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Racconti erotici sull'Incesto

It started with Nicky

By 1 Agosto 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Lei &egrave Nicolina, sono io che la chiamo Nicky, solo io.
A lei piace essere chiamata così, mi guarda e mi sorride.
E’ un piccolo segreto che ci lega, un piccolo intrigo che era nato così, senza ragione alcuna, ma che poi assunse un qualche significato. La chiamo così nell’intimità. Un’intimità nata per caso. O forse era già decisa dal destino, suo e mio. Perché io scoprii’
Ma andiamo in ordine.

Quando viene l’estate faccio mille progetti, mi propongo questo e quello e, invece, vengo invaso da una pigrizia indicibile. Mi piace poltrire, soprattutto non amo essere ‘imbrancato’, aggiogato al carro altrui.
Avevano detto di aver avuto una ‘bella idea’: andarcene al mare per il week end.
Partenza sabato mattino, rientro domenica sera.
Io non avevo un tubo da fare, perché se ne sarebbe riparlato ad autunno avanzato, quando iniziavano le lezioni universitarie. Avevo fatto la pre-iscrizione al primo anno di ingegneria.
Il genitore, invece, doveva seguitare a sgobbare tra ospedale, clinica privata e il suo studio medico almeno fino al dieci agosto, usciva prestissimo la mattina, anche perché operava quasi tutti i giorni sempre ripetendo che la vita del cardiochirurgo era bella ma faticosa; mia sorella Margherita, praticante presso il notaio Federici era costretta al chiodo; e la moglie di mio padre, Ela, chiudeva la sua gioielleria in concomitanza con le ferie paterne.
Ela aveva sposato mio padre l’anno prima, e due anni dopo la morte di mia madre.
A me di andare al mare, di alzarmi presto per non trovarsi nel traffico, e così via, era proprio da scartare.
Io me ne sarei rimasto a casa, con tanto di aria condizionata, e avrei fatto quello che mi pareva.
Potevo uscire, poltrire, andare a tennis, al cine.
Che ne so!
Quando mi svegliai mi accorsi che si trattava del rumore della lucidatrice. Nicky era nella stanza adiacente, incurante del mio riposo.
La chiamai a gran voce.
‘Nicky’ Nicky”
Ce la dovetti mettere tutta per farmi sentire,
Finalmente, schiuse la porta della mia camera,entrò.
‘Mi hai chiamata?’
‘Si. Per favore,mi porti un caff&egrave? Freddo’!’
Nicky era un po’ rossa, accaldata.
Aveva il suo solito grembiulino celeste, una specie di camice, abbottonato avanti. Non molto lungo.
Così, al primo colpo d’occhio, mi sembrò che fosse tenuto chiuso solo dalla cinta. Sbottonato per tutto il resto.
Nicky aveva ventidue anni e già due figli!
Una bella bruna, alquanto polposetta, ma con tutti i suoi requisiti ben distribuiti e proporzionati. Sembrava più ragazzina di me, che pure avevo quattro anni meno di lei.
Il marito era emigrato a Rochester, nello stato di New York, USA, chiamato da uno zio, fratello del padre, che si interessava della produzione di materiale fotografico.
Dopo la chiusura dello stabilimento dove lavorava, era rimasto disoccupato, e certamente la famiglia non riusciva a tirare avanti con la sola retribuzione di Nicky.
Partito il marito, le chiedemmo di dedicare a noi più ore che nel passato. Era anche brava in cucina e per noi la preparazione dei pasti era sempre problematica.
Nicky viveva con la madre, e i figli, Marcella e Sandro, tre anni e due anni, restavano con la nonna messasi in pensione appena compiuto il minimo di servizio necessario. Era bidella di scuola, cio&egrave ausiliaria, come si dice adesso.
Non posso negare che su Nicky avevo fatto qualche pensierino. (E su quale femmina non lo faccio?) E che quelle belle tette e quelle chiappette mobili esercitavano una sempre maggior attrattiva. Figurarsi ora, riposato, al mattino, col pisello che sembrava un obelisco egizio. Un po’ anche nella forma, solo che partiva a cuspide, proprio come l’obelisco, ma poi si allargava notevolmente, quasi formasse un tetto, per proseguire ancora a mo’ di obelisco. Insomma, il glande, la cappella, chiamatelo come vi pare, era fungiforme.
Mentre ero tutto preso da queste considerazioni erotico-anatomiche, Nicky rientrò con un bicchiere di caff&egrave.
Si avvicinò al letto, mi porse il bicchiere.
La generosa scollatura del camice mi disse che era senza reggipetto.
Chissà se aveva le mutandine.
L’unica cosa era accertarsene.
Alzai un lembo inferiore del grembiule.
Le indossava, anche se minuscole, con certi baffoni neri che sbordavano da tutte le parti.
‘Che fai, Piero’ sei matto?’
‘Piuttosto, tu che te ne fai di tutta ‘sta grazia di Dio!’
‘Smettila.’
Posai il bicchiere, vuoto, sul comodino, le presi la mano e la tirai sul letto. Mi cadde quasi addosso, con una tetta del tutto fuori dal vestito.
Mi ci fiondai a falco, e cominciai a ciucciarla focosamente.
Dapprima sembrò volersi sottrarre a quella specie di assalto, poi prese a carezzarmi i capelli, a baciarmi sul collo.
Era il momento opportuno.
Le presi la mano e la condussi sotto il lenzuolo, sull”obelisco.
Un attimo di esitazione, poi iniziò a menarmelo, dolcemente, teneramente.
La spinsi giù, sempre seguitando a popparla, e le infilai le dita nelle mutandine, tra le grandi labbra, sul clitoride, nella vagina.
Sussultava come in preda a convulsione, in pochissimo tempo la sentii gorgogliare,gemere, gridare!
Non persi tempo.
Le strappai le mutandine, le aprii le gambe, la penetrai di colpo. Facilmente, era tutta un bagno.
Stavo godendo da matto, più di lei.
D’un tratto, con un movimento improvviso e imprevisto, sgusciò da sotto a me, fece sì che il mio fallo uscisse completamente da lei, proprio nel momento dell’eiaculazione.
Lo sperma si sparse sul suo ventre, sui riccioli del pube, sul letto.
icky mi guardò.
‘Scusa Piero, scusa, ma non posso correre il rischio di restare incinta’ Ti capisco’ ci sei restato male”
In effetti l’avrei strozzata!
Mi guardò con tanta tenerezza.
Si alzò, fece cadere sul pavimento il camice, si liberò dei resti stracciati delle mutandine. Era splendida, con tette meravigliose e un culo incantevole.
Io ero rimasto seduto sulla sponda del letto, sempre col coso ben diritto.
Lei si chinò per raccogliere il camice.
Lo spettacolo di quelle natiche dischiuse era incantevole, eccitante, irresistibile. Si vedeva il buchetto, velato dal mio seme che era colato fin lì.
L’afferrai per i fianchi, l’attirai verso me, sulle mie ginocchia, curando che il glande, anch’esso intriso di sperma, poggiasse sul suo buchetto rosa.
Malgrado il peso, la pressione, l’obelisco resisteva. Impavido.
Lei voltò il capo, mi guardò con una luce sconosciuta nei suoi occhi. Si vedeva che era in preda ad una indicibile eccitazione.
Con le mani allargò i glutei.
‘Piano, Piero, non l’ho mai fatto, ma non posso, non voglio lasciarti così.’
Dopo una resistenza iniziale, lo sfintere cominciò a cedere’ cedette’ l’obelisco entrò tutto, le sue chiappe erano sulle mie cosce.
Era veramente una cosa bella.
Rimanemmo fermi, così, come se dovessimo riprendere fiato prima del rush finale.
Io le acchiappai una tetta e cominciai a tormentarle il capezzolo.
L’altra mano scostò i ricci. Le dita s’infilarono decisamente nel suo sesso, con movimento combinato, rotatorio e di andirivieni.
Nicky cominciò a dimenarsi deliziosamente a sospirare, a mungermi, e mi accorsi che quel massaggio combinato, vagina, tetta e il resto, stava dando frutti insperati. Lei ebbe un orgasmo spettacolare ed io la mi scaricai meravigliosamente in lei, deliziato dalle continue carezze della sua peristalsi.
Le contrazioni di Nicky favorirono la prosecuzione dell’erezione, e lei ne profittò. Con reciproco sommo godimento.
Quando, sia pure a malincuore, ci separammo, Nicky rimase sulle mie ginocchia, come una bambina, con le sue belle tette sotto il mio naso.
‘Sai, Piero, non immaginavo che potesse piacermi anche così’ A te &egrave piaciuto?’
‘E’ stato bellissimo”
‘Si, ma voglio sentirti ancora in me’ regolarmente.
Devo cominciare a prendere la pillola.
Intanto devo rassegnarmi a farlo col preservativo.
Ma tu non ne hai?’
Scossi il capo, mentendo.
‘Me li procuro oggi stesso, Nicky.
Quando lo rifacciamo?’
Nicky mi guardò con aria maliziosa.
‘Questa sera, prima di cena, vado da mia cugina, che sta male, e passerò con lei tutta la notte.’
‘E chi &egrave questa cugina? Dove sta?’
Mi baciò, mentre le carezzavo tette e pancino.
‘E’ quello che dirò a mamma.
Invece, vengo qui, ti preparo una cena da farti leccare i baffi, e dopo”
Mi strinse forte.
Scoperta meravigliosa, sensazionale!
Quello, che a me piace tanto, me l’ha fatto conoscere per la prima volta Nicky.
Ricordai quel film, ‘La prima &egrave stata Eva’.
Il titolo originale era ‘It started wih Eve’.
Al mio caso si adattava benissimo: It started with Nicky.
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Ad un certo momento mi sorse un dubbio.
Era bello, accogliente, appagante, rilassante, solo quello di Nicky o lo erano anche gli altri?
Pensavo anche a questo quando, alcuni giorni dopo, entrai nel retrobagno dove era la biancheria per la doccia, saponi, schiume, e vari altri articoli igienici, nonché la lavatrice.
Mi serviva un accappatoio pulito.
Vi trovai Margherita, con un asciugamano a spugna malamente annodato in vita.
Cercava il dentifricio.
Lo aveva trovato, ma le era sfuggito dalle mani e caduto dietro la lavatrice che, tra l’altro, era in funzione.
Margherita si gettò sulla lavatrice per cercare di prendere il tubetto.
L’asciugamano si slacciò, e lei rimase col suo magnifico sederino in bella mostra, le gambe lievemente dischiuse, un bel ciuffo di riccioli neri tra le gambe.
Posizione perfetta, e il pisello approvò in pieno, ergendosi di colpo e spuntando fiero e baldanzoso dall’apertura del pigiama.
Quando mi sarebbe ricapitata una simile occasione?
Margherita &egrave una splendida donna di venticinque anni con forme statuarie. Soprattutto il culo mi faceva impazzire.
Mi avvicinai a lei, lancia in resta, le aprii un po’ le chiappe e posizionai correttamente il pisellone impaziente.
‘Piero,cosa vuoi fare?’
‘Lo vedrai. O meglio’ lo sentirai.’
Presi dalla mensola il bagnoschiuma, ne spruzzai un po’ vicino al buchetto di Margherita, un altro po’ sul mio glande, e spinsi decisamente.
‘Ahi, Piero, ma sei matto?’
‘No, sono arrapato come un mandrillo.’
La spinta aveva avuto il suo effetto.
Ero entrato dentro.
‘Ma Piero, lo stai mettendo dietro a tua sorella!’
‘Non ‘mettendo’, ma ‘messo’.
Accidenti se é bello, sei splendida!’
Solito agguanto di tetta e intrufolo di dita in vagina.
In quel momento entrò in funzione la centrifuga della lavatrice, sulla quale era riversa Margherita.
Ausilio incantevole.
Le vibrazioni della lavatrice, le mie mani, e il coso che la stantuffava a dovere, stavano avendo, e rapidamente,il loro effetto.
‘Sto venendo’ Piero’ sto venendo’ dai’ dai’non ti fermare”
Sculettava deliziosamente.
‘Come sei bravo, Piero’ come sei bravo’ non lo sapevo’ eccomi’ eccomi’ eccoooooooooooooooo.’
Fu scossa come da una scarica elettrica, rimase ferma, solo il suo budello seguitava a palpitare, accogliendo il mio seme come balsamo atteso.
Esperienza positiva.
Anche quello di Margherita valeva un Perù.
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Qualcuno dice che il profumo della femmina sia come quello del tartufo. Non ne sono convinto, ma &egrave comunque un odore di selvaggia soavità che mi fa comprendere come alcuni cani annusino sempre e dovunque, alla ricerca’
Modesta esperienza, la mia, ma sufficiente per farmi giungere alla conclusione, forse soggettiva, che ogni femmina ha la sua fragranza, ma c’&egrave qualcosa che le accomuna tutte. E’ come una ‘variazione sul tema’.
Del resto, il ferormone, sostanza chimica prodotta da apposite ghiandole, che viene riconosciuta da particolari recettori e provoca risposte comportamentali tra cui l’attrazione sessuale, agisce come una sorta di messaggio chimico e, come tutti i messaggi, la ricezione di esso dipende dalla intensità di trasmissione e dalla sensibilità di captazione.
Io queste differenze le percepivo, infatti, in un primo momento credevo di ricevere più chiaramente il ‘segnale’ di Nicky che non quello di Margherita, poi, invece, mi accorsi che ciò dipendeva dai giorni in cui avveniva la trasmissione, cio&egrave dalla diversa intensità o sensibilità del momento.
Mi capitava, infatti, di eccitarmi al solo sentirmi avvolto dalla loro scia odorosa.
Qualcosa di ancora più inebriante mi stava accadendo, da qualche tempo, quando Ela era nei dintorni. Non era Chanel N.5, il suo profumo preferito. Quello lo distinguevo chiaramente. Era qualcosa di diverso, di sconosciuto, di impalpabile.
Comunque, la vicinanza di Ela mi eccitava sempre più.
Non era una bellezza sconvolgente, la sua, ma più la guardavo e più ne apprezzavo il fisico snello e aggraziato, il volto luminoso, avvolto da lunghi capelli dorati con qualche raggio di sole.
Vestiva sempre con molta cura.
Gambe snelle, ben tornite, fianchi lievemente tondeggianti, seno non troppo voluminoso, e perfettamente proporzionato al resto.
Stava per compiere quaranta anni.
Più trascorreva il tempo e più la fantasia galoppava, immaginandola senza i vestiti, sotto la doccia, mentre faceva l’amore con mio padre.
E mi arrapavo!
Aveva veramente un bel fondo schiena, la mia matrigna!
La sua auto era al tagliando.
A colazione disse che avrebbe chiamato un taxi per andare in negozio. Mi offrii di accompagnarla. Mi sorrise e mi ringraziò.
Scendemmo in garage, salimmo in auto, mi avviai all’uscita.
Gonna sopra al ginocchio, volto sereno, disteso, senza l’appesantimento di trucco vistoso.
Ela guardava dinanzi a sé, la strada.
‘Sei molto gentile ad accompagnarmi. Grazie.’
‘Sono lieto di farlo. E’ un occasione per conoscerci sempre meglio.’
‘Mi sbaglierò, ma ho notato che da un po’ di tempo in qua mi guardi in un certo modo..’
‘Come?’
‘Non so’ un modo che quasi mi mette a disagio”
‘A disagio?!’
‘Scusa, sa. Non sorridere’ ma mi sembra come se avesse importanza il mio modo di vestire, di muovermi’ come se ti’ interessassi”
‘Non sbagli.’
Si voltò verso me, mi guardò.
‘Ti rendi conto di cosa stai dicendo? Ho più del doppio dei tuoi anni’ sono la moglie di tuo padre”
‘E questi sono validi motivi per vietarmi di ammirarti?’
‘Ma mi guardi in un certo modo”
‘Ti offende?’
Scosse un po’ le spalle. Le guance s’erano alquanto imporporate.
La voce era incerta.
‘Ma no, come potrebbe offendermi’ eventualmente lusingarmi’ però’ lo capisci”
‘Cosa devo capire?’
‘Ma se tuo padre notasse tale tua’ attenzione?’
‘Si complimenterebbe con me, direbbe che ho veramente buon gusto.’
‘Forse ho fatto male ad accettare questo passaggio sulla tua auto.’
‘Credo che tu abbia fatto bene, perché ti ha spiegato tante cose di me.’
Eravamo giunti davanti al negozio.
Scesi, andai dalla sua parti, aprii lo sportello, l’aiutai a scendere.
‘Grazie, Piero.’
Le sfiorai la guancia con un bacio, che ricambiò.
‘Posso venire a prenderti, questa sera?’
Rimase un attimo titubante.
‘Ma sì, grazie.’
Mi sorrise, entrò nella gioielleria.
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Pensai di andare in piscina, avevo l’occorrente nella sacca che stava nel portabagagli, poi avrei fatto colazione alla tavola calda.
Anzi, mi venne in mente di telefonare a Margherita per dirle se voleva venire con me, nell’intervallo, per un brunch.
Cambiai pensiero.
Se andavo a casa c’era la possibilità che Nicky mi facesse dimenticare l’odore di Ela.
Già, Ela.
E se avessi proposto a lei di andare insieme per il brunch?
Sapevo che durante la chiusura del negozio consumava un tramezzino e una spremuta e poi o andava dal parrucchiere o tornava nel retrobottega, dove aveva il suo studiolo con un divano letto.
Credo che riposasse un poco.
Cominciava a far caldo.
Mi diressi alle Muse, parcheggiai, andai a sedere sotto un’ombrellone, ordinai una granita di caff&egrave con panna che gustai lentamente, guardando il panorama che si stendeva sotto ai miei occhi, e seguitando a pensare allo strano colloquio che si era svolto tra me ed Ela.
Da Ela la mente passò a Margherita, chissà come vedeva quella donna al posto della mamma.
La bella Margherita, la mia bella sorellina.
Mi accorsi che sorridevo mentre ricordavo l’episodio della lavatrice.
Intanto andavo eccitandomi.
Forse era meglio andare a casa, c’era sempre Nicky ‘che ormai prendeva regolarmente la pillola- e già sentivo il suo stupendo sedere sulle mie ginocchia.
Improvvisamente, a Nicky subentrò Ela.
Mi scossi, finii la granita, pagai, rimontai in macchina.
Guidai lentamente, molto lentamente, specie quando ripassai dinanzi alla gioielleria di Ela.
Lei era occupata con una cliente.
Finii con l’andare in piscina.
Che strano, rinunciavo alle pur attraenti grazie di Nicky.
Se fossi andato a letto con lei mi sembrava fare un torto a Ela.
Che sentimentale del cavolo, sono.
Magari Ela quella mattina aveva fatto l’amore con suo marito; mio padre!
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C’era una folla di belle donne, di tutte le età, in piscina.
Una rassegna di tette e deretani da far girare la testa.
Ero sulla sdraia e guardavo a destra e manca nella vasca, seguivo i sinuosi ancheggiamenti che promettevano delizie infinite.
Lo spettacolo di quelle che uscivano dall’acqua era incantevole.
Qualche tuffo, un po’ di nuoto.
Poltrii stupidamente.
Poi andai per un breve snack.
Tornai a casa.
Era tutto silenzioso, semibuio, ma con fresco gradevole.
Nicky non c’era.
Sulla mensola dell’ingresso, bene in vista, un foglio:
‘Ho fatto tutto, ho aspettato fino alle tre’
me ne vado a casa’ da mia madre’
telefonerò verso le diciotto per sapere se avete bisogno di me
il professore non viene a cena, ha un trapianto, ci ha pensato lui a dirlo alla signora’
Margherita va a cena con gli amici
Nicolina’
Andai a sedere di fronte alla TV, l’accesi, mi misi a guardarla.
Una telenovela che più pallose non ce ne sono.
Infatti, mi svegliai più di un’ora dopo.
Preparai cosa indossare per andare a prendere Ela.
Guardai in frigo per vedere cosa avremmo potuto cenare. C’era tanta roba.
Tornai in camera, Sul letto avevo messo pantaloni avana, molto freschi, in cotone ingualcibile, boxer, calze (non posso farne a meno), camiciola marroncino chiaro, a casacca. Sul tappeto i miei mocassini preferiti.
Anche se l’avevo fatta in piscina, un’altra doccia non guastava.
Pur agendo lentamente, pigramente, erano solo le sei e mezzo (del pomeriggio, logicamente) quando ero pronto.
Scesi a prendere l’auto.
Feci un giro lungo, quasi a passo d’uomo.
Un’ora dopo avevo parcheggiato dinanzi alla gioielleria.
Entrai, la commessa mi disse che Ela era nel suo studio. Vi andai, bussai.
‘Avanti!’
Entrai.
Ela si alzò, mi venne incontro, elegante come sempre e con i capelli accuratamente acconciati dal suo parrucchiere, un lieve trucco sulle guance, sulle labbra, intorno agli occhi.
Perché si era alzata? Non poteva restare seduta?
Certo per farsi vedere.
No, anche per accostarsi un po’ a me, mentre mi baciava sulle guance e mi faceva sentire che le sue tette erano ben sode.
Fu spontanea, istintiva, la mia lieve carezza che le sfiorò il volto.
‘Sono in anticipo?’
‘No’ ti aspettavo’ tra poco chiudiamo’ iniziamo il rito dello svuotamento delle vetrine, del riporre tutto in cassaforte, attivare gli impianti di allarme’ Insomma, le solite cose.
A proposito, tuo padre resta in ospedale, in attesa di eseguire un trapianto, chissà a che ora tornerà.’
Feci finta di non saperlo. Avevo gettato nella spazzatura il foglietto lasciato da Nicky.
‘Allora saremo solo noi a cena?’
‘Margherita?’
‘Andrà con gli amici.’
Mi guardò fissamente, con qualcosa negli occhi che non riuscivo a interpretare.
‘Potremmo cenare fuori, magari all’aperto’ al Roof Garden’ o allo Sheraton Golf’, che ne dici?’
‘Per me va benissimo, ma’ devo cambiarmi o posso venire così?’
‘Sei un figurino, un modello’ sai quante tardone come me mi invidieranno, quando entreremo in sala!?’
‘Ma saranno di più gli uomini che invidieranno me’ e non sanno”
‘Non sanno che?’
‘Niente’ i soliti pensieri sciocchi della mia mente”
Questa volta fu lei a sfiorarmi il viso con una carezza, guardandomi teneramente.
‘Allora, dove preferisci?’
‘Lascio a te la scelta.’
‘Lo Sheraton Golf credo sia meglio, c’&egrave tanto verde, tanto spazio dove camminare, e quel ponticello stile giapponese”

Si era fatta l’ora della chiusura.
Tutto in regola, impianti attivati, collegamenti controllati.
Serrande di sicurezza abbassate, chiuse a chiave, rinforzate con lucchetti antiscasso ed esplosivi.
Salutammo gli altri, ci avvicinammo all’auto.
Prima di salire Ela chiamò papà, sul telefonino.
Rispose subito.
Ela gli disse che saremmo andati a cena fuori, ma che non sapeva ancora dove.
Lui le rispose (mi riferì Ela) che erano in attesa dell’arrivo dell’organo da trapiantare. L’aereo che lo trasportava era già atterrato a Ciampino. Il paziente era pronto. Lui stimava che non sarebbe rincasato prima di domani mattina, sperando che tutto andasse bene.
Ela gli disse che non dubitava affatto della sua esperienza e bravura e, anche a nome mio, gli dette il ‘in bocca al lupo’. Papà la incaricò di salutarmi.
Aprii lo sportello, attesi che salisse, richiusi, andai a sedere al mio posto, mi staccai lentamente dal marciapiede, mi avviai verso la strada per Fiumicino, dove a un certo punto, si voltava a sinistra per giungere dove eravamo diretti.

Il Maitre ci accolse con la solita cortesia, e suggerì che andassimo a bere l’aperitivo sul prato, anzi sul ponticello. Ci disse che ci avrebbe riservato un tavolo abbastanza appartato ma con vista sul ‘green’ al quale speciali lampade davano riflessi di smeraldo.
Due ‘Negroni’.
Andammo sul ponticello.
Ela si poggiò, di spalle, sul parapetto di legno. Io di fronte a lei.
Alzò il bicchiere.
‘Salute!’
‘Salute!’
Con aria birichina, quasi fanciullesca, intrecciò il suo braccio al mio prima di portare il bicchiere alle labbra.
Il mio braccio poggiava sul suo petto, piacevolmente, lo sfiorava. Bastò questo per eccitarmi.
No. Era anche il suo profumo!
Poi, sciogliemmo quella specie di abbraccio. Si voltò, mise i gomiti sul parapetto, volgendomi le spalle.
Il magnifico tondeggiare del suo fondo schiena era troppo allettante per resistere alla tentazione. Mi avvicinai cautamente, fino a toccarlo col mio pube, ed ancor più con quello che stava sempre più ergendosi, anche dolorosamente.
Ela aveva certamente avvertita quella mia prepotente e invadente vicinanza.
L’attendeva? L’aveva stimolata?
Non so.
La sentii irrigidire -le sue natiche erano diventate di pietra- ma non allontanarsi. Se avesse voluto farlo bastava alzarsi, voltarsi.
No. Stava rilassandosi, ammorbidendosi. Lievissimi movimenti, come se volesse accogliere tra i glutei la testimonianza del mio desiderio. L’omaggio alla sua callipigia venustà.
Rimase così, per un po’. Poi si alzò lentamente.
L’abbracciai, stringendole il seno.
La sentii sospirare profondamente, vidi che scuoteva leggermente la testa. I suoi capelli erano sul mio volto. Li allontanai con le labbra, la baciai sul collo. Le natiche si contrassero’ si rilassarono.
Si voltò.
Mi guardò con gli occhi pieno di pianto.
‘Piero’ potresti essere mio figlio”
‘Peccato che non lo sono’ ma tutto sarebbe lo stesso’ Sei bellissima’ stupenda’ mi fai impazzire”
Si mise sottobraccio.
‘Andiamo a cena, caro.’
Rientrammo in sala.
Eravamo taciturni, ma ognuno comprendeva il pensiero dell’altro.
Non ricordo neppure cosa mangiai, distrattamente, svogliatamente. Ci eravamo affidati completamente al Maitre.
Ela guardava nella tazzina del caffé, girando lentamente il cucchiaino.
La guardai.
‘Un penny per i tuoi pensieri.’
‘Non sprecarlo’ li sai benissimo.’
Firmai il conto, ci alzammo, andammo all’auto.
Ero convinto che Ela era eccitata almeno quanto me, ma questo non significava necessariamente che’
Allungai la mano e la misi sulla sua coscia.
La sentii irrigidire.
Procedetti cautamente verso il grembo.
Allungò le gambe, scivolò lentamente sul sedile, le dischiuse.
Quello, in altre occasioni, sarebbe stato il momento adatto per andare a fondo. Ma io volevo andare a casa’
La mia mano sentiva il suo sesso, caldo, ero convinto di percepirne il profumo.
Carezzai lentamente.
Mi guardò con le nari frementi.
‘Non qui’ non qui”
Messaggio ricevuto.
Casa, la sua camera, un lungo abbraccio premendole la testimonianza del mio desiderio sul grembo.
Non le ero sgradito.
Lasciò che le abbassassi la zip del vestito. Si allontanò per farlo cadere per terra. Le slacciai il reggiseno. Tette splendide, sode, tonde, capezzolini eretti, sensibili al bacio, alla lingua, al ciucciare’ mentre agilmente sfilava il tanga, mi sbottonava la camicia, sganciava la cintura dei miei pantaloni’
La portai di peso sul letto, mi inginocchiai di fronte a lei, tuffai la mia testa tra le sue gambe. Lo stesso profumo inebriante che avevo percepito in auto, il suo’
Prese la mia testa, la tirò verso sé’
Ero su lei, col fallo che cercava disordinatamente il suo sesso. Lo prese dolcemente, lo portò alla sua vagina, umida, palpitante. Entrai in lei, pulsando pazzamente, con una voluttà sconosciuta.
Un amplesso mai sperimentato fino allora, per intensità, per la sapiente superiorità di quella meravigliosa amante, splendida, travolgente.
E travolgente fu l’orgasmo che l’accolse e che mi coinvolse nello stesso momento. Raggiungemmo vette inesplorate, precipitammo nel turbine inebriante che ci faceva sentire fuori dal mondo, in un rapimento estatico che ci incantava, inebriava.
Restammo così.
Quale divina esperienza!
Ora eravamo abbracciati, comodamente, nella sua accogliente alcova.
Il suo stupendo sedere sulle mie ginocchia.
Il mio glande in quel solco incantevole, vicino a quel bocciolo fremente e rorido delle nostre secrezioni d’amore.
Fu naturale spingere.
Sentii una certa resistenza.
Le afferrai una tetta, la strizzavo piano, titillavo il capezzolo.
L’altra mano tra le gambe, che si affrettarono ad accoglierla, golosamente. Il clitoride turgido, l’attrazione delle sue piccole umide labbra, l’interno della vagina. Carezze lunghe, insistenti.
Si muoveva languidamente. Quelle sue chiappette si stringevano e si aprivano sul mio glande. Seguitai a spingere, sempre più. A mano a mano che il suo godimento aumentava, sentivo lo sfintere agitarsi, ogni tanto rilassarsi e quando il suo gemito si trasformò in un lungo suono gutturale, e il suo grembo cominciò a fremere irresistibilmente, ebbe un meraviglioso abbandono. E fui in lei. Fino in fondo. Non mi fermai neppure quando il suo orgasmo l’aveva sfinita. Non mi fermai fin quando tutta la mia passione non si scaricò impetuosamente in lei.
Era cominciato con Nick, ma le puntate successive furono ancor più meravigliose.
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