazza scese le scale di legno che portavano nella sala al primo piano, il silenzio era assoluto, accese la luce e si guardò intorno, non c’era nessuno.

Bussarono alla porta, Eleonora saltò, spaventata, si chiedeva chi fosse a quell’ora.

‘Chi è ?’ chiese, senza aprire la pesante porta di legno.

‘Sono Padre Marcello, vengo dal monastero, abbiamo avuto un incidente con la macchina mentre facevamo ritorno, potrebbe cortesemente permetterci di fare una telefonata ?’

‘Chi è ?’, chiese Chiara, che nel frattempo si era svegliata.

La sorella di Eleonora era la più piccola, di solito dormiva nuda, il caldo dell’estate si faceva sentire anche in quei luoghi solitamente freschi.

‘Vestiti, ci sono dei frati che hanno avuto un incidente, vogliono telefonare ”, disse Eleonora alla sorella.

La ragazza aprì la porta, il frate attendeva sull’uscio, le sorrise mentre la ringraziava per avergli aperto, dietro di lui c’erano altri tre religiosi, tutti con il cappuccio del saio tirato sopra la testa.

Una volta dentro casa si chiusero la porta alle spalle.
‘Come state ?’, chiese Eleonora agli uomini, ‘Qualcuno si è fatto male ?’

‘No figliola, siamo tutti sani, vivi sola ?’

‘No perché ?’

‘Nulla figliola’, rispose il monaco, ‘dov’è il telefono ?’

Eleonora indicò il telefono all’uomo, nel frattempo Chiara era scesa, si era messa indosso una t-shirt sbrindellata molto corta, le sue gambe magre ed affusolate erano scoperte, i suoi capezzoli piccoli e sporgenti spiccavano dal tessuto leggero della maglietta. All’arrivo della sorella più piccola i tre frati col cappuccio salutarono, si scoprirono il capo, Eleonora notò subito i loro occhi, luminosi, quasi fluorescenti.
Le ragazze offrirono loro dell’acqua, mentre i tre frati sedevano al tavolo, sorseggiando in silenzio, il frate che era al telefono fece ritorno.

‘Fra poco l’abate manda una macchina a prenderci ”, disse il frate, guardando interessato la piccola Chiara che sedeva sull’ultimo scalino di legno.

‘Che belle ragazze, che fate di bello qui tutte sole ?’, disse l’uomo guardandosi intorno.

Eleonora rimase interdetta da quella domanda, fece finta di nulla, non rispose ed andò vicino alla sorella.

‘Sole ‘ solette ‘ due belle troiette !’, iniziò a canticchiare il frate.

Eleonora era allarmata, era stata incauta ad aprire a quegli uomini. Padre Marcello si avvicinò alle ragazze, continuando la filastrocca.

‘Due belle ragazze, da sole e un po’ pazze ‘ sollazzan per ore ‘ il nostro signore ”, continuò il religioso avvicinandosi ad Eleonora, che, ormai impaurita, indietreggiò verso la sorella più piccola. Chiara afferrò la mano della sorella, si era alzata, vedeva l’uomo che sorrideva, avanzando verso di loro.

‘la piccola è mora, magretta e bellina, io sono contento di scoparla in cucina ”, gli altri tre frati si alzarono, seguendo Padre Marcello.

Il frate aveva raggiunto le ragazze, si mise dietro ad Eleonora, impietrita, iniziando a sussurrarle all’orecchio l’oscena filastrocca.

‘La grande è un po’ bionda, di forme rotonda, di certo lei vuole ‘. Un cazzo che SFONDA !’

Il frate afferrò Eleonora per i capelli, le fece girare il viso verso il suo, espirò un soffio di aria malevola, verde e nauseante. La ragazza inalò il respiro del frate, si sentì soffocare. Chiara stava cercando di scappare per le scale quando fu agganciata da uno dei religiosi e portata verso le sedie, disposte intorno al tavolo. Uno dei frati si tolse la corda che legava il saio alla vita, legò le braccia di Chiara alla sedia, anche lui le fece inalare il suo respiro malvagio, la ragazza ebbe un sussulto, tossì, sentiva il petto che le esplodeva.

Eleonora si sentiva strana, diversa, lontana da se stessa, le mani del frate che la tenevano per i capelli si mossero sui suoi seni, li strinsero. La ragazza sentì un languore vorace che le si accendeva tra le gambe, iniziò a colare liquido caldo dalla fica, una voglia inarrestabile di essere presa in modo selvaggio.

Chiara boccheggiava, le sue gambe si aprivano si chiudevano, sentiva il calore salirle dalla fica ad ondate intermittenti, uno dei frati le poggiò il suo cazzo duro e nodoso sulle labbra, lei sgranò gli occhi, alle sue narici arrivò l’odore forte del membro dell’uomo, con la lingua lambì la cappella lucida, chiuse le labbra succhiando forte. Un altro frate si inginocchiò tra le gambe di Chiara, le strappò le mutandine ed infilò la sua lingua tra le piccole labbra della sua fica. La ragazza grondava copiosa il suo liquido sulle cosce, un secondo cazzo le fu avvicinato alle labbra, iniziò ad alternarsi tra i due membri duri, succhiandoli, bagnandoli di saliva, leccando con la lingua le cappelle gonfie dei frati.

Eleonora era in ginocchio, dietro di lei Padre Marcello le teneva le terga con le mani mentre infilava il suo cazzo nella sua fica grondante ed affamata.

‘Oh si, muovi quel culo da puttana ‘ su ragazza ‘ su ‘ prenditi il mio santo cazzo su per la fica ”, la incitava Padre Marcello.

Chiara fu fatta stendere sul tavolo, i frati iniziarono a scoparla a turno, due ai lati le tenevano le gambe larghe mentre infilavano i loro uccelli nella bocca avida della ragazza. Il frate che la stava scopando iniziò ad infilarle un dito nel culo umettando il suo piccolo buco con il liquido caldo che le colava dalla fica.

‘Un culo vergine ‘ una troia con il culo vergine, un giorno fortunato per il nostro padrone ”, disse il frate che stava tra le gambe di Chiara, estrasse il suo cazzo lordo di umori e lo puntò all’ingresso del buchino grinzoso e bagnato della ragazza.

CAMERA DELLA BADESSA ‘ ORE 00:30

Il dottor Sibelly era terrorizzato, rannicchiato su una poltrona saltava ad ogni urlo o rumore che proveniva dai corridoi bui del monastero. Astor, la badessa ed il ragazzo erano seduti intorno al tavolo. Almond tirò fuori i due vecchi volumi ritrovati nella biblioteca antica.

La badessa afferrò il volume più antico, passò le dita sui rilievi dorati posti sul dorso della copertina impolverata, lo aprì, era scritto in latino, lo iniziò a scorrere. Astor era assorto nella lettura della storia del monastero.

‘Puoi collegarti ad internet ?’, chiese Astor al ragazzo, facendo un cenno con gli occhi alla sacca col computer poggiata sul tavolo.

‘Si certo ‘ cosa vi serve ?’, rispose Luca.

‘Demoni, possessioni legate a riti orgiastici ‘ tutto quello che trovi circoscritto in questa zona.’

‘Ok, inizio ”, rispose il ragazzo.

Luca accese il computer, si collegò alla rete segreta del suo gruppo di hacker, entrò in un forum di discussione che trattava di possessioni e demonologia, digitò le chiavi di ricerca cercando di scremare le informazioni in base a quello che stava accadendo nel monastero ed alla sua posizione geografica.

‘Che tipo di demone stiamo cercando ?’

‘Un demone della lussuria, senza ombra di dubbio ”, rispose Almond con un sorriso spento.

MEZZANA ‘ ORE 00:30

Suor Lorenza entrò nel bar, a quell’ora c’erano soltanto camionisti ed alcolizzati, il vecchio televisore appeso al muro rimandava una partita di calcio inglese, il volume era basso.

La suora si sedette al bancone, tirò su la tonaca mostrando le sue gambe tornite, guantate con delle calze a rete autoreggenti.

Uno degli uomini nel bar fischiò alla volta di suor Lorenza.

‘Bella ‘ è già carnevale ?’

La suora si girò verso l’uomo, allargò le cosce mostrandogli oscenamente la fica, sorrise malevola.

‘Sono veramente una suora ”, rispose con una voce sensuale, ” stanotte ho bisogno di ‘ riempire il mio vuoto interiore ”

L’uomo si alzò, andò verso la religiosa, si tirò giù la zip sfoderando il suo uccello considerevolmente grosso, lo porse con la mano alla suora esclamando :’Questo basta per colmare il tuo vuoto ?’

‘Oh si, eccome ”, rispose la suora leccandosi le labbra, ‘Uno solo ? E gli altri che fanno ?’

Suor Lorenza afferrò con la mano il membro dell’uomo, nel frattempo gli altri frequentatori del bar si avvicinarono ai due, la donna sentì l’uccello dell’uomo indurirsi nella sua mano, si inginocchiò ingoiandolo in bocca, affamata. Gli altri uomini erano intorno ai due, con i loro cazzi nella mano li porgevano alla suora che, ingorda, iniziò a succhiarli ed a leccarli come un ossessa, avida di carne pulsante.

Suor Lorenza si pose in ginocchio sul pavimento, si alzò la tunica scoprendo un meraviglioso culo tondo ed abbondante, incorniciato perfettamente dalla fascetta nera di pizzo delle autoreggenti, i suoi occhi brillavano di un verde malato e spento.

‘Mettetemelo nel culo ‘ lo voglio solo nel culo, davanti mi devo mantenere vergine per il mio padrone ”, li incitò la suora.

Uno degli uomini si mise sopra di lei, le sputò sul culo, oscenamente offerto, vi spinse il cazzo duro con tutta la sua forza. Suor Lorenza gridò di piacere, il cazzo le scivolò nell’ano in tutta la sua lunghezza, nel frattempo continuava a leccare il cazzo degli altri frequentatori del bar, la sua bocca era piena di carne pulsante ed odorosa, laccava ansimando le cappelle tese degli uomini.

Il primo le sborrò copioso nel culo, riempendole l’intestino di liquido caldo.

‘Mhhh ‘. Siiii ‘. Sotto un altro ”, li invitò la suora.

Il pavimento del bar si coprì di una nebbiolina leggera, verde, melliflua, gli astanti respiravano quell’aria malevola mentre usavano il corpo della suora come un puro oggetto del piacere.

Il secondo sprofondò nel culo di suor Lorenza, ben unto dallo sperma del compare precedente, il liquido vischioso le grondava dall’orifizio indecentemente slabbrato e largo.

Schizzi di sperma le colpirono il viso, nel giro di pochi minuti la suora era ricoperta di sborra, saliva ed umori, lorda ed eccitata continuava ad essere inculata dagli uomini che si alternavano nel suo culo sfondato, possedendola oscenamente.

Quando tutti gli astanti furono soddisfatti la suora si alzò in piedi, li guardò e disse :’Ora andate ‘ andate nelle vostre case, andate dalle vostre mogli e dalle vostre figlie ‘ il mondo è vostro ‘ prendetevelo !’

Gli uomini uscirono, nella notte, nel buio.

CASA DI CHIARA ED ELEONORA ‘ ORE 00:30

Chiara urlò di dolore, il frate le entrò nel culo con un movimento secco del bacino, facilitato dagli umori che colavano copiosi dalla fica della ragazza. L’uomo sentì l’anello elastico e morbido dello sfintere cedere all’ingresso della sua cappella gonfia. Spinse ancora, allargandole le natiche con le mani, fece sprofondare il suo cazzo nel culo morbido e caldo di Chiara.

‘Mhhhh come è stretta la verginella ‘ gliel’ho rotto il culo ‘ per il mio padrone ”

Chiara iniziò a dimenarsi, il culo pieno di quel cazzo impetuoso, spingeva il bacino, più entrava più le faceva male e più lei godeva, della saliva le colava ai lati delle labbra a causa degli spasmi inarrestabili che squassavano il suo corpo sollecitato.

Gli altri due frati avevano rivolto le loro attenzioni ad Eleonora, le stavano scopando la bocca con foga, spingevano le loro aste dure in fondo alla gola, rivoli di saliva le colavano dai lati della bocca, un altro frate le aveva messo il cazzo tra le tette, stringendole con forza, iniziando a muoverlo veloce sbattendole la cappella dura sul mento.

Chiara era in preda ad un orgasmo continuo, la sua fica schizzava copiosa il liquido caldo del suo godimento, il frate si sfilò dal suo culo per entrarle tra le piccole labbra bagnate, sguazzando rumorosamente nei suoi liquidi umorali e vischiosi.

‘Siiiiiiiiiiiiiii, Dai dai dai ‘.’, urlava la sorella più piccola.

Eleonora fu trascinata per i capelli verso la sorella, le portarono il viso all’altezza della fica di Chiara, si gettò sul buco caldo e dilatato della sorella, lo leccava, avida ed eccitata, infilando la sua lingua impertinente tra le natiche lucide di umori della sorella.

I frati iniziarono a spruzzare i loro getti di sborra calda sulle due ragazze, il liquido vischioso colava lento sulla loro pelle giovane e calda, le sorelle si leccavano a vicenda, le loro lingue infilate l’una nella fica dell’altra,

Chiara fiottava il suo liquido nella bocca spalancata di Eleonora che, ingoiava quel nettare umido ed odoroso.

Le due sorelle vennero scopate per ora dai frati che, al termine, le lasciarono sole nella casa, pronte a diffondere il male nel resto del paese.

CAMERA DELLA BADESSA ‘ ORE 01:00

Almond alzò la testa dal volume impolverato che stava leggendo, in sottofondo i piagnucolii isterici del dottore.

Dei colpi sordi alla porta fecero girare le teste dei presenti.

‘Non aprite ”, disse Almond, ” Qui dice tutto ‘ è tutto scritto ”, disse con un filo di voce.

‘E quindi ?’ lo esortò Luca a proseguire.

‘Che Dio ci aiuti ”, disse l’uomo, mentre impugnava la pistola guardando in direzione della porta.
CAMERA DELLA BADESSA ‘ ORE 01:00

Almond era spalle al muro, di fianco alla porta, i colpi aumentarono di intensità. Il dottor Sibelly, in preda ad una crisi di panico, si era rifugiato sotto il letto della badessa, Luca e la religiosa erano in piedi, pronti a fuggire.

La porta cedette sui cardini, nella stanza irruppero due monaci, un colpo con il calcio della pistola di Almond fece cadere il primo a terra, il secondo si girò verso di lui, cercò di afferrarlo alla gola. Almond gli bloccò le mani, il monaco era forte, gli cadde la pistola a terra.

Luca saltò alle spalle del monaco, stringendogli le braccia alla gola, Almond gli sferrò un pugno ma, girandosi, l’aggressore fece in modo di far colpire Luca.

‘Scusa ”, urlò Almond calciando contro il monaco.

Luca cercò di rialzarsi, gli girava la testa, il monaco indietreggiando inciampò sul ragazzo e cadde all’indietro sbattendo violentemente la testa contro il tavolo. Il monaco restò a terra, il collo piegato in modo innaturale, Almond riprese fiato ed aiutò il ragazzo ad alzarsi.

‘Tutto bene ?’, si sincerò Almond

‘Tutto bene un cazzo ‘ ho la mascella dislocata ”, disse Luca toccandosi la mandibola nel punto in cui era stato colpito.

Almond fissò la porta allo stipite, prese il tavolo ed una poltrona e ve li mise di fronte, bloccandola.

Luca si rimise al computer, la rete stava ritornando i risultati delle sue ricerche, Almond si mise seduto esponendo ciò che aveva letto nel vecchio volume.

‘Il monastero è stato costruito per uno scopo, uno scopo preciso e segreto ”, iniziò l’uomo, ‘ ‘ nel 1429 a Mezzana iniziò a diffondersi la voce che un maleficio demoniaco avesse posto le sue radici tra gli abitanti del paese. Si parlava di misteriose sparizioni ed atti di follia indicibili, la lussuria dilagò nella regione fino a giungere nei pressi della capitale, allora regnava Papa Eugenio IV.

Il santo padre ordinò un indagine approfondita, voleva evitare il dilagare di quella corruzione. Inviò nel paese di Mezzana alcuni dei componenti di una congrega chiamata FIDELIS, quella che è oggi la struttura a cui io appartengo. FIDELIS era formata dagli uomini più preparati della chiesa, esorcisti, uomini della santa inquisizione, civili con particolari doti ‘paranormali’.

La congrega trovò a Mezzana una sorta di girone dell’inferno, il male si era così radicato che gli uomini della santa sede furono costretti a rifugiarsi tra le grotte di Monte Crucio, braccati dai posseduti che dilagavano nel paese. Dopo molte perdite, aiutati anche dalla mano armata della santa sede, gli uomini della congrega riuscirono ad identificare il male che regnava nel paese, riuscirono a dare un nome al demone che, nel corso della storia del mondo, era stato conosciuto da tutti come Gamaliel, uno degli spiriti osceni, servo di Lilith.’

‘Gamaliel, eccolo, è scritto qui ”, lo interruppe Suor Brigida che, durante il racconto, era intenta a decifrare il vecchio volume trovato nella biblioteca.

‘Cupitidas daemon ‘ il demone della lussuria ”, proseguì la badessa, ”feroce e crudele, induce a desiderare corpi seducenti e attacca in modo spietato i casti, per spingerli a lasciar perdere la castità, dato che in tal modo non ottengono nulla. Questo demone lavora facendo leva sulla fantasia, che riempie di immagini e pensieri impuri fino ad oscurare l’intelletto. Attacca il fedele all’improvviso suscitando in lui una passione sfrenata, penetra nello di lui corpo e lo incendia’.

Luca alzò gli occhi dal computer :’Siamo nella merda in poche parole !’

***
FAMIGLIA LORCI ‘ ORE 23:30

Il monastero era stranamente animato a quell’ora della notte, Carlotta guardava le luci accese in alcune finestre che davano sulla foresteria, dove viveva con la sua famiglia. La ragazza era spaventata dalle urla che di tanto in tanto rompevano il silenzio notturno. Scalza uscì dalla sua stanza, era buio, facendosi luce con il telefonino si diresse verso la cucina, una luce fluorescente traspariva dalla stanza dei suoi genitori, poggiò l’orecchio alla porta, sentiva gemiti e grugniti arrivare dalla parte opposta.

Una mano le tappò la bocca, le cadde il telefono a terra, si aprì la porta.

Giulio, suo padre aprì la porta. La scena che si presentò agli occhi di Carlotta era inverosimile : sua madre, Mara, in ginocchio sul letto, veniva scopata brutalmente dal figlio. Marco stava tirando i capelli della madre come se la cavalcasse, la scopava da dietro, il suo sguardo libidinoso fisso sulle natiche ondeggianti della donna, Carlotta sentiva il rumore secco del bacino di suo fratello che cozzava violentemente contro la carne morbida di Mara.

‘Guarda chi ci è venuto a trovare ‘.’, disse la voce dell’uomo che le teneva la mano sulla bocca, Carlotta si girò, dietro di lei c’era l’abate, completamente nudo.

‘Falla entrare ”, disse Giulio, ‘ ‘ un altro buco in cui sborrare ”

Carlotta fu catapultata in un incubo, tenuta stretta dall’Abate fu fatta sdraiare sul letto. La madre ansimava, brutalmente inculata da Marco. Giulio strappò il pigiama leggero alla figlia, le allargò le gambe mostrando la sua fica, rosea e senza peli, all’abate.

‘Guardate che bocconcino ‘ è calda ‘ io lo so ‘ adesso fa la ritrosa ma poi le piacerà ”, disse il padre di Carlotta rivolto al monaco, invitandolo a servirsi della figlia.

La madre di Carlotta, in preda ad una malia lussuriosa, le carezzò il seno, poggiò le sue labbra sui capezzoli rossi, strinse i denti, mordendoli. Marco scivolò fuori, lentamente, dal culo capiente della madre, iniziò a colpirle forte le natiche con il cazzo duro, strusciando la cappella sulla sua pelle calda.

‘Noooo, che fate, fermi ‘.. ‘, urlò Carlotta.

L’Abate le fece inspirare l’aria corrotta dei suoi polmoni, in pochi minuti la volontà della ragazza fu annientata, trasformata in una portatrice di lascivia, una serva del demone che stava prendendo il controllo del monastero.

‘Lo puoi sentire ora ?’, urlò il frate rivolto alla ragazza che, nel frattempo, aveva afferrato ingorda l’uccello del fratello iniziando a succhiarlo. Carlotta era in preda ad una smania inarrestabile, poteva sentire il sapore della madre mentre spompinava il cazzo duro di Marco.

‘La senti l’aria ‘ pregna di lussuria, di libidine, il nostro padrone sta tornando, lui regnerà su queste terre e noi saremo i suoi araldi ”

La madre di Carlotta scivolò tra le gambe della figlia, tirò fuori la lingua succhiandole, famelica, il clitoride prominente ed invitante. La ragazza inarcò la schiena, offrendo alla madre la sua natura, libidinosamente spalancata.

L’abate umettò il culo slargato di Mara, le infilò nel retto la sua mano paffuta, sfondandole l’orifizio anale ed incitandola con frasi oscene.

‘Troia ti voglio rompere il culo ‘. Guardate la vostra mammina come ingoia la mia mano nel suo dentro di lei, guardate la sua voglia oscena ”, disse rivolto ai figli della donna.

Giulio e Marco erano impegnati ad infilare i loro cazzi duri tra le labbra di Carlotta, la costringevano a restare con la bocca aperta, la lingua tirata fuori, la colpivano con la cappella sulle guance, sulla fronte, poi a forza le spingevano le aste dure e nodose giù fino in gola.

Mara continuava a leccare la fica della figlia, lambiva le sue piccole labbra con colpetti delicati, succhiava il nettare che stillava caldo dalla fessura della ragazza.

L’abate vedeva la sua mano scomparire nel culo di Mara, dopo averla infilata completamente la stringeva a pugno per poi iniziare a muoverla suo ano, ad ogni movimento Mara urlava di dolore e piacere.

‘Dioooooo siiiiii così me lo apri, spingi più forte ‘. Dai porco spingi ‘. Sfondamiii !!!!’

Giulio fece girare la figlia, le infilò la lingua tra le natiche, assaporò il suo sapore acre, mentre Marco le teneva allargate le natiche, il padre spinse il cazzo nel culo di Carlotta, Marco si mise sopra di lei, appoggiò la cappella sul buco già occupato dal cazzo paterno, entrò anche lui allargandole il buchino a forza, iniziò a spingere inculando sua sorella insieme al padre.

Madre e figlia erano una di fronte all’altra, iniziarono a baciarsi, le loro lingue si dimenavano lascivamente, si intrecciavano succhiandosi e leccandosi, perse in un godimento mai provato.

Marco e Giulio schizzarono all’unisono nell’intestino di Carlotta, la ragazza urlò di piacere mentre il liquido caldo le riempiva il culo, colando lentamente dal suo culo slabbrato.

Mara raggiunse l’orgasmo, il suo sfintere, sfondato dalla mano dell’abate, si contraeva invitante mostrando all’uomo dietro di lei la sua carne pulsante e calda. Padre Ignacio le entrò nel culo facilmente, le penetrò nel profondo con violenti colpi di bacino, le fiottò la sua sborra, copiosa e calda, mentre le sue mani le torturavano i capezzoli erti e sensibili.

Le due donne furono fatte mettere sedute a terra, iniziarono a baciarsi scambiandosi saliva ed umori, perse in un bacio incestuoso e perverso. Gli uomini iniziarono a pisciargli addosso, Mara allargò le labbra, sorseggiò il liquido dal gusto acre, cercò la bocca della figlia, fece colare l l’urina dalla sua bocca in quella di Carlotta, che bevve avida lordandosi le labbra ed il mento.

Marco diresse il getto di piscio caldo sul seno della madre, si unì Giulio, a turno infilarono i loro uccelli nella bocca della donna pisciandogli direttamente in gola, era fradicia, venne di nuovo.

Carlotta si stava masturbando, venne mentre l’abate le schizzava addosso il suo sperma bollente e viscido.

***
CHIESA DI MONTECRUCIO – ORE 01:00

Agata era in piedi di fronte al sigillo, le mani alzate, gli occhi chiusi, i capelli rossi erano mossi da un vento violento e torrido che sembrava provenire dall’aldilà. Nella chiesa monaci e suore erano persi in ogni tipo di aberrazione sessuale, la nebbia verde infestava l’ambiente, si aggrovigliava sinuosa alle colonne, fuoriusciva dai corpi nudi e lussuriosi dei dannati per diffondersi ovunque.

Padre Giovanni era accanto alla ragazza, teneva tra le mani una piccola statua di legno dal colore scuro, nel legno vi era incastonata una pietra rossa, simile all’ambra. Agata si tolse i vestiti, rimase nuda mentre la sua voce atona urlava un invocazione in una lingua antica rivolta verso l’essere imprigionato dal sigillo.

***
CAMERA DELLA BADESSA ‘ ORE 01:30

‘Come lo fermiamo questo casino ?’ chiese Luca rivolto ad Almond.

‘Gli uomini della congrega trovarono il rituale per imprigionare Gamaliel, il libro parla di minerali, magnetite e grafite per la precisione, presenti in grandi quantità su questi monti. Questi i materiali vennero usati per costruire la prigione in cui il demone sarebbe stato imprigionato, il sigillo che si trova nella chiesa del monastero.’

‘Si ma come fecero ?’, chiese insistente il ragazzo.

‘Il demone fu attirato, distratto, venne colpito dagli uomini di chiesa ” Iniziò la badessa, che stava traducendo ciò che era scritto nel vecchio libro, ‘ ‘ quattro coltelli devono essergli piantati negli arti, uno nel suo cuore marcio, il demone sarà così immobilizzato e pronto per essere chiuso nella sua prigione.’

‘Facile come andare in bicicletta ” esclamò Luca.

‘Attenzione, mai compiere atti di lussuria vicino il luogo della prigionia, la prigione deve essere sempre sigillata e custodita in luoghi dove la santità e la purezza regnano incontrastati’, concluse la Badessa.

‘Lucia ‘ quello deve essere stato il fattore, la ragazza era stata la prescelta di una setta, la sua anima malvagia deve aver risvegliato Gamaliel dal suo sonno ” intervenne Sibelly, ancora tremante ed impaurito, ‘Tutto è iniziato con lei, ma ora è morta ‘. Com’è possibile che stia succedendo tutto questo ?’

***
CHIESA DI MONTECRUCIO – ORE 01:30

Agata si sdraiò sul sigillo, le crepe erano aumentate, da ogni apertura usciva la nebbia verde e serpeggiante, la ragazza allargò le gambe, Padre Giovanni le porse la statua, la ragazza se lo portò tra le gambe, spinse facendo entrare dentro di lei il manufatto. Intorno al sigillo il groviglio di corpi era indistinto, l’odore del sesso, dei liquidi corporei, era palpabile, una suora si avvicinò a Padre Giovanni chinandosi di fronte a lui, gli alzò il saio ed ingollò il suo cazzo taurino tra le labbra.

Gocce di piacere iniziarono a colare dalla fica di Agata, che continuava d infilarsi nella fessura bagnata la statuina di legno, il liquido caldo evaporò a contatto con la superficie scura del sigillo, le crepe si fecero più larghe, la prigione del demone si ruppe, una forma indefinita e gassosa si erse dalla profonda lacerazione che aveva divelto il sigillo. La nebbia informe iniziò a prendere consistenza, un essere enorme, animalesco , con la faccia da capro ed un fallo mostruoso si materializzò davanti ad Agata. La pelle del demone era come se fosse in continua trasformazione, dapprima umana, poi animale, setosa ed irta. Il suo cazzo spropositato si mosse come un enorme serpente, scivolando sul pavimento, ingrandendosi come se avesse una propria volontà, Agata estrasse la statuina colante dei suoi umori, il cazzo dell’essere demoniaco si introdusse tra le sue gambe riempiendola, la sollevò in aria, letteralmente impalata dal fallo demoniaco dell’essere. Il demone portò Agata di fronte al suo viso. Agata poté vedere il volto del male, l’essere aveva una bocca informe, il suo ghigno malvagio, i suoi occhi gialli e malevoli la fissavano, le sue zampe artigliate le ghermirono i seni lasciandovi solchi rossi, dal suo fallo deforme si dipanò una nuova propaggine che sinuosa e violenta penetrò tra le natiche piccole e bianche di Agata.

La ragazza era sopraffatta dalla penetrazione malvagia dell’essere, i due tentacoli fallici ed osceni le crescevano dentro, sentiva il suo ano dilatarsi, dilaniato da quell’escrescenza libidinosa, sentiva crescere dentro di se la sua lussuria fino diventare la sua componente primaria, il suo bisogno assoluto, completamente in balia delle immagini turpi che il demone le stava trasmettendo.

La voce del demone risuonò metallica, riverberando tra le mura della chiesa. Gli uomini e le donne avevano interrotto le loro pratiche, nudi e lordi si inginocchiarono di fronte all’essere liberato.

‘Finalmente ‘.’, urlò Gamaliel, ” è giunto il tempo che io prenda il posto che mi spetta su questa terra ‘.’

Agata fu fatta poggiare a terra, il fallo mostruoso uscì dal suo corpo, i suoi buchi rimasero oscenamente dilatati e madidi di liquido viscido e nauseante. Gamaliel si avvicinò verso i suoi fedeli, le donne si prostravano ai suoi piedi, le lingue della donne assaggiavano quel cazzo infernale bevendo direttamente dalla fonte infernale il seme del demonio.

Gamaliel urlò, la terra iniziò a tremare, un fianco della montagna si aprì sbuffando fuori una nebbia calda e fitta che, ricadendo al suolo, iniziò a dirigersi verso Mezzana.

***
CAMERA DELLA BADESSA ‘ ORE 01:45

Almond continuò la storia :’Una volta che il demone fu imprigionato la chiesa eresse il monastero intorno alla prigione, così è stata custodita fino ai nostri giorni.’

La badessa imprecò : ‘Dannazione, il rituale non è completo, come si può distrarre il demone ? Come immobilizzarlo prima di conficcargli i coltelli nel corpo ? Qui il libro è talmente consumato che non si riesce a leggere ”

‘Trovato, Gamaliel ”, urlò Luca, le sue dita si muovevano sulla tastiera del portatile ad una velocità sbalorditiva, ‘ ‘ sono riuscito ad entrare nel server di una setta in America, sembra che pratichino riti satanici e la loro documentazione è molto ricca. Qui c’è una cartella con la scannerizzazione di tutti i volumi in loro possesso, c’è una password, ci vorrà un po’.’

La finestra della stanza esplose, la terra iniziò a tremare, la porta cedette di nuovo lasciando libero il passaggio. Un monaco, armato con un lungo candelabro metallico si avventò verso Almond, una suora, coperta solo dal velo, si diresse verso Sibelly. Il dottore provò a fuggire ma fu raggiunto dalla donna, le sue mani gli bloccarono le braccia dietro la schiena.

La badessa era corsa nel suo studio in cerca di qualcosa che potesse servire come arma.

‘Ci sono quasi, altri cinque minuti ‘.sto scaricando i file sul mio computer ” Urlò Luca agitato, mentre tentava di inserire la password corretta.

Almond faceva da scudo al ragazzo, si frapponeva al monaco che fendeva l’aria con il candelabro cercando di colpirlo.

‘Fatto ‘i file sono trasferiti ”, esclamò Luca.

Sulla porta si affacciarono due uomini, erano gli inservienti della cucina.

Una suora nuda si fermò sull’uscio :’Uccideteli tutti, così vuole il nostro padrone ” urlò con una voce irreale e profonda.

Luca chiuse il portatile, la badessa cercò di colpire la suora che teneva immobile Sibelly ma fu fermata da uno degli inservienti, l’altro aveva affiancato l’aggressore di Almond.

Luca raccolse la pistola da terra, non ne aveva mai presa una in mano.

‘Spara ” urlò Almond.

Luca, tremando, puntò l’arma verso l’uomo col candelabro, lo sparo raggiunse l’aggressore alla spalla. Almond, approfittando del colpo, afferrò l’uomo scaraventandolo a terra. La badessa colpì il posseduto che la immobilizzava con il tagliacarte preso dal suo ufficio. Sibelly nel frattempo era stato posseduto, i suoi occhi vacui mutarono in un espressione malvagia, afferrò la badessa strappandole le vesti, seminuda la donna scappò verso la porta, raggiungendo Almond ed il ragazzo.

Dal corridoio arrivarono altre voci concitate, i tre fuggirono verso le scale, Almond colpì con un calcio uno dei monaci che gli sbarrava la via di fuga.

‘Dove andiamo ?’, chiese la badessa.

‘Verso il ricovero, lì le porte possono essere sigillate.’ Rispose Almond.
RIVELAZIONE

Astor Almond la badessa e Luca arrivarono nel chiostro, il colonnato era stranamente deserto, una voce maligna ed innaturale si diffuse tutto intorno il monastero, i tre si bloccarono, in ascolto.

‘Fermate il chierico ed i suoi amici ‘. Fermateli oraaaa !’

‘Stanno arrivando ‘ svelti ”, incalzò Almond scuotendo la badessa ed il ragazzo.

‘Chi è il Chierico ?’, chiese Luca.

‘Sono io ”, rispose Almond, ” ma è una lunga storia.

Il portone della chiesa si aprì, una massa ululante di uomini e donne si riversarono nel chiostro, uno di loro vide i tre in fuga, lo urlò agli altri che si misero all’inseguimento.

Preceduto da Agata, Gamaliel uscì dalla chiesa, il suo aspetto era definitivamente mutato, un ibrido tra un uomo ed un lupo, camminava in posizione eretta, imponente, alto più di tre metri, con la testa da capro, le zanne ed i denti seghettati. La sua coda oscillò nell’aria per poi scivolare lasciva sul corpo nudo di Agata.

‘Mia prediletta seguili, fai si che i miei ordini vengano eseguiti ‘.’

Agata si incamminò dietro la folla di posseduti che stava dando la caccia ai tre superstiti.

Il demone, rimasto solo annusò l’aria, sogghignò dirigendosi verso l’ostello. L’essere demoniaco fiutò di nuovo, in direzione di un piccolo capanno dove era situata la caldaia che forniva il riscaldamento all’ostello.

La professoressa Helga era nascosta nel piccolo capanno di legno, indossava una camicia da notte, era fuggita quando la pazzia aveva iniziato a diffondersi nell’ostello. Tremava come una foglia, sobbalzando ad ogni minimo rumore.

Gamaliel arrivò al capanno, la sua mano artigliata afferrò un lembo del tetto della costruzione, scoperchiandolo rumorosamente.

Helga urlò terrorizzata, il demone la ghermì all’altezza della vita sollevandola, portò il suo viso a pochi centimetri dal suo, la donna era annichilita dalla paura. La lingua dell’essere, rasposa e purulenta, iniziò a lambirle il collo, con un artiglio le strappò la vestaglia, lasciandola completamente nuda, il suo seno abbondante ondeggiava eccitante di fronte agli occhi malvagi dell’essere. La lingua oscena le leccò i capezzoli, il cazzo del demone prese vita, come un tentacolo mostruoso si divise in altrettante escrescenze che iniziarono ad accarezzare la donna, scivolandole sulla pelle, lasciando su di esse le loro tracce umide e vischiose.

‘Dio no ti prego ”, implorò la donna.

‘Qui non c’è Dio ‘ ‘, le urlò il demone facendola rabbrividire.

Il demone si insinuò nella mente della donna, trovò la porta di ingresso della sua lussuria, vi penetrò con forza iniziando a corrodere la sua anima, soppiantandola con il germoglio maligno della libidine. Helga non scalciava più, fu lasciata a terra, il demone la sovrastava, il suo cazzo tentacolare percorreva le membra della donna, le sue sommità si intrufolarono con violenza nella fessura calda della donna, un gemito le sfuggì dalle labbra, allargò le gambe per accogliere quel membro mostruoso e vibrante, altre propaggini maligne le violarono violarono con forza il culo, dilatandolo oscenamente, penetrando dentro di lei profondamente.

Helga fu travolta da un onda di godimento e dolore che la fece svenire, il demone incurante, continuò a penetrarla fino a che non si fu risvegliata. La donna urlò di nuovo, scuotendo l’aria ferma del monastero.

***
FUGA

I tre fuggitivi nel frattempo avevano raggiunto il ricovero, alle loro spalle potevano sentire chiaramente le urla concitate degli inseguitori. Passarono correndo attraverso il corridoio delle celle, i prigionieri erano scappati, ormai mischiati all’orda di posseduti che gli stava dando la caccia.

Arrivarono nel laboratorio del ricovero, la porta aveva un codice a tastiera, la badessa attivò l’apertura, i tre entrarono nel laboratori richiudendo la porta a tenuta stagna alle loro spalle.

‘Questo dovrebbe darci del tempo ..’, disse Almond.

‘Si ma ora cosa facciamo, ci manca una parte del rituale ” disse la Badessa, preoccupata.

Suor Brigida realizzò in quel momento che era quasi del tutto nuda, il dottor Sibelly le aveva strappato la tunica nella camera del dormitorio. Almond raccolse un camice a terra porgendolo alla badessa. La suora ringraziò l’uomo, scorse nei suoi occhi una luce nascosta, un espressione forte e tenera al contempo, come la prima volta che lo conobbe.

‘Cazzo l’ho trovato ‘ ‘, gridò Luca, interrompendo il silenzio tra Almond e la suora.

‘Trovato cosa ?’

‘Il rituale, eccolo, nel server della setta c’è una copia esatta del libro che abbiamo noi, ma è conservato meglio ”

‘Quindi ?’, lo incalzò Almond.

‘Il rituale è quello che ha detto Brigida, la suora, lei insomma ‘ i coltelli, qui specifica che devono essere di argento. Poi ‘.mmhh’ si qui ‘.Il demone deve essere posto dinanzi una ciotola di riso benedetto, il demone sarà costretto a contare i chicchi, dimenticando i suoi intenti; finche non terminerà di contarli tutti sarà immobile e distratto’ quando è fermo il demone può essere colpito.’

‘Ai coltelli posso pensare io ” disse Suor Brigida, ” nel piccolo museo espositivo del convento ci sono dei coltelli rituali d’argento appartenenti a varie epoche storiche ”

La porta sigillata iniziò a tremare in seguito ai colpi dei posseduti che si erano accalcati a ridosso dell’entrata del laboratorio.

Almond guardò in alto, salì su uno dei tavoli e scostò uno dei pannelli del soffitto, si alzò facendo leva sulle braccia, dal soffitto si poteva percorrere il largo cunicolo di areazione per arrivare alla stanza adiacente, libera dalla presenza di posseduti.

‘Dobbiamo uscire da questa parte ”, disse Almond indicando il passaggio sul soffitto.

Suor Brigida andò per prima, aiutata da Almond e Luca si issò sopra i pannelli del soffitto, ne percorse due, attenta a non premere troppo con le mani per non farli cedere, arrivando all’imbocco del cunicolo metallico. La seguì Luca, la sua altezza non l’aiutava nello spazio angusto tra i pannelli ed il soffitto della stanza, uno dei panelli cedette, il ragazzo si tenne in bilico reggendosi ai tubi dell’acqua che passavano nell’intercapedine.

‘Vaffanculo che nottata di merda ”, urlò nervoso il ragazzo, ‘la prossima volta mia madre viaggerà da sola, se ci sarà una prossima volta.’

Almond seguì Luca, tutti e tre percorsero il cunicolo dell’areazione sino ad arrivare nella stanza adiacente.

L’ambiente era illuminato dal neon smorto delle lampade, dei macchinari enormi collegati ad un computer diffondevano un ronzio fastidioso nella stanza, al centro c’era una barella ed un carrello con diversi strumenti chirurgici.

‘Nessun segno di gente ululante ”, disse Luca guardandosi intorno.

Almond fece un sopralluogo, la stanza dava su un corridoio che terminava con l’uscita di emergenza, affissa al muro c’era la piantina del monastero che indicava il piano di evacuazione in caso di incendio, l’uomo iniziò a studiarla.

‘Fuma ?’ chiese Luca alla Badessa.

‘Si, perché no ! Potrebbe essere l’ultima ”, rispose la suora, accennando un lieve sorriso ” puoi chiamarmi Brigida ‘ non ci sono problemi.’

‘Possiamo sfruttare il piano dei parcheggi ”, disse Almond rientrando nella stanza.

Brigida ed il ragazzo si alzarono, stanchi, gettarono le sigarette a terra e sospirarono, l’attimo di pace era finito.

Nel frattempo Helga , impalata dal cazzo mostruoso che le riempiva ogni orifizio, era sopraffatta dal godimento, sentiva le escrescenze demoniache crescerle dentro , slabbrandole la fica, insinuandosi nel suo culo, la lingua del demone si univa con la sua in un bacio osceno e disgustoso.

‘La tua lussuria ti incatena a me ”, disse Gamaliel alla donna.

Helga non rispose, afferrò uno dei tentacoli che percorrevano lascivi il suo corpo nudo, lo portò alla bocca ed iniziò a leccarlo, affamata, la sua lingua percorreva la superficie ruvida e nodosa di quel tentacolo fallico, la portò verso il suo culo, già riempito da una delle escrescenze vive dell’essere infernale, il tentacolo si mosse sinuoso verso l’orifizio dilatato della donna, vi penetrò lentamente facendola urlare di dolore e piacere.

‘Sei avida donna ‘ sei una perfetta schiava della libidine ” urlò il demone.

Helga iniziò a schizzare il liquido caldo del suo piacere dalla sua fica aperta, il tentacolo entrava tra le sue grandi labbra per poi uscirne lordo del caldo nettare vischioso della donna.

‘Goooooddoooo ‘.’, strillò Helga, ‘ ‘.sono tua mio signore ‘ fai di me quello che vuoi.’

Gamaliel rise riempiendo il silenzio della notte con il suono gutturale e profondo del suo compiacimento.
Fuga dal ricovero di Montecrucio

Almond illustrò ai suoi compagni di fuga il piano d’azione elaborato.

‘Dal parcheggio sottostante si può andare nelle varie sezioni del Monastero, dobbiamo dividerci. Io e Luca ci dirigeremo verso la zona cucine, ci serve il riso. Brigida tu ce la fai ad andare veloce verso il museo ? La strada è più breve. Devi prendere i coltelli e tornare nel parcheggio.’

‘Ce la faccio ”, rispose la Badessa.

‘Bene, stai attenta lungo la strada, prendi la pistola, ti può servire ” disse Almond, la sua preoccupazione era autentica, Suor Brigida notò una strana dolcezza negli occhi dell’uomo.

‘Noi dobbiamo cercare il riso ‘ ‘, proseguì Almond.

‘Va bene, ed il prete per benedirlo dove lo troviamo ? Non credo che qualche monaco si sia salvato da tutto questo !’, rispose Luca.

‘A benedire il riso ci penso io ”, rispose Almond.

‘Sei un prete ?’, chiese il ragazzo.

‘Una specie ”, rispose Almond visibilmente nervoso, ” ora dobbiamo muoverci, andiamo verso l’uscita di emergenza che porta ai parcheggi sotterranei, poi da lì ci dividiamo : Brigida verso l’ala nord, dov’è il museo, noi verso la zona ovest, dove sono le cucine, quando abbiamo fatto ritorniamo nel punto dove abbiamo lasciato Brigida e poi risaliamo verso il chiostro.’

I tre si diressero verso l’uscita di emergenza, la strada sembrava libera, scesero le scale fino ad arrivare al parcheggio sotterraneo, le macchine degli impiegati erano ancora tutte parcheggiate, segno che le persone che lavoravano nel ricovero non erano tornate a casa.

Un rumore metallico rimbombò nel parcheggio, Luca ed Almond corsero verso le scale che dal parcheggio portavano alla zona del museo.

I posseduti irruppero nel parcheggio urlando, erano una decina, le donne sentivano l’odore di maschio, grugnivano ed urlavano, più simili ad animali che ad essere umani, la possessione del demone le aveva trasformate in bestie affamate di lussuria.

Dopo essersi accertati che la badessa prendesse la strada verso la zona del museo Luca ed Almond scapparono verso la zona cucine, chiudendo la porta tagliafuoco alle loro spalle.

Gli indemoniati si accalcarono a ridosso della porta, vista l’impossibilità di aprirla corsero via, cercando una strada alternativa per prendere i fuggiaschi.
Brigida

Suor Brigida arrivò alla teca espositiva che conteneva i manufatti antichi, non aveva incontrato intoppi lungo la strada, ruppe il vetro con un portaombrelli, controllò le etichette didascaliche poste sotto ciascuna lama per sincerarsi che fossero d’argento, ne contò otto, li prese tutti ponendoli dentro una sacca rimediata all’interno del museo.

Udì dei rumori provenire dalla sala attigua, dove c’era l’uscita che l’avrebbe riportata al parcheggio.

Con la pistola ben stretta in pugno la suora si diresse verso la fonte del rumore. Tra le teche, sul pavimento, una suora completamente nuda si stava masturbando circondata da sei monaci che si godevano lo spettacolo, i loro cazzi eretti venivano offerti alla suora che, allargando le labbra, li accoglieva leccandoli e succhiandoli avidamente. La badessa riconobbe la donna, era suor Luigia, uno dei monaci le schizzò sul viso la sua sborra calda, la suora leccò il succo dell’uomo, ingoiandolo tutto, godendo vistosamente tra urla e mugolii.

La badessa non poteva oltrepassare il gruppo di posseduti, non aveva abbastanza colpi e sangue freddo per sparare a tutti. Si spogliò, accertandosi di rimanere nascosta, lasciò la sacca e la pistola in un angolo, accanto al camice, si avvicinò al gruppo, una mano dietro la schiena nascondeva uno dei coltelli d’argento prelevati poco prima.

I seni della Badessa ondeggiavano armoniosamente avvicinandosi al gruppo di ossessi. Uno dei frati si accorse della presenza della donna, lei gli afferrò il cazzo duro, la sua mano saggiò la sua erezione, le sue dita si avvolsero voluttuose intorno alla cappella gonfia dell’uomo, si chinò, accolse il suo membro duro tra le labbra. I posseduti la scambiarono per una di loro, Suor Brigida ingoiava il cazzo dell’uomo, insalivandolo abbondantemente, aspettando che anche gli altri fossero attirati dalla sua bocca voluttuosa.

Suor Giulia era stata fatta girare, uno dei monaci le stava allargando le natiche con le mani mentre un secondo le faceva scivolare nell’ano la sua lingua oscena. Brigida scivolò lentamente, arretrando verso una delle teche lontane dal gruppetto, seguita da altri due monaci. Gli uomini iniziarono ad alternarsi nella bocca della Badessa, che in ginocchio e con le mani intrecciate dietro la schiena, elargiva il tocco sinuoso della sua lingua alle cappelle turgide dei monaci posseduti.

Suor Giulia urlò, sdraiata a terra veniva scopata selvaggiamente dai frati, le sue gambe avvolte alla schiena dell’uomo di turno, il suo bacino si muoveva veloce, assecondando il movimento dei frati.

Brigida, attenta a non essere scorta dal gruppetto che si stava dedicando a Suor Giulia, urlò forte per nascondere il rumore del coltello mentre lo faceva saettare verso il collo di uno dei frati che le stavano infilando il cazzo tra le labbra, l’uomo cadde a terra, gorgogliando sangue dalla ferita aperta.

‘ANCOOOOORAAAAA ‘ ANCORAAAAAAA ” , continuò a gridare Brigida mente il secondo frate veniva raggiunto dal fendente al petto sferrato con forza dalla donna, il terzo, sorpreso, le si gettò contro, immobilizzandola. Brigida cercò di scrollarsi di dosso l’uomo, lo graffiò infilando le sue unghie nella guancia dell’aggressore che, gridando, si spostò leggermente, la suora approfittò del momento e lo pugnalò al ventre, scansandolo a fatica e cercando di rialzarsi.

Gli altri posseduti si accorsero di quello che stava accadendo, la badessa si era rimessa in piedi, ansimante, coperta di sangue, il coltello grondante nella sua mano destra. I posseduti superstiti, resi cauti dai tre cadaveri stesi ai piedi della donna, iniziarono ad avvicinarsi a lei lentamente. La badessa indietreggiò tenendo ben in vista il coltello, puntandolo verso i posseduti, arrivò nel punto in cui aveva lasciato le altre lame e la pistola, i posseduti erano a meno di due metri da lei, sparò, fredda, ne colpì tre sul petto, restò suor Giulia che continuava ad avanzare verso di lei.

‘Stai ferma, ti prego ‘ non ti voglio sparare ‘ torna indietro ora ”, disse la Badessa alla suora che si avvicinava sempre di più.

Suor Giulia non ascoltò, la sua mente obnubilata dal maleficio del demone le imponeva di avanzare, incurante della minaccia.

Suor Brigida sparò di nuovo, ferì la suora posseduta colpendola alla gamba sinistra, in modo di impedirle di seguirla, si rivestì in fretta, scartò di lato la suora ferita che tentò di afferrala mentre correva verso l’uscita che l’avrebbe portata al parcheggio sotterraneo.

***
CUCINA DI MONTECRUCIO

Luca ed Almond erano nella cucine del refettorio, trovarono il riso in una delle dispense, dei posseduti non vi era traccia.

‘Devo benedire il riso ”, disse Almond, ” controlla la porta mentre mi preparo.

Luca afferrò un coltello da cucina dal piano lavoro e si fermò all’ingresso, controllando che non arrivasse nessuno. Almond prese dalla sua borsa un ampolla contenente dell’acqua benedetta, iniziò a recitare i versi rituali per benedire il riso che sarebbe servito a fermare il demone.

‘Fatto ”, disse Almond,” il riso è benedetto, sbrighiamoci a tornare verso il parcheggio ”

‘Già fatto ?’, esclamò Luca.

‘Si, dovevo benedirlo, non cucinare un risotto ”

Il ragazzo rise, una parte della tensione accumulata nelle ultime ore si sciolse.

‘Bravi ‘ bravi ‘ bravi ” risuonò una voce indistinta che proveniva dal corridoio, ‘ ‘ bel nascondiglio ‘ ma ora vi prendo ”

Agata si fermò sulla soglia, completamente nuda, Luca non poté fare a meno di ammirare la sua bellezza.

La ragazza avanzò verso Luca, mosse una mano, lo attirò a se come se tirasse dei fili invisibili che legavano il ragazzo.

‘Ferma ”, gli intimò Almond mentre la sua mano corse a frugare nella sacca di pelle che l’uomo portava sempre con se.

Luca era ad un palmo da Agata, la ragazza lo guardò, beffarda, con i suoi occhi illuminati dalla luce malevola del maligno. La ragazza accarezzò Luca tra le gambe, saggiò la sua giovinezza con lascivia e sorrise esclamando :’Mhhh, complimenti, saresti un ottimo giocattolo per i miei appetiti !’

Luca girò il viso verso Almond, la sua espressione era disperata, si sentiva sopraffatto dalla forza dell’essere che gli stava di fronte.

Almond estrasse dalla sacca un cilindro metallico, finemente decorato con disegni di madreperla bianchissimi, lo puntò verso la ragazza intimandole di lasciare il ragazzo.

‘Tu non puoi darmi ordini chierico, io so chi sei, so cosa hai fatto e so come è nera la tua anima ”

Agata mosse la mano e Luca sentì la sua gola stringersi, come afferrata da una mano invisibile che gli impediva di respirare.

” il tuo compagno non sa che sta per morire ”, continuò la ragazza, ‘ ‘ purtroppo per lui la sua anima è candida, le sue intenzioni nobili, non possiamo farlo nostro, è inutile ‘ deve morire ”

‘Non ti voglio uccidere ‘ Lucia ‘ lascialo !’

‘Bravo ‘ sai il mio nome Chierico ! Non ti servirà e non salverà il tuo amico ‘ Non puoi uccidermi perchè sei debole ‘ Guarda la potenza dell’inferno !’

Agata continuò a contorcere la sua mano, Luca era allo stremo, a corto di aria agitava le sue gambe in maniera scomposta ma la presa invisibile che lo bloccava non accennava a diminuire.

‘Tu non mi conosci anima dannata ‘ non è il chierico quello che ti uccide, è l’uomo che sono ora ! Muori all’inferno, per te non ci sarà salvezza !’, disse Almond premendo un piccolo bottone argentato posto sul cilindro che teneva in mano, un proiettile di metallo intarsiato fu sparato dall’ordigno raggiungendo la fronte di Agata.

‘Non puoi ferirmi chierico ‘non puoi farmi nulla ridicolo uomo !’ rise la ragazza schernendo l’uomo, mentre Luca stava perdendo i sensi.

‘Era benedetto ”

‘Cosa chierico ‘ cosa dici ?’

‘Il proiettile ‘ era benedetto !’, disse sorridendo Almond mentre la pelle intorno al foro, sulla fronte di Agata, iniziò a sfaldarsi disperdendosi come cenere trasportata dal calore del fuoco. Luca cadde a terra, l’aria gli riempì i polmoni finalmente liberi di respirare. Il ragazzo si rialzò, guardò la ragazza dai capelli rossi a terra, immobile, mentre si sgretolava, come consumata da una fiamma invisibile.

Un urlò furibondo scosse le mura del monastero, Gamaliel aveva avvertito la perdita del suo araldo, Luca ed Almond si apprestarono a raggiungere suor Brigida che nel frattempo aveva raggiunto il punto di incontro.

‘Cosa ti è successo ”, chiese Almond a Brigida, il camice bianco della suora era lordo di sangue, il suo viso una maschera di sofferenza e fredda determinazione.

‘Un intoppo ” rispose la donna porgendo la sacca con le lame ad Almond, il suo volto della donna era teso, selvaggio,’ ‘ abbiamo i coltelli, cerchiamo di finire questa storia !’.

I tre si diressero verso l’uscita a chiocciola del parcheggio, si ritrovarono ad est del chiostro, alle spalle del demone, intento a torturare una donna bionda, intorno a lui i posseduti restavano inermi, genuflessi ed imploranti, spettatori della violenza che il demone stava compiendo.

‘GAMALIEL !’ gridò Almond per attirare l’attenzione dell’essere demoniaco.

‘Come osi chierico ‘ ‘ rispose il demone lasciando la presa sulla donna, i suoi passi facevano rimbombare il terreno. Il demone si incamminò verso i tre fuggitivi, il suo ghigno satanico incuteva terrore.

‘Siamo sicuri di quello che stiamo facendo ?’ disse Luca guardando i suoi compagni.

‘No !’ rispose secco Almond, in una mano teneva un sacchetto con il riso benedetto, nell’altra una ciotola presa dalla cucina, si avvicinò anch’egli verso il demone, come a sfidarlo, ‘State pronti ”

Gamaliel era a pochi passi da Almond, l’uomo poteva sentire il suo fetore, avvertiva il suono roco del suo respiro. L’uomo avvertì un esplosione di dolore alle tempie, la sua mente veniva soggiogata dal demone che si afferrò ai suoi ricordi portandoli alla luce estraendoli con forza.

Luca e la Badessa si accasciarono al suolo, anch’essi travolti dalle immagini e dai ricordi che il demone stava violando, inebetiti dalla violenza delle immagini.

La folata di pensieri malvagi e lussuriosi presero forma, le immagini riempirono il suo cervello dei tre fuggitivi, come scatti di fotografie intermittenti.

Almond cercava di contrastare i gli stimoli visivi che riempivano i suoi gangli nervosi impedendogli di muoversi. Nei frammenti che annichilivano la sua mente vedeva una donna bionda che teneva in braccio un bambino, la stessa donna appariva in un immagine successiva, mentre veniva bruciata sul rogo, il suo aguzzino che la guardava dal basso, con il viso coperto dal cappuccio.

‘Il tuo passato ti tradisce chierico, la tua anima è nera quanto la mia, non c’è espiazione per te, non c’è via di scampo, questo mondo sarà mio ”

Ora le immagini ritraevano lo stesso uomo col cappuccio nel buoi freddo di un sotterraneo, in mano un ferro incandescente, la stessa donna legata e terrorizzata che implora pietà, il cappuccio che viene scostato ed il volto dell’uomo che viene rivelato.

‘Guardate chi è il vostro compagno, guardate cosa era ‘ cosa cerca di nascondere !!!’

Il cappuccio scostato rivela il volto di Almond, duro, freddo come pietra, mentre affonda il ferro rovente nelle carni della donna legata, il pianto di un bambino che implora pietà per la madre, poi il nulla, un buio assoluto e tangibile.

“Cha cazzo succede ” gridò Luca, si alzò in piedi, la testa che gli doleva come se il cervello avesse così tanta pressione da esplodergli dalle orecchie. D’istinto prese il mouse del computer e lo lanciò verso il demone colpendolo sul muso da capro.

Gamaliel, distratto dal gesto del ragazzo, lo guardò furioso, i suoi denti si strinsero in un espressione furiosa.

Brigida si avvicinò al ragazzo come se la sua vicinanza poetesse proteggerlo dalla furia del demone.

Almond, stordito, vide il demone dirigersi verso i suoi compagni, provò a sollevarsi ma le sue gambe erano deboli, fiaccate dallo sforzo di resistere all’attacco mentale di Gamaliel, si trascinò per alcuni metri poi si alzò, versò il riso nella ciotola cercando di raggiungere l’essere demoniaco.

Il demone era sempre più vicino, i suoi occhi erano due fessure gialle e maligne, la sua lingua saettava nervosa tra le zanne seghettate.

Brigida afferrò la mano del ragazzo, impietrita dalla vicinanza del demone, il suo sguardo andò ad Astor, lo vide trascinarsi verso di loro, a fatica. Un pensiero fugace le attraversò la mente, una consapevolezza antica la sorprese facendole sgranare gli occhi, un sentimento profondo le riempì l’anima facendola vacillare, non sapeva cos’era ma sospettò che fosse qualcosa che si avvicinava all’amore.

Il demone si bloccò, Brigida si frappose tra lui ed il ragazzo, c’era una aura nuova intorno alla donna, qualcosa che gli impediva di avvicinarsi.

Almond aveva quasi raggiunto il demone, si pose dinanzi all’essere mostruoso, posò la ciotola a terra, di fronte ai sui piedi, lo guardò con odio, poi iniziò ad indietreggiare, in attesa.

Gamaliel guardò la ciotola di riso, provò ad avanzare ma non successe nulla, raccolse la ciotola di riso, i suoi artigli iniziarono a centellinare chicchi benedetti uno ad uno, sembrava che non fosse in quel luogo, completamente assente ed immobile.

Almond si avvicinò ai suoi compagni, dopo essersi sincerato che fossero incolumi disse :’ E’ il momento, facciamolo ”

A turno i tre piantarono le lame negli arti del demone, ad ogni colpo l’essere urlava il suo dolore incapace di reagire, Almond prese l’ultima lama, guardò i suoi compagni e si piazzò di fronte al demone, piantò il coltello al centro del suo petto squarciandogli il suo cuore infernale.

Un liquido verde e nauseabondo iniziò a sgorgare dalle sue ferite, l’essere iniziò letteralmente ad afflosciarsi su se stesso, sparendo in uno sbuffo di nebbia verde e maleodorante, lasciando sul terreno un mucchio di cenere.

I tre si sdraiarono sull’erba del chiostro, esausti, in silenzio, a mirare il cielo stellato. Almond era accanto a Brigida, la mano della donna si avvicinò alla sua, chiuse gli occhi godendosi il silenzio.

***
MONASTERO DI MONTECRUCIO – EPILOGO

Erano passate due settimane dalla sconfitta di Gamaliel, i posseduti erano stati liberati dal controllo del demone ed erano tornati ad essere loro stessi, immemori di quello che gli era accaduto. Le perdite erano state molte, Suore e Monaci avevano pianto le vittime del maleficio che si era abbattuto sul monastero. La chiesa aveva inviato i suoi uomini a ripristinare la normale quotidianità del complesso, la prigione del demone era stata riparata e nascosta nel sottosuolo del monastero, pochi ne sarebbero stati a conoscenza.

Luca era partito con la madre, sarebbero tornati a casa ed il ragazzo si sarebbe occupato di lei fino a quando non si fosse ristabilita totalmente, nella sua tasca un numero di telefono, la chiesa e l’organizzazione FIDELIS avevano mostrato interesse nelle sue doti informatiche e gli avevano offerto l’occasione di entrare nelle loro fila.

Padre Ignacio fu rimosso dall’incarico ed affidato ad un piccolo convento in un paesino sperduto dell’Andalusia.

la famiglia Lorci avrebbe continuato il loro lavoro alle dipendenze del monastero.

Suor Brigida lasciò il suo ufficio ed uscì all’aria aperta, l’estate con la sua luce svolgeva un’azione curativa nelle anime dei sopravvissuti. La badessa raggiunse Almond all’ombra di un pino, nel giardino fuori le mura del monastero, l’uomo fissava la pietra antica delle mura che proteggevano la costruzione, si chiedeva se non fosse l’esatto contrario.

Suor Brigida si sedette accanto a lui, lo guardò e disse :’Io ti conosco. E non soltanto dal momento in cui mi salvasti dalla mia vita dissoluta. No. Io ti conosco da molto prima, lo sento, è come se tu fossi qualcosa che è ancorato dentro di me ”

Almond si girò a guardare la donna, sospirò, fissandola con i suoi occhi scuri ed innaturali.

‘La chiamano ‘reincarnazione cosciente’ , di solito chi si reincarna non ha coscienza di chi era prima, vive la sua vita avendo solo delle vaghe sensazioni di quello che era. Io ne ho coscienza, questo mi ha portato ad essere quello che sono oggi. Io sono la reincarnazione di Alfonso Suarez, uno dei più spietati e sanguinari appartenenti all’inquisizione. Suarez iniziò la sua ‘carriera’ accusando la sua giovane moglie di stregoneria. L’uomo sapeva che non lo era, ma era accecato dal dubbio della gelosia, si era convinto che la donna lo tradisse. Iniziò a diffondere delle storie sul conto della moglie, attribuendole misfatti che la donna non aveva mai commesso. Fu lui che la portò al rogo, fu lui ad appiccare il fuoco, fu lui ad uccidere lei e suo figlio, colpevole di essere testimone della sua follia.’

Almond stette in silenzio per alcuni minuti, Brigida lo guardava, il cuore le batteva all’impazzata, le sue labbra dischiuse attendevano con ansia che l’uomo finisse il suo discorso.

‘Tu sei la moglie di Alfonso Suarez, ‘la strega di Altamura’, così ti ricordano i libri antichi. Tu sei la donna che io ho ucciso in preda alla pazzia ‘ perdonami.’

Brigida si tolse il velo, i suoi capelli biondi illuminati dal sole alto, avvicinò le sue labbra a quelle dell’uomo che la fissava, le sfiorò, chiuse gli occhi, si sciolse nell’oblio assoluto in cui le loro anime tornarono alla pace.

***
MEZZANA ‘ ORE 13

Clara era nel bosco, la mamma l’aveva lasciata andare sapendo che la ragazza non si sarebbe allontanata troppo dall’abitato. La ragazza stava cogliendo dei fiori da mettere a centro tavola quando la sua attenzione fu attirata da un baluginìo ocra nel terreno.

Si chinò ed estrasse dal terreno una statuina raffigurante una donna con al centro incastonata una pietra color ambra, sorrise, pensando che fosse il suo giorno fortunato.

FINE

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