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Racconti 69Racconti erotici sull'Incesto

mia cugina federica

By 6 Ottobre 2011Febbraio 9th, 2020No Comments

Federica
Mi chiamo Paolo e la storia che sto per raccontare e che riguarda mia cugina Federica, cominciò quando avevo circa 10 anni. Lei e i suoi erano stati invitati dai miei in occasione della comunione della figlia a passare qualche giorno di vacanza nel nostro paese (noi, all’epoca, vivevamo nei pressi di Ancona). La prima volta che ho visto mia cugina mi è sembrata finta: bionda con gli occhi azzurri con una camicettina bianca e un gonnellino a campana con delle strisce di colori orizzontali alternati, tali da sembrare un arcobaleno. Lei aveva un anno meno di me e quando mi hanno detto che erano venuti a trovarci degli zii dalla Sicilia che io non avevo mai visto, in compagnia della loro figlia, lo ricordo ancora come se fosse adesso, sono rimasto imbambolato a guardare lei, nonostante le tante domande che mi facevano i miei zii. Durante la cena non ho tralasciato occasione per perdermi nei suoi occhi, di un blu così intenso, da ricordare il mare più profondo e quando è arrivata l’ora di coricarsi, per cortesia ho ceduto il mio letto coricandomi su un giaciglio improvvisato ai suoi piedi. La mia malizia a quell’epoca non poteva spingersi molto in là e per tutto il tempo della loro permanenza mi sono accontentato di baciarla sulle labbra, ogni notte, appena lei si addormentava, complice il fatto che, essendo estate, i genitori si attardavano in veranda a prendersi il fresco. Mi bruciano ancora le labbra se penso a quei primi baci..e sono passati 50 anni. Per tutti gli anni successivi ho dormito con la foto di mia cugina vestita da prima comunione sotto il cuscino, tanta era l’infatuazione che mi ero preso. Col tempo ci siamo visti ancora ma sempre in periodo estivo perché i miei andavano a trovarli un po’ per rivedere i parenti e un po’ per via delle loro spiagge, così diverse dalle nostre; e ogni anno la rivedevo sempre più bella e sempre con la paura che alla fine si fidanzasse o, peggio, che si sposasse, come si usa fare nei paesini di provincia. Son passati ben 11 anni di scaramucce, di scherzi, di occhiate, di frasi non dette prima che la storia vera propria avesse inizio. Ormai eravamo cresciuti e la sua bellezza era diventata più sconvolgente; aveva vinto qualche titolo di miss spiaggia e non le mancavano di certo i ragazzi che le giravano attorno. La sua figura era longilinea e aveva messo su una buona terza di seno, e anche il culo non era male, mentre l’abbronzatura in contrasto coi suoi capelli biondi la faceva apparire, se è possibile, ancora più bella. Un giorno che, come al solito, le gironzolavo attorno e che spiavo quello che faceva la vidi entrare nel bagno per una doccia e subito mi fiondai a guardare dal buco della serratura, e quella volta ho scoperto che era bionda naturale. Essendo la porta del bagno sul corridoio e temendo che qualcuno uscisse da una stanza, non ho potuto seguire tutte le fasi della doccia, ma abbastanza da rifarmi gli occhi. L’ho aspettata sul corridoio e quando è uscita, spinto da un impulso che mai avrei pensato di avere, visto il mio carattere timido ma, conscio del fatto che non abitando lì più passava il tempo e meno possibilità avevo di concludere qualcosa, ho osato: le ho messo una mano sul seno coperto dall’accappatoio sussurrandole le prime parole che mi son venute in mente con la certezza che sarebbe seguito un ceffone o, peggio, che facesse nascere un casino. Invece non è successo niente di tutto ciò, anzi, pareva quasi essere contenta, finalmente, di essere stata oggetto delle mie attenzioni, infatti, levandomi lentamente la mano dalla morbida sua collina mi disse ‘ehilà siamo diventati intraprendenti eh!’ Non ci volevo e non ci potevo credere: Mia cugina che io avevo sempre ritenuto inarrivabile, che avevo messo su un piedistallo come una dea, era una donna, normale, con le sue debolezze e desideri, coi pregi e difetti delle persone comuni. La lascai passare e data l’occasione le diedi anche una pacca sul sedere che lei ricambiò con uno sguardo malizioso prima di chiudersi in camera sua a cambiarsi. La sera stessa mentre guardavamo la televisione, lei era solita mettersi a letto ed io mi sedevo accanto a lei tenendole la mano, e per me era il massimo, ma quella volta fu lei a mettere la sua mano all’altezza del petto e costringendomi così ad accarezzarle i capezzoli e dopo ad intrufolarmi nello scollo del pigiama riuscendo ad impastare quel ben di Dio che mi veniva offerto. Purtroppo la vicinanza del fratello, con cui divideva la stanza, non permetteva altro ma nelle giornate che seguirono ci furono diverse occasioni per appartarci. I miei zii, come molti altri parenti, avevano delle casette in una zona fuori città e nei periodi più caldi o in determinate occasioni vi ci trasferivano e questa era una di quelle. Situate tra campagna e mare offrivano l’opportunità di una maggiore libertà di movimenti, infatti, non essendo tutte abitate stabilmente, queste casette, distanziate l’una dall’altra da enormi spazi, davano la possibilità di imboscarsi facilmente. E così fu. Il pomeriggio di quel giorno, dopo il pranzo, il sole picchiava come solo giù in Sicilia sa fare e mentre gli adulti andavano a riposarsi i ragazzi si sparpagliavano per ogni dove. Mio cugino assieme ad altri ragazzi andò a giocare chissà dove ed io e mia cugina ci siamo rifugiati in un posto che avevo scoperto qualche anno prima. Un enorme roveto cavo all’interno era il posto ideale, infatti, da fuori non si vedeva all’interno e spostando alcuni rami ci si poteva accedere, pur se dolorosamente. Questo era il mio rifugio quando volevo stare un po’ da solo o quando volevo nascondermi dopo aver fatto qualche cazzata, e questo è diventata la nostra alcova per quel periodo. Appena entrati, ci siamo abbracciati e baciati come se non avessimo atteso altro nella nostra vita. Ho cominciato ad accarezzarle i lunghi capelli biondi e intanto che le mie mani si perdevano sul suo corpo, spiavo le sue reazioni fissandola nel blu dei suoi occhi. Da quando eravamo venuti in questo posto il nostro abbigliamento usuale erano solo i costumi da bagno per cui ci volle davvero poco ad essere nudi come vermi. Lei che era timorosa che qualcuno ci potesse vedere si sciolse pian piano sotto le mie carezze, dapprima sul suo florido seno e poi sempre più giù. Ci sdraiammo sulla nuda terra e mentre io con la lingua vagavo da una mammella all’altra, da un capezzolo all’altro con le mani cercavo di intrufolarmi nei suoi recessi più nascosti; le scostai le labbra esterne della fica e trovando il clitoride cominciai ad eccitarla facendo roteare il pollice mentre col medio cercavo di penetrarle dentro. Fu a questo punto che lei mi fermò dicendomi che era ancora vergine. La vita in un paese dove si conoscono tutti, dove la maggior parte sono parenti tra di loro ed i pettegolezzi sono gli unici divertimenti le avevano impedito di dare sfogo a quella sensualità che, invece, chiedeva di esplodere. Le chiesi quanto le pesasse questo suo stato e se avesse mai avuto delle relazioni e lei mi rispose che c’era qualcuno che le stava dietro ma che le possibilità di andare in giro da soli erano ben poche e che si sentiva quasi menomata quando ascoltava le sue amiche che facevano questo o quello coi loro ragazzi. Più in là di qualche carezza non era andata e si sentiva ignorante in materia. Povera Fede mi fece quasi pena pensandola chiusa tra quattro mura e la volta che usciva, controllata a vista da mille occhi che spiavano. Quando finì di parlare ero colmo di tenerezza per quella ragazza costretta a vivere in un ambiente simile. Mentre la sbaciucchiavo senti qualcosa di salato bagnarmi la lingua: una lacrima era scesa dai suoi occhi e stava andando giù. Leccai quella goccia e le altre che stavano venendo fuori e mentre cercavo di rincuorarla dicendole frasi di circostanza, con le mani continuavo a darmi da fare. La conoscevo da sempre e da sempre avrei voluto abbracciarla, coccolarla, amarla come stavo facendo adesso e quello che facevo era più dettato dall’amore che dalla libidine, ma la carne è carne e le condizioni erano ideali perché non ci sarebbe stato un replay. La sua dichiarazione mi aveva, comunque, sconvolto perché limitava di molto le cose che avrei voluto fare con lei ma ciò nonostante continuammo nel nostro giochino amoroso. Mentre io vagavo sul suo corpo, facendola mugolare di piacere, le feci appoggiare la mano sul cazzo iniziando con lei una lenta sega, ma quando lasciai la sua mano si fermò anche lei, segno che non sapeva cosa fare. Le chiesi di continuare e lei riprese ma era impacciata e maldestra. Rimisi la mano sulla sua e le spiegai come doveva muoversi, trovando il lei un’allieva più che volenterosa. Lei continuò da sola io continuai a baciarla sulle labbra, sui capelli, sul naso tanta e tale era la mia voglia di soddisfare una necessità lunga una dozzina d’anni. Poi scesi più giù, costringendola a lasciarmi, e andai a visitare da vicino quel ciuffo di peli biondi che le contornavano la fica. Soffici, serici invitavano ad essere toccati, guardati e baciati: e così feci. Come se temessi di rompere quel magico attimo le allargai le piccole labbra e con delicatezza cominciai a lapparle il bottoncino che spuntava come una vetta in un bosco nel mese di ottobre. Al primo tocco serrò le gambe in un riflesso involontario per poi tornare ad aprirle lasciandomi continuare nel mio lavoro che, nel volgere di pochi minuti, la portò alle vette più alte del godimento. Non potendo urlare il suo piacere si morse il palmo della mano mentre con l’altra mi spinse più forte contro la sua fica in una muta richiesta di proseguire. Non me lo feci ripetere e continuai a lambirla ancora e ancora fino a farle raggiungere un altro orgasmo. Ad un certo punto non capii se il piacere era più suo o mio nel vederla godere così tanto. Ero tanto preso da quest’orda di sentimenti che dimenticai il mio piacere, infatti avevo il cazzo dritto come un fuso che premeva sulla ruvida terra e chiedeva solo di liberarsi. Anche lei capì che era giunto il mio momento di darmi piacere e non appena mi misi supino s’impossessò di nuovo del cazzo e cominciò a smanettarlo a guisa di pompa di bici ma in un modo così frenetico da farmi male. Le chiesi di calmarsi e le spiegai cosa doveva fare senza rischio di staccarmelo. Lei si accoccolò meglio sul fianco e con una delicatezza infinita cominciò a menarmelo, scappellandolo fino in fondo per poi risalire, e mentre lo faceva guardava una volta me, spiando le mie reazioni, e una volta il cazzo come se per lei fosse una cosa nuova. Mi venne spontaneo chiederle se avesse mai avuto per le mani un membro maschile e se sapeva cosa farci. Mi rispose che l’unico che aveva visto era quello del fratello e che risaliva a quando, piccola, faceva il bagno con lui, nella vasca di casa. Uno dei ragazzi che aveva conosciuto glielo aveva fatto accarezzare al di sopra dei pantaloni e quindi la sua esperienza era limitata. Una tale dichiarazione non poté che ringalluzzirmi. Ero il primo, dunque, a cui dedicava delle attenzioni così complete. Allungai una mano e le accarezzai i capelli in un impeto di tenerezza per poi portarla sul seno che pendeva, stuzzicandole il capezzolo. E così mentre lei continuava a segarmi io ricominciavo a stuzzicarla, ma mi allontanò la mano non volendo essere distratta e fattasi più vicina continuò quel bellissimo su e giù. Era talmente vicina che potevo sentire il suo alito sulla cappella, dandomi sensazioni sublimi. Stava imparando in fretta mia cugina perché oltre al cazzo cominciò ad allungare le mani anche sulle palle accarezzandole intanto che si alternava con la sega. In un impeto di libidine provai a spingerle la testa verso giù sperando che, magari lo prendesse in bocca, ma lei si ritrasse chiedendomi cosa volessi fare. Gli spiegai che per farmi cosa ancor più gradita avrebbe potuto darmi un bacino, la dove c’era il terzo occhio che ammiccava speranzoso. Mi disse che alcune amiche le avevano parlato di una certa pratica che facevano ai loro ragazzi, ma mi disse anche che non si sentiva pronta. Per evitare di rompere quel magico momento con discussioni che l’avrebbero indisposta lasciai cadere il discorso e mi accontentai della semplice sega. Sega che durò parecchio, anche se ero ingrifato come un toro, solo perche la sua inesperienza la portava a non essere costante nei suoi movimenti. A volte si dilungava sulle palle più del dovuto, a volte si fermava per osservare meglio tutto l’apparato, a volte non usava la giusta velocità o forza, insomma dopo quaranta minuti eravamo ancora là. Alla fine, conscio che prima o poi qualcuno ci avrebbe cercato, appoggiai la mia mano sulla sua e le diedi il ritmo giusto fino a quando non raggiunsi l’apice del piacere. La sborra eruttò copiosa formando un laghetto nel mio ombelico e inzaccherandole la mano; qualche schizzo le finì sopra i capelli e sulla fronte. Contenta di avermi dato tanto piacere si guardò la mano e annusò il liquido che la ricopriva tacendo ogni commento. Io, che spiavo la sua reazione, non riuscii a capire cosa stesse pensando mentre guardava la sborra che le colava dalla mano finendo in terra. Come se ci fossimo dati un orario, sentimmo delle voci che si avvicinavano e rivestitici in fretta ci dirigemmo alla spiaggia, con l’intento di farci un bagno e scollarci di dosso i resti del nostro godimento. In acqua ci lavammo commentando il tempo perduto in questi anni in scaramucce amorose che non avevano mai portato a niente. Poi risalimmo. Fino alla sera qualche sguardo fugace e basta, dopo cena, però, dissi che sarei andato a fare il bagno di mezzanotte e se qualcuno voleva seguirmi’ lasciando la frase in sospeso. Per fortuna mio cugino disse che sarebbe venuto volentieri dando, così, modo a mia cugina di aggregarsi. Così prima di mezzanotte io, i miei cugini e qualche amico di mio cugino ci avviammo alla spiaggia al lume di candele visto che la luce non c’era. Ci tenevamo tutti per mano perché la strada non era agevole e visto da lontano sembrava una fiaccolata sulla neve. Arrivati sulla spiaggia ci spogliammo dei pochi abiti che avevamo (la sera a mare fa fresco) e ci buttammo in acqua sparpagliandoci lungo tutta l’arenile. Neanche a dirlo io e mia cugina ci allontanammo dal gruppo sicuri che Il quarto di luna che splendeva in cielo avrebbe illuminato ben poco. Di li a poco di fermammo in un posto dove c’erano degli scogli taglientissimi ma che ci avrebbero riparato, sicuramente, alla vista degli altri. Mentre la baciai le slacciai il reggiseno del costume a cui seguì lo slip, ma se non potei pascermi con la vista del suo corpo, col tatto la esplorai tutta, per più e più volte. Che magnificenza quelle tette sode coi capezzoli irti dal freddo, e quel culo tondo che mi dilungai a plasmare senza risultato, quella pelle serica e quella fica così calda, pulsante così desiderosa di carezze. E mentre lei ricambiava i miei baci con la mano aveva trovato il cazzo e lo stringeva come se avesse paura che le scappasse e dopo averlo menato un paio di volte se lo mise in mezzo alle cosce, mimando l’atto amoroso. Ben poca cosa era quel rapporto a metà, e le mie mire erano diverse. Non potendoci sdraiare per via degli scogli cercai di farle trovare la posizione più comoda possibile affinché potesse avere il cazzo ad altezza bocca, sperando così di poterci guadagnare almeno un pompino. Non so quali fossero le sue intenzioni ma cominciò a menarmelo con una foga inaspettata e ogni tanto si fermava per strofinarselo sulla faccia e per annusarlo. La vicinanza con le sue labbra mi faceva ben sperare e le mie speranze non furono disattese, infatti da li a poco, sarà per la voglia di provarci, o perché lo volesse veramente per darmi maggior piacere sta di fatto che cominciò a leccarlo come si fa con un gelato. Dopo le prime leccate sul glande passò a leccare tutta l’asta per poi soffermarsi con le labbra proprio sulla cappella poi si fermò forse indecisa o forse incapace sul da farsi ma nel dubbio che cambiasse idea le spinsi la testa verso l’uccello inducendola ad imboccarlo decisamente. Non sono molto dotato ma nessuna donna si è mai lamentata dei miei 18 centimetri specie se sono usati bene e lei nella sua inesperienza ne imboccò la metà senza lamentarsi. Alla prima succhiata l’assaporò come fosse una pietanza per poi continuare come se lo avesse sempre fatto. Ah! le donne, pensai, tutte uguali. Era un’esperienza unica e irripetibile e anche se non vedevo bene, le sensazioni che stavo provando mi sarebbero rimaste dentro per tutta la vita, come di fatto è stato. Stavo provando talmente tanto piacere che bastarono pochi colpi di lingua, un paio di andirivieni con quella bocca che sembrava un forno per farmi scoppiare un orgasmo come non ne avevo mai avuti. Cercai di avvertirla che stavo venendo ma l’azione arrivò prima della parola e mentre urlavo:’ven”go’ un fiotto caldo partì per raggiungere il suo palato. Forse sorpresa da quell’evento non seppe come comportarsi e i successivi conati si persero tra il suo mento e i suoi seni. Continuò a menarlo fino a quando fu sicura che non c’era più niente da spremere, solo allora alzò lo sguardo per cercare in me un sintomo di riconoscenza per quello che aveva fatto. Io feci di più, la feci alzare e la baciai, lungamente, attestando così il mio grazie al suo ‘sacrificio’. A stare fermi ci eravamo infreddoliti e recuperati gli indumenti tornammo verso gli altri. Le candele piantate sulla sabbia si erano quasi consumate e così tutti insieme decidemmo di tornare a casa. Il giorno dopo alle sette ero già in spiaggia a godermi, in solitudine, quella sabbia così bianca e fine che si perdeva a vista d’occhio e quel mare stupendo. Sono sempre stato fautore che le ore del mattino hanno l’oro in bocca e che, chi non le sa sfruttare, non sa cosa si perde. Stavo raccogliendo conchiglie, godendomi l’aria fresca del mattino, vagando da un capo all’altro dell’arenile, quando, essendomi spinto più in la di dov’ero stato la sera prima con mia cugina, ho scoperto che, facendo molta attenzione, si poteva attraversare quella zona di scogli taglienti per arrivare ad una caletta nascosta. In tanti anni non l’avevo mai vista e così mi sono avventurato ad esplorarla meglio. In effetti, sia da un lato che dall’altro, gli scogli facevano da paravento ad una spiaggetta di pochi metri quadrati e solo chi arrivava dal mare poteva sbirciarci dentro. Speranzoso che quel posto potesse diventare la nostra prossima alcova tornai su a far colazione. Verso le dieci i parenti e tutta la gente che abitava in zona cominciò ad affollare la spiaggia. Muniti di ombrelloni e carabattole varie scendemmo anche noi. Tra la gente che affollava la spiaggia, facendo il solito casino, portai mia cugina a vedere il posto che avevo scoperto, ma lei non ne fu entusiasta esponendomi qualche problema a cui non avevo pensato. Intanto era troppo lontano da casa e se qualcuno ci avesse cercato si sarebbe fatta qualche domanda di troppo, poi era scoperto alla vista e se qualcuno si fosse spinto al largo, anche a nuoto, ci avrebbe visto, ed infine si stava ponendo dei perché di carattere morale. Si chiedeva se era giusto che tra cugini si facessero certe cose e le solite menate che le donne sanno tirare fuori nei momenti meno opportuni. Mentre tornavamo dagli altri rimuginavo a quello che mi aveva detto e se stamattina avevo ragionato col cazzo, adesso mi toccava prendere in considerazione le obiezioni che aveva posto Federica. Non aveva tutti i torti ma anch’io avevo ragione. Dopo anni di attesa trovo mia cugina disposta a sciogliersi e l’occasione mi scappa per un problema logistico: non era giusto, perbacco. La mattinata non ebbe altra storia. Dopo pranzo, i genitori a riposare, e noi in giro. Ma ne io ne lei cercammo di imboscarci come la volta scorsa anzi andammo per conto nostro e fino a sera non ci si vide più. A cena eravamo taciturni come se avessimo litigato e dopo aver fatto finta di cenare (io non avevo fame e lei neppure) ci siamo ritrovati assieme sulla veranda. Eravamo seduti distanti quasi a volerci evitare e a rompere il silenzio che calato tra di noi intervenne mio cugino che mi chiese se dopo saremmo andati a mare. Risposi svogliatamente un ‘vedremo’ ma lui voleva essere sicuro per andare a chiamare i suoi amici. Era così entusiasta della cosa che contagiò anche me e ci mettemmo d’accordo sull’orario. Stare lì a lambiccarsi il cervello, pensai, non sarebbe servito a nulla, tanto valeva godersi la vacanza. Alle 23,50, senza degnare di uno sguardo mia cugina, scendemmo verso il mare, con le solite candele e mentre gli altri si dileguavano schiamazzando nel buio della notte io rimasi seduto in disparte sulla spiaggia ad osservare la luna che allungava a dismisura i suoi raggi sulle onde. Mi sono steso sull’asciugamano che mi ero portato e mi stavo quasi assopendo quando sentì qualcosa di lieve che mi sfiorò le labbra; pensavo ad uno dei tanti animaletti che affollano la spiaggia e stavo per scacciarlo quando sentì qualcos’altro. La lingua di mia cugina si stava facendo strada dentro la mia bocca e una delle sue mani mi accarezzava il petto. Feci finta di dormire per vedere fino a che punto si sarebbe spinta, ma la risposta arrivò subito quanto senti la sua mano spostarsi sempre più in basso, penetrando dentro il costume e, afferrandomi il cazzo come un trofeo appena conquistato, si mise a menarlo. Feci finta di niente e continuai a tenere gli occhi chiusi per capire se si fosse spinta oltre o no. E lei lo fece, andando al di là delle mie più rosee aspettative. Mi abbassò il costume fino alle caviglie e accovacciatasi meglio, mentre con la mano mi tastava i coglioni con la bocca s’impadronì del cazzo e incominciò un lento pompino. A quel punto non potei continuare a fare l’indifferente e facendo finta di svegliarmi l’osservai mentre faceva sparire, per intero, il cazzo tra le sue labbra. Lei si accorse del mio risveglio e continuò, imperterrita, a succhiarmelo, ma io avevo voglia di qualcos’altro. Le feci interrompere quel contatto, la feci spogliare e sdraiare al mio posto, dopo di che mi posizionai sopra di lei dandole ancora in bocca il ciucciotto preferito mentre io mi posizionavo tra le sue cosce, cominciando a lappare la fica e tutta la zona perineale. Mentre leccavo a più non posso, un dito sparì, per quanto poteva la sua verginità, dentro di lei, ora titillando il clitoride ora alternandosi con la mia lingua ad accarezzarle le grandi labbra. Era il massimo del godimento; stavamo suggellando una pace, di una guerra non dichiarata, nel migliore dei modi. Fu un sessantanove che ricordai lungamente: specialmente l’epilogo. Eravamo così assatanati, tutti e due, che bastarono dieci minuti di quel lavorio che, all’unisono, arrivammo all’apice del piacere, scaricando dentro le nostre bocche tutto il piacere che era dentro di noi. Per fortuna lei non si tirò indietro nel momento culminante e con uno stoicismo che mai mi sarei aspettato, inghiottì tutto, pulendolo, alla fine, a colpi di lingua. Meno male che eravamo impegnati a leccare e succhiare altrimenti le nostra urla di godimento si sarebbero sentiti anche nel paese vicino, anche perché gli altri erano andati via lasciandoci da soli e nel silenzio più completo. Per qualche minuto restammo lì a riprender fiato e poi risalimmo, mano nella mano come due fidanzatini e solo al momento di rientrare in casa ci dividemmo facendo finta di arrivare da due direzioni diverse. Dunque non era arrabbiata più con me, aveva deciso di superare qualche scoglio e stanotte me lo aveva dimostrato inghiottendo la mia sborra come se fosse la cosa più naturale del mondo, lei che qualche giorno prima non sapeva cosa fosse. Andai a dormire chiedendomi quale fosse stato il prosieguo della nostra storia, se mai storia ci sarebbe stata. Il giorno dopo, all’alba, ero già in spiaggia e mentre girovagavo tornai a spingermi verso quella caletta che avevo scoperto per confutare, almeno mentalmente, le obiezioni di Fede. Guardandolo meglio quel posto doveva essere conosciuto da diversa gente, soprattutto coppiette, considerando il numero dei preservativi presenti, ma il mare manteneva pulita la spiaggia, ammassando tutto contro la parete di fondo. Stavo facendo queste considerazioni quando sentii un gridolino alle mie spalle: mi girai e vidi Fede con un ginocchio sanguinante, che avanzava, zoppicando, verso di me. Mi precipitai a soccorrerla e la feci distendere sulla sabbia, guardai meglio la ferita e vidi che non era niente di grave, un taglietto che faceva più impressione che altro. Lavai la ferita con l’acqua di mare e le chiesi cosa facesse lì a quell’ora. Fece l’indifferente e mentre mi distendevo vicino a lei sulla fredda sabbia mi chiese se mi dava fastidio che lei fosse lì. Intuendo quale era il suo vero scopo le dissi di no che poteva restare quanto voleva, tanto di spazio ce n’era per tutti. Davanti a noi il mare si perdeva a vista d’occhio e affacciandosi al di là degli scogli non si vedeva anima viva, eravamo soli in un deserto d’acqua. Non sapevo se balzarle addosso o lasciare a lei la prima mossa ma optai per la seconda e pochi minuti dopo accadde qualcosa. Volendosi alzare per andare in acqua si lamentò per il male al ginocchio e così mi precipitai ad aiutarla, la cinsi alla vita e ci avvicinammo al bagnasciuga. Appena in mare il sale le fece bruciare la ferita e così tornò sui suoi passi lamentandosi e risedendosi sulla spiaggia. Le dissi che conoscevo il rimedio per far passare il bruciore e passai subito all’azione: m’inginocchiai e cominciai a leccarle il ginocchio, levando così il sale, e mentre lo facevo le accarezzavo le cosce in un andirivieni sempre più frenetico. Lei si distese sulla sabbia lodando la mia cura dandomi modo, così, di arrivare dove non potevo quando era seduta. Infatti mentre, ormai, facevo finta di leccare il ginocchio ero salito ben più su e dopo averle lambito tutta la pelle delle cosce arrivai lì dove ambivo sin dall’inizio. Ma passai oltre, le sfiorai l’ombelico, sorpassai i seni e quando arrivai alla bocca le sussurrai: ‘come va adesso?’ Lei forse non aspettava altro e facendomi un sorriso a 128 denti mi abbracciò e mi baciò sussurrandomi ‘ benissimo’. Sempre baciandoci ci rotolammo sulla sabbia mentre le nostre mani si muovevano per conto loro e alla fine ansanti e sudati, ci ritrovammo nudi come vermi. Ci tuffammo in acqua per lavarci dalla sabbia e quindi ci stendemmo sugli asciugamani tenendoci per mano. Fianco a fianco ci siamo guardati negli occhi come a volerci dire fiumi di parole ma nessuno dei due proferì parola, erano gli occhi a parlare e a raccontarsi di frasi non dette, di tempi passati inutilmente a schernirsi, a non essersi mai presi sul serio. Questo esprimevano i nostri occhi e almeno da parte mia c’era un amore che mi travolgeva, m’impediva qualsiasi movimento, mi riempiva dentro, mi accontentavo di guardarla, sperando, forse, di comunicarle tutto quello che stavo provando in quel momento, magico, sublime, irripetibile. Forse lei capì questo mio stato d’animo e fece la prima mossa: si alzò su un gomito e guardandomi con una dolcezza incredibile mi baciò sulle labbra, lievemente, poi passò al naso e agli occhi, quindi alla fronte per ritornare alla bocca dove cominciò ad insinuare la lingua, a farla duellare con la mia, in modo sempre più sensuale. Sembrava invasata dalla foga che ci metteva in questo bacio, tanto che questa sua frenesia si caricò di sensualità, che da lì a poco contagiò anche me. Sentivo il cazzo crescere e se prima era poggiato mollemente su una coscia ora era barzotto e subito dopo svettava superbo in tutta la sua fierezza. A quanto sembrava anche lei non aveva perso d’occhio i cambiamenti che avvenivano nelle mie parti basse, tanto è vero che quando lo vide nel pieno della sua vitalità lo impugno come uno scettro e capovolgendosi cominciò un sessantanove mozzafiato. Di certo voleva ricambiare quello che era successo la sera prima, ma mi sbagliavo, voleva essere ben sicura che fosse completamente duro perché aveva deciso di saltare il fosso. ‘Voglio essere tua, completamente tua’, mi sussurrò lambendomi il lobo dell’orecchio e facendomi rabbrividire più per la determinazione con cui l’aveva detto che per l’azione in se stessa. Dunque aveva deciso di dare un calcio alla sua verginità e di dedicarla a me, proprio a me che dopo tutti questi anni disperavo di riuscire a darle anche solo un bacio, uno di quelli veri, intendo. Non stavo in me dalla contentezza ma non perché avrei deflorato mia cugina ma perché ero stato scelto da lei per farlo. Un dubbio, però, mi colse: era stata una scelta o una costrizione perché nessuno si avvicinava a lei per via delle tante restrizione a cui era solita sottostare (uscire accompagnata da qualcuno, rientrare presto, frequentare solo gente conosciuta ecc.? Le chiesi: perché io? ‘Perché devi essere tu, da sempre, lo so’,rispose lei. Minchia, pensai, che risposta del cazzo. Vuol dir tutto e non vuol dire niente ma come si dice ‘a caval donato non si guarda in bocca’ e se lei aveva deciso che dovevo essere io a cogliere il suo fiore, non mi tiravo certo indietro, anche perché con me sfondava una porta aperta, visto il mio sentimento per lei. Queste frasi dette tra una succhiata di cazzo e una leccata di fica non avevano certo sbollito i nostri ardori che, anzi, si erano moltiplicati rischiando così di farci godere anzitempo. Dopo essersi assicurata che il cazzo fosse completamente duro si sdraiò supina e attese come un animale sull’altare dei sacrifici. Dio com’era bella con quei capelli biondi sparsi sul suo asciugamano blu, con quei lineamenti perfetti che da sempre hanno calamitato tutto il mio essere, col suo corpo sinuoso che si offriva come solo una donna innamorata sa fare. Non volendo prolungare oltre questo magico momento m’insinuai tra le sue gambe, lancia in resta, pronto a soddisfare il suo e il mio desiderio. Dapprima strofinai col glande le piccole labbra e le titillai il clitoride facendola rabbrividire, poi spennellai l’interno facendoglielo sentire dall’alto in basso, giusto per farmi desiderare di più, poi mi fermai e cominciai a spingere, piano ma con decisione. La resistenza dell’imene, ancora integro, durò pochi secondi e al suo ‘hai’ seguì una rapida progressione del membro dentro di lei. Era fatta. Lei che fino ad allora era rimasta in attesa di qualcosa che solo immaginava, finalmente si sciolse, l’aria di tensione scomparve e i lineamenti si distesero, lasciando il posto ad un’espressione così beata che aumentava di secondo in secondo, in sintonia col procedere del mio cazzo dentro di lei. Mentre lei perdeva la sua prerogativa di signorina, io la baciavo, ringraziandola del bellissimo regalo che mi aveva fatto, le accarezzavo il corpo a partire dai capelli fino al suo splendido culo e poi risalivo ripetendo l’operazione; e intanto stantuffavo dentro di lei facendola gemere di piacere. Quando, poi, mi cinse i fianchi con le sue gambe, permettendomi di arrivare più a fondo possibile, toccò l’apice del godimento, tanto che mi piantò le unghie sulle spalle nel momento in cui raggiunse l’orgasmo. Sulla spiaggia non c’era anima viva e il suo urlo di piacere raggiunse solo i miei padiglioni auricolari, dandomi una scarica di energia che mi arrivò fino ai lombi, facendo intensificare le mie spinte. Lei si teneva aggrappata ai miei fianchi e subiva, dopo il godimento, il mio assalto ma nel volgere di pochissimo partecipò anche lei, e con nuovo vigore, a quella danza antica come il mondo. La sentì incitarmi a continuare, a urlare il mio nome, a dire frasi senza senso, a darsi della stupida ad aver aspettato tanto e questo suo sproloquio coincideva con le spinte del suo bacino verso l’alto per farsi penetrare meglio. ‘Ancora, Paolo, ancora non smettere, Dio com’è bello sentirsi il cazzo dentro (era la prima volta che glielo sentivo nominare), continua, voglio morire sentendomi riempita del tuo cazzo, continua’ ‘sento che sto per godere di nuovo, si, si, Paolo non smettere, spingi, fammi sentire cosa vuol dire essere chiavata (mia cugina si era proprio lanciata con le parolacce), fammi sentire le palle che mi sbattono sul culo, siiii, fammi godere ancora siiii, vengo, vengoooo, sto godendo amore sto godendo e sei stato tu per primo a farmi provare questo piacere sublime, non fermarti dai fammelo sentire ancora’. Aveva un bel parlare lei, dopo i suoi due orgasmi avevo faticato non poco a trattenermi e solo quando senti che lei si era calmata diedi ancora qualche spinta e quindi urlai il mio piacere. Uscii da quell’antro accogliente per innaffiarle, abbondantemente, il suo pancino delizioso e parte dei seni, anche se mi sarebbe piaciuto scaricarmi dentro la sua bocca ma non sapevo come l’avrebbe presa. Mi accasciai sopra di lei ansimante, ma pieno di riconoscenza verso quella donna che mi aveva voluto donare il suo fiore più bello. Adagiato accanto a lei l’accarezzai seguendo il suo profilo e guardandola con gli occhi più dolci che avevo, e avrei voluto mangiarla in un sol boccone, per la tenerezza che mi faceva, ma mi limitai ad osservarla, sperando che lei capisse cosa stessi provando in quel momento. Anche lei mi guardò con dolcezza e mi sussurrò paroline dolci facendomi sentire importante, ma volevo che mi chiarisse una cosa e così gliela chiesi: prima, quando mi hai chiamato amore, è stato la parola di un momento o lo pensi veramente? Non mi rispose subito ma, appoggiandosi su un gomito mi guardò e dopo qualche istante (forse si stava preparando la risposta) mi disse: Secondo te in tutti questi anni non avrei avuto la possibilità di trovare uno straccio di maschietto che sarebbe stato più che contento di farmi la festa? lo sai che quando vogliono le donne ne sanno una più del diavolo e avrei eluso tutte le sorveglianze se avessi voluto farlo, ma sognavo di farlo con te, perché credo di essere innamorata di te. Cosa potevo rispondere ad una simile logicità? Non ci potevo credere, mia cugina provava lo stesso sentimento che credevo di provare io (dico credevo perché in certe situazioni entrano in ballo diverse emozioni e a volte non è quello che si crede) e si era voluta dare a me dopo tutti questi anni. Sorpreso ma anche ringalluzzito da questa affermazione la baciai teneramente e la mia mano andò a fermarsi sul seno che in quella posizione pendeva, ammiccante, verso di me. Lo trovai soffice, plasmabile col capezzolo pronto ad essere stuzzicato, ed io lo feci. Lo strinsi tra due dita e cominciai a torturarlo, facendolo erigere a poco a poco fino a renderlo dritto come un fuso. Lo presi in bocca e cominciai a succhiarlo mentre le mani si alternavano tra fianchi e culo. La spinsi supina e cominciai a baciarla dappertutto, dalla sua bocca che tanto piacere mi aveva dato ai suoi seni, per scendere fino alla fica: dopo aver diradato i peli che la contornavano mi accinsi a leccargliela con calma, facendola godere, se possibile, ancora. Lei mi chiese se mi piaceva così tanto leccargliela, ma solo un grugnito fu la miglior risposta che potevo darle, impegnato com’ero a trarre il maggior piacere possibile da quelle labbra che così caldamente avevano accolto il mio cazzo. Disse ancora qualcosa ma non sentì dato che aveva messo le cosce sulle mie orecchie trattenendomi, forse temendo che smettessi. Continuai a leccargliela fino a quando non sentì i suoi primi gemiti e le prime invocazioni a non smettere, ma invece di continuare la feci mettere carponi e continuando a stuzzicarla manualmente le infilai il cazzo in una posizione che lei parve subito gradire (infatti come tutte le donne sanno questa è la posizione che permette una maggiore ricettività da parte loro in quanto il pene può entrare per tutta la sua lunghezza, dando maggior godimento) Sarà perché era una cosa nuova, o perché, effettivamente, mi sentiva di più, non smetteva di smaniare, dimenava il culo, diceva frasi sconce invitandomi a penetrarla sempre più a fondo e di non smettere e io obbedivo, spingevo come un dannato, con rinnovata vigoria, in quell’antro troppo accogliente. Andavo avanti e indietro come uno stantuffo beandomi del calore della sua fica, della morbidezza dei suoi seni, a cui facevo visita ogni tanto, della rotondità del suo culo in cui, un paio di volte, ho visto sparire il mio dito, senza rimostranze da parte sua, della solidità dei suoi fianchi a cui mi sono aggrappato, come un naufrago in mezzo al mare, per meglio poterla chiavare. Le mie spinte andavano pari passo con il suoi gemiti e quando al culmine del piacere mi annunciò i suo godimento, mi lasciai andare anch’io e uscendo dalla sua fica le sborrai sul culo tutto il mio piacere. Ristetti in quella posizione guardando la sborra che si allargava lentamente sulla schiena formando un laghetto, che scivolò via non appena lei si girò. Mi guardava come solo una donna appagata o innamorata può guardare il suo uomo e in quel momento ero io il suo uomo e la dolcezza del suo sguardo mi riempiva di tutti questi anni passati a penare per lei. Non so quanto restammo ancora lì a coccolarci, sbaciucchiarci, accarezzarci ma avevamo perso la cognizione del tempo e solo perché il sole, ormai alto, raggiunse quell’anfratto ci siamo resi conto dello scorrere delle ore. Ci vestimmo in fretta, lavammo l’asciugamani intriso di sangue e tornammo su, con la speranza che nessuno avesse notato la nostra scomparsa, in contemporanea e per così lungo tempo. Fummo fortunati in quanto quel giorno era domenica e la sera prima si era fatta bisboccia dando fondo a qualche bottiglia in più e solo mio cugino era in giro ma lo vedemmo da lontano mentre si recava dai suoi amici, mentre lui non ci vide. Per il resto della mattina fummo attorniati da amici e parenti e solo qualche complice occhiata o una carezza rubata ci unì. Dopo pranzo sentimmo il bisogno di riposarci e solo all’imbrunire ci fu la possibilità di restare ancora insieme. Assieme ai parenti facemmo una passeggiata fino al paese vicino e camminando mi affiancai a lei parlando del più e del meno, cercando l’occasione propizia per appartarmi e questa giunse quando il parentado volle andare a visitare la chiesa di quel paese. Distratti dalla novità riuscimmo a sgattaiolare fuori dalla chiesa e a sederci sotto un albero facendo progetti ma soprattutto per pianificare un altro incontro amoroso, visto che i giorni passavano veloci e presto saremmo dovuti andar via. Ma i parenti uscirono troppo presto dalla chiesa e quindi decidemmo per il futuro, di improvvisare. Il giorno dopo mia zia mi chiese se ero disposto ad andare in paese a comprare dei dolci ( era l’onomastico di qualcuno) e di accompagnare i suoi figli a casa per prendere delle cose che avevano dimenticato. Io nicchiai un po’ ma poi accettai sperando, così, di poter trovare un’altra situazione favorevole. Saliamo in macchina e dopo quaranta minuti eravamo in paese. Siccome la zia ci aveva chiesto dei dolci particolari che a quell’ora non erano ancora pronti, decidemmo di andare prima a casa e poi ritornare in pasticceria. Quando arrivammo sotto mio cugino, che evidentemente non aveva avuto istruzioni particolari, ci disse che intanto che noi cercavamo quello che la madre voleva, lui andava a trovare degli amici e che sarebbe tornato quanto prima. Prima di lasciarlo andar via gli urlai di non fare tardi, sperando in cuor mio che facesse esattamente il contrario, sennò il parentado si sarebbe arrabbiato. Eravamo soli a casa dei miei zii e per l’emozione mi girava la testa; potevo stare solo con mia cugina senza paura che qualcuno ci vedesse o sentisse ‘ non mi sembrava vero. Saliti in casa Federica cominciò a cercare quel che doveva e in capo a pochi minuti era già tutto pronto, non ci restava che aspettare il fratello. Cominciai a stuzzicarla chiedendole di venirmi più vicino ma lei continuò a rifiutare adducendo la scusa che il fratello sarebbe tornato subito e poi ci sarebbe rimasta la voglia. Confutai la sua negazione spiegandole che:primo le chiavi le avevamo noi quindi avrebbe dovuto suonare e che, comunque, erano passati pochi minuti da quando ci eravamo separati da lui e dato che anche lui sapeva che il pasticciere si sarebbe sbrigato più tardi non sarebbe tornato tanto presto; secondo, che un’altra occasione così non ci sarebbe ricapitata e che mi sembrava illogico sprecarla così visto che dopo pochi giorni sarei dovuto andar via. Forse fu questo secondo motivo che la convinse più di ogni altra spiegazione e così si lasciò andare, anche se poco convinta. Io, per convincerla di più, le andai alle spalle e cercando di ammorbidirla un po’ di più le cinsi i fianchi baciandola, intanto, sul collo. E mentre lei faceva finta di soffrire il solletico le mie mani risalirono sui suoi seni, poi si intrufolarono sotto la maglietta e raggiunsero la pelle che ancora era costretta dal reggiseno. Li massaggiai un po’ dall’esterno e poi m’intrufolai dentro una delle coppe, stuzzicandole un capezzolo che non tardò ad ergersi. A quel punto le sganciai il reggiseno e mi pascei di quelle tette meravigliose che per tanti avevo anelato palpare, le strinsi i capezzoli tra il pollice e l’indice, eccitandola maggiormente e facendole emettere i primi rantoli di un piacere che stava cominciando a montare. Poi la feci girare e mi tuffai, come un affamato, su quei globi bianchi che non aspettavano altro. Li leccai in lungo e in largo facendole sentire i denti sui capezzoli, facendola rabbrividire dal piacere. Mentre la bocca era dolcemente occupata le mani tiravano su la gonna e si attestavano sulle sue rotondità posteriori, dopo essere passate sotto le mutandine. Non potevo chiedere di più dalla vita, a quel punto avrei potuto anche morire, sarei stato contento così. Ero al settimo cielo e il cuore mi batteva all’impazzata e l’emozione era tanta che dovetti sedermi. Me la tirai addosso e continuai a palparla ovunque; le sfilai la maglietta e dopo le feci togliere il resto mentre io restavo ancora vestito di tutto punto ( maglietta, pantaloncino e costume). Ci pensò lei a denudarmi in un attimo e subito dopo furono i nostri occhi che furono catturati ognuno dal corpo dell’altro. Avevamo, finalmente, la possibilità di poterci osservare con calma senza pericolo che qualcuno ci vedesse o ci mettesse premura. Come dice un vecchio proverbio, anche l’occhio vuole la sua parte, e qui le parti da guardare erano tante e tutte con attenzione. Dal viso regolare e bellissimo, incorniciato da capelli biondi come l’oro, ai seni pieni e rigogliosi con delle fragoline in cima che dicevano mangiami, mangiami, dai fianchi alti perfettamente modellati alle cosce sode, dritte e affusolate, dalla fica che si intravedeva sotto il bosco dorato a quella magnificenza di culo che completava una schiena dritta e liscia. Che spettacolo. Restai a bocca aperta davanti a quello spettacolo della natura tanto che fu lei a svegliarmi da quella specie trance in cui ero caduto, abbagliato da tanta bellezza, scuotendomi per un braccio. Le sorrisi scuotendo la testa, pensando che mai e poi mai avrebbe capito che cosa rappresentasse lei per me, e per giunta nuda. Tornando completamente in me le cinsi le spalle stringendola a me nel gesto più affettuoso che in quel momento mi suggeriva l’istinto, e quel contatto bastò a darmi la carica. Adesso la guardavo come un uomo guarda una donna, con voglia, con desiderio, con amore, con bramosia, con tenerezza, con passione. Per questo la baciai dolcemente, facendole sentire, però, la lingua che cercava la sua, le mie mani si mossero all’unisono sui suoi seni stringendoli per poi vellicarli, dolcemente, il mio cazzo s’incuneò tra le sue cosce cercando un alloggiamento più consono, per questo la trascinai sul letto più vicino e feci l’amore con lei. Dopo esserci pasciuti di sensazioni troppo a lungo represse cominciammo i nostri soliti giochini. Così mentre seguivo con un dito il perimetro dei suoi seni titillando ogni tanto i capezzoli, lei mi menava mollemente il cazzo, ma siccome le tette delle donne per me sono più di una calamita, cominciai a stuzzicargliele con maggior veemenza, a cui seguì, per contrappunto, un più veloce lavorio della sua mano. Sembrava una gara per chi riusciva ad eccitare prima e di più l’avversario. Il risultato fu che, entrambi, ci ritrovammo con la voglia di ricominciare e quale miglior modo per eccitarci ancor di più se non un sessantanove? Le nostre bocche si attaccarono al sesso del partner e all’unisono cominciammo a leccarci e succhiarci; la sua fica, aperta come un’ostrica, m’invitava, col suo color roseo, a leccarla, suggendo così, sapori indescrivibili, e mentre mi pascevo di lei, col dito le titillavo il clitoride, spandendo i suoi succhi lungo la zona perineale per arrivare al buco del culo. Qui mi sono attardato più del necessario infilandoci dentro un dito e provocando un involontaria contrazione dello sfintere che si allentò poco dopo, a mano a mano che si abituò a quell’insolita intrusione, il che mi fece ben sperare per una migliore conclusione di quell’incontro così inaspettato. Mentre io l’inculavo col dito e lei mi succhiava con dedizione, fece la stessa cosa con me, provocandomi un insolita sensazione, un sottile piacere che si propagò all’istante in tutto il corpo costringendomi a stringere i denti per non godere subito in bocca a Fede, la quale non sapeva cosa aveva provocato con quell’intrusione. La sensazione, però, era troppo forte e sentivo il bisogno di godere così accelerai i movimenti di lingua e dito per venire assieme a mia cugina. Infatti appena sentì che stava per godere mi lasciai andare anch’io e insieme giungemmo ad un orgasmo travolgente, totale. Mentre ci stavamo riposando suona il citofono e Fede si precipita a vestirsi; mio cugino, però, non sale ma ci avverte che siccome si è stufato di aspettare, torna in campagna con un suo amico che, stava giusto partendo per quella località. Feci finta di incazzarmi per come avrebbe reagito mia zia, ma in cuor mio lo ringraziavo per averci regalato ancora un po’ di tempo. Mi precipitai da mia cugina che stava indossando il reggiseno e glielo levai di nuovo. Lei, che non sapeva della decisione del fratello, mi guardò interrogativamente ma, dopo le spiegazioni, anche lei fu contenta di questa ulteriore proroga temporale e in un attimo fu di nuova nuda, tra le mie braccia. Le proposi, visto che c’era tempo, una doccia e, ripensando a quando l’avevo vista dal buco della serratura, non so perché ma mi venne di nuovo duro. Sotto l’acqua ci abbracciammo e baciamo spruzzandoci come due bambini. M’insaponò il cazzo e i coglioni passandoci una spugna così ruvida che a momenti me lo pelava, poi sciacquò il tutto e s’inginocchiò e lo prese in bocca,iniziando un lento movimento con la lingua e con la testa. Quando lo vide tosto mi lasciò e pretese che facessi la stessa cosa con lei. Non me lo feci ripetere e presa la spugna godetti nel passargliela sui seni, sulla schiena, sulla fica, facendo un sacco di schiuma coi suoi peli, ma mi divertì di più a passarle la spugna sul culo. Infatti mentre lo facevo mi avvicinai, pericolosamente al suo di dietro e con noncuranza glielo spinsi tra le natiche mentre mi attaccavo alle sue tette e senza sapere quale fosse la sua reazione le dissi:’ vorrei provare a metterlo anche qui, se tu sei d’accordo’. Lei si girò e guardandomi, maliziosamente mi rispose:’secondo te perché te l’ho fatto diventare di nuovo duro, credi che non l’avessi capito a cosa miravi quando mi messo le dita dentro, la prima volta e anche oggi?’ E poi continuò ‘ non credere, comunque, che lo faccio solo per te, voglio sapere se è vero quello che dicono le mie amiche, che si riesce a godere anche col culo, tu hai mai inculato qualcuna, sai se è vero?’ Ero allibito e sorpreso allo stesso tempo per le cose che stavo scoprendo su Federica. Da un lato sembrava una tutta casa e chiesa, poi scoprii che ne sapeva più di me. Dissi che non l’avevo mai fatto ma che, probabilmente, le sue amiche avevano ragione, visto che l’avevo sentito dire anch’io. Perplesso per le pieghe che aveva preso questa situazione, continuai a baciarla mentre le impastavo il culo, spandendoci sopra il bagno-schiuma per renderlo più scivoloso, ma non ero convinto. Mi chiedevo dove fosse finita quella Federica che conoscevo, che mi piaceva di più quando non sapeva (o faceva finta di non sapere un cazzo- nel senso più letterale della parola-, o quando arrossiva se la guardavo più intensamente). Possibile un cambiamento così radicale nel volgere di qualche anno? Mi adeguai, comunque, presto a questa nuova personalità e mi accinsi a fare quello che, ormai, avevamo (???)deciso di fare. D’altronde il mio socio, in basso, non voleva sentire ragioni, mi guardava con l’unico occhio sperando che io non cambiassi idea e così lo accontentai (anche per soddisfare la bramosia di sapere di Fede). Dopo averle infilato più volte il dito intriso di sapone dentro il culo, la feci girare, piegare leggermente e con delicatezza appoggiai la cappella al suo ano, cominciando a spingere. Alla prima spinta la punta entrò quasi per intero e con le successive, agevolato anche dal sapone, mi allocai in quel culo che tanto avevo agognato e che adesso mi sembrava quello di un’estranea. Si, è vero, stavo inculando mia cugina ma non ne ero contento, restava solo un atto fisico, fine a se stesso, senza amore, senza coinvolgimento, senza passione. Un cazzo in un culo, e basta. Certamente furono le due eiaculazioni precedenti che mi permisero di durare più a lungo, giusto il tempo di far capire a Fede se era vero o no che si poteva godere anche col culo, ma quando la sentii gemere e incitarmi a sfondarglielo non me lo feci ripetere e, quasi con cattiveria, mi dedicai anima e corpo a sfondarglielo. E più mi accanivo a darle colpi sempre più forti più lei godeva fino a quando, forse in un atto di masochismo (per non farla godere ancora), le scaricai nell’intestino tutto il contenuto delle palle, ponendo fine, così, a quell’atto che, sicuramente, lei ha assaporato fino in fondo, e per me è stato quasi un atto ‘. dovuto. Mi sentivo male, dentro; in silenzio mi lavai e mi rivestii e aspettai Fede che facesse altrettanto e quando uscimmo in strada, vedendomi stranito mi chiesi cosa avessi. Avvertiva il mio disagio ma non riusciva a spiegarselo. Secondo lei avrei dovuto essere contento per aver raggiunto il mio scopo (non aveva capito niente di me) e quindi non si spiegava quell’aria da cane bastonato. Dal canto mio come potevo farle capire che non era quello il mio scopo principale, avrebbe sempre pensato che ormai potevo scaricarla, dopo aver fatto tutti i miei porci comodi. Era un bel dilemma e non sapevo come sbrogliarmela. Passati dalla pasticceria tornammo a casa, io coi miei pensieri e lei dubbiosa se avesse fatto bene a dare tutta se stessa a uno che, in fondo, conosceva poco (qualche giorno in estate e neanche tutti gli anni). Il giorno trascorse così, tristemente, io trascinandomi da un posto all’altro, svagato, e la testa piena di mille pensieri mentre lei se ne stette rintanata nella sua stanza e non uscì neanche per mangiare. I nostri genitori ci guardavano con aria interrogativa ed erano sicuri che qualcosa, in quella mattinata, doveva essere successa e anche il fratello non seppe dipanare i loro dubbi. Il giorno dopo tentai di parlarle ma, un po’ perché mi mancavano le parole giuste, un po’ perche ero convinto che lei non avrebbe capito il mio punto di vista, feci un buco nell’acqua e i nostri rapporti restarono immutati: lei per conto suo, io per conto mio. La cosa andò avanti fino al giorno della partenza e a me non andava proprio andarmene così senza aver chiarito i miei sentimenti, quindi di forza, la tirai da parte e le spiegai cos’era lei per me, prima, e come il suo comportamento l’avesse declassata. Non volevo colpevolizzarla ma lei si sentì la causa della nostra rottura e mi accusò di essere io, quello che non aveva capito niente di lei. Fu così che, incompresi nei nostri arzigogoli mentali, ci lasciammo. Neanche un bacio o una stretta di mano, anzi, non ricordo più se rispose al mio ciao. Dopo qualche anno seppi che si era sposata e adesso è madre di una caterva di figli: forse era giusto così.

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