Skip to main content
Racconti erotici sull'Incesto

Occhio X occhio

By 11 Giugno 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

E’ tutto una gran confusione.
A cominciare da me.
Confusione di ruoli, di idee.
Confusione politica e, soprattutto, caos esistenziale.
Quello che prevale &egrave il disordine, la mescolanza disordinata. Questa &egrave la vera anarchia: nichilismo reale.
E’ un continuo raggiro di quelli che un tempo erano definiti i ‘sani principi’ che regolano la vita della comunità.
Se tutti quelli che frequentano la Chiesa, e che, in fondo, sono una esile minoranza, dovessero seguire i dettami del cristianesimo, metà del disordine comportamentale sparirebbe.
Ma io sono la meno qualificata a parlare di caos, di disordine.
Sono una vera e propria ‘casinara’. Da sempre.
Non agisco d’impulso, anzi, ma deve esserci qualcosa in me che mi spinge a prendere l’iniziativa, a stringere i tempi. E poi, la mia cura quasi ossessiva del particolare; non mi rallenta, tutt’altro, mi fa osservare attentamente situazioni, persone, cose, atteggiamenti, espressioni, mi conduce a una spontanea e immediata analisi e mi suggerisce la sintesi, curando di essere comprensibile al massimo nel riferirla.
Era più che logico che cercassi estrinsecazione e soddisfacimento delle mie caratteristiche, per cui riuscii ad entrare in un noto quotidiano come praticante.
Inizi molto duri, ma poi qualche soddisfazione, come ‘inviata’.
Fu proprio in occasione del mio primo servizio, diciamo così, autonomo, cio&egrave da sola e non affiancando un collega senior e titolare, che mi rivolsi a Roberto che in materia aveva una certa pratica. Gli chiesi qualche consiglio’.
Insomma, dopo qualche mese ci sposammo, io a ventiquattro e lui a trentadue e, in effetti, andavamo abbastanza d’accordo, perfino in materia di lavoro. Solo che, lui andava in un luogo, io in un altro, ci si vedeva non molto spesso. In ogni caso, dieci mesi dopo le nozze nacque Giulia, e per diversi mesi tornai fissa in redazione, dove spesso dovevo ‘rifare’ articoli sballati e sgrammaticati dei soliti ‘raccomandati’ politici.
Tutto bene.
Ogni volta che potevamo stare insieme era una parentesi di felicità.
A me piaceva lui, da morire.
Ed ero certa che lui trovasse in me qualcosa di speciale che, certo, non trovava nelle squallide parentesi sessuali che sicuramente si concedeva quando era fuori. Anche se lo negava con convinzione.
Questo fino a quando non gli venne offerta la titolarità dell’ufficio di corrispondenza di Tokyo.
Partì dicendo che aspettava che lo raggiungessi presto.
Telefonò spesso, dapprincipio, poi le sue notizie mi giungevano da altri. Ed infine anche gli altri tacquero. Lui passò ad altro editore.
^^^
Giulia diciotto anni, io, Rita, quarantatr&egrave.
Ero Capo Servizio, abbastanza stimata e benvoluta.
Cominciai ad accettare l’invito a cena di Simone, il condirettore, che era sui cinquanta, divorziato da tempo, con un figlio, Giacomo, coetaneo di mia figlia.
Decidemmo di ‘metterci insieme’. Io ne parlai con Giulia, lui con Giacomo. Eravamo tutti d’accordo.
La sua villetta sulla Cassia era appartata e accogliente; vasta, curata.
Giulia ed io ci trasferimmo lì, ma non portammo con noi tutte le nostre cose che lasciammo nell’appartamento di Casal Palocco, proprio dall’altra parte della città.
Simone era abbastanza calmo, metodico, buon organizzatore, e sapeva coordinare tutto abbastanza bene, senza creare, anzi attenuando, le immancabili frizioni che esistono in un giornale.
Se c’era una irrequieta, in quella casa, ero io.
Non volevo assolutamente rinunciare alle occasioni che si presentavano per fare l’inviata, quello che mi piaceva, specie quando gli eventi erano di particolare interesse.
Simone non era entusiasta di questo mio dinamismo, ma mi contentava bonariamente e non mancava di raccomandarmi cautela.
Ogni tanto, quindi, ero fuori casa, anche in luoghi lontani e qualche volta in situazioni difficili e non scevre di pericoli.
Giacomo era al secondo anno di ‘Scienze della comunicazione’. Voleva seguire le orme professionali paterne, ma il suo carattere e le sue attitudini, a mio giudizio, erano per lavori più orientati verso pagine letterarie che non per la cronaca o per impegnative campagne politiche, economiche, sociali.
Giulia aveva scelto, di contro, ‘Scienze politiche’ ritenendo che fosse la strada per affrontare con cognizione di causa un impegno politico.
Idee dei giovani. La vita, poi, ti porta in aree del tutto diverse.
Comunque io non imponevo mai il mio punto di vista.
Com’era Simone nell’intimità?
Come in tutto il resto del suo comportamento nella vita.
Gli piaceva la buona tavola, ma non era un mangione. Aveva i suoi piatti preferiti. Lodava la cuoca.
Amava le ‘chiacchierate’, non le ‘discussioni’.
Aveva le sue idee, dalle quali non demordeva, ma ascoltava quelle degli altri, rispettandole, anche quando le detestava.
Nessuna particolare impazienza erotica.
Il sesso, per lui, era una componente della vita, come l’aria, l’acqua, il cibo. Necessario e possibilmente piacevole.
Non era particolarmente fantasioso.
Nessuna volgarità.
Gradiva qualche mia attenzione, in materia, e se ne sentiva lusingato.
Le sue mani erano deliziosamente capaci di darmi brividi di piacere, così le sue labbra, la lingua.
Io facevo del mio meglio per ricambiare, e lui lo apprezzava.
Mi penetrava dolcemente, si fermava un momento per godere le contrazioni della mia vagina, e cominciava un deciso e progressivo ‘in and out’ che mi conduceva ad orgasmi travolgenti e sconvolgenti. Mi piaceva da morire quando sentivo pulsare il suo fallo e poi spargere in me il suo seme caldo e balsamico.
Se la posizione lo consentiva, avvicinava le labbra al mio orecchio, succhiava dolcemente il lobo, e mi sussurrava che ero stata meravigliosa. Ciò mi gratificava, mi eccitava, e a volte riuscivo a trasmette a lui la mia esaltazione per una nuova incantevole fusione dei nostri corpi e dei nostri spiriti.
Gli piaceva il mio seno, baciarlo, suggerlo, addormentarsi col capo su di esso.
Ed aveva una particolare preferenza per unire i nostri sessi in quella che credo che sia la naturale e primordiale posizione; ancestrale, istintiva, naturale. ‘More ferae’, dice Ovidio, ‘come le fiere’. Meno elegantemente, ma più efficacemente, &egrave detta ‘alla pecorina’.
Piace anche a me, per la verità, perché Simone non lascia inerti le sue mani, che mi strizzano piacevolmente le tette e titillano voluttuosamente il clitoride, dandomi sensazioni paradisiache, mentre lui accompagna ogni spinta, sempre più energica, con un ‘ah’ah’ah’ che &egrave il suo grido di possesso, di vittoria, di occupazione, e che termina con un lungo ‘aaaaaah’ che si fonde col mio soffocato urlo orgasmico.
^^^
‘Un giorno a Bu-Melià’.
Questo era il ‘servizio’ che dovevo fare. Per la prima volta un giornalista avrebbe trascorso un giorno col distaccamento delle nostre forze armate in quello sperduto posto avanzato, a tremila chilometri dal mare, e a trecento dal più vicino aeroporto civile. E sarei stata io, una giornalista, una donna, a raccontare come vivevano, come operavano quegli uomini così distanti da casa loro.
Programma accuratamente preparato, permessi ottenuti, non solo, ma ero stata autorizzata ad essere ospitata sull’elicottero che univa l’aeroporto civile a Bu-Melià. Elicottero militare.
Simone era stato prodigo di consigli e di raccomandazioni, e mi aveva detto di mettermi sempre in contatto con lui attraverso il satellitare.
Cinque ore di volo di linea, da Roma all’aeroporto civile dove, il giorno successivo, avrei fruito dell’elicottero. Due giorni per il ‘servizio’, il quarto giorno di nuovo elicottero, e quello successivo aereo di linea. Quindi, la sera del quinto giorno, ritorno a casa.
Quasi tutto secondo programma. E quel ‘quasi’ doveva significare una svolta essenziale nella mia vita, una scelta che non avrei mai immaginato di fare.
Tutto perfetto fino all’arrivo a Bu-Melià, ancora più perfetta, se si può dire,
la collaborazione del personale militare per facilitarmi il compito. Insomma, al mattino del terzo giorno avevo già l’articolo pronto, ma decisi di perfezionarlo al ritorno in sede e non trasmetterlo col satellitare. Parlai con Simone e mi limitai a dirgli che tutto andava bene.
Era la sera del terzo giorno. Cordialità a mensa, e il comandante fece un particolare brindisi in mio onore, e mi disse che, se volevo, l’indomani avrei potuto profittare che lui tornava in sede, per motivi di servizio, e che all’aeroporto civile dove saremmo atterrati con l’elicottero, c’era un ‘Falcon’ ad attenderlo. Sarebbe stato lieto di ospitarmi a bordo. Nel pomeriggio saremmo arrivati a Roma. Una raccomandazione: non parlarne con nessuno, tanto meno farlo sapere al giornale, era una missione riservata.
E fu così che il giorno precedente a quello previsto, scesi dal taxi, entrai in casa.
Molto silenzio, in giro,
Mi guardai intorno, felice di essere tornata, soddisfatta per quanto avevo potuto realizzare.
Mi avviai verso la nostra camera, al piano superiore, ma passando davanti allo studio di Simone fui attratta da qualche rumore che proveniva da quella stanza. Mi avvicinai.
‘Ah’ah’ah’, il grido soffocato di Simone quando’ Ma non ero io con lui. Allora?
Mi chinai al buco della serratura.
Lo so, lo so, che non si deve spiare in quel modo; ma andatevi a far benedire, sentivo che il mio compagno stava certamente scopando, ma con chi?
Guardai.
Il didietro di Simone che era tutto intento a stantuffare qualcuna che stava appecoronata sulla sua scrivania. Il ritmo andava sempre più intensificandosi, ed ecco il suo ‘aaaaaah’ finale, dopo di che, ancora qualche sussulto, e poi lui si staccò da quella ‘lei’, e si accinse ad alzare i pantaloni, ad abbottonarsi.
‘Lei’ era ancora a pecoroni. Uno bellissimo culetto, non c’&egrave che dire, e doveva essere anche abbastanza giovane.
Finalmente si alzò anche lei, si voltò! Era Giulia!!!
Istintivamente, stavo per irrompere nella camera, gridando, chiamandoli con i peggiori epiteti. Avrei schiaffeggiato quella puttanella di mia figlia, avrei sputato in faccia a lui’
Fu solo un attimo. Qualcosa, nella mente, mi disse: ‘e poi’?’
Già. E dopo?
Con cautela, senza far rumore, riuscii da casa, richiusi piano la porta. Bussai.
Dovetti anche ribussare.
Ecco Simone, con la sua solita aria, come se non fosse accaduto niente.
Si disse felicemente sorpreso del mio anticipato rientro, mi abbracciò, mi baciò, prese la mia sacca, mi accompagnò nella nostra camera cingendomi la vita.
Gli chiesi dei ragazzi. Mi rispose:
‘Giacomo all’università, Giulia, credo, nella sua camera a studiare.’
Avevo bisogno di un bagno. Non della doccia, ma di crogiolarmi nel tepore d’una vasca, e pensare.
Mi asciugai lentamente, mi profumai, mi vestii e lo raggiunsi nel suo studio.
Mi propose di andare a cena fuori e dopo’.
Non lo lasciai finire.
Andava benissimo per la cena, magari sul lago, non troppo lontano, ma dopo’ avevo un forte mal di testa, certamente dovuto allo strapazzo di quei giorni.
Dopo, aggiunsi, avrei cercato di rilassarmi ripercorrendo gli appunti presi o quelli registrati, e sarei andata a letto dopo aver preso un sonnifero.
^^^
Nessuna scenata, decisi, avrei agito diversamente.
Avevo consegnato il servizio relativo a Bu-Melià, e dissi a Simone che desideravo fare qualche acquisto. Uscii dal giornale poco prima dell’ora di pranzo. Andai direttamente dove Giacomo stava a lezione, sapevo che sarebbe uscito di lì a poco, fermai l’auto proprio davanti al cancello. Mi vide subito e mi venne incontro sorridendo, con la sua solita aria pacifica e serena.
‘Come mai sei qui?’
‘Ho fatto delle spese, ero da queste parti, sapevo che uscivi. Ti ho aspettato. Sei a piedi?’
‘Si, sono a piedi.’
‘Sali, ti offro il pranzo.’
Salì sull’auto, indossò la cintura di sicurezza.
‘Grazie, Rita, sei veramente molto gentile.’
‘Non &egrave che guasto i tuoi programmi?’
‘Nessun programma.’
‘Non so, dovevi andare con qualche amica, con la tua ragazza.’
‘Lo sai che non ho la ragazza.’
‘Un giovane come te?’
Divenne alquanto rosso, in volto. Si notava che era impacciato.
‘Vedi, Rita, mi trovo a disagio a parlarne, anche perché ogni volta che ho tentato con papà lui ha sempre troncato tutto dicendo che sono giovane, devo attendere il mio tempo.’
‘Tempo di cosa? Ormai sei vicino ai venti. Io credo che ‘scusa la brutalità- alla tua età la maggioranza dei ragazzi hanno già le loro esperienze.’
‘Io, invece, non ne ho. Non so da che parte cominciare. Forse mi perdo in chiacchiere. Lo so che mi chiamano ‘l’imbranato’.’
‘Beh, caro Giacomo, io proprio non ti vedo come ‘imbranato’ con i superbi risultati scolastici che hai. Forse un po’ fuori della modernissime abitudini dei giovani.’
Alzò le spalle.
‘Forse sarà come dici tu. Ma’ dove stiamo andando?’
Gli posai la mano sulla coscia. Affettuosamente’
‘Che ne dici a Sabaudia? Si mangia benissimo in quel nuovo elegante albergo.’
‘OK’
Nel togliere la mano dalla sua coscia, presi la sua e la portai sulla mia.
Lui mi guardò, con un’espressione che non capii, ma rimase così.
‘Fammi capire. A te, però, piacciono le donne?’
‘Ma &egrave naturale, credo.’
‘E preferisci le pollastrelle o le ‘navigate’?’
‘Veramente non ho elementi di paragone.’
‘Mah, io penso che tu abbia bisogno di tanta dolcezza, di coccole. In fondo sei un bambinone. Un bellissimo bambinone, ma, almeno in materia, ti senti un po’ confuso. Vero?’
Annuì, senza rispondere.
Misi la mia mano sulla sda, che stava sempre, inerte, sulla mia coscia, la strinsi e, quasi distrattamente, la trascinai un po’ più in alto e più verso il grembo.
Questa volta sentii che la muoveva. Una lieve stretta, poco più d’una carezza.
Eravamo sulla strada Pontina, verso Sabaudia.
Mi veniva da ridere.
Vuoi vedere, pensavo, che Giacomo &egrave un verginello?
Guardando la strada, senza volgermi verso lui, cercai di avere una voce tranquilla, come se lo intervistassi.
‘Giacomo, scusa. Se vuoi puoi non rispondermi. Ma dimmi, lo hai’mai’ fatto?’
Gli occhi gli si riempirono di lucciconi. Anche lui guardava la strada. Aveva le labbra strette. Scosse il capo, in segno di diniego. E sentii che la sua mano si appesantiva. Proprio là dove le cosce si uniscono.
Forse il mio ‘piano’ stava procedendo nel senso desiderato.
Assunsi un’aria materno-protezionistica-comprensiva.
Allungai la mano, gli feci una carezza sul volto, mi voltai, senza perdere d’occhio la strada, gli sfiorai la guancia con un bacio.
Mi guardò con occhi lucidi e riconoscenti.
Gli sorrisi.
Eccoci arrivati.
Parcheggiammo, entrammo nell’hotel. Pochissima gente. Non era ancora la stagione dei bagni. Sulla spiaggia dorata, due soli ombrelloni e non più di una decina di persone. Mare abbastanza calmo.
Ci chiesero se desiderassimo una cabina.
Non avevamo i costumi, e poi il clima non era proprio quello adatto.
Chiesi a Giacomo se gradisse stare un po’ sulla spiaggia. Guardò l’orologio. In effetti eravamo quasi all’ora solita del pranzo.
Risposi al receptionist che preferivamo prima andare al restaurant. Ci fece accompagnare. Anche qui poche persone.
Potemmo scegliere un tavolo discretamente appartato e nel contempo di fronte al mare.
Dissi a Giacomo che andavo a darmi una rinfrescata.
Anche lui era della stessa idea, per sé.
Le toilettes erano in fondo alla sala, nel piccolo corridoio verso la hall.
‘Ti aspetto, Rita.’
‘Grazie, caro, ma io sarò certamente più lenta. Tu, quando sei pronto, va pure al tavolo.’
Entrai nella toilette, mi guardai allo specchio.
In fondo, niente male, pensai, un volto abbastanza fresco, un personale non appesantito.
Prima di tornare in sala, mi ravviai i capelli, detti un leggero tocco di rossetto alle labbra, controllai il vestito, i fianchi, sbottonai sia un bottone superiore che uno inferiore. Aumentava la scollatura e quando mi sedevo si sarebbe un po’ aperto, specie in auto, scoprendo le gambe, anche oltre il ricamo delle ‘autoreggenti’ che indossavo. Chissà se Giacomo se ne sarebbe accorto.
Quando giunsi al tavolo, si alzò, attese che io sedessi, sedette anche lui.
Il maitre ci porse il menu.
‘Io suggerirei, Giacomo, due ‘bavettine al granchio’, pochissime, e, se la hanno, una bella aragosta.’
Il maitre assicurò che erano speciali, ancora vive, e in attesa di essere bollite e servite.
Giacomo si dichiarò d’accordo.
Per il vino dissi al maitre che mi affidavo al sommelier.
Mi curvai verso Giacomo.
‘Speriamo che sia tutto come spero.’
Mi accorsi che stava fissando la mia scollatura che lasciava generosamente scorgere la mia ‘quarta misura’. Per intenderci, la stessa di Moana Pozzi o della interprete di Bay-Watch. E tutto ancora ben sodo e conservato, e uso solo reggiseno a balconcino.
Giacomo sembrava come incantato.
Seguitai a parlargli, sottovoce.
‘Non so cosa pensi della scelta che ho fatto” ‘mi riferivo al cibo- ”ti piace?’
‘E come se mi piace! Splendido!’
‘Splendido?’
‘Scusa, volevo dire splendida.’
Ci guardammo. Mi sembrava un po’ rosso in volto. Mi veniva il desiderio di togliere la scarpa, allungare il piede e accertarmi dell’effetto che avevo fatto sul suo ‘coso’.
Già, il suo ‘coso’ ancora’ inutilizzato.
Questo non lo avevo previsto, ma la cosa mi eccitava, e sentivo che il tepore che mi invadeva tra le gambe, lo confermava.
Tutto fu al di sopra di ogni aspettativa.
Anche la macedonia di frutta allo champagne.
Aggiunsi una generosa mancia al conto e detti la carta di credito. Mi portarono la macchinetta per il codice segreto. Battei i numeri, mi fu restituita la carta. Chiesi se fosse possibile stare un po’ sulla spiaggia.
‘Per me un lettino. Per te, Giacomo?’
‘Preferisco una sedia, quelle che si chiamano da ‘regista’.’
Il maitre chinò il capo e rispose che potevamo andare in spiaggia il bagnino sarebbe giunto immediatamente.
E così eravamo al tepore pomeridiano, e per fortuna senza vento.
Il bagnino piantò l’ombrellone, distese il lettino, aprì la sedia, intascò la mancia, ringraziò e se ne andò.
Mi sdraiai sul lettino.
‘Forse potrei appisolarmi, Giacomo, ma tu svegliami, per favore.’
Mi accomodai, di fianco. Poiché il vestito ‘tirava’ un po’ (non era vero) sbottonai ancora un paio di bottoni. Chiusi gli occhi, detti la sensazione di addormentarmi subito. Giacomo era in poltrona, di quelle fatte con strisce di tela, mi guardava. Mi mossi. Le mani, inavvertitamente, tirarono ancora più su il vestito, semiaperto. Cosce in mostra, e tette che stavano quasi fuoriuscendo dalla scollatura. Socchiusi appena gli occhi per guardare Giacomo. Mi fissava, vedevo e sentivo, che il suo sguardo mi percorreva tutta, frugava, cercava di insinuarsi nella scollatura, lui si chinava per scrutare meglio le gambe.
Feci un lungo respiro, mi misi supina, con le gambe divaricate. Il vestito, ormai, le scopriva del tutto, credo che si vedessero anche le mutandine. Quel giorno erano leggerissime, di pizzo nero come i miei peli, e credo che qualcuno fuoriuscisse perché io sono molto parca nella depilazione. Penso che se ci sono &egrave perché debbano rimanerci. Li considero, anzi, un abbellimento e un’attrattiva. Mi veniva in mente il racconto della mia tata ‘era bavarese- ‘nel folto della foresta nera c’era il tesoro di Gretel’. Di Rita, quindi, come me.
Giacomo si chinò verso me, tese la mano e, delicatamente, prese l’orlo del vestito per tirarlo un po’ giù, ma la mano carezzava la mia coscia, si soffermava, poi pensò bene di rialzare il vestito, anche più di prima.
Io avevo in mente che dovevo ‘farlo’ nello studio di Simone, dove lui aveva incavallato quella porcella di Giulia. Insomma, si &egrave capito che il principio era: ‘tu ti sei scopata mia figlia, io mi scopo tuo figlio’, ma con quel verginello era meglio cominciare l’approccio in un ambiente più consono a una ‘prima volta’. Per lui, logicamente.
Aprii gli occhi, gli sorrisi, alzai le gambe poggiandole sui talloni. Il vestito era completamente aperto.
‘Io, quasi quasi, mi farei un vero e proprio riposino, a letto”
‘Vuoi rientrare?’
‘No, pensavo di farci dare una camera.’
‘OK, ti aspetto qui.’
‘Ma no, tesoro, anche a te fa bene un riposino. Vieni.’
E fu così che ci trovammo in una camera dove, contrariamente al richiesto (con mia strizzatine d’occhio) non c’erano due lettini, ma una bel matrimoniale.
Giacomo guardò il letto. Sembrava turbato, smarrito, confuso.
‘Non ti preoccupare, Giacomino, tanto si tratta di un sonnellino. Io, però, sento la necessità di essere più libera. Userò il vestito come camicia da notte. Sparii nel bagno, con la mia capace borsa sportiva, mi denudai completamente, indossai il vestito e lo appuntai con solo due bottoni davanti. Tette liberissime, cosce e gambe ampiamente mostrate.
Tornai e mi distesi sul letto.
‘Dai, Giacomo, sdraiati. Togli il giubbotto, slaccia la cinta. Se vuoi puoi restare in boxer.’
‘Grazie, va bene togliere il giubbotto e le scarpe.’
Movimenti timidi, impacciati. Si sdraiò, proprio sulla sponda, il più lontano possibile da me. Dritto, rigido, immobile.
La camera era avvolta nella penombra.
Io mi voltai verso lui, su un fianco, con gli occhi chiusi e appesantii il mio respiro, come di chi dorme. Una tetta del tutto fuori del vestito, una gamba verso di lui. Quella di sotto, mentre l’altra era stesa. Chissà se la mia ‘foresta nera’ era sufficientemente visibile.
Dopo un po’ lui si voltò verso me. E mi guardava insistentemente. L’espressione del suo volto era mutevole.
Allungò piano una mano, verso il seno, la poggiò delicatamente su di esso. Era caldissima. Feci un profondo sospiro e mi avvicinai un po’ a lui, sì che la mano avanzò ancora. Mi mossi appena.
‘Cavolo’, pensavo, ‘e deciditi a carezzarla’. Sentivo i capezzoli rigidi bisognosi di sentirsi toccati, baciati, ciucciati.
La mia mano si poggiò sul suo petto, scese pian piano. Cintura sbottonata, ma zip alzata!
Con un ‘primavoltino’ c’era da aspettarsi di tutto, anche che si alzasse e scappasse. Comunque, l’unica cosa da fare era tentare.
Senza fretta. Giù la zip, lentamente. La sua mano afferrò la tetta, le sue dita presero il capezzolo ‘finalmente- lo strinsero, lo torsero con dolcezza. Ero entrata nei suoi pantaloni, nel suo boxer.
Però, il ragazzo timido, era ben dotato, ed arrapato in modo indescrivibile. Mi sembrava un obelisco con una punta come a pagoda, calda e fremente. Si muoveva impercettibilmente, Giacomino, eccitatissimo.
Ora la sua mano era scesa. Aveva trovato la ‘foresta nera’! La carezzava, timidamente, aveva quasi paura di entrarvi. Mossi le gambe per fargli comprendere che sì, quella era la strada.
Lo spiavo, di sottecchi, stava ansando, era nervoso.
Ormai, forse, eravamo al punto di ‘non ritorno’.
Non aprii gli occhi, ma mi sollevai un po’ e con entrambe le mani mi destreggiai per fargli togliere i pantaloni. Lo comprese subito, collaborò. Pantaloni boxer caddero sul tappeto. L’obelisco era magnifico, maestoso. Infilai la mano sotto la sua polo, gli carezzai il petto, la sollevai. Lui la sfilò del tutto e la gettò sui pantaloni.
Lo attirai a me. Ero supina’ tolsi rapidamente il vestito. Rimasi nuda, col seno eretto, le gambe divaricate, vogliosa e golosa. Se era una vendetta era spaventosamente eccitante.
Lo tirai tra le mie gambe, presi il fallo, lo condussi all’umido tepore della mia vagina vibrante.
Entrò di colpo, frenetico’ e subito dopo sentii invadermi del suo seme bollente, con la mia vagina impazzita e allupata che non si fermava. Ma quella scarica violenta che mi aveva inondata non aveva diminuita la sua virilità, anzi’ e la natura gli disse come pompare, con decisione e forza. Io stavo salendo a vette sconosciute di piacere, di voluttà, sentivo che gemevo, sempre più forte, che stavo per essere travolta, sconvolta, da un orgasmo meraviglioso. Mi sembrò di perdere i sensi. Ancora un fremito, e giacqui. Esausta, mentre una seconda piena si spandeva in me. Non mi ricordavo di aver ricevuto mai tanto seme, e così caldo, nel mio grembo.
Lui giaceva su me.
Eravamo sudati, ansanti.
‘Giacomino, bambino bello, sei stupendo.’
‘Non capisco niente, Rita. Non potevo immaginare che fosse così bello. Grazie, grazie, non saprò mai come ringraziarti.’
‘Sei contento?’
‘Pazzamente felice, ma’.’
‘Ma, cosa!’
‘Sei la donna di mio padre.’
‘Sono una donna, Giacomino, solo una donna! E tu sei un maschio stupendo.’
Lo sentivo rifiorire in me.
E questa volta fu un lunghissimo, struggente amplesso che ci condusse a voluttà incredibili, inimmaginabili.
Quando, dopo baci, carezze, inebrianti ciucciate di capezzoli, sgusciò dal mio sesso, mi resi conto di quanto impiastricciati fossimo e di come la testimonianza della nostra passione lasciasse traccia nel letto.
^^^
Ero andata nel bagno, per ovvi motivi.
Avevo alzato il mio vestito, lo avevo messo sulla spalliera della poltrona.
Ero nuda, completamente, e alquanto scarmigliata,
Mi sentivo bene, tremendamente bene, rilassata come non mai.
Avevo lasciata la porta aperta.
Giacomo era supino, con le mani sotto la nuca, le gambe semidischiuse, il fallo non completamente floscio. Mi seguiva con gli occhi, curioso, avido. Certamente aveva visto qualche femmina nuda, ma adesso aveva scoperto la ‘donna’. Era qualcosa di diverso.
Quando tornai, mi ero data una pettinata, mi ero lavata anche il volto.
Mi sdraiai accanto a lui, nella sua stessa posizione.
Si mise sulle ginocchia, seduto sui talloni, rivolto verso me, e mi guardava. Voleva sorridermi, ma la sua espressione era soprattutto di stupore, come a volte capita di fronte a un’opera d’arte, o della natura, che ci sorprende, ci incanta, ci ammalia. Guardava il mio corpo, dalla cima dei capelli all’alluce, poi fissava i miei occhi. Tornava ad esplorarmi.
Allungò una mano, carezzò il mio ventre, con tenerezza, poi il seno, quindi andò al pube. Non erano del tutto accostate le mie cosce, e le schiusi di più. Si abbassò, per vedere meglio.
Mi venne spontaneo di accendere la luce. Tutte le luci, del centro della camera, del comodino, della toilette.
I suoi occhi mi ringraziarono.
La sua mano carezzava i peli, un dito s’era intrufolato, timido ed esitante, tra le grandi labbra. Alzai le ginocchia, aprii del tutto le gambe. Dallo specchio vedevo il mio sesso, rosa, offerto ai suoi occhi affascinati. Col medio toccò i clitoride, quasi fu intimorito dal sentirlo ergersi, vibrante e voglioso. Mi guardò, senza parlare. Proseguì, sentì il rorido ingresso della mia vagina fremente. Rimase esitante, poi decise di infilarlo quel suo voluttuoso ditone, e certamente sentì le contrazioni delle pareti.
Il suo ‘coso’, intanto, s’era impetuosamente eretto, lo afferrai. Pulsava. Non volevo interrompere la sua perlustrazione, ma Giacomo era eccitatissimo e impaziente. Mi guardò come per chiedermi se poteva farlo. Il battito delle mie ciglia gli dissero la mia attesa. Stava per montare su me. Dolcemente, con la mano, lo trattenni, lo spinsi sul letto. Ero io che desideravo cavalcarlo, impalarmi sul suo meraviglioso pennone, sentirlo in me, al massimo.
E mi misi a cavallo a lui, presi il glande, lo condussi alla vagina, e mi infilai lentamente, completamente.
Mi afferrò le natiche, mi attrasse a sé, poi, quando cominciai la mia cavalcata, dapprincipio controllata, prese a tormentarmi il seno, i capezzoli, e a mano a mano che il mio galoppo diveniva sempre più travolgente, il suo bacino balzava, mi veniva incontro, si allontanava, ed io stavo morendo dal piacere, avrei voluto urlare, ed a stento riuscivo a soffocare il mio gemito. Poi fui percorsa da un lungo fremito che coinvolse tutta la mia persona, mi abbassai su lui, gli misi un capezzolo tra le labbra’ lui succhiò’ succhiò’ io ero al massimo del piacere, vicinissima al traguardo’ Tagliai il traguardo con un grido di gioia, e mi abbattei, sfinita, appagata, sul suo petto, mentre un fiume di tepore balsamico si spandeva nel mio grembo.
‘Giacomino, tesoro mio.’
La sua mano mi carezzava la schiena, le natiche.
‘Rita, non lo credevo possibile.’
‘Giacomino, perdonerai questa vecchia? La perdonerai?’
‘Sei splendida, Rita, meravigliosa, la più bella e più giovane donna del mondo, peccato che”
Si era fermato. Taceva.
‘Peccato che, bambino mio?’
‘Che questa giornata &egrave al suo termine”
Lo baciai appassionatamente.
‘Si, amore, ma ricordi la frase famosa: ‘domani &egrave un altro giorno’?’
‘Anche per me?’
‘Certo, piccolo bello, certo. Domani, posdomani ed ancora”
Lo sentii muoversi in me.
Era vero, cominciava ad avvicinarsi l’ora del rientro.
‘Dobbiamo alzarci, tesoro”
Riuscii, a malavoglia, a tirarmi su, scendere dal letto, mi chinai per prendere le scarpe. Sentii qualcosa dietro me. Giacomo s’era alzato e stava abbracciandomi. E con naturalezza, il suo ‘coso’, sempre pronto e arzillo, s’era infilato tra le mie natiche, lo sentivo, meraviglioso e’ golosa! Mi voltai verso il comodino, mi ci appoggiai con le braccia, portai dietro me una mano, presi il suo fallo e lo condussi al mio sempre fremente e insaziabile sesso.
Giacomo non aveva previsto ciò, ma da quel magnifico ed eccezionale apprendista che era, mi penetrò con decisione, e si afferrò alle mie tette, cominciando uno stantuffare che mi recava sensazioni paradisiache, col mio sedere che si agitava con perfetta sincronia, e la vagina che cercava di mungerlo al meglio.
Lo sentivo, e come se lo sentivo, e sentivo anche il suo ‘ah’ah’ah” che accompagnava ogni voluttuoso affondo mentre il suo pube batteva sulle mie chiappe che percepivano anche il calore dello scroto.
Anche lui, come il padre: ‘ah’ah’ah’ e proprio quando io, ancora una volta nella stessa giornata, anche in pochissime ore, cosa che non mi era capitata mai, stavo godendo un orgasmo sempre più appagante, il suo lungo ‘aaaaaaaah’ fu contemporaneo al nuovo e delizioso straripamento delle sue inesauribili seminali.
Rimanemmo abbastanza a lungo così.
Fui io a dare segni di doverci muovere.
Sgusciò da me, rimase in piedi. Mi tirai su’ corsi in bagno, lui mi guardava incantato.
^^^
Il ritorno fu un misto di allegria e mestizia. Soprattutto per lui, un velo di tristezza.
‘Pentito, Giacomo?’
Mi guardò con occhioni splendenti.
‘Come puoi immaginarlo? Una cosa incredibile, inattesa, insuperabile.’
‘Allora, perché quel volto così pensoso, quasi sconsolato?’
‘Perché’ perché’ perché.. e dopo?’
‘Dopo che.’
‘Dopo quello che mi hai donato, che mi hai fatto provare, come farò senza te?’
Lo guardai intenzionalmente.
‘Perché, non mi vuoi più?’
Mi strinse una coscia.
‘Non scherzare, Rita. Sarai tu a non volermi più.’
Gli carezzai dolcemente il volto.
‘Sciocco bambino. Se non fossimo in auto, qui, nel traffico, ti farei vedere io se ti voglio ancora o no.’
‘Dici davvero?’
‘Ho l’aria di una che scherza? Io credo, invece, che le giovani ragazze ti faranno dimenticare e ridere di questa povera ‘tardona’ alla quale hai fatto vivere un indimenticabile pomeriggio.’
‘Staremo ancora insieme?’
‘Sempre e quando vorrai.’
Incurante della mia guida, mi baciò sulla bocca, e quasi mi toglieva del tutto la visuale.
^^^
Avevo sentito un qualcosa di diverso, di particolare, insolito, sorprendente, quando Giacomo entrava in me.
Pensai che era la novità, la sua gioventù, l’attrazione del proibito. Perché era un ‘quasi incesto’.
Lo cominciai a pensare da subito.
Poi, quella buffa idea del ‘quasi incesto’ sfumò. Dapprima lentamente, quindi totalmente. Che c’entra l’incesto, come potevo considerarlo tale quando non ‘erano legami di sangue, parentela, affinità tra me e lui.
Certo, non &egrave frequente che una ultraquarantenne, anche se ‘ben conservata’ come me, vada a letto col ventenne figlio del suo uomo. Questo sì. Ma era così bello.
Le volte successive confermarono quel voluttuoso particolare che mi faceva rabbrividire e godere in modo eccezionale e fantastico quando sentivo il suo fallo che mi penetrava’ Oddio, fremo al solo pensarci.
Avevamo, o meglio avevo, preso in fitto un minuscolo monolocale nel ‘residence’ non lontano dalla villa di Simone. Poco prima di giungervi, e poco discosto dalla Cassia. Arredato, dotato anche di biancheria da letto e da bagno. Con cucinino, frigo. Tutto, insomma. E la direzione del residence provvedeva alla pulizia, al cambio, a rifornire il frigo e ad acquistare ciò che volevamo. Bastava scriverlo sul ‘notes’ che era sul tavolino della cucina.
Non avevamo un orario fisso, proprio per non attirare l’attenzione né dei nostri familiari né di altri, e vi giungevamo sempre divisi.
Erano scopate spettacolari, che mi lasciavano senza fiato.
Non mi sottraevo, logicamente, alle pur sempre garbate attenzioni sessuali di Simone. Ma con Giacomo era tutt’altra cosa.
Dovevo rendermene ragione, capirlo. Era solo questione di ‘testa’?
Mi venne in mente di parlarne con Clara. La mia ginecologa che, tra l’altro, era anche la mia compagna di banco del liceo, la mia migliore amica, l’unica persona con la quale confidavo.
Le chiesi un appuntamento per una visita, al suo studio.
Volevo cominciare con un parere professionale.
Mi disse che andava bene, per lei, quello stesso pomeriggio, verso sera, dopo l’ultima paziente.
Fui puntualissima.
Clara mi accolse con l’entusiastico affetto di sempre.
Mi domandò se avevo qualche disturbo, e se l’incontro era esclusivamente professionale.
La guardai, per la prima volta con qualche disagio.
Come cominciare?
Eravamo seduti sul divano del suo studio.
Sentivo di essere molto seria. Ero venuta per una specie di curiosità, ora mi trovavo di fronte al dilemma: tacere e fingere, o dire tutto?
Ormai che c’ero, dovevo dire tutto.
Non dissi chi era, Giacomo, mi limitai ad accennarne come ‘un giovane ventenne’ che mi dava quel particolare piacere ogni volta che entrava in me.
‘Lo sento, Clara, lo sento’ &egrave differente’ non &egrave solo immaginazione”
Clara assunse un tono professionale.
Oltre che ginecologa era anche una bravissima sessuologa e studiosa dei problemi collegati a tale materia.
Fece un profondo respiro.
‘Scusa, Rita, &egrave un bullo, un giovane spavaldo e prepotente?’
‘Ma no, Clara, &egrave un bellissimo ragazzo, ma buono, carino, gentile. Un ragazzo di buona famiglia. Frequenta l’università’
‘Trovi che il suo pene sia troppo grosso?’
‘Grosso &egrave, ma non ‘troppo’.’
‘Cerca di spiegarmi cosa intendi per ‘insolita’ sensazione.’
‘Vedi, mi sembra che oltre il suo fallo entri in me anche un dito che, entrando mi carezza, mi titilla, mi porta quasi subito all’orgasmo. E che orgasmo!’
‘Beh, può capitare una coincidenza. Il glande può avere una protuberanza proprio in corrispondenza a quella parte della vagina che, secondo recenti ricerche, contiene il punto ‘G’. Quindi, quella protuberanza titilla, come dici tu, quel punto e di conseguenza avviene qualcosa di particolarmente’ piacevole. Sono eventi rarissimi, ma’ beata chi lo può constatare. Ma dimmi, come ti &egrave capitato di incontrare questo raro e delizioso fenomeno?’
Alzai le spalle.
‘Niente, Clara, l’ho fatto per vendetta.’
‘Vendetta?’
Annuii.
‘Si!’
‘Che meravigliosa e fortunata vendetta!’
Parlammo di altro, ricordammo i nostri tempi passati.
Quando la salutai, mi raccomandò di vendicarmi il più possibile!
^^^
Dovevo rendermene conto.
Giacomo era sul letto, nudo. Io accanto a lui, vestita come lui!
Il fallo era, come al solito, rubizzo e’ pronto.
Lo presi dolcemente nella mia mano, mi chinai su lui, lo scappellai teneramente. Lo osservai accuratamente.
Era vero! Sulla parte superiore esterna c’era come una gobbetta.
Quella gobbetta corrispondeva alla parete superiore della mia vagina.
Evidentemente il mio punto ‘G’ era là!
Mi misi a cavallo a lui. Sempre tenendo il suo glande tra le dita, mi impalai lentamente, molto lentamente, e sì, proprio così, a un certo momento, sentii sconvolgermi da quella eccitante sensazione di sensualità. Mi sollevai un po’, tornai ad abbassarmi. Era così: la gobbetta strofinava un certo punto della mia vagina e sembrava come se spingesse il ‘bottone’ della voluttà. Una voluttà travolgente.
Forse era questo che intendeva Henry Miller quando prometteva a Tania di ‘stirarle le pieghe della sua fica’, nel ‘Tropico del cancro’.
Certo che Giacomo aveva il ferro giusto per stirare le mie.
E ne profittai.
Le cose andarono avanti così per un bel po’. Ma questa mia vendetta era strana. Lo sapevo solo io che era una vendetta!
E’ vero che la vendetta &egrave un ‘piatto che va gustato freddo, ma, a parte le numerose ripetute degustazioni che non intendevo interrompere, c’era, come dire, il completamento vendicativo quello che può essere definita la ‘notifica della vendetta’.
Ci siamo.
Simone mi telefona, mi dice che doveva trattenersi al giornale e che, invece della solita ora, sarà a casa alle 23 preciso. Non dovevo attenderlo per la cena.
Comunicai la cosa a Giacomo, ma con una lieve modifica: ‘tuo padre, per sopravvenute esigenze, sarà al giornale tutta la notte’.
Quindi allestii la cena, con particolare cura nell’apparecchiare la tavola, scelta di vino particolare ed anche una ‘demi’ di champagne. Non c’era motivo ufficiale di festeggiare, ma io lo avevo e qualcosa l’avrei inventata per giustificare, con Giacomo, quella bevuta.
Cena, come al solito, alle 21 esatte. Poi in salotto a vedere la TV, sul divano.
Mancava più di un’ora al rientro di Simone. Lui era cronometrico, fino alla esasperazione.
Dovevo calcolare e dosare i tempi.
Qualche commento sui fatti del giorno, sul telegiornale, poi, con molta accortezza, qualche ‘avance’, da parte mia, senza correre troppo, però. Ogni tanto Giacomo diventava impaziente, deliziosamente impaziente, ma io sapevo che quella sera dovevo condurlo quasi insensibilmente al punto che mi ero prefissa.
Mancava poco alle 23.
Gli chiesi scusa, gli dissi che dovevo allontanarmi per un momento e che, poi, sarei andata nello studio di Simone per cercare alcune carte, anzi, era meglio se mi avesse preceduto, l’avrei raggiunto in pochi minuti.
Il tempo di andare in camera, darmi una ‘rinfrescata’, dappertutto, togliermi le mutandine, guardarmi allo specchio, una ritoccatine qua e là. Ed eccomi nello studio, dove Giacomo mi aveva preceduto, lasciando la porta appena dischiusa. Dalla fessura, dalla serratura, si vedeva benissimo la scrivania.
Andai alla poltrona, l’allontanai, rimasi in piedi, mi chinai per aprire un cassetto.
‘Giacomo, per favore, vieni qui. Aiutami.’
Giacomo era dietro me, ne profittò, come avevo previsto, per abbracciarmi, palparmi le tette, spingere il suo voluttuoso malloppo tra le natiche, infilare la mano sotto il vestito’
‘Ma tu, Rita, sei”
Mossi il deretano, significativamente.
‘Sono come’ mi senti”
Nel contempo, poiché la pendola stava per battere undici rintocchi, mi poggiai sulla scrivania, nella posizione che a lui, sapevo, piaceva moltissimo.
Infatti, armeggiò per sollevare il vestito e rovesciarlo sulla mia schiena, abbassare la zip dei suoi pantaloni, abbassarli, sfilarli del tutto, togliersi il boxer, e tra le mie bramose chiappe sentii procedere lo scettro vivente che mi faceva morire di piacere. Avanzò, maestoso, grandioso, imponente, e s’infilò, possente, tra le vibranti labbra della mia avida e vorace vagina che fu percorsa da quell’inebriante brivido che solo lui sapeva donarmi.
Sentii, in quel momento, che stava aprendosi l’uscio di casa.
Giacomo aveva cominciato la sua frenetica progressione verso il piacere che ci avrebbe travolto.
Ad ogni voluttuoso ‘colpo’ il suo ‘ah”.
Alzai appena il capo per guardare lo spiraglio. Vedevo un occhio!
Il ritmo di Giacomo era incalzante, sempre di più.
‘ah’ ah’ ah…’
Io mi dimenavo pazzamente, e mugolavo.
Poi la fusione dei nostri gemiti, sospiri; e il comune, appagante, meraviglioso, lungo ‘aaaaaaaaaah!’
L’occhio, allo spiraglio della porta, era fisso su di noi.
Poi sparì.
Giacomo rimase ancora un po’ in me, poi sgusciò.
I suoi boxer ci servirono per impedire di lasciare tracce sul pavimento.
Gli dissi che era stato bellissimo, che dovevo andare un po’ in camera.
Andai in camera.
Simone, in camicia, con la cravatta slacciata, era seduto in poltrona, con una espressione spaventosa, come di un condannato a morte.
Entrai, chiusi la porta.
Mi guardò con occhi stanchi, sbalorditi.
La voce era bassa, roca.
‘Ti ho visto, Rita. Con mio figlio’.’
Mi fermai di fronte a lui, eretta, quasi in atteggiamento di minaccia.
‘Lo so, Simone. Ma non dirgli niente’ Come io non ho detto niente a Giulia!’
^^^ ^^^ ^^^

Leave a Reply