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Racconti erotici sull'Incesto

L’esperimento

By 21 Novembre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Lago di Costanza 4 agosto 1775.
“Il dottor Mesmer di Vienna, famoso per la scoperta di nuovi e diversi effetti magnetici e specialmente del magnetismo animale, con il semplice tocco delle mani dei pazienti, ripristina la sensibilità nelle membra paralizzate, ridesta gli svenuti e comunque coloro che sono privi di conoscenza, eccita vertigini, tremori, dolori addominali ed altri sintomi convulsivi isterici; anzi, risveglia tali fenomeni perfino senza il contatto e anche a distanza di parecchi passi; poi, appena ritira le sue mani, anche il male abbandona il paziente. Egli ha mostrato tali manifestazioni su diversi pazienti specialmente a Morspurg, dove si &egrave trattenuto alcuni giorni destando la meraviglia di tutti.
Il signor Mesmer non attribuisce questa forza portentosa nessun mistero e neanche alla sua persona. Secondo lui, tutti gli uomini sono più o meno magnetici. La sua scoperta non &egrave soltanto meravigliosa ma anche un grande beneficio per l’umanità.”

Ho letto questo trafiletto sfogliando un vecchio libro trovato su una bancarella. Non lo acquistai, ma ne parlai con un mio amico, specializzando in neuropsichiatria. Mi disse che il ‘magnetismo’ animale era già stato osservato, all’epoca di Franz Anton Mesmer, da Galvani e Volta, e che, tutto sommato, si trattava di ‘ipnoterapia’. Ipnosi.
Si, ma cosa &egrave? Ha a che fare con pratiche misteriche, satanismo, o qualcosa del genere? Non si tratta, per caso, di una specie di Cainitismo? La disciplina viene utilizzata dai Cainiti per controllare i pensieri e le azioni altrui “sovrapponendo” la loro volontà sulla mente delle vittime? Avevo letto degli appunti su Cainiti e Quintillianiti. Roberto, il mio amico, mi rassicurò, mi disse che l’ipnotismo &egrave una cosa seria. Mi chiarì che sull’ipnosi si sono fatte molte idee sbagliate e non veritiere. Molti di questi errori possono riscontrati in dimostrazioni non sempre etiche dell’ipnosi come forma di intrattenimento in show televisivi.
La forma più corretta dell’ipnosi, &egrave paragonarla ad uno strumento che permette di ottenere un rilassamento e concentrazione profonda, in cui la mente &egrave sempre presente e percepisce a distanza le preoccupazioni giornaliere. In questa condizione distesa, la parte subcosciente della mente può al meglio rispondere creativamente a qualsiasi forma di cambiamento desiderato. Si può mettere a fuoco sulle cose che si desiderano cambiare allontanando pensieri ansiosi e contro-produttivi. Tutto questo avviene restando consapevoli e molto più svegli del normale. In questo stato profondo di piacevole rilassamento e distensione, &egrave possibile risolvere problemi di diversa origine.
Aggiunse che non era richiesta una particolare dote magnetica in quello che chiameremo l’ipnotizzatore, ma ci voleva conoscenza della materia, convinzione in essa, ed esercizio, molto esercizio.
L’unica cosa era di studiare e sperimentare. Roberto mi indicò dei testi. Dovevo leggerli attentamente, seguire l’insegnamento contenuto, concentrarmi, e cercare di iniziare qualche esperimento. Su chi? Mah ‘disse- su una persona che ha fiducia in te &egrave meglio.
Intanto, cominciai a studiare e, non nascondo, cercando di tener un po’ nascosta questo mio particolare interesse, perché non volevo che fosse presa per mania. Comunque, non potevo evitare che Elena, mia moglie, non si accorgesse dei libri, della mia preferenza di leggerli (studiarli) in luogo di mettermi, come facevo prima, dinanzi alla TV, e passarvi delle ore, mentre lei era intenta all’insegnamento privato della musica, nell’angolo più lontano della casa che avevamo anche attrezzato per l’isolamento acustico.
Tornavo dallo studio legale che avevo insieme ad un altro partner, e via a studiare.
Non so come la cosa fu saputa anche da Giulia, mia suocera, la madre di Elena. Temevo su qualche frase mordace, ironica. Invece, si disse molto interessata a sapere un po’ di più sull’ipnotismo, e lesse con particolare attenzione la presentazione del volume dal quale andavo via via apprendendo preziose cognizioni e stimolanti insegnamenti.
L’ipnotista (più esatto scientificamente che ipnotizzatore) non possiede alcun tipo di potere o di dono misterioso, &egrave una persona che ha imparato come proporre suggestioni che siano accettate dalla mente inconscia, e poi agire sulla base di queste in maniera positiva e benefica.
‘Quindi, Piero, anche tu puoi ipnotizzare?’ ‘Devo sperimentare se quanto ho appreso me lo consente.’ ‘Con chi?’ ‘Non lo so, devo guardarmi in giro e trovare un volontario.’ ‘O volontaria. Se l’ipnotismo potesse farmi passare questi doloretti fastidiosi che ho per la schiena” ‘Ma va, sei così giovane e prestante, di che doloretti parli.’ Mi sfiorò il volto con la mano, affettuosamente, e mi sorrise. ‘Grazie per i complimenti, ma mi avvio verso i cinquanta’ l’anno prossimo’ Ma, dunque, mi vuoi come cavia?’ La guardai. In effetti non dimostrava l’età che aveva. Un personale provocante, non molto alta, ma ben proporzionata. Un po’ formosa, ma ben fatta, ed anche attraente, quel seno prospero e quel posteriore statuario, non lasciavano indifferenti. Io lo avevo già notato, ma’ era la madre di Elena. Certo, però, che se avesse voluto’ scossi le spalle. Dovevo scacciare, almeno con mia suocera, la tentazione di seguire il mio principio di ‘chiedegliela, al massimo non te la darà’. Sperimentare con Giulia il mio eventuale potere ipnotico mi lusingava, e, non lo nego, poteva aprire anche nuove strade’ Fissammo la prima seduta per il giovedì successivo. Elena sarebbe stata alle prove finali delle sue allieve tutto il pomeriggio. Stabilimmo che lei venisse a pranzo da noi, per poi trattenersi per l’esperimento.
Sempre più preso da questi studi, e stimolato da Roberto, mi stavo anche interessando dei possibili collegamenti tra l’ipnotismo e la possibilità che toccamenti delle dita, imposizione delle mani, e cose del genere, potessero facilitare l’ipnosi e addirittura avere possibilità terapeutiche, una specie di ‘chiroterapia tiptologica’. Il battere del tavolino, nelle sedute medianiche, indicava il contatto con l’evocato; il picchiettare dei polpastrelli, o la imposizione delle mani, o meglio il passare leggermente il palmo su una parte interessata, poteva concentrare il fluido magnetico ed avere risultati insperati. Anche qui si doveva accertare la riuscita dell’esperimento.
Sarà stata suggestione, o meno, ma quando Giulia venne a pranzo, io mi sentivo carico, pieno di energia, di forza magnetica, e provavo una necessità quasi fisica di scaricarla, trasferirla, liberarmene. Il paragone può svilire la cosa, ma era come quando provi l’imperiosa e improrogabile necessità di scaricare la tua carica sessuale.
A tavola, Elena scherzò sull’esperimento. Disse alla mamma di stare attenta. Io ero sempre il genero, e chissà se non architettavo tutto questo per addormentarla e non farla più svegliare! Giulia si dichiarò abbastanza fiduciosa, e accusò la figlia di scetticismo preconcetto. Del resto, al suo ritorno, la sera, dopo le prove, avrebbe saputo come s’erano svolte le cosa.
E giunse il momento di quella che per me sarebbe stato il riscontro della validità dei miei studi e della mia attenta applicazione su tale argomento.
Uscita Elena, dissi a Giulia che, forse, il posto migliore era in salotto. Ambiente abbastanza tranquillo, non troppo luminoso. Lei indossava un abito abbastanza comodo, di quelli a sacco, un po’ diritti, abbastanza lunghi, e chiusi sulla schiena da una zip.
Le suggerii di sedere su un pouf, uno sgabello alquanto basso, senza schienale. Doveva concentrarsi, ad occhi chiusi, su un punto immaginario, cercando di scacciare ogni altro pensiero. Io le avrei preso le mani, le avrei detto come doveva comportarsi.
Sedette. Io ero in pantaloni e camiciola a maniche corte. La pregai di alzare i capelli, raccoglierli sulla nuca. Con abilità, fece un grosso chignon, e lo fermò con delle piccole forcine che aveva. La rotondità dei glutei era evidenziata dalla posizione sullo sgabello, e’ controbilanciata’ dalla prosperosità del seno. Doveva essere almeno una quarta! Le presi le mani, leggermente, chiuse gli occhi.
‘Ora concentrati’ non pensare a nulla’ devi fare quello che ti suggerisco io” Sentivo che qualcosa emanava da me, la mia mente stava imponendosi, si stava lentamente sostituendo alla sua volontà, una specie di trasferimento del potere: annullamento del suo, subentro del mio. ‘Rilassati’ rilassati’ respira profondamente” Il suo petto si gonfiò, e poi espirò, col naso. Lentamente, come le avevo detto. Col pollice carezzavo il dorso della sua mano. ‘Ora conterò piano’ segui mentalmente i numeri’ rilassati’ vuoi che provi a toccare il tuo corpo, il tuo collo, la tua schiena’. Per scacciare i piccoli dolori che ti provoca la cervicale? Annuisci o nega col capo’ lentamente.’ Annuì, più volte. Lentamente. ‘Ora conterò’ poi lascerò le tue ani, le raccoglierai in grembo’ se provi un fastidio, qualcosa che non gradisci, risvegliati, altrimenti lo farai al mio comando. Che fa, vuoi svegliarti?’ Non si mosse. Contai’ 5′ 4′ 3′ 2′ 1′ Chiesi se avesse contato, assentì di nuovo, col capo. Lasciai le sue mani. Le raccolse in grembo. Andai dietro la sua schiena, abbassai la zip del vestito, fino ai fianchi. Toccai il collo con due polpastrelli delle dita. Pelle liscia, vellutata, che rabbrividì a quel contatto. Scesi lentamente lungo la spina dorsale, fino alla chiusura del reggiseno. Risalii, ridiscesi. Aiutandomi con l’altra mano, sganciai il reggipetto. Notai che non c’era stato un sensibile abbassamento delle prosperose tette. Un lieve sfioramento per saggiarne la consistenza. Belle, tonde e sode! Tornai con la mano sulla schiena. Le sussurravo che ora il dolore stava allontanandosi, che non lo avrebbe più provato. Carezzavo’. Carezzavo’ e intanto qualcosa mi stava assillando tra le gambe, a stento trattenuta dai pantaloni. Era bello carezzarla, sussurrarle nell’orecchio. Ora erano entrambe le mani a sfiorarle la schiena, dalle spalle alle natiche, e, perfettamente d’accordo, si trovarono a intrufolarsi nel reggipetto slacciato’ proseguendo. Era caldo e polposo. Al lieve tocco delle dita, i capezzoli divennero duri e sporgenti’ Giulia era sempre con gli occhi chiusi, ma le mani non erano inerti sul suo grembo. Non riuscivano a star ferme. Le palpebre si muovevano, le labbra si stringevano, il respiro diveniva più affannoso, un lieve gemito, impercettibile, le sfuggiva dalla bocca appena dischiusa’ Pensai che era tempo di ritenere riuscito quel primo esperimento. Sistemai le tette nel reggiseno, lo riallacciai, alzai la zip. Passai dinanzi a lei. Ripresi le mani. ‘Ora, Giulia, conteremo fino a cinque, al cinque ti sveglierai e non ricorderai nulla di quanto &egrave accaduto, tornerai al momento in cui ti sei seduta sul pouf. 1′ 2′ 3′ 4′ 5′, via.’ Sembrò uscire dal torpore, aprì gli occhi, li sbatté più volte, mi guardò, sorrise. ‘Allora, caro, quando cominci l’esperimento?’ Ebbi la conferma della riuscita. Sempre tenendole le mani, le dissi, più o meno, qualche cosa di quanto era accaduto, e le chiesi se sentisse ancora il fastidio al collo e alla schiena. Mosse la testa, di lato, avanti e dietro. E rispose che stava benissimo, mai come in quel momento.
Sedemmo accanto, sul sofà. ‘Credo che meglio non ptesse andare, Giulia, che ne dici?’ ‘Migliorare é sempre possibile, vedremo la prossima volta. Quando?’ La guardai compiaciuto. Non avrei sperato di meglio. Fissammo per due giorni dopo, stesso orario, perché c’era ancora una prova alla quale Elena doveva partecipare. Seguitai ad studiare a fondo l’argomento, e mi proposi, molto interessatamente, di approfondire anche l’esperimento. ^^^
E così giungemmo alla seconda seduta ipnoterapeutica. La cosa mi stuzzicava moltissimo e mi attraeva, mi eccitava. Era da sempre che volevo rendermi conto della consistenza delle poppe della suocera, sempre adocchiate e concupite, ma appena sfiorate. Inaspettatamente, avevo avuto la ventura di poterle carezzarle, palpeggiarle, titillarne i capezzoloni. Al solo pensiero mi veniva l’acquolina in bocca. Non dico, poi, i pensieri inverecondi e licenziosi del mio sesso. Sognava di rifugiarsi tra quelle belle e tiepide tettone’! Pensiamo alla prosecuzione dell’esperimento. Elena quasi sghignazzava, ci guardava come se fossimo due matti. Ci chiedeva quando toccasse a lei da fare da cavia. E rideva a più non posso. Giulia arrivò con qualche minuto di anticipo sull’ora del pranzo. Aveva una gonna plissettata, marrone, che le cadeva molto bene; una blusetta di seta in una tonalità più chiara. Era alquanto seriosa, evidentemente incuriosita ma anche pensierosa per il ‘follow up’ che ci attendeva. Comunque, mangiò con appetito, anche se limitandosi ad assaggiare un po’ di tutto, bevve pochissimo, e si mostrò abbastanza allegra nella conversazione, assorbendo sorridendo le frecciate filiali. Un caffé, non troppo forte, ed Elena ci salutò, baciandoci, ed augurandoci di non cadere entrambi in trance. Uscì. Stesso salotto, ma poiché il pouf era un po’ basso, mi ero attrezzato con uno sgabello ad altezza regolabile, di quello che, a volte, si usa al pianoforte. Un morbido cuscino lo rendeva comodo. Giulia lo guardò, sorrise. Divenne improvvisamente seria. ‘Che sciocca, Piero, mi sono vestita così e non ho pensato che serviva un abito apribile sulla schiena. Ora come faccio?’ Si rischiarò subito in volto. ‘Ho trovato, la blusa la tolgo, tanto &egrave come se aprissi il vestito. Non ti dispiace, vero? Del resto, al mare, in piscina, mi hai già veduta in due pezzi!’ Mi guardò con una certa espressione del volto, che non compresi se fosse sinceramente ingenua o tendenzialmente furbesca. ‘Ma no, cara suocera, figurati. Anzi, credo che se dovrò toccare le parti che tu dici dolenti, forse sia meglio così. A proposito, come stai?’ ‘Beh, ad essere sincera, noto un lieve miglioramento, ma credo che serva ancora qualche seduta per raggiungere risultati soddisfacenti.’ ‘OK, siedi sullo sgabello, per favore.’ ‘Con una lentezza degna di una consumata stripteaser, slacciò la blusa, e sfilò una manica alla volta. La piegò, la mise sul sofà. Ando a sedere sullo sgabello, con il bel sederone alquanto debordante, esibendo un elegantissimo reggiseno di pizzo nero, che evidenziava, più che racchiudeva, l’ancor rigogliosa seduzione di quelle affascinanti e invitanti globosità. Ero di fronte a lei, come la volta precente. Le presi le mani, la invitai a chiudere gli occhi, a concentrarsi, rilassarsi, eseguire quanto le suggerivo. Fu perfetta. Solo che i miei occhi erano pieni della sua incantevole nudità, e le mie mani avrebbero voluto ‘sbucciarla’, liberarla da quell’inutile involucro che ne nascondeva le grazie più affascinanti. Mi assicurai che avesse raggiunto lo stato di completo abbandono, pronta a seguire quanto le avrei ordinato di fare. Andai alle sue spalle, sganciai il reggipetto, cadde a terra. Tornai dinanzi, non potevo perdere quello spettacolo. Le posi le mani sulle spalle, cominciai a carezzare, lentamente, scendendo sulle braccia, sul seno. Intanto le sussurravo che doveva sentirsi meglio, perché io le stavo trasmettendo un’energia benefica. Le dita stuzzicarono i capezzoli che si risvegliarono di colpo, si eccitarono, ed eccitarono ancor più me. Mi chinai e li sfiorai con le labbra, con la lingua, li ciucciai lentamente, dolcemente, teneramente. Le mani di Giulia si torcevano sul suo grembo, il suo volto era tirato, le narici fremevano. Non ne potevo più. Forse si sarebbe risvegliata ma dovevo farlo, non ne avrei mai avuto altra occasione. Seguitavo a dirle di rilassarsi, di riconoscere il benessere che si impadroniva di lei. Mentre con una mano seguitavo a carezzarla, con l’altra abbassai la zip dei miei pantaloni. ‘Lui’ proruppe, focoso, impaziente, e quasi d’istinto andò a rifugiarsi nel solco caldo e accogliente che s’apriva tra le due poppe. Le mani di Giulia si alzarono, afferrarono il seno e lo strinsero sul mio fallo impazzito. Rimasi così a lungo, non fermo, certamente, e feci appena in tempo ad allontanarmi e ad impedire di impiastricciarla con quanto non avevo saputo evitare di dilagare. Per fortuna il grosso fazzoletto, limitò il danno, e un’abile manovra riuscì a riportare il responsabile al suo posto. Le mani di Giulia erano tornate in grembo, ma il suo volto era rosso. Le labbra fremevano. Mi avvicinai ancora di più a lei, le sue gambe erano aperte, ero tra esse, carezzai le cosce nude, più su’ la sottilissima strisciolina del suo slip era fracida e appiccicosa, fu facile superarla, seguitare, sentire il clitoride fremente, proseguire, intrufolarsi nel tepore umido del suo sesso, ed esplorarlo, mentre lei quasi cadeva dal seggiolino, e dovetti sostenerla con un braccio. Stava rapidamente raggiungendo l’orgasmo gemendo sempre più forte, rocamente. Non riusciva a star ferma su quella specie di trabiccolo. La strinsi a me, sussurrando continuamente che doveva rilassarsi. Finalmente si rilassò. Mi assicurai che si reggesse in equilibrio. Mi chinai, raccolsi il reggiseno, lo rimisi a posto, lo riallacciai. Presi le sue mani, sudate, irrequiete. ‘Buona, Giulia, buona’ 1′ 2′ 3′ 4′ 5! Svegliati!’ Sembrò uscire da un sonno agitato, muoveva la bocca, si agitava. Finalmente, aprì gli occhi, lucidi, sfavillanti, e mi guardò con uno strano sorriso sulle labbra. ‘Come stai, Giulia?’ ‘Mi sembra di essere stata alle soglie del paradiso. Le varcherò?’ Rimasi a fissarla, senza rispondere. Si alzò, infilò la blusa, la allacciò, andò a sedere sul divano. ‘Mi sembra che Elena sia occupata anche domenica, per il saggio.’ ‘Si, dalla mattina alla sera. Consumerà qualcosa al bar del Conservatorio.’ ‘Allora, tu puoi venire a pranzo da me.’ E mi guardò, ansiosa. Risposi che accettavo con piacere. ‘Possiamo fare lì la terza seduta?’ ‘Naturalmente’ ‘OK, ti aspetto. Vieni appena puoi.’ ‘Credo che alle undici accompagnerò Elena al Conservatorio, &egrave troppo presto?’ ‘E’ sempre troppo tardi.’ ^^^ Domenica. Accompagno Elena. Che mi sorride e dice che adesso le sedute si fanno addirittura a casa del’paziente. Mi augura buon pranzo, e mi invita per il saggio. Io, però, le ricordo quanto mi annoino quelle cose. Passerò da lei verso le sette della sera, perché a quell’ora ci dovrebbe essere il brindisi finale. Giulia mi aspetta. E’ radiosa, allegra, indossa una elegantissima vestaglia celeste. Mi offre da bere. Poi, mi chiede se non sia possibile fare una seduta prima di pranzo, tanto &egrave tutto quasi pronto. Non attendevo un simile invito così allettante. Mi dice che, forse, stiamo più comodi nella sua camera. Ci avviamo, insieme. L’ambiente &egrave fresco, in penombra, ed ha uno strano profumo. Aspiro profondamente dal naso. Lo riconosco, &egrave la sua fragranza, inconfondibile. ‘Ecco, Piero, se ti sta bene, siederei qui, sulla poltrona ai piedi del letto.’ ‘OK, per me va benissimo. Ti prego di rilassarti, concentrarti, seguire attentamente quanto ti dirò. Ogni volta, logicamente, l’esperimento &egrave più raffinato e, in un certo senso, complesso. Devi collaborare al massimo. Poi, una volta risvegliata, mi devi dire cosa ricordi, cosa senti.’ Sedette sulla poltrona, sciolse il nodo della cinta della vestaglia, la lasciò cadere sulla spalliera. Seno scoperto, come sempre prominente e invitante. I capezzoli erano già turgidi e sporgenti. Quella sola vista mi eccitò, e dovetti, cautamente, cercare di sistemare il mio arrogante fagotto che già pregustava il bis della precedente esperienza. Mi misi, come al solito, di fronte a lei, mi guardava fisso, sembrava un po’ preoccupata, come un velo di indecisione e ansia sul suo volto splendido. Le sorrisi rassicurandola. Guardai la vestaglia, sul grembo, appena sovrapposta. Presi le sue mani e iniziai i soliti lievi strofinamenti dei pollici sul dorso delle sue mani, ripetendo, con voce bassa, sommessa, suadente, l’invito a chiudere gli occhi’ rilassarsi’ concentrarsi’ così’ così’ Chiuse gli occhi, il respiro si fece regolare, il volto si distese, con aria serena. Lasciai le sue mani, le caddero in grembo, e ciò fece aprire un lembo della vestaglia. Una coscia era completamente scoperta. Guardai attentamente. Doveva indossare uno slip nero’ strano’ mi chinai’ era il boschetto riccioluto del suo pube. Nudo. Concepibile la scossa che, partendo dagli occhi, attraversò la mia mente, tutto me stesso, e si scaricò principalmente tra le mie gambe. Questo, poi, era un impensabile dono caduto dal cielo, una visione incantevole, a lungo fantasticata, vagheggiata. Caddi in ginocchio, con cautela e leggerezza scostai anche l’altro lembo della vestaglia. Le cosce non erano del tutto unite. Misi le mani sulle sue ginocchia, le discostai leggermente, sempre di più. Ora, di fronte a me, lo spettacolo eccitante del suo sesso. Fu istintivo toccarlo. Le grandi labbra erano sode e turgide, i riccioli che le adornavano sembravano avere vita propria, erano increspati senza nulla perdere della loro sericità. Le separai ancora. Un rosa incarnato eccitante, sormontato dal vibrante lieve oscillare di un piccolo clitoride, che le mie dita conoscevano. Mi chinai ancora. Sì, quello era il suo profumo, la sua vera fragranza. Giulia era quasi completamente rovesciata sullo schienale della poltrona. Respirava con affanno. Il capriccio mi assalì improvviso. Mi alzai, la presi tra le braccia, la deposi sulla sponda del letto, seguitando a sussurrarle che doveva riposare, dormire’ Rimase così, nuda, col bacino sul letto, le gambe divaricate, le braccia aperte, gli occhi chiusi le labbra dischiuse, le nari frementi. Ero in piedi, di fronte a lei. In men che non si dica mi denudai come un verme, col mio sesso che sembrava il cannoncino della una torretta di un carro armato, pronto a scagliare violentemente la sua carica, ma non contro un nemico, bensì in quella sorta di santabarbara che s’intravedeva tra le gambe di Giulia. Caddi di nuovo in ginocchio, tuffai la mia testa tra in quell’irresistibile richiamo, baciai, la lingua cercò, curiosa, irrequieta, assaporò il nettare che distillava da quel vaso incantevole. Non ne potevo più. Mi alzai, presi i suoi piedi e me li posi sulle spalle, portai il mio glande smanioso a quell’ingresso umido, cominciai a penetrarla, era incredibilmente stretta, ma si andava allargando all’ingresso del mio sesso e lo stringeva con voluttuose contrazioni. Ero giunto al massimo della penetrazione, Il bacino di Giulia si alzava e abbassava, le sue mani erano afferrate ai miei glutei, ne conducevano il ritmo, i movimenti. Sentivo le sue unghie penetrare nelle mie carni. Sempre di più. Gli occhi chiusi ma le labbra lasciava sortire un lungo e sordo gemito, che andava crescendo, e con esso i sobbalzi del suo grembo. Sempre di più, fin quando non sentii che contraeva, quasi con rabbia, le pareti della sua vagina, e poi, con un grido che non riuscì a controllare, si lasciò travolgere da un climax che non avevo mai immaginato potesse esistere. Si stava rilassando, quando fu il mio piacere a dilagare in lei, a invaderla, con fiotti caldi che si sparsero dovunque. Non m’ero quasi accorto che le sue gambe erano scese dalle mie spalle e mi stringevano i fianchi. Mi sfilai lentamente, raccolsi il boxer e arginai quanto andava uscendo fluendo dalla sua vagina ancora fremente. Lo piegai, lo misi nella tasca dei pantaloni che avevo infilato, non senza difficoltà, sulla carne nuda. La riportai delicatamente sulla poltrona, la ricoprii alla meglio con la vestaglia, le presi le mani, e ripetei la liturgia del risveglio. Aprì gli occhi, mi guardò. Le chiesi cosa ricordasse. Mi rispose che s’era di nuovo trovata sulla soglia del paradiso, ma questa volta l’aveva varcata. ‘Come ti senti, Giulia?’ ‘Leggera, rilassata, felice come un angelo. Mi sembra volare. Ora sento la necessità d’una doccia, e poi a tavola.’ Drappeggiò un po’ la vestaglia, si alzò, mi carezzo dolcemente il volto, mi dette un tenero bacio sulla guancia e ancheggiando andò verso il bagno. Ne avrei avuto bisogno anche io, ma soprattutto avevo necessità di biancheria pulita. Decisi di andarla ad attendere in sala da pranzo. Ricomparve dopo qualche minuto, aveva cambiato vestaglia, e si notava che indossava il reggiseno. Mi chiesi, sorridendo, se anche gli slip. Pranzo delizioso, conversazione principalmente intorno all’ipnotismo e ai suoi effetti. Dopo il caffé mi disse di passare in salotto per un drink. Puro malto di dodici anni, il mio preferito. Non so come, ma quella splendida cinquantenne mi aveva ammaliato. La desideravo come non mai. Una fissazione, una frenesia. Le presi le mani, e la guardai interrogativamente. ‘Cosa ne diresti di una nuova seduta, Giulia?’ ‘Ottima idea, Piero.’ ‘s’interruppe per scrutarmi con aria ironica- ‘Ma lasciamo stare tutta quella messa in scena. Andiamo subito a letto.’
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