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Racconti erotici sull'Incesto

Mistery miss

By 15 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Quando si &egrave in gruppo, specie al mare, durante le ferie, si cerca sempre qualche passatempo che presuntuosamente si definisce ‘nuovo’, ‘originale’, ‘divertente’, ‘stravagante’.

Ogni giorno si elegge una ‘miss’: partendo dalla cima dei capelli fino agli alluci: ‘miss pettinatura’, ‘miss spalle’, ‘miss seno, ‘miss chiappe’, ‘miss gambe’, ‘miss total body’,’ e così via.

Le elezioni erano pesantemente condizionate da amicizie, e promesse o speranzielle di ogni tipo.

Eravamo alla ricerca di eleggere una miss assolutamente speciale. Una ragazza della quale non si conoscesse il volto. ‘Mistery Miss’.

Si dovevano giudicare i requisiti messi a concorso, non le persone.

Ci radunammo sulla terrazza dello stabilimento balneare, la sera, dopo cena, bevucchiando, in genere, soft drinks.

L’essenziale era divertirci.

Le concorrenti dovevano sfilare senza poterne vedere il volto.

Eravamo tutti d’accordo, anche le ragazze. Soprattutto loro.

Bisognava trovare il modo di realizzare la cosa, perché nessuna maschera avrebbe del tutto nascosto la testa; di incappucciarle nemmeno a parlarne, e poi maschera o cappuccio avrebbero comunque influito sul giudizio che, invece, doveva essere esclusivamente estetico.

Sorsero discussioni sul fatto che di moltissime si conoscevano i costumi da bagno.

Fu scartata l’ipotesi di far sfilare tutte con lo stesso modello di bikini.

Spesa inutile, il giorno dopo non l’avrebbe più indossato nessuno.

Venne presa in considerazione, invece, la proposta che la sfilata avvenisse ‘senza veli’, Marinella, sempre pronta a dire la sua disse che, allora, si poteva chiamare ‘miss nature’, e si dichiarava disposta ad esibirsi in quella tenuta.

Furono considerate molte possibilità, poi si concluse, all’unanimità, con la piena accettazione delle concorrenti, che la sfilata sarebbe avvenuta secondo precise regole.

A sera tarda, nel quadrato delle cabine che sarebbero stati gli spogliatoi.

Il marciapiede in cemento, quello dinanzi alle cabine, sarebbe stata la passerella lungo la quale, a terra, doveva essere posta una tavola, lunga quanto la passerella stessa, alta alcuni centimetri, che doveva servire a nascondere i piedi, spesso elementi di possibile identificazione.

Due pali avrebbero segnato l’inizio e la fine della passerella, e con opportuni schermi sarebbero stati chiusi gli spazi tra essi e le cabine, sia per assicurare una opportuna privacy che per evitare sbirciate inquinanti!

Una striscia di stoffa, ben pesante ed atta allo scopo, sarebbe stata tesa tra i due pali, ad una certa altezza, per nascondere le teste.

Tendoni anche dal tetto delle cabine per impedire che curiosi o rompiscatole, potessero curiosare nel backstage, dietro le quinte.

Altro requisito, l’altezza delle concorrenti.

Logicamente dovevano avere tutte la stessa statura, con la tolleranza di un centimetro in più o in meno della misura media, che fu stabilita in 166 centimetri. Quindi, erano ammesse ragazze tra 165 e 167 centimetri.

Tale scelta avvenne dopo aver rilevato che circa l’ottanta per cento delle donne del nostro gruppo rientrava in tali limiti.

Ad un certo momento, mi sembra che fu ancora Marinella, venne sollevata l’obiezione che, data la’ tenuta di sfilata, sarebbe stato facile identificare le bionde. Una rapida e discreta indagine rivelò che solo una era ‘veritable blonde’, ma non avrebbe potuto partecipare per motivi d’altezza.

Gli spettatori dovevano restare seduti, sulla sabbia, a non meno di cinque metri dall’improvvisato stage.

Due illuminatori avrebbero rischiarato la passerella.

Erano ammesse riprese fotografiche o video, con flash o senza.

Ogni concorrente sarebbe stata distinta da un numero, in nero, su una fascetta bianca appena sopra la caviglia. Comunque, il numero sarebbe stato ripetuto dall’altoparlante, prima, durante e dopo la performance.

Durante i giorni che precedettero la manifestazione, cercai di conoscere se ci fosse qualche riserva sul fatto di sfilare completamente nude.

Nessuna incertezza, l’anonimato cancellava ogni eventuale, ma non rilevato, imbarazzo.

Del resto, per quello che si poteva vedere, ed era abbastanza, avevano tutte dei fisici da far impallidire anche la più attraente e provocante pin-up.

^^^

Sera della sfilata.

Ben realizzato il tutto.

La striscia di stoffa era stata arricchita con disegni degni dei più spiritosi murales, che proseguivano nei cartoni posti sui pali a mo’ di quinta.

La tavola ‘cela-piede’ riproduceva le onde del mare.

Ottima illuminazione, che evitava ombre.

Musica di sottofondo perfettamente adeguata alla manifestazione.

Un lungo cordone rosso delimitava la vicinanza minima.

Prima dell’inizio, una voce maschile invitò i presenti, numerosi, uomini e donne, ad esprimere liberamente il loro apprezzamento o dissenso, con applausi o fischi, ma non con parole o frasi, sia positive che negative.

‘Quindi’ ‘disse la voce- ‘niente grida di ”a cozza..’ e tanto meno di ”a bonaccia” Non costringeteci a sospendere la sfilata.’

Applausi scroscianti all’annunciatore.

Ero seduto in prima fila, quasi al centro, con tanto di ‘digitale’ dotata di zoom.

‘Ed ora’ ‘riprese una voce, e questa volta era di donna- ‘la numero uno!’

Gambe portentose, cosce ancora meglio, culetto del tipo extra, senza dire delle tettine civettuole e dell’ancheggiare stuzzicante.

Le concorrenti, lentamente, percorrevano la passerella, si voltavano e tornavano al punto di partenza.

Niente da dire, ragazze stupende e non c’era nulla di volgare nella loro incantevole nudità.

Gigi, che era a fianco a me, mi sussurrò che erano tutte ‘bene’ficate dalla natura’. Gli osservai che erano ‘bene” in tutto.

Il piacere della vista si trasmetteva, logicamente, al cervello che a sua volta lo inoltrava giù, e non mi faceva solo chiaramente intendere il Foscolo: un moto, un atto, un vezzo, mandano agli occhi venustà improvvisa! ma mi dettava, in sostanza, la classifica delle concorrenti a seconda delle reazioni vibratili che suscitava.

Una specie di stimolometro sessuale.

Il valore massimo, lo strumento lo raggiunse al passaggio e ripassaggio del numero 7.

Veramente un schianto di ragazza.

Camminava con la grazia e la solennità di una dea, e nessun’opera classica avrebbe retto al suo confronto. Le varie Veneri, di Milo o d’altrove, sarebbero impallidite più del marmo in cui erano scolpite, e l’armonia delle sue natiche oscurava quella pur pregevole di Afrodite callipigia.

Dio, che meraviglia, che attrazione, che fascino, che richiamo, che desiderio destava.

Quando sfilò l’ultima di quelle eccitanti bellezze, ci fu un lungo e meritato applauso.

La voce maschile dell’altoparlante ci informò che sul biglietto consegnatoci dovevamo scrivere il numero della prescelta, e lo avremmo dovuto mettere nella scatola che sarebbe stata fatta circolare tra noi.

Ci fu un rapido consultarci, e, come già avevamo stabilito fin dal mattino, decidemmo di non votare, ma di informare il presentatore, attraverso un nostro portavoce, che tutte meritavano il primo premio.

Non volevamo che tra amiche, che erano anche nostre amiche o parenti, potessero nascere piccole invidiuzze, né volevamo alimentare immancabili scontentezze e accuse di ‘pastette’.

Quando l’altoparlante annunciò che tutte le concorrenti erano state classificate al primo posto, ‘ex aequo’, e che quindi ad ognuna di loro sarebbe stata consegnata la conchiglia d’oro, le ragazze uscirono di corsa, questa volta vestite però, e fu un abbracciarsi continuo, anche con non respinti palpeggiamenti di contorno.

Andammo tutti sulla rotonda, dove avevamo fatto preparare una grande torta alla frutta, e ci trattenemmo abbastanza a lungo, tra chiacchiere e qualche balletto.

Beatrice venne a dirmi che si sentiva un po’ stanca, e che avrebbe gradito tornare a casa. Ero perfettamente d’accordo con lei.

Salutammo in giro, e ci avviammo al parcheggio. Cingevo i fianchi della mia bella sorellina che aveva appoggiata la testa sulla mia spalla.

Era tra le concorrenti, ma non ero riuscito a riconoscerla.

A casa, i nostri dormivano.

Lei disse che non aveva nemmeno la forza di farsi una doccia, sarebbe andata subito a letto.

Mi dette il bacetto della buona notte.

Si ritirò nella sua camera.

^^^

Non mi addormentai subito.

Mi tornavano alla mente quelle bellissime ragazze, veramente splendide nella loro audace esibizione. C’erano, certo, dei significati sensuali, in quella sfilata, anche provocanti, ma tutti contenuti entro limiti di una incantevole gara soprattutto estetica.

Mi alzai, andai al PC, lo connett&egravei alla piccola macchina fotografica digitale, e cominciai a passare in rassegna le numerose foto che avevo scattato, e che confermavano la pregevolezza delle concorrenti, accomunate da un unico giudizio: fantastiche!

C’era da smarrirsi in quella preziosa raccolta di tettine d’ogni forma, di sederi l’uno più attraente dell’altro, di seducenti cespugli serici che ornavano ogni malioso pube. Triangoli dai lati perfetti, semplici losanghe come aiuole ben coltivate, folti ciuffi non ritoccati ma meticolosamente curati. Tutti, comunque, celanti fascinosi solchi in attesa di più che impazienti vomeri ansiosi di ararli, seminarli.

Quella che più era turbante e conturbante, sensuale, sconvolgente, eccitante, stimolante, provocante, desiderabile, era la ‘numero 7’. L’obiettivo l’aveva ritratta ad ogni passo, di lato, nel momento in cui s’era fermata, di fronte, quando s’era voltata, ne aveva fermato le sode e perfette tette, il ventre liscio, il sedere eccezionale, l’eleganza dei folti riccioli elegantemente e sapientemente scarmigliati che rendevano misterioso e irresistibile il pube e ciò che lasciava intendere.

Reazione immediata, la visione delle foto che richiamava la realtà ammirata da non molto. Totale eccitazione, irresistibile e incontenibile attrazione, un misto di sentimentalismo e sessualità. Desiderio di carezzarla, baciarla, ma anche di possederla, con dolce passione.

Dovevo assolutamente individuare la ‘numero 7’.

Avevo ben fisse nella mia mente le fattezze, ma, sia pure in due pezzi, non era facile identificarne la proprietaria.

Andai a letto, e dopo girarmi e rigirarmi a lungo, riuscii a dormire, agitatamente, però.

Al mattino, ero più annebbiato che la sera innanzi.

Se la sera precedente non mi fossi limitato a bere succhi naturali di frutta, avrei attribuito quello stato confusionale agli alcolici.

Comunque, il buon caff&egrave che trovai in cucina cominciò a schiarirmi le idee.

Beatrice era già pronta, nella sua vestaglietta indossata sopra slip e reggiseno. Mi chiese se poteva attendermi per andare insieme al mare. Le dissi che sarei stato pronto in dici minuti.

Sedette anche lei al tavolo, mi preparò le fette biscottate come a me piacevano: poco burro e un velo di marmellata di bucce d’arancio. Riempì di nuovo la tazza del caff&egrave, e disse che m’avrebbe atteso in giardino, vicino l’auto. Prese la sua grossa borsa di paglia e s’avviò.

Fui pronto in breve, la raggiunsi, salimmo in auto, ci avviammo alla spiaggia.

Beatrice aprì la borsa e vi frugò dentro.

‘Cosa cerchi, bella?’

‘I tappi per le orecchie, l’acqua mi dà fastidio.’

Tirò fuori tante piccole cose e le pose sulle sue gambe.

Anche una fascetta bianca, col numero 7!

Mi sembro che qualcosa esplodesse nella mia testa.

Sentivo che la mia voce sarebbe uscita chioccia, stonata.

‘Cosa &egrave quel numero, Bea?’

‘Quello della sfilata, mi hai riconosciuta, vero?’

Non riuscivo a spiccicare parola.

Annuii ipocritamente. Le detti una approfondita sbirciata, dalla testa ai piedi, ed ebbi un’improvvisa violenta erezione, a malapena contenuta dagli abiti.

La ‘numero 7’ era Beatrice, la mia sorellina.

Che fosse una gran bella ragazza lo sapevo, ma che le sue forme fossero di quella insuperabile fattura lo avevo scoperto solo la sera prima.

Bea trovò i tappi per le orecchie, rimise tutto nella borsa, la richiuse.

‘A proposito, Piero, come ti &egrave parsa la sfilata di ieri sera?’

‘Siete tutte bellissime, incantevoli.’

‘Ma c’&egrave una che ti ha maggiormente colpito?’

Misi una mano sulla sua coscia.

‘Si.’

‘Posso sapere chi &egrave?’

‘La numero 7!’

Beatrice avvampo’, mi guardò con un’espressione che non le avevo mai visto, con gli occhi lucidi.

Mise la sua mano sulla mia e la strinse.

Rimanemmo così fino a quando, per manovrare nel posteggio dello stabilimento balneare, non dovetti interrompere quel contatto elettrizzante.

Eravamo piombati nel silenzio.

Mi prese per mano, si lasciò guidare fino alla cabina, come quando io, liceale, l’accompagnavo a scuola, alle elementari, dall’altra parte della strada. Quasi dieci anni di differenza, ma eravamo stati sempre vicini, era la cocca di casa, e speso s’era addormentata sulle mie ginocchia, col pollice tra le labbra.

Aveva scelto biologia, si doveva iscrivere al primo anno. Ma era molto interessata anche alla mia attività di ingegnere nucleare, e ogni tanto mi chiedeva di leggere qualcuna delle pubblicazioni che giungevano a casa. Vivevamo ancora in famiglia, tutti insieme, nella grande e comoda casa. Prima gli studi, ora il lavoro, mi avevano fatto trascurare molte altre cose. Mi sentivo bene, in famiglia, ed anche le vacanze le trascorrevamo tutti insieme, al Forte. Nel gruppo mi sentivo un po’ fuori dell’ambiente, ero il più anziano, ma non me lo facevano pesare anche perché non mi davo certo delle arie né assumevo la parte del ‘saputello’ che sparge consigli non richiesti a destra e a manca. Il gruppo era un po’ quello degli amici di Bea, coi quali ci si incontrava tutte le estati. Ma mi ci trovavo bene ed ero accolto simpaticamente.

Sempre tenendoci per mano eravamo giunti alla cabina, il bagnino l’aveva pulita ed aveva lasciato la chiave nella porta.

‘Voglio cambiarmi, Piero.’

‘Ma se hai già indossato il costume!’

‘Si ma preferisco l’altro, quello che &egrave appeso all’attaccapanni. Tu pure devi cambiarti?’

‘Devo sfilarmi pantaloni e camicia, sotto ho le mutandine da bagno.’

‘Allora entra, tanto ci metti un attimo.’

Entrammo, chiuse la porta, mi avviai verso l’angolo dove ero solito attaccare la mia roba, tolsi le scarpe, sfilai i pantaloni, la camicia, misi tutto sui ganci, mi voltai’ Bea, stava controllando che quanto aveva in mente di indossare fosse in ordine’ era nuda!

Le mani corsero spontaneamente sul mio coso che era scattato come se si fosse sganciato dal fermo che lo tratteneva.

Si, era lei la ‘numero 7’, Bea, meravigliosa.

Deglutii a fatica e mi avviai alla porta.

‘Ti aspetto fuori, Bea.’

Mi appoggiai alla balaustrata di legno, scotendo la testa.

Ero ammaliato da Bea, da mia sorella!

Uscì, e sempre in silenzio e tenendoci per mano, andammo a sedere sulle sdraie, sotto l’ombrellone.

Si avvicinò uno del gruppo, un suo amico.

Bea lo guardò facendo finta di avere un po’ di mal di testa. Gli sorrise a stento.

‘Scusa, ma non sto bene’ ci vediamo dopo.’

Commiato chiaro, rapido, deciso, assoluto.

Il ragazzo s’allontanò augurandole di ristabilirsi presto.

Guardai Bea, aveva riacquistato la sua espressione normale, anzi no, c’era una specie di ansia.

‘Scusa, Bea, ma stai veramente male?’

Alzò le spalle, significativamente.

‘Ma no’ &egrave che vorrei fare quattro chiacchiere con te. A proposito della sfilata.’

‘Cio&egrave?’

‘Tu hai scherzato, vero, quando hai detto che per te la’ migliore era la numero 7? Mi avevi certamente riconosciuta e vuoi confermarmi che stai dalla parte di tua sorella.’

Ero serio ed anche un po’ a disagio, non lo nego.

‘No, non ti avevo riconosciuta. Sono rimasto veramente colpito dalla tua bellezza. Ed ora sono anche perplesso.’

‘Perplesso? Perché?’

‘Per come ho giudicato mia sorella.’

‘Come l’hai giudicata?’

‘Come donna, femmina, e mi sconvolge percepire cosa provoca in me.’

Non riuscivo a distinguere se Bea fosse ingenua o provocante.

Mi prese la mano, la strinse.

‘Cosa ti provoca?’

La guardai, quasi sfidandola.

‘Mi attrae, mi eccita!’

E mi eccitava sempre più esserle vicino, sentire la sua mano, poterla ammirare così, appena ricoperta, poco e male.

‘E’ che c’&egrave di male? Sono una donna, no?’

‘Certo, ma sei mia sorella!’

‘Anche tu sei mio fratello, eppure io ti ho sempre veduto ed ammirato in primo luogo come uomo, come maschio.

Ho pensato alle tue mani, non come a quelle del fratello; alle tue labbra invitanti, al tuo fisico splendido, e rabbrividivo di piacere, come adesso al solo sfiorarti la mano.

E’ male?

Devo soffocare i miei sensi?

Devo fingere ipocritamente?

Lo sai che sono felice per il tuo apprezzamento, per il fatto che ti procuro sensazioni che nulla hanno a vedere col nostro essere fratello e sorella?

Mi viene voglia di baciarti, di stringerti, di’.’

Si fermò qui, ma era visibilmente infiammata.

La mia testa ronzava più di un’arnia. Mi sentivo ubriaco.

Credetti opportuno alzarmi, correre alla battigia, tuffarmi.

Beatrice rimase sdraiata, aveva gli occhi pieni di pianto, mise i suoi grossi occhiali da sole.

Nuotai quasi furiosamente, per stancarmi, sfinirmi.

Quando uscii dalle onde, lei era li, sulla riva, ad attendermi col telo a spugna. Me lo pose sulle spalle.

Ci avviammo all’ombrellone.

‘Scusami, Piero. Sei arrabbiato con me?’

‘No, sorellina, non posso essere adirato, sono confuso più di prima.’

‘Mi vuoi sempre bene, mi cullerai ancora, almeno una volta, sulle tue ginocchia?’

‘Ti adoro, bambina mia, ma temo che quando sarai sulle mie ginocchia, in futuro, non sarà più come prima.’

‘Sarà più bello?’

‘Chissà!’

^^^

Era difficile addormentarsi, dopo una mattinata del genere, un pomeriggio trascorso in casa, fingendo di dover leggere degli appunti. D’estate, all’inizio delle ferie!

Pa’ e Ma’, ci guardarono sbalorditi quando dopo che io dissi che mi sarei trattenuto per riordinare certe carte, anche Bea aggiunse che doveva mettere a posto le sue cose.

Andai subito in camera, chiudendo rumorosamente la porta a chiave.

Ci trovammo di nuovo, la sera, a cena, sulla veranda.

Soliti discorsi senza importanti contenuti: il tempo, la situazione politica, qualche pettegolezzo’

Bea vi partecipava allegramente, io cercavo di non far trapelare la mia inquietudine interiore.

Avevo pensato di partire subito.

A cosa sarebbe servito?

Anche loro, prima o poi, sarebbero tornati.

Ma volevo proprio fuggire?

Il pomeriggio avevo acceso e spento più volte il PC, ancora collegato alla digital camera, ed avevo finito col rivedere sul monitor quella meravigliosa ‘n.7′ che m’era entrata nel sangue. Con lo zoom ne analizzai ogni particolare, la mano si protendeva nel desiderio di carezzarla.

Se fossi andato nel soggiorno sarebbe subito venuta a mettersi sulle mie ginocchia, ne ero sicuro, e l’avrei potuta carezzare, forse anche come desideravo.

Ero riuscito a giungere all’ora di cena.

Cenammo. Poi la TV.

Il TG delle 22,30 era appena finito.

Di solito, a quell’ora, Pa’ si metteva a leggere il giornale, Ma’ iniziava un infinito zapping, Bea ed io andavamo a prepararci per uscire, molto spesso, quasi sempre, insieme.

Quella sera i genitori dichiararono di andare a nanna.

Bea ed io ci guardammo.

Fui io a rompere una certa esitazione.

‘Andiamo un po’ fuori, Bea?’

La mia deliziosa sorellina s’illuminò d’incanto.

‘Dove mi porti?’

‘Cine?’

‘OK, perfetto. Sono pronta in cinque minuti.’

E non erano neppure trascorsi quando mi raggiunse all’auto.

Cinema non molto lontano.

Poca gente.

Buona climatizzazione, addirittura un po’ troppo fresco.

Uno di quei film estivi, leggeri, con infinite vedute di mare, di tette e culi al vento, e una trama sciocca e insignificante.

Bea, ad un certo momento, s’avvicinò a me.

‘Mi metti la mano sulle spalle, ho un po’ freddo.’

L’accontentai con piacere. Si rannicchiò vicino a me, prendendo la mia mano che era quasi sul suo seno. Inerte.

Ogni tanto la portava alle labbra e la baciava: piccoli, teneri baci.

Poi prese a succhiarmi le dita, piano piano, uno ad uno.

Avevo deciso di rimanere passivo, non reagire, ma ero eccitatissimo e credo che, malgrado ogni espediente per mascherarla, Beatrice ben s’era accorta della mia erezione. I suoi occhi, mentre mi suggeva le dita, più che sullo schermo erano fissi sulla mia patta.

La tentazione di strizzarle le tette era violenta. Riuscii a contenerla.

Il problema ora, tornati a casa, era quello di addormentarsi.

Decisi di prendere qualche goccia di un ansiolitico che m’era stato prescritto quando attraversai un periodo di tensione per superlavoro. Comunque, ne presi metà dose consigliata.

Andai a letto.

Riuscii ad addormentarmi.

Sognavo: Beatrice durante la sfilata, nella sua sfolgorante nudità, al bagno, i baci sul dorso della mano, le dita nel tepore umido della sua bocca.

Sentivo la sua linguetta lambire il mio medio, e avrei voluto che il sogno non terminasse, con l’altra mano Bea mi carezzava il fallo, tremendamente eretto, tormentosamente eccitato.

Non voleva svegliarmi.

Ma stavo lentamente uscendo dal sonno.

Quelle sensazioni, però, non svanivano con lo svanire del sogno.

Bea era nel mio letto, suggeva il mio dito, carezzava il mio fallo.

Mi sembrò di precipitare, per qualche attimo, per poi cominciare a risalire, prendendo coscienza della realtà.

Bea era li, nuda, e mi carezzava dolcemente.

Quando sentì che ero sveglio, si sdraiò, supina, senza lasciare il mio fallo. Mi voltai verso lei, la baciai con voluttà, lasciando esplodere la passione e il desiderio che ero riuscito a soffocare con tanta pena. La mia mano le carezzò il seno, il grembo, tra le gambe che si dischiusero mentre sollevava, invitante le ginocchia.

Ora, ero tra le sue gambe, con una mano prese il mio glande gonfio e lo portò vicino alla sua palpitante vagina, poi, quasi a tirarmi su sé, in sé, mise le mani sul mi collo.

Avrei voluto penetrarla furiosamente, riuscii ad introdurmi in lei con studiata lentezza che dal come l sue pareti si contraevano, incontrava tutto il suo gradimento.

Mi guardava con gli occhioni spalancati, voleva leggere in me il piacere che mi dava, e offrirmi l’incanto della voluttà che splendeva nel suo volto.

Quando aumentai il ritmo, sembrò in preda ad un fremito incontenibile.

Aveva socchiuso gli occhi.

Il bacino mi veniva incontro, si allontanava.

La vagina stringeva il mio sesso, si rilassava, tornava a mungerlo ingordamente.

Dalle sue labbra, appena dischiuse, sfuggiva un lungo, sommesso gemito, che scandiva l’incalzare del mio sempre più ardente stantuffare.

‘Oddio’ Piero’ che meraviglia’ oddio’ sei fantastico’ magico’ ecco’ sto morendo per il piacere’ ecco’ tesoro’ amore’ ecco’ riempimi di te’. Riempimi’ oooooooooooooooh!

E l’orgasmo la travolse, la squassò’ si quetò per un attimo’ la sentii rilassarsi’ poi l’ondata di piacere tornò ad impossessarsi di lei, e quando si sentì invadere dal fiotto che proruppe da me, mi strinse con forza, baciandomi con impeto, quasi con furore.

Sudata, disfatta, meravigliosamente estatica, ansante, mi guardò.

‘Che meraviglia, Piero. Che cosa stupenda! Lo sapevo!’

Volle porsi sulle mie ginocchia, così, e il fallo, non domo, premeva tra le stupende natiche.

‘Fammi dormire così, con te, non allontanarti. Voglio solo riprendere un po’ di fiato. Tienimi stretta.’

La baciavo teneramente sul collo, le carezzavo le tettine meravigliose. Sentii che si abbandonava, si assopiva.

Il suo respiro rallentò, divenne più profondo, un lieve ronfare come di gattina.

Era lei la mia gattina, la mia ‘pussy-cat’, come spesso la chiamavo, specie da piccola.

La piccola ‘pussy-cat’ era divenuta una stupenda pussy, si una fica eccezionale, che mi aveva fatto provare sensazioni finora a me sconosciute.

Lo stimolometro era giustamente schizzato in top position alla vista della concorrente ‘n.7’, che ora era qui. Tra le mie braccia.

Quel contatto, il rivedere quel culetto che ora era in braccio a me e che custodiva, caldo, la prepotenza del mio sesso, era quanto mai avrei potuto sognare. Era realtà.

Non riuscivo a star fermo, anche se avrei voluto, per non svegliarla.

La punta del glande, ancora madida dei suoi e miei umori, sentiva il palpitare del suo buchetto, e tutta la fascinosa attrazione.

Se le cose proseguivano così, ero certo che non avrei saputo contenere in me la pressione del mio seme.

Ero in preda a tale eccitazione, quando Bea si mosse appena.

Allungò una mano, la mise tra le sue gambe, spostò il glande verso la sua vagina.

In silenzio, senza parlare, e cercando di mantenere il mio sesso vicino al suo, si portò carponi, mi piace dire ‘gattoni’, ricordando ‘pussy-cat’, e spinse per accogliermi di nuovo in lei, golosamente.

Fu un amplesso lungo e gratificante, più del primo, che durò a lungo, e la sentii ancora abbandonarsi al suo travolgente e sempre meno silenzioso piacere.

Temevo che potessero sentirla.

La mano che le aveva carezzato le tette, titillato il clitoride, le chiuse la bocca, ma le sue labbra si aprirono e presero a suggere bramosamente le mie dita, mentre la sua vagina aumentava le contrazioni che annunciavano il successivo voluttuoso abbandono.

Ero giovane, robusto, assatanato, e l’eccitazione di poter avere tra le mie braccia quel capolavoro della natura decuplicava le mie forze.

Temevo per Bea, quasi uno scricciolo in confronto a me, ma il suo entusiasmo mi diceva che aveva energie da vendere, e resistenza sublime.

Il nostro letto era divenuto quello che usa definirsi un campo di battaglia, delle nostre travolgenti battaglie.

Lenzuola sconvolte, cuscini che vagavano da un punto all’altro.

Giacemmo, io su lei, ancor una volta deliziosamente vinti dalla voluttà.

Non ero uscito completamente da lei, e sentivo le sue belle e sode chiappette che ancora palpitavano intorno al mio fallo.

Ormai avevamo superata ogni incertezza, vinto ogni tabù, valicato il nostro Rubicone.

Bea si voltò appena col capo.

‘Sdraiati, Pieruccio, voglio stare su te!’

Non potevo desiderare invito più seducente.

Bea si mise dapprima a cavalcioni, portò il glande nella sua sussultante vagina, poi si distese su me, tra le mie gambe e mi abbracciò. Sentivo che il mio sesso pulsava in lei, e lei stringeva le natiche e così facendo serrava maggiormente in sé il fallo.

Poi cominciò a muoversi.

Molto lentamente.

Mi baciava, mi lambiva il volto con la linguetta guizzante.

Le carezzavo la schiena, il sedere, il volto.

I palpiti del suo grembo andarono sempre più intensificandosi, sembrava volesse strapparmi il sesso, poi tornava a ingurgitarlo per quanto poteva.

Condusse lei quel delizioso game che anticipò di poco la sua vittoria.

Diciamo quasi alla pari.

No, perché quando tornai ad invaderla con un’ancora abbondante razione d’unguento creapopoli, sembrava tornare più vispa e golosa che mai.

Non avrei mai immaginato di poter far fronte a così numerosi e ripetuti assalti.

Era insaziabile, Bea, ed io sorprendentemente resistente.

Ogni volta che uscivo da lei, Bea allungava la mano, per carezzarlo, ma quando si accorgeva che non aveva affatto perduto la necessaria consistenza per rinnovare quegli amplessi, mi guardava sorpresa e compiaciuta, e negli occhi leggevo come una deliziosa implorazione: Ancora!

Pur senza dircelo, entrambi sapevamo che ad una certa ora lei doveva tornare nella sua camera, io, in un certo senso dovevo rassettare il disordine di quel ‘erotic ring’ dove, mentre le luci del giorno stavano filtrando tra le tapparelle, stavamo conducendo a termine la settima ripresa, la più esaltante, un finale impetuoso, ispirato alla conclusione travolgente della Cavalcata delle Valchirie.

Al termine eravamo ‘divinamente affranti’, ubriachi d’amore.

La tenevo su me, stretta, e le sussurrai un po’ affannato, che avevamo onorato il suo numero alla sfilata. Il ‘7’!

‘Numero magico, Bea, come tu sei magica. Numero ricorrente nella Bibbia.’

‘Si, amore, ma nella Bibbia &egrave anche detto che bisogna perdonare, e tu devi perdonarmi?

‘Perdonarti?’

Si, di aver importunato il tuo sonno, il tuo riposo.’

‘Questo cosa c’entra col numero ‘7’?’

‘Perché devi perdonarmi settanta volte sette’ e poi ricominciare di nuovo!’

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