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Racconti erotici sull'Incesto

La vedova Rossi

By 16 Aprile 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

‘Chi cercate?’
La portinaia aveva scostato il vetro scorrevole e si rivolgeva a me.
‘Rossi.’
‘Un momento che citofono.’
Alzò la cornetta, premette un pulsante.
‘Signora Rossi, c’&egrave un giovanotto che chiede di salire’ si’ un momento”
Si rivolse a me.
‘Chi &egrave lei?’
‘Sono Piero.’
Riprese la cornetta.
‘Dice che &egrave Piero’ va bene’ arrivederci”
Mi guardò.
‘Può salire, secondo piano, la porta di sinistra.’
Decisi di non prendere l’ascensore, volevo ancora pensare a cosa fare.
Jolanda Sereni, da un anno ‘vedova Rossi’.
Lui era tornato in una cassa avvolta dal tricolore, accolto dalle massime autorità, ed era stato tumulato nella tomba di famiglia, al suo paese. Ingegnere spaziale, giovanissimo ufficiale superiore dell’aeronautica, Houston Space Center, esperimenti in volo. Disintegrato. Uno dei più giovani colonnelli, forse il più giovane. Avrebbe compiuto trentotto anni tra un mese. Medaglia all’eroe caduto nell’adempimento del proprio dovere, promozione al grado superiore, pensione privilegiata alla vedova. Baciamani, saluti, abbracci, infinite corone, messa solenne, ricordo del caduto da parte dell’Ordinario Militare, con voce che sembrava quasi commossa, e, in chiusura, la preghiera dell’aviatore:
Fa, nella pace, dei nostri voli il volo pi’ ardito: fa, nella guerra, della nostra forza la Tua forza, o Signore; perché nessuna ombra sfiori la nostra terra.
Poi, ognuno al proprio destino.
Jolanda era tornata a casa. Casa vuota. E aveva chiaramente detto che non si sarebbe mossa da li. La prima figlia, Ela, aveva sei anni, il maschietto, Sergio, tre. La sua vita sarebbe trascorsa come in precedenza: casa e figli, con l’aiuto di Serena, la tuttofare che era con lei da quando s’era sposata, sette anni prima.
La ‘vedova Rossi’.
Nessuna preoccupazione economica. Assicurazione, liquidazione, discreta pensione.
Non era socievolissima neppure prima e, in un certo senso, spesso si chiedeva se avesse sposato Livio per amore, per effettiva attrazione sentimentale e fisica, o solo perché era un bel giovane, intelligente, lanciato in carriera, elegante in divisa e in borghese. Per lei significava molto essere la moglie di un giovanissimo ingegnere spaziale in corsa verso la greca di generale, grado, però, che aveva adornato solo la bara nella quale si asseriva che c’erano dei resti umani.
La mamma glielo aveva detto, a Piero.
‘Mi raccomando, va subito da Jolanda, lei lo sa che stai per iniziare l’università. Forse non ti &egrave molto simpatica per i suoi modi un po’ scostanti, ma non lo fa né per superbia né per ostentazione. E’ proprio così, da sempre. Io, in effetti, non so dire se anche verso Livio si comportasse nello stesso modo. Lui la trattava come una bambina capricciosa e la colmava di gentilezze. Chissà se Jolanda pensa di farsi una nuova vita, una nuova famiglia. Forse &egrave troppo presto per dirlo. E’ trascorso solo un anno!’
Eccomi dinanzi alla porta di casa. Di lato, sul muro, il pulsante del campanello. Una targhetta con l’aquila dell’aeronautica militare, e il cognome: Rossi.
Bussai. Venne lei ad aprirmi.
Era da qualche anno che non la vedevo e, in effetti, la ricordavo un po’ diversa.
Alta, snella, elegante nel semplice vestito scuro, capelli abbastanza lunghi, neri, volto ovale, giovane, perfetto. Più giovane di quanto mi aspettassi. Del resto, feci i conti, non aveva più di trent’anni, era l’ultima di tre sorelle nate a distanza di sette anni l’una dall’altra.
Un abbraccio, lieve sfioramento di guance.
‘Vieni, Piero, entra. Sapevo che saresti venuto a Roma’ accomodati. Se vuoi, togli pure la giacca, oggi fa abbastanza caldo. Scusa, ma sono sola. I bimbi sono al mare, con mia madre e Serena ne profitta per passare qualche giorno dai suoi, in campagna.’
Conoscevo quella casa, c’ero stato anche subito dopo la notizia della disgrazia, nella confusione di quei giorni.
Molta penombra e silenzio. Avevo la sensazione di essere entrato in un sacrario. Chissà perché, ma mi aspettavo di entrare in una stanza dove ci sarebbe stato un enorme ritratto di ‘lui’, e magari anche un lumicino davanti, e forse alle pareti diplomi, attestati, insegne militari, fotografie’
‘Entra Piero, non stare li, sei a casa tua, entra.’
Mi precedette nel salone, e andò a sedere nell’angolo salotto, sul divano. Di fronte una poltrona, andai a sistemarmi là. Non so perché, ma mi sentivo alquanto a disagio. Come un intruso.
‘Togli la giacca, sta comodo. Io non accendo mai il climatizzatore, mi dà un senso di fastidio, ma se vuoi”
‘No, grazie, va benissimo così’ecco’ora tolgo la giacca.’
Mi alzai, tolsi la giacca e mi stavo avviando verso l’ingresso, per appenderla all’attaccapanni.
‘Mettila pure sull’altra poltrona, o sulla spalliera della sedia. Scusa, ancora non te l’ho chiesto, vuoi una bibita fresca?’
Tornai a sedere.
‘Magari dopo, grazie.’
Aveva un tenue sorriso sulle labbra, ma non era allegra.
Il volto era bellissimo, più di quanto ricordassi, e le gambe accavallate attraevano la mia attenzione.
‘Allora, stai per iniziare l’ultima tappa scolastica.’
‘Già. Veramente un tappone, speriamo di superarlo nei termini.’
‘Ma ci riuscirai benissimo, come sempre. Tua madre ne &egrave certa, ed anche io. Ma non vedo il bagaglio.’
‘E’ al deposito della stazione. Devo telefonare all’amico che mi ha segnalato la pensione per studenti dove va lui.’
Mi guardò con una espressione che non saprei definire. Sorpresa, delusa, seccata?
‘Ma’ perché’ non ti fermi qui? Forse temi di non essere libero quanto vorresti”
‘Veramente, non ho mai pensato che”
‘Io l’ho detto a tua madre, puoi restare qui, c’&egrave tantissimo posto. Lei mi ha risposto che lasciava fare a te.’
‘Non me ne ha accennato.’
‘Non voglio assolutamente forzarti, ma se ti contenti, qui sei bene accolto, e i bambini saranno lietissimi. Vieni, voglio farti vedere. C’&egrave il vasto studio di Livio, con un divano letto morbidissimo, ed ha il vantaggio di avere anche un bagno adiacente. Veramente &egrave una doccia. Vieni a vedere”
Si alzò.
Snella, con curve giuste al posto giusto, che si muovevano sotto il leggero vestito che indossava. Mi precedette, ed era veramente un bel’.vedere!
Quello che aveva chiamato studio non era meno ampio del salone, con un balcone. Mobili moderni e funzionali. Scrivania completamente spoglia. Libreria, un armadio a varie ante, tavolino, divano-letto, poltroncine, sedie. Foto di aerei alle pareti. Nessun ritratto di Livio.
Poggiò la mano sul mio braccio.
‘Cosa ne dici, puoi arrangiarti?’
‘Ma questa &egrave una reggia di fronte a qualsiasi locale di una pensione studentesca, scherzi?’
Questa volta il sorriso era più aperto, come soddisfatto.
‘Allora’ ?’
Misi la mia mano sulla sua, che era ancora sul mio braccio.
‘Mi si offre il paradiso! Potrei rifiutarlo?’
Mi baciò sulla guancia, d’impeto, e mi strinse il braccio.
‘Per il bagaglio diamo lo scontrino a Nena, la portinaia, e ci penserà il figlio.’
Sembrava di tutt’altro umore. Mi prese sottobraccio.
‘Se vuoi riposare subito ti preparo il letto”
‘Ma non no serve adesso, non sono stanco.’
Era premurosissima.
‘Vuoi fare una doccia? Desideri qualcosa?’
Sì, c’era stata una subitanea trasformazione, e quel suo darsi da fare, volersi mostrare affettuosa, carina, la rendeva più giovane.
Cominciavo a considerarla quella che era: una giovane donna, attraente, elegante e, ciò che mi stupiva in un certo senso, tenera, dolcissima. Mi sforzavo a voler cogliere qualcosa di materno nel suo comportamento, ma era troppo giovane per poter essere mia madre. Feci un rapido conto, aveva quattordici anni meno di mia madre, dodici più di me. Non era stata mai così affettuosa, anche se &egrave vero che non avevamo avuto molte occasioni per incontrarci.
Finora non mi ero mai rivolto a lei chiamandola per nome, anche perché ero dubbioso sul ‘come’. Era la sorellina di mamma. Dovevo chiamarla ‘zia Jole’? Era, tutto sommato, il modo giusto col quale dovevo rivolgermi a lei, ma mi sembrava strano chiamare ‘zia’ una che dall’aspetto sembrava appena meno giovane di me.
Comunque, dovevo provare. Volevo farle un complimento.
‘Sei veramente deliziosa zia!’
Alé, era fatta. Poi, però mi venne subito in mente ‘deliziosa’ poteva significare anche attraente, affascinante, incantevole. Alzai involontariamente le spalle. In fondo lo era. Ed ecco quel mio maledetto spirito umoristico. Avevo pensato ‘in fondo’ lo era, ma a guardarla bene non era delizioso solo il suo ‘fondo’ (schiena, s’intende) ma anche il resto, perché a quel che si poteva scorgere, doveva avere delle tettine anche esse veramente deliziose. Improvviso desiderio di ciucciarle, e reazione.. nella patta. Diavolo d’un Piero, non ci lascia neppure la zia. Diavolo un corno, mi suggeriva la solita voce interiore, altro che zia, quella era un vero e proprio schianto di femmina, una favola, di quelle che ti piacerebbe cullare, coccolare’ e poi’
Fu lei a rompere l’incantesimo, o meglio ad aumentarlo.
Mi prese per le mani, mi guardò con gli occhioni profondi e scintillanti, ed era quasi seria in volto.
‘E se mi chiamassi solamente Jole, od ancor meglio Jo’? Ti sentirei ancora più vicino. E da tanto che non sento chiamarmi così da un uomo!’
‘Hai letto nel mio pensiero, Jo’!’
‘Grazie, tesoro.’
E mi abbracciò, stretto. Com’era bello sentire sul mio petto il suo seno.
‘Grazie a te, Jo’.’
‘Senti, che ne diresti di andare a mangiare qualcosa fuori? C’&egrave una trattoriola, non distante, dove si sta anche freschi. Nessuna pretesa esteriore ma una cucina coi fiocchi, genuina, tipica, curata direttamente dalla proprietaria.’
‘Per me va benissimo.’
Mi guardò con aria furbesca.
‘Intendiamoci bene, sei mio ospite. Tu devi considerarti uno studente.’
‘Cio&egrave uno che deve apprendere.’
Sempre lo steso sguardo.
‘Forse &egrave più esatto dire che deve perfezionare quanto sa.’
‘A che ora tornano i bimbi?’
‘L’autobus militare li riporta verso le sette, di sera logicamente. Al mare, dopo pranzo, cercano di farli riposare un po’. Ci sono appositi locali attrezzati. Poi ancora spiaggia, giuochi. Quindi la merenda, una lavatina, controllo che abbiano ripreso tutte le loro cose e via, sul bus, a casa. Qui &egrave una delle prime fermate, noi siamo proprio all’ingresso in città per chi proviene dal mare.’
‘Comodo. Quindi bus, spiaggia, tutto a cura dell’Aeronautica Militare?’
‘Sono sempre pieni di attenzione. Anzi, sai che ti dico, quando questa sera suona il bus, scendo io a prendere i bimbi e dico al responsabile che uno di questi giorni vorrei andarci anche io, in spiaggia, e che ho un nipote con me. Tra una cosa e l’altra, questo &egrave il secondo anno che non vado al mare.’
‘OK’
‘Tu devi profittare di questa fine estate, poi comincia l’anno scolastico e’addio divertimenti’ Oddio, non tutti”
‘Ela e Sergio vanno a scuola?’
‘Si, Ela alle elementari e Sergio all’asilo. Stessa scuola, e per fortuna stesso ‘scuola-bus’. Mangiano li e tornano verso le diciassette. Sono sicura che saranno felicissimi di vederti, di averti qui. Forse saranno anche un po’ invadenti, pieni di perché, e vorranno mostrarti tante loro cose. Poverini, sentono tanto la mancanza del padre, di un uomo in casa. Anche loro!’
Divenne un po’ triste.
Fu spontaneo prenderle delicatamente il mento tra due dita e guardarla negli occhi.
‘Ora, Jo’, cosa fai? Devi reagire, sei forte, hai tutta una vita dinanzi a te”
‘Dinanzi a me c’&egrave il vuoto’ il vuoto assoluto’ scusa.’
Ebbe come un moto di ribellione. Proseguì.
‘Si sta facendo l’ora per andare a mangiare. Mi cambio in un attimo. Tu non hai bisogno di indossare la giacca, così stai benissimo. Più che bene!’
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Avevamo mangiato molto bene, almeno a parer mio, e considerata la stagione. Una tenera e succulenta ‘fiorentina’ con una colossale insalata mista. Poi frutta, e cannellino di Frascati, leggero e fresco.
Jo’ propose di andare a prendere il caff&egrave al bar vicino casa: aria condizionata, miscela ottima e un servizio ineccepibile.
Salimmo nella sua auto, e guidò lentamente. Non c’era molta gente per la strada, non ancora tutti avevano ripreso la propria attività dopo le vacanze estive. Il leggero vestito di cotone disegnava le gambe. Evidentemente non indossava altro. No, si intravedevano le mutandine ed anche il reggiseno. Mi venne in mente uno dei miei soliti pensieri goliardici: beati loro! E mi piacevano anche le ascelle, depilate, certo, ma con una leggera peluria nascente che mi eccitava portandomi con la mente ad altri interessanti parti di quello stuzzicante corpo certamente impreziosite da piacevoli setosità. Fu istintivo toccarle i capelli, che portava abbastanza lunghi, fin sulle spalle. Volli sentirne la sottigliezza. Certamente altrove sarebbero stati più crespi, i peli, ma anche più seducenti.
Senza voltarsi dalla parte mia, ma con un lieve sorriso sulle labbra, mi ricolse la parola.
‘Cosa hanno i miei capelli, Piero, di interessante?’
‘Mandano riflessi bellissimi, sono morbidi, sembrano di seta.’
‘Grazie del complimento.’
Bar, quasi nessuno, tavolino in angolo. Ordinammo due ‘Irish coffee’, malgrado il clima abbastanza caldo. Non nel bar, però. Jo’ disse che li facevano magistralmente, e quando li servirono, e li assaggiammo constatammo che era proprio così.
‘Vieni spesso qui?’
‘Di solito ci vengo di corsa: un espresso e via. Era da tempo, molto tempo, che non sedevo nel’ nostro angioletto per bere Irish coffee.’
Guardava lontano, nel vuoto.
Misi la mia mano sulla sua, e la tenni così, a lungo, senza parlare.
Sì, certo, c’era molta tenerezza in quel gesto, ma il contatto, pelle e pelle, non era privo di una carica erotica, almeno per me. Il preludio alla vita universitaria si presentava tormentoso. Indubbiamente non potevo vivere in eterno in uno stato di continua eccitazione. Perché zia Jole, o chiamiamola pure Jo’, si era rivelata un’attrattiva erotica crescente. Come studiare e pensare che a pochi metri c’&egrave una creatura del genere? Dovevo uscire da tale groviglio, prima che una tale spirale non mi avesse soffocato.
La guardai fissamente.
‘Qualcosa non va, Jo’?’
Mi ricambiò lo sguardo: tenero? Appassionato? Preoccupato? Deluso? Non saprei dirlo.
Scosse leggermente la testa.
‘No, Piero, non &egrave ‘qualcosa che non va’ ma ‘qualcosa che credevo di aver perduto per sempre’.’
Premetti la mano sulla sua.
‘Cio&egrave? Non riesco a capire”
‘Non &egrave facile, per me, e mi sembra come se si aprisse un baratro sotto i miei piedi. D’improvviso, propositi, certezze, principi, convinzioni’ tutto si sta sgretolando’ lentamente’ con una forza che mi sta sconfiggendo, travolgendo”
‘Scusa, ma seguito a non capire”
‘Sono confusa’ cercherò il modo’ ecco!
Vedi, si costruisce una diga per farvi confluire le acque che, se non contenute, frenate, potrebbero recare danni, travolgere, distruggere. Una diga può anche arginare, bloccare, sensazioni impulsi. Una specie di barriera per ‘messaggi non desiderati’. Inatteso, improvviso, ad un certo momento un fulmine colpisce la diga, un bagliore, una scarica; la diga si incrina. Nel contempo, quanto in essa era stato trattenuto comincia a ribollire. La crepa si va sempre più ingrandendo. La diga rischia di crollare, non resiste’ Potrebbe essere la fine”
‘O il principio?’
Mi fulminò con lo sguardo.
‘No, Piero, non può esserci principio per l’irrealizzabile.’
Sentivo che stavo addentrandomi in un terreno minato.
‘Irrealizzabile, Jo’, &egrave ciò che non può avvenire, non quello che non vogliamo che accada. E dobbiamo anche considerare se &egrave vero che non vogliamo, e perché.’
‘Perché sarebbe ridicolo!’
‘Ridicolo? Cio&egrave comico, grottesco, buffo? Ne sei certa?’
Respirò profondamente.
‘Forse &egrave ora di andare a casa, Piero. Sento il desiderio di riposare un po’.’
‘Riflettere?’
‘Forse.’
Tornammo a casa.
Non parlammo per tutto il tragitto.
Jole aprì la porta, entrammo nell’ingresso.
‘Ti faccio il letto, Piero, così puoi distenderti.’
‘Credo sia meglio che la cosa sia rimandata a dopo la tua riflessione. Devi stabilire tu se sia il caso che io rimanga o meno.’
Mi guardò con aria spaventata.
‘Vado a riposare, Piero. Scusa.’
‘Vorrei fare una passeggiatina.’
‘Con questo caldo?’
‘Camminerò all’ombra.’
‘OK’
Corse nella sua camera.
Aprii l’uscio di casa e uscii, non andai lontano, c’era una panchina sotto un albero, sedetti.
^^^
La portinaia non mi chiese nulla. Mi guardò, rispose al mio saluto.
Salii, spinsi il pulsante del campanello. Una brevissima pressione.
La porta si aprì quasi subito.
Jo’ era in vestaglia, senza alcun trucco sul volto, i capelli sciolti sulle spalle. Gli occhi dicevano che aveva pianto. Era incantevole, avrei voluto subito stringerla tra le braccia, baciarle gli occhi, coccolarla.
Mi fece un sorriso radioso, un’espressione di profonda tenerezza in quel volto affascinante e in un certo senso tormentato.
Entrai, cercando di sembrare sereno, tranquillo.
Richiuse lentamente la porta, senza far rumore.
‘Fra poco torneranno Ela e Sergio, mi hanno telefonato poco fa, stavano partendo. Tu’ se vuoi’ puoi rinfrescarti, andare nello studio’ Ho preparato i letto!’
Lo disse come se si fosse liberata di un gran peso, e mi guardò, apprensiva.
‘Grazie, Jo’, sei un tesoro.’
La presi tra le mie traccia e la tenni stretta.
‘Aiutami a capire, Piero, aiutami.’
‘Farò solo quello che vuoi tu.’
Andai nello studio, era un modo per ritirarmi a pensare.
Sedetti sul piccolo divano a due posti.
Vediamo, dunque, cosa sta accadendo. Tutto inatteso e improvviso.
Ero terribilmente attratto da Jo’. C’era un ché di tenerezza in questo, ma soprattutto era carnalità, attrazione fisica, violenta, prepotente, irrefrenabile e travolgente, appassionata. Diciamola tutta. L’avrei gettata sul letto e sbattuta subito, con impeto, quasi con furia. Al solo pensiero mi eccitavo tremendamente. Era altrettanto chiaro che non le ero indifferente. Ma lei era come spaventata. Anche in lei ci doveva essere un violenta pulsione naturale, fisica, che qualcuno definisce animalesca ma che &egrave solo spontanea, congenita, normale, istintiva. Una giovane femmina, sana, piena di salute e di vita, che da mesi e mesi non soddisfaceva il proprio ragionevole e legittimo desiderio sessuale. Un bisogno più che desiderio. Ed io, grazie a Dio, ero giovane, più di lei, sano, come lei e’ affamato, almeno quanto lei.
Cosa mi riservava il futuro?
Una continua schermaglia equivoca? Meglio troncare tutto e subito.
Una ‘storia’ quasi seria?
E di che genere?
Se si trattava di soddisfarci vicendevolmente la cosa era affascinante, certo, ma non avrebbe avuto avvenire.
Per me, lo confesso, sarebbe stato il paradiso. La soluzione di un problema che non era semplice risolvere senza rischi e pericoli.
Quale rischio con Jo’? Nessuno, certo. Né immaginavo pericoli.
All’improvviso ricordai che era mia zia?
E allora?
Libera lei, libero io. Femmina lei, maschio io. Sempre arrapato io e credo allupatissima anche lei.
Dunque?
A togliermi da queste elucubrazioni un piccolo colpo alla porta.
‘Piero, posso entrare?’
‘Certo.’
Entrò, mi guardò.
‘Credevo che ti fossi cambiato.’
‘No, sto pensando.’
Sedette accanto a me. Era bellissima nella sua vestaglia di cotone blù. Si era certo ravviata i capelli. Forse aveva messo anche qualche goccia negli occhi, perché, più splendenti che mai, non recavano più segni di pianto.
Mi sorrise con un certo velo di tristezza.
‘Certo che ne abbiamo di ché pensare”
‘Sei triste?’
‘No, sono pensierosa anche io. Mi sento un po’ come una bambina golosa che improvvisamente ha scoperto le caramelle tanto desiderate e vorrebbe prenderne, mangiarne, ma teme i rimproveri della mamma, che la scorpacciata le faccia male.’
Le presi la mano, lei portò la mia sul suo grembo. Caldo, morbido, accogliente.
‘Hai qualcuno al quale rispondere?’
‘Molto di più’ molto di più’ ho me stessa, la voce di dentro”
‘Che ti dice?’
‘Un po’ come le ‘voci di dentro’ di De Filippo: ossessioni, incubi e visioni che Eduardo sentiva dentro, e che sento anche io”
‘E che si rivelano un sogno non rispondente alla realtà. E poi, la bambina inesperta può non conoscere la delizia dell’assaporare, gustare, godere sorseggiando”
Mi strinse la mano.
‘Sei un sottile ammaliatore, malgrado tu sia così giovane, poco più di un ragazzo, ed &egrave anche per questo”
‘E’ un difetto?’
Mi guardò con infinita tenerezza e lampi di desiderio.
‘No, tesoro, &egrave un pregio. Uno dei tanti che tu hai.’
Era il momento.
La presi tra le mie braccia, posi le mie labbra sulle sue. Una breve esitazione e poi si schiusero, e le nostre lingue, avide, golose, si cercarono, si intrecciarono, si lambirono, e la mia fu bramosamente succhiata e carezzata nel caldo della sua bocca.
Il ‘dindon’ del campanello, e le voci dei bambini: mamma’
Jole mi guardò, rossa e affannata. Si alzò a fatica, andò ad aprire.
Voci allegre. Poi quella di Jole.
‘Bambini, indovinate chi c’&egrave di là: il vostro cuginone, Piero:
‘Che bello”
Corsero nello studio, forse non si ricordavano di me, ma furono affettuosissimi, si gettarono al collo, ed Ela sedette sulle mie ginocchia.
Fu allora che giunse la telefonata.
Andò a rispondere Jole, rimase ad ascoltare, abbassò la voce, non riuscivo a comprendere il tema della conversazione. Prese una matita, scrisse sul taccuino che era accanto al telefono qualcosa, e assicurò che, comunque, avrebbe richiamato entro pochissimo tempo.
‘Bambini, andate un po’ di la, devo parlare con Piero. Non fate chiasso, per favore.’
Era seria, quasi accigliata.
Sedette di fronte a me.

‘Era il Comando di Livio. Posdomani gli americani assegneranno a Livio, o meglio alla sua memoria, una decorazione. Mi hanno invitata alla cerimonia per ricevere la medaglia. Posso condurre i bambini, qualcuno della famiglia”
‘Conti di andarci?’
‘Devo dare loro una risposta, ed anche in fretta. Domani parte da Ciampino un aereo per Aviano. Penserebbero a tutto loro, ovviamente.’
‘Cosa pensi di fare?’
Mi guardò con le labbra tirate, esangui.
‘Mi accompagneresti?’
‘Io?’
‘E chi, altrimenti? I bambini non voglio portarli.’
Rimasi silenzioso. Non ne ero entusiasta. Sarei stato l’accompagnatore della ‘vedova Rossi’. D’accordo, ero il nipote, ma’.
Feci un sospirone.
‘OK, ti accompagno.’
Le si riempirono gli occhi di lacrime. Si alzò, si avvicinò a me e si chinò a baciarmi, sulla bocca, un misto di tenerezza e passione.
Andò al telefono, formò un numero, chiese del captain Huges, gli disse che avrebbe partecipato alla cerimonia, accompagnata da un parente. No. Non coi bambini. D’accordo, attendeva l’auto, al portone, per le quattordici dell’indomani.
Dopo poco tornò Serena, Jole la informò di tutto, poi disse che andava in camera a preparare il bagaglio. Poche cose, certo, ma un abito per il viaggio ci voleva, e poi quello per la cerimonia, uno scuro. Quindi il necessario per la toilette, per dormire.
‘Prepara anche tu qualcosa, Piero. A più tardi.’
L’atmosfera che s’era stabilita tra noi era scomparsa.
Per sempre? Era quello che mi domandavo.
Andai anche io a preparare qualcosa per il viaggio anche se, fino a domani pomeriggio c’era tanto tempo
^^^
L’organizzazione era affidata all’USAF Headquarters. Tutto molto preciso e molto formale. Non molto ‘calore’, in compenso.
La mattina era stata trascorsa ‘trascinandoci’ per casa. Jole era andata dal parrucchiere, poco lontano, quasi di fronte.
Auto puntualissima.
Ciampino. Fin sotto l’aereo.
Saluti militari, espressioni d’uso. C’era anche qualche ufficiale italiano. Arrivo ad Aviano senza difficoltà, un ufficiale ad attenderci, fiori per Jole, parole d’occasione, e un alato ricordo di Livio Rossi, tecnico di altissimo valore e un vero eroe. All’albergo di Pordenone era stata riservata una suite per noi. Ci chiesero se avessimo bisogno di compagnia, di assistenza.
Jole ringraziò, con un debole sorriso, e disse che andava bene così.
‘Allora, signora, domani alle dieci vengono a rilevarvi all’hotel, la cerimonia &egrave alle undici. Ci sono sei decorati, il generale Rossi ‘generale alla memoria- &egrave il primo, l’unico non cittadino Usa. Poi, il vice segretario alla difesa e il generale Ramset avranno il piacere di ospitare tutti alla mensa, ed &egrave previsto il ritorno a Roma per le sedici del pomeriggio.’
La macchina USAF seguitava a camminare.
Pordenone, l’hotel.
Non avevamo parlato molto, Jole ed io, quella mattina, né durante il viaggio. Solo in aereo, seduti vicini, mi aveva dato la mano, e aveva stretto la mia.
Potevo benissimo comprenderne lo stato d’animo. La ferita per la immatura e improvvisa scomparsa di Livio era stata impietosamente riaperta.
Che reazione stava sviluppandosi in Jole? Era troppo meditabonda e taciturna per essere naturale. Aveva il volto tirato.
In Hotel molti inchini, e un silenzio non molto naturale. Accoglievano la ‘vedova’ del decorato!
Salimmo nella suite: ampia, accogliente, confortevole. Una camera matrimoniale, un salotto, una camera singola, un ampio bagno.
Non appena il commesso che aveva portato il bagaglio chiuse la porta, Jole mi disse che si sarebbe cambiata, aveva bisogno di un po’ di libertà.
‘OK, Jo’, vado di là, una rinfrescata e mi metto a guardare la TV.’
Annuì.
Dopo dieci minuti ero in poltrona. Avevo conservato i leggeri pantaloni che avevo tenuto per il viaggio, e la ‘Lacoste’. Presi una rivista, dal tavolino, e mi misi a sfogliarla. Mi accorsi che c’era un frigobar. Lo aprii, era molto fornito. Mi voltai dalla parte della camera di Jole. La porta era restata aperta.
‘Jo’, c’&egrave da bere, bibite, liquori, perfino champagne. Vuoi qualcosa?’
Apparve nel salotto, che era diviso dalle due camere da porte scorrevoli e a scomparsa.
In vestaglia, lievemente truccata, coi capelli sciolti. Affascinante.
‘Si, grazie. Se c’&egrave gin-tonic.’
‘C’&egrave, e perfino il limone. Ne preparo due.’
Andai al frigo-bar, presi il necessario, preparai tutto: 3/10 di gin, 7/10 di acqua tonica, che misi in due tumbler grandi, su due cubetti di ghiaccio già sistemati, mescolai, decorai con una fetta di limone. Presi un bicchiere e lo porsi a Jole, che era restata in piedi.
‘Non siedi, Piero?’
‘Certo.’
Andai a sedere, portando il mio bicchiere, sulla poltrona senza braccioli, di fronte a quella più grande, lasciata a lei.
Lei si avvicinò e’ sedette sulle mie gambe.
‘Avevamo interrotto un certo discorso, Piero, ricordi?’
Si chinò, mi baciò sulla bocca, e questa volta la sua lingua saettante cercò la mia.
Posai per terra il bicchiere, l’abbracciai, frenetico, pazzo di gioia.
Si staccò lentamente, con un sorriso incantevole sulle labbra. Alzò il bicchiere.
‘Dobbiamo brindare..a noi’ soli’ qui’ lontani da tutti e da tutto!’
Sollevai il bicchiere, bevemmo, tornammo a baciarci.
Aveva una luce splendida negli occhi. Come se guardasse lontano, forse scavava nei suoi ricordi.
‘Cosa pensi Jo’?’
Mi guardò con aria malinconica e nel contempo radiosa.
‘Il pensiero vaga’ ricorda’ anche se non vorresti’ ma il passato ritorna”
Un lungo sospiro, si appoggiò a me. L’abbracciai, la tenni la tra le mie braccia.
” doveva essere la nostra ‘prima volta” avevo tentennato a lungo’ e, finalmente, avevo deciso di raggiungerlo, qui, in questo stesso albergo’ chissà’ forse in questa stessa suite’ era tutto pronto, anche la camicia da notte’ sapevamo che ci saremmo sposati dopo qualche mese’ aereo prenotato, genitori perplessi’ sarebbe venuto all’aeroporto, a prendermi, al Marco Polo’ poi la sua telefonata’ stava partendo, improvvisamente, per la Germania’ Non sono stata più a Pordenone, vicino alla sua base, Aviano, fino ad oggi’ e quella camicia non l’ho più indossata’ qui aveva un significato, non altrove”
La cullavo dolcemente, la carezzavo’ ma quel clima di melanconica tenerezza non evitava certe naturali sensazioni’ mi andavo sempre più eccitandomi.
Ci baciammo, più ardentemente del solito, con avidità. La mia mano entrò nella vestaglia sentì il tepore del seno sodo e accogliente, che sembrava nudo. Solo un leggerissimo velo lo copriva. La mano scese, curiosa, indiscreta, invadente. Il ventre piatto, i fianchi, sembrava toccare la carne, quel velo impalpabile era come niente. Meglio di niente, perché esaltava l’attrattiva di quel corpo meraviglioso. Ancora più giù’ un foltissimo cespuglio di riccioli di seta. Tanti, tantissimi. Sollevai quel tenue tessuto. Il suo pube, ricoperti da una foresta meravigliosa che scendeva, scendeva, tra le cosce, sulle grandi labbra, fino al perineo. Era voluttuoso carezzarla.
Jole mi guardò con infinita dolcezza, alzò appena le spalle.
‘Non mi sono più depilata, perché avrei dovuto farlo?’
Seguitavo a carezzarla delicatamente, e sentivo il muoversi del suo grembo.
‘Perché avresti dovuto farlo? Perché modificare il prezioso ornamento della natura?’
Mi guardò ancora, come sollevata da un peso.’
‘Ti piace’.così?’
‘Mi fai impazzire.’
Mi alzai sollevandola con me, andai al suo letto, la deposi sopra.
Volevo vederla nuda, completamente.
Le tesi la mano per farla alzare, sciolsi il cordoncino della vestaglia, gliela tolsi, la misi sulla poltroncina.
Lieve camicia, candida, un velo sottilissimo, che non celava ma abbelliva, esaltava. Il seno turgido, i capezzoli eretti, lo scuro triangolo del grembo.
‘E’ la camicia che avrei portato allora’ per la prima volta”
Ne presi l’orlo, lo tirai in alto, e la sfilai del tutto.
Visione incantevole, affascinante, seducente, irresistibile.
La guardai incantato.
Mi avvicinai a baciarle il seno, lambirlo, afferrare tra le labbra i capezzoli, ciucciarli delicatamente. Pelle vellutata, lisca, senza alcuna smagliatura. Tuffai il volto nel suo grembo, fui accolto da morbidi batuffoli che sembravano vivere, muoversi, arruffarsi.
Jole si sdraiò sul letto, sulla sponda, le gambe semiaperte. Le mie labbra erano sul suo sesso caldo, la mia lingua lo esplorava, avida, golosa, fremente. Sentì il fremito delle piccole labbra irrorate di una sapida e invitante rugiada. Le mani di Jo’ erano sul mio capo, le dita tra i capelli. Il grembo sussultava, il suo respiro diveniva sempre più affannoso, un gemito lungo e sottile sortiva dalle sue labbra dischiuse’ fino al palpito sempre più incalzante del suo grembo, all’agitarsi del bacino, alle dita che quasi mi strappavano i capelli, a al grido liberatorio, ripetuto, come un singhiozzo, o di vittoria.
Rimanemmo così per qualche secondo. E’ immaginabile il mio stato di agitazione.
Mi sollevai lentamente. Mi spogliai. Il mio fallo, rubizzo. Sporgeva prepotente. Mi avvicinai per’
Fece segno di no col capo. Si alzò, mi spinse dolcemente sul letto, si mise a cavallo, con le gambe spalancate, sostenendosi sulle ginocchia. Prese il fallo e lo avvicinò alla sua vagina, vi si impalò lentamente, con contrazioni a me sconosciute, di una voluttà inimmaginabile. E cominciò a dondolarsi. Era favolosa, incantevole, la vista del seno che sobbalzava, sempre più freneticamente. Le afferrai le natiche, le carezzai, salii al seno, lo strinsi avidamente, tornai alle natiche, le dita si inserivano tra esse, scorrevano, incontrarono il palpitare del piccolo buco, tenero, cedevole, una di esse lo titillò, vi si intrufolò appena. Si contraeva, e trasmetteva alla vagina quella contrazione. Insistei, sempre più decisamente. Più di due falangi del medio erano entrate. Dentro e fuori, sempre più celermente, in perfetta armonia con la sua cavalcata, il suo galoppo, e il suo sconvolgente orgasmo, che la squassò.. Il medio sempre lì. Contrazioni dovunque’ poi un lento rilassamento’ In quel momento le dighe del mio piacere crollarono, e il seme bollente si sparse in lei. Fallo e dito, ebbero la evidente testimonianza di quanto gradita fosse quella invasione.
Jole si gettò su me, mi baciò gli occhi, la bocca. Mi guardò, come inebriata, estatica.
‘E’ stato meraviglioso, Piero, al di là della fantasia, del sogno”
‘Sei splendida Jo’.’
‘La nostra prima volta, tesoro.’
‘Magnifica, amore, sbalorditiva, grandiosa”
‘E’ stato un balsamo ristoratore, un elisir, quello che hai sparso in me’ Piero’ amore mio’ Piero’ grazie!’
Ero felice. Tutto era accaduto così in fretta, e non nei tempi che avevo immaginato.
Il ‘mio’ esaltato da quei complimenti, spremette ancora qualche goccia, in lei, e la assicurò che era di nuovo pronto.
Qualcosa mi attraversò la mente.
‘Scusa, Jo’, dovevo’ ritirarmi prima’ sì’ insomma’ prima di”
‘Mi avresti uccisa.’
‘Ah!’
‘Spero che la pillola, anche se presa solo da due giorni, abbia effetto’ altrimenti &egrave segno che deve andare così.’
‘Lo’ strinse golosamente in sé. Mi abbracciò, stretto, e si voltò, curando che non sgusciasse da lei. Allargò le gambe, sollevò il bacino. Ero quasi in ginocchio. Seguitò ad alzare le gambe, posò i talloni sulle mie spalle, inarcò ancora il bacino.
Ero profondamente in lei, e lo stantuffare che avevo iniziato era accompagnato da un rumore eccitante dato dallo strofinio della pelle, dall’incontro dei corpi, dal lento stillare dei nostri umori dalla vagina. Abbassai la mano, per toccarla. Era così stretta che quando lo estraevo, in parte beninteso, sentivo che ‘lui’ trascinava con sé anche un po’ della ‘sua’ pelle. Era bellissimo.
Gran palpeggiameto di seno, e ancora un godimento in perfetta armonia e sintonia. Forse anche più voluttuoso del primo.
Non ci accorgemmo che era giunta l’ora di cena.
Telefonammo chiedendo di servirla in camera. Cose leggere. E dello champagne.
Facemmo la doccia insieme e’ anche sotto il tepore dell’acqua che accarezzava i nostri corpi, ‘lui’ trovò la strada giusta.
Jole si afferrò alla nuca, la sollevai tenendola sotto le natiche, pose le gambe sui miei fianchi, le intrecciò’ poco mancò che ad un certo punto le mie gambe non cedessero per il grande piacere’ per fortuna resistettero, e lei si strinse freneticamente a me, che raccolsi ancora un po’ del balsamo, per fargliene omaggio.
Non fu facile, al mattino, decidersi di lasciare il letto.
Il volto di Jole, splendido, incantevole, recava le tracce della notte. E molti interpretarono quel pallore, come l’emozione per la cerimonia che stava per iniziare.
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