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Racconti erotici sull'Incesto

Radici… Rami… Frutti…

By 1 Ottobre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Il seme cade nella terra…
si dischiude.
Da esso, lentamente, partono fuori lunghi filamenti, s’ingrossano, penetrano sempre più nel terreno, si sviluppano sempre più, fanno capolino in superficie, puntano verso il sole, crescono’ crescono. Dal corpo principale, il fusto, spuntano infiorescenze, si allungano, divengono rami.
Il ramo s’ingrossa, si ricopre di foglioline, di gemme che lentamente germogliano, si trasformano in frutti.
Il frutto matura. In sé ha un seme.
Il seme cade nella terra’
Radici, rami, frutti: distinti, ma sempre della stessa specie, famiglia’
Il seme nasce dal frutto, il frutto dal ramo, il ramo dal fusto, il fusto dalla radice, la radice dal seme’
Il seme cade nella terra’
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Come la famiglia di Peter.
Mamma Mary, il superbo albero.
Susy e Peter, suoi figli, i vigorosi rami.
Diana, figlia di Peter, il meraviglioso frutto.
Magnifici rappresentanti della stessa specie, stessa razza.
Un gruppo perfettamente affiatato, in perfetta simbiosi, strettamente unito.
Nessuno aveva mai sentito la mancanza di Gano, l’uomo che Mary aveva sposato, a suo tempo, e che dopo tre anni partì per un luogo che non volle dire, e dal quale non tornò mai. Neppure per conoscere Peter, nato sei mesi dopo la sua partenza.
In effetti, non lo ha mai rimpianto nessuno. Neanche Mary che, pure, aveva perfino creduto di amarlo, anche se ne era stata delusa, affettivamente e sessualmente, subito dopo le nozze.
Vita serena, comunque.
Mary s’era dedicata al suo lavoro, fino a divenire una stimata e benvoluta ‘Head Teacher’, preside, al ‘College of Education’, corrispondente alla Facoltà di Magistero dell’ordinamento italiano.
Aveva avuto altri uomini nella sua vita?
Nessuno poteva rispondere a tale domanda.
Era sempre allegra, disponibile, pronta ad aiutare tutti. Comprensiva, generosa, abbastanza indulgente pur nella sua severità esemplare. E non &egrave una contraddizione.
Ha sempre unito ‘mente e corpo’, secondo il vecchio principio dei latini, ricordato da Giovenale: ‘mens sana in corpore sano’.
Palestra, nuoto, tennis’
Che ne pensa Peter, della mamma?
Lasciamo a lui la parola.
Una gran bella donna, alta 174 centimetri, pesa 65 chili, ha un seno prospero e, da quanto ho potuto constatare, nei momenti in cui l’ho intravisto, e dagli occasionali e fugaci palpeggiamenti, ben sodo. Credo che sia una ‘quarta’. Fianchi in proporzione, glutei alti, ed anch’essi ben compatti. Ve lo posso assicurare.
Del resto, da chi avrei ereditato i miei 185 centimetri di altezza e i miei 76 chili di peso?
Per fortuna sono nato dopo Susy, altrimenti sarei stato accusato di aver preso ‘tutto io’. Ma forse &egrave stata lei, Susy, a non abusare, ed a lasciare una più abbondante razione per me, suo fratello.
Susy &egrave una bambolina, la nostra dolly. Pesa 45 chili, &egrave alta un metro e sessanta, ha piccole graziose tettine ‘massimo una ‘seconda’- e un culetto a mandolino, di quelli del tipo cosiddetto prensile.
Ha due anni più di me, Susy, ma &egrave come se fosse la più piccola. Ha sempre bisogno di coccole, carezze. Ha un istinto felino, cerca di lisciarsi a qualcuno per essere lisciata, ma solo come e quando vuole lei. Altrimenti sa come adoperare le unghiette. E’ anche abbastanza astuta, guardinga, e alquanto sospettosa. Non di me, certamente. Si fida di me, ciecamente.
Giochiamo spesso a badminton, nel prato dietro casa, il nostro prato, con allegre partite, specie dopo un tuffo nella nostra piscina.
In bikini, ha un personalino che ti affascina. A me, poi, &egrave capitato spesso di vederla ‘starkers’, completamente nuda. Capita quando si vive nella stessa casa, e si adopera la stessa doccia. Perché io e Susy abbiamo un bagno, in due, che sta tra le nostre camere-studio.
Stagione delle vacanze. Periodo scolastico finito abbastanza bene, sia Susy, che a ventuno anni ha portato brillantemente a termine il secondo anno di ‘lingue straniere’ superando il giro di boa (ne ha da fare altrettanti), sia io che, però sono solo al primo dei miei cinque anni di polytechnic.
HT, come noi la chiamiamo, Head Teacher, &egrave ancora alle prese col suo lavoro, e già programma partecipazioni a congressi, ed altro. Ha il pallino della didattica formativa, della quale spesso ci parla, anche se, per la verità, non &egrave che le prestiamo eccessiva attenzione. Comunque non mancano sfide triangolari, in piscina, a badminton; e non &egrave facile fare un tempo migliore di Mory, Mommy Mary, a nuoto. Ogni tanto facciamo vincere Susy. Io credo che lei lo capisca, ma &egrave così naturale e spontanea la sua gioia che &egrave bello vederla far festa, e per me &egrave ancora più bello sentire come viene ad esprimere il piacere della vittoria tra le mie braccia, attaccandosi al collo, baciandomi, stringendosi a me, canzonandomi’ ‘ t’ho battuto fratellone’ t’ho battuto’!’
E per sentire così, aggrappata al mio collo, le tettine appuntite sul mio petto, mentre le mani che la sostengono serrano le solide tonde chiappette’ la farei vincere mille volte.
Ogni tanto mi guarda con quei suoi occhi dolci, profondi, nei quali mi perdo, e mi sussurra: ‘E’ bello farmi abbracciare da te, fratellone’!’
Oddio, non &egrave che, più o meno scherzando, io non mi prenda qualche’ libertà’
Un delicato stringere, tra indice e pollice, dei suoi capezzolini’ e’ ‘sono proprio due belle fragoline” Oppure, una carezza-pacca sul sedere e’ ‘questo sì che &egrave granito, dolly”
Lei sorride, e sembra compiaciuta.
Poi, a volte, diviene teneramente materna, assume il ruolo della sorella maggiore’ di ben due anni! Mi carezza, mi coccola, ma per farlo viene a sedere sulle mie ginocchia, o, addirittura, si mette a ‘cavalluccio’, e le piace che io la faccia ‘trottare’, come si fa coi bambini. Solo che quel contatto, quel movimento, non &egrave privo di’ conseguenze.
Già sento qualche commento.
‘Ma allora sei proprio un groper, Petr. Un pomicione, ti piace palpare ‘ constatare’ tattilmente, oltre che de visu!’
Non posso negarlo, ma devo precisare che tale fortissima attrazione, irresistibile richiamo carnale e sensuale, che non &egrave privo di una certa concupiscenza e bramosia, si scatena soprattutto, se non esclusivamente, nell’ambito familiare. Sarà attrazione dovuta alla comunanza di stirpe.
Infatti, questo fascino, questa capacità di attrarre, emana anche, e in misura maggiore, da quel capolavoro della natura che &egrave HT, Mory, donna fascinosa, incantevole, ammaliante!
Feeling, sentimento, intesa, sintonia. Non so descrivere esattamente cosa provo’
Ma sono convinto che sia vicendevole. C’&egrave qualcosa che ci unisce, impalpabile, lieve, vaga, indefinita’ ma crescente’
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HT &egrave in facoltà.
Susy ed io, dopo nuoto, abbiamo fatto la doccia, ci siamo preparati un brunch, abbiamo perfino bevuto una birra, ed abbiamo deciso che era meglio un pisolino. Forse avremmo potuto convincere HT ad andare tutti fuori a cena. Lei non sarebbe rientrata prima delle sei del pomeriggio.
Io mi ritirai nella mia camera. Mi misi in libertà, infilai i soli pantaloncini del pigiama, mi sdraiai sul letto.
Sentivo Susy gironzolare nella sua camera, andare nel bagno, scendere in cucina, risalire’ venne ad affacciarsi alla mia porta. Aperta per il caldo.
Lei aveva un cortissimo baby-doll, abbastanza trasparente, che lasciava chiaramente intravedere che, sotto, indossava un microscopico slip, e null’altro.
‘Ciao Pete, hai sonno?’
‘No”
‘Cosa pensi?’
Non so perché, ma, forse dettatomi dal subconscio, mi venne in mente di dire che pensavo all’antico Egitto.
Venne vicina a me. Mi guardò con occhi sgranati. I suoi occhi profondi e luminosi. Aveva i capelli sciolti. Uno spettacolo magico.
Il tono era sorpreso, meravigliato.
‘All’Egitto?’
‘Si, a tante cose”
‘In particolare?’
‘Ai Faraoni, al loro convincimento di essere una specie privilegiata, permeata dell’essenza divina che doveva essere trasfusa ai posteri, e che ciò si potesse tradurre in realtà solo se tale ‘essenza’ fosse rimasta tra loro, in famiglia”
Susy s’era seduta sul mio letto. Mi guardava, incuriosita, divertita.
‘Quindi”
‘Si. Questa trasmissione avveniva attraverso unioni tra membri della stessa famiglia, che garantivano il passaggio dell’essenza divina ai propri figli.’
‘La storia dice qualcosa in proposito?’
‘Certo. Cleopatra, Regina d’Egitto dal 51a.C., sposa successivamente due suoi fratelli secondo l’usanza dell’antico Egitto che i Tolomei seguivano.’
‘Ma come mai sei andato a pensare agli egiziani antichi?’
‘Sto leggendo un vecchio libro, trovato, per caso, rovistando nello scaffale chiuso del grosso mobile che &egrave in salone.’
‘Qual’&egrave il titolo?’
‘Sinhue, l’Egiziano. E’ la vita di un vecchio medico, nei tempi antichi”
‘Interessante?’
‘Non nascondo che mi avvince.’
‘Leggi ad alta voce, qualche pagina. Mi hai incuriosito.’
Susy mi spinse un po’ più in là, si sdraiò accanto a me. Mise il mio braccio intorno alle sue spalle, vi si appoggiò sopra.
Mi sporsi, per prendere il libro, sul tavolino da notte, E fu naturale poggiarmi un po’ su lei, sentire le sue tettine col mio petto nudo.
Cominciai a leggere.
E mi sembrò’ del tutto’ naturale, cominciarle a carezzare, quelle deliziose tette, coi capezzolini che s’ergevano prepotenti sotto il velo della camiciola. Velo inutile, pensai, e la mano vi si infilò sotto. Ora era ancora più bello. Come stringevo quelle fragoline rosa tra le dita, sentivo che Susy non stava ferma, si stringeva a me. Si mise su un fianco, con la gamba sulla mia coscia, e il minuscolo slip sembrava inconsistente, io percepivo chiaramente il suo sesso che si strofinava piano contro di me.
Leggevo meccanicamente, e mi andavo sempre più agitando.
Susy aveva gli occhi socchiusi e non mi sembrava che ascoltasse quello che andavo leggendo.
Lasciai cadere il libro. Senza allontanarla da me, mi voltai anche io e la strinsi con tenerezza ma sempre più decisamente’ La baciai sugli occhi chiusi, sulla fronte, sulle labbra’ le dischiuse lentamente, sentii saettare la sua linguetta, cercare la mia, trovarla, e lambirla, quasi attorcigliandosi’
Ero eccitatissimo’
Le carezzai la schiena’ lentamente’ più giù’ le piccole natiche, tonde e sode’ lisce come una pesca vellutata’. Alzò di più la gamba’ le dita erano nel solco’ vicine al suo buchetto palpitante’ non fu molto facile, perché non volevo perdere quella posizione che mi dava sensazioni meravigliose, ma riuscii, grazie anche alla sua indecisa collaborazione, ad abbassare completamente lo slip’ ora la collaborazione era risoluta’ lo sfilò del tutto’ erano i suoi folti riccioli di seta che sentivo vicino alla mia coscia, le labbra tumide del suo sesso’ il tepore caldo’ umido’
La mano andò lì’ decisamente’ e mi sembrò che fosse attesa’ desiderata’
Sempre muovendomi piano piano, per non rompere quell’incanto’ la feci sdraiare’ supina’ dopo ogni piccolo movimento’ mi fermavo un po” attendevo la reazione’
Ci fu!
Alzò le ginocchia, spalancò le gambe’ ero su di lei, sostenendomi sulle ginocchia e su una mano’ con l’altra la carezzavo, tra le gambe, titillavo il piccolo clitoride impazzito, spingevo un dito in lei, nella sua calda e rorida vagina’ aprì gli occhi’ la guardai’ capì’ un piccolissimo cenno, e il mio glande fu vicino a quel paradiso, e cominciò ad entrarvi, fremente, e appassionatamente accolto, quasi aspirato’ Sentii che avevo toccato il fondo del sesso della mia piccola bambolina, della mia adorata e bramata Susy, la mia deliziosa Dolly’
Fu una unione voluttuosa, appagante, e quando sentii che stava dimenandosi sempre più nell’orgasmo impetuoso che la stava travolgendo, ebbi timore che non avrei più saputo controllarmi e’. Ero pronto per ritirarmi’
Ad un tratto Susy incrociò le gambe sulla mia schiena, arcuò il bacino, mi attrasse a sé’ non capii più nulla, ogni diga fu travolta, e sentii che la inondavo, senza interrompere quello stantuffare che, dopo un istante di rilassamento, da parte sua, fu accolto con foga, freneticamente, e nel suo volto leggevo l’estasi, l’ebbrezza.
Non dava alcun segno di cedere’ sentivo, e certamente anche lei, il cik ciak’ dei nostri liquidi che stillavano lentamente dalla sua frenetica, convulsa, impetuosa, smaniosa, delirante, bramosa vagina’ fino a quando non si abbandonò completamente, gambe e braccia larghe, occhi chiusi, respiro affannoso, ma sentivo ancora il suo sesso palpitare e stringere il mio, mungendolo, sempre più lentamente’
Rimasi così, in lei, sorreggendomi sui gomiti, guardandola, contemplandola’ aprì gli occhi’
La baciai, le sussurrai chiedendole scusa’ che non avevo saputo controllarmi’
Mi sorrise, teneramente, dolcemente’
‘Sciocco’ volevi abbandonarmi proprio allora’ ne sarei morta’ ti avrei ammazzato”
Le sue nari fremevano, il suo ventre si contraeva’
‘Ma’ senza nessuna cautela’.’
Scosse leggermente il capo’
‘Pillola’. Amore’. Pillola’.’
E non fu facile deciderci ad alzarci’ dopo un’altra ancor più voluttuosa esperienza’
Ma dovevamo riparare al disordine del mio letto’ e rimuovere ogni traccia di quanto era accaduto’
In questo Susy fu più pronta, decisa, rapida’ prese lenzuola’ baby-doll’pantaloncini e li mise nella lavatrice’
Dopo un po’ eravamo, insieme, sotto la doccia’
E quando HT rientrò, ci trovò in salotto, sul divano, a leggere, o meglio a far finta di leggere, una rivista’
Mamma era, come sempre, uno schianto.
Susy era vicinissima a me.
‘Dimmi, Pete, ma nell’antichità lo facevano anche madri e figli?’
‘Come adesso, piccola.’
Mi guardò.
‘Ma lo facevano anche prima?’
‘Ascolta, al tempo dei Faraoni i rapporti sessuali tra madre e figlio erano consuetudine.
Ma questo avveniva anche nell’epoca dei Romani.
Narra Cluvio che Agrippina, quando col vino e i cibi cresceva la foia di Nerone, si offriva e univa a lui ubriaco, seducente e libidinosa, vogliosa e smaniosa, e non si curava dei presenti per ricoprire il figlio con baci lascivi e carezze sensuali e concupiscenti per condurlo alla copula.’
Seguitava a guardarmi. Con espressione maliziosa e furba.
‘Pete’ tu’ tu’ insomma, tu te la ‘faresti’ mamma?’
Dovevo scegliere immediatamente. Forse poteva costarmi l’odio della mia sorellina e la fine dell’inizio’ Del resto sarebbe stata evidente la bugia di un’eventuale mia risposta negativa.
Forse avevo trovato un compromesso.
‘Come puoi immaginare che un maschio non desideri un rapporto sessuale con una femmina del genere. Certo che me la ‘farei’. Ma sono sicuro che non vale la millesima parte di te!’
E la strinsi a me.
La risposta l’aveva soddisfatta. O almeno fece finta di esserlo.
Alzò il suo delizioso faccino verso me, protese le labbra, e ci sfiorammo con un bacio.
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Da quel momento, però, la vaghezza nebulosa che aleggiava nella mia mente, cominciò a trasformarsi in attese meno chimeriche.
‘Te la faresti’?
Allora, lei, Susy, considerava la cosa possibile.
Perché, dunque, non potevo considerarla realizzabile anche io?
Non era sufficiente, però, il desiderio e il proposito.
Da dove dovevo iniziare? Come? Quando?
E, soprattutto, come avrebbe reagito?
Ero a letto, occhi al soffitto, mente in subbuglio, ed eccitazione al massimo.
Stavo cercando di elaborare uno ‘studio di fattibilià’. E sorridevo al pensiero di considerare quel ‘mio problema’, come un evento che richiedesse uno studio del genere. Mi venivano alla mente le parole del docente quando per la prima volta ci disse che per realizzare un progetto &egrave indispensabile analizzarlo in dettaglio per individuarne le soluzioni possibili.
Prima idea. Glielo dico chiaramente: ‘Ma’, ti desidero, ti voglio, non ne posso più’.
Credo che chiamerebbe lo psichiatra.
HT, Mory, o come vogliamo battezzarla, insomma Mary, e mi piace pensarla così, col suo nome, &egrave una donna, una femmina. E ciò non deve essere dimenticato, né trascurato.
Altro elemento: io sono stregato da lei; ma può benissimo darsi che lei non mi veda proprio, se non come il suo ‘piccolo tulipano’ come mi chiamava quando mi faceva il bagnetto. Lei, precisamente, me lo diceva in francese, forse perché &egrave più chic, meno inelegante: Mon adoré petite tulipe ! E’ chiaro a cosa si riferisse, solo che adesso, pur essendo io regolarissimo anche lì, dovrebbe chiamarlo Gros battant, grosso batocchio.
Comunque, conclusi, se il mio batocchio vuole suonare quel po’ po’ di campana, deve seguire la strada dell’avvicinamento progressivo.
Secondo me, il discorso filava. Mi addormentai.
L’indomani, domenica, avrei cominciato a percorrere la lunga strada’
Mi sorpresi a canticchiare la canzoncina in voga tra gli inglesi nella prima guerra mondiale:
It’s a long way to Tipperary, It’s a long way to go.
It’s a long way to Tipperary, To the sweetest girl I know!
It’s a long long way to Tipperary, But my heart’s right there.
Si, é lunga la strada da percorrere per raggiungere la ragazza più dolce che io conosco.
Si, la strada é lunga, ma il mio cuore &egrave proprio là!
Attesi che fosse in tinello per la colazione. Come sempre in vestaglia, e spesso sotto aveva solo la camicia da notte.
Andai alle sue spalle, le alzai i capelli, la baciai sul collo. Alzò la testa, mi sorrise. La baciai sulla guancia, proprio all’angolo delle sue labbra rosse e carnose. Nel contempo l’abbracciai. Con una decisa ma ben dissimulata strizzata di tette, Sodissime, come sempre. Alzò di nuovo il volto, sorridendomi, e mi baciò. Quasi sulla bocca.
Come primo round non mi potevo lamentare.
Le chiesi se volesse fare una passeggiata.
Mi rispose che preferiva un tuffo in piscina, crogiolarsi un po’ al sole, leggere’ non fare nulla.
‘Posso farti compagnia, Mom?’
‘Sono sempre felice quando sei con me, ma non hai appuntamenti?’
‘No, Susy va con Meg, la sua amica, allo stadio dove c’&egrave un incontro di calcio tra la squadra del suo college e non so chi’ io, se non ti disturbo, rimarrei con te..’
‘Grazie caro. Sei sempre il mio tesoro. Meriti un bacio.’
E questa volta le nostre labbra s’incontrarono.
Ci siamo tuffati’ qualche bracciata.
Lei &egrave uscita dall’acqua, si &egrave tolta la cuffia, ha scrollato la testa per far scendere i lunghi capelli sulle spalle, si &egrave sdraiata sul lettino prendisole, coi capelli cadenti.
Andai sul tavolo dov’era il suo beautycase, lo aprii, presi la spazzola, mi inginocchiai dietro il lettino dov’era lei, cominciai a spazzolarle i capelli. Lentamente’ lungamente.
Aveva gli occhi chiusi.
Dopo un po’, rimanendo immobile, mi sussurrò che ero un tesoro, e che la stavo viziando troppo. Alzò la mano, la poggiò sul mio collo, mi attirò a lei’ mi baciò’ ci baciammo’ non proprio come madre e figlio.
Chissà cosa pensava di me, la splendida Mary.
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Mary, distesa sul lettino, godeva un completo relax, deliziosamente accompagnato dal lento passare della spazzola sui suoi capelli.
Pensava al suo ragazzo, inginocchiato alle sue spalle, che la coccolava.
Era sempre più affettuoso, il suo Pete’ più che affettuoso, premuroso’ era tenero, dolce’ e la guardava con certi occhi’ sembrava adorarla’ ma in un certo modo’ e poi quel bisogno di carezzarla’ baciarla’ toccarla! Sì, toccarla’ sarebbe più esatto dire palparla’ Ma forse era la sua fantasia che, più o meno, inconsciamente stava suggerendole idee distorte, travisate’ le induceva a certe interpretazioni’
In effetti c’era qualcosa di diverso, di nuovo’
Ma era proprio insolito il comportamento di Pete, o era lei che lo stava leggendo in una certa chiave?
Comunque, qualcosa di imprevisto, inimmaginabile fino a quel momento, le sembrava di sentire anche in lei.
Aveva affrontato, all’inizio, subito dopo la partenza, l’abbandono di Gano, prima ancora che nascesse Pete ‘quasi venti anni!- il difficile periodo della solitudine, specie qualche mese dopo la venuta al mondo del suo bambino. Solitudine totale, dello spirito, e del corpo. Il suo giovane corpo ancora assetato di vita, palpitante, assillato da mille naturali esigenze’ E che giorni’ mesi’ Non aveva accettato nessuna avance, garbatamente, ma recisamente’ S’era acquistata la nomea di ‘frigida’, ma sapeva solo lei quali lotte, quali turbamenti, quanto le era costata quella rinuncia’ totale e senza fine’ aveva deciso’ riteneva di aver raggiunto la completa atarassia, quiete dell’anima e dei sensi, imperturbabilità’
Dopo quasi venti anni il suo convincimento si incrinava’ quei contatti, quel sentirsi sfiorata’ quasi esplorata con la mano’ le labbra di Pete, di un uomo, sulla sua pelle’ quasi sulle sue labbra, anzi no, proprio sulla sua bocca’
Le labbra di Pete, le ultime che avevano sfiorato, succhiato i suoi capezzoli’
Al solo ricordo rabbrividiva’ come non le era capitato da tempo’ sentiva perfino sussultare il grembo’ moversi qualcosa in lei’ ecco’ come il ciucciare d’un bimbo mentre dorme, sogna di poppare, ma le sue labbra sono vuote’
Si mise a sedere, di colpo, cercando di scacciare da lei quei pensieri che la turbavano sempre più’
Pete restò con la spazzola a mezz’aria, la guardava, senza rendersi conto di quanto avveniva nella mente, e non solo, della madre.
Le si avvicinò, di fianco.
Mary gli sorrise, lui lo interpretò come un’ invito’ si chinò, le mise una mano sulla pelle nuda della spalla, e la baciò sulla fronte’ sugli occhi’
Lei gli poggiò la mano sul fianco, avrebbe voluto allontanarsi’ non ci riuscì’ era così bello’
Mary disse che andava a fare una doccia, e poi avrebbe allestito qualcosa per il pranzo, attendendo il rientro di Susy.
Peter uscì, per acquistare il giornale e’ -ma non lo disse- per schiarirsi le idee.
Quando tornò a casa, Susy era rientrata, non allegra perché la squadra del suo cuore era stata sconfitta.
Andò incontro al fratello, gli dette un bacetto’ e gli sussurrò che aveva bisogno di essere’ confortata’ sarebbe andata da lui, nel pomeriggio, per seguitare a’ leggere ‘Sinuhe’!
Peter era contento, anche perché certe sue esigenze erano divenute più pressanti, dopo lo spazzolamento dei capelli di Mary. Ma rifletté, anche, che non era facile comportarsi senza lasciar trapelare il suo essere tormentato da intensi ma diversi desideri.
Cautamente, domandò a Susy che programma avesse per la sera.
Andava al pub, con la solita Meg, ed altri.
Tirò un grosso sospiro.
Mary era alle prese con le ultime cose per il pranzo: stufato di agnello con patate. Tavolini alle castagne, crépes jubilee.
Tutto ottimo, gustato con piacere, gradito e molto applaudito.
Peter disse alla mamma che Susy sarebbe andata al pub’ e che lui aveva procurato due biglietto per il ‘cineclub’, dove proiettavano cult-film. Lo spettacolo era alle diciannove.
Scrutò il volto della mamma.
Mary non chiese il titolo della pellicola, e accettò con entusiasmo.
Peter aggiunse che dopo lo spettacolo sarebbero potuti andare per una pizza.
La mamma approvò.
Susy e Peter sparecchiarono, rassettarono tutto. Passando dinanzi alla porta della mamma, che era chiusa, la salutarono alla voce’ andarono a seguitare la lettura di Sinhue!

Mary aveva indossato un semplice ed elegante abito, di tessuto leggero, ingualcibile, con la gonna plissettata, per andare al cine. Peter le andò incontro, le prese una mano, la fece scherzosamente piroettare.
‘Insuperabile, mom, sei uno schianto, una favola, la gente guarderà te, non il film’ e mi invidierà.’
Mary sorrise.
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La locandina indicava il film che si proiettava: ‘Le souffle au coeur’, regia di Louis Malle, del 1971. Interprete principale, Lea Massari.
Al termine, ci fu un interessante dibattito, ma Nary lo seguì distrattamente. La sua mente era intenta a tante considerazioni’
Chissà se la scelta di Pete &egrave stata causale. Si chiedeva la donna.
Strano, proprio ora che mi rivolge certe attenzioni, e che in me rifioriscono sepolte sensazioni, un film su una madre e un adolescente. La storia di Clara e Laurent.
E quel suo prendere la mano, appena spenta la luce in sala, e prima ancora dell’inizio della proiezione. Ed io che l’ho stretta, e l’ho tenuto in grembo. Non era immobile quella mano deliziosa. Stringeva la mia e premeva sul mio grembo. Ed era bello. Deve esserne accorto, perché pigiava e poi alleggeriva la pressione, si muoveva, sfiorava’ sfiorava il mio grembo’ tra le mie gambe non perfettamente accostate.
Quando, al termine della prima parte, mi sono sciolta da lui ho sfiorato la sua patta. Proprio come immaginavo’ sapevo’ era gonfia!
Quando cominciò il secondo tempo, fui io a prendere la sua mano, e a riportarla dov’era prima. Ancor meglio, perché le gambe s’erano maggiormente dischiuse.
Finalmente, il dibattito finì.
Dovevamo andare alla pizzeria.
Mi sembrò naturale che cingesse la mia vita, dapprima, e poi, prendendomi sottobraccio, sfiorasse con le nocche delle sue dita, il mio seno, il suo seno.
Abbastanza affollata, la pizzeria, ma non stracolma. Peter aveva prenotato, un tavolo in angolo, alquanto appartato. Si stava benissimo. Musica gradevole, in sottofondo, e una ottima scelta, gestita da un bravo DJ, che proponeva nuove ed antiche canzoni conosciute in tutto il mondo.
Mi sentivo ringiovanita. Del resto, lo specchio di fronte a me, nel quale mi guardavo, non denunciava affatto gli ‘oltre anta’. Beh, se mi avessero presa per la ragazza di Peter, avrebbero certamente pensato che le preferiva un po” meno giovani’ di lui.
Peter sembrò leggermi nella mente.
‘Siamo una bella coppia, Mary, vero?’
Mi aveva chiamato Mary’
‘Si, caro, un magnifico giovane e una ‘matusa’!’
Batté la sua mano sulla mia e la lasciò così, carezzandola lentamente.
‘A parte che per te il tempo s’&egrave fermato tanti anni fa’ io non ti cambierei con nessun’altra”
‘Adulatore!’
‘Perché, invece, non mi chiami raffinato intenditore?’
Era arrivato il cameriere. Ordinammo due margherite e vinello frizzante.
Ero un po’ confusa, stordita, in quello stato di dolce ebbrezza che ti fa sembrare tutto più bello’ fantasticavo. Il film, la sua mano.. tutto era come in un sogno. Ma lui era lì.. e seguitavo a pensare’
In quel momento, si diffuse la voce inconfondibile e coinvolgente di Mina’ e una musica che marcava e metteva in risalto le parole della canzone:
E’ l’uomo per me’. Fatto apposta per me’
Gli carezzavo la mano, senza accorgermene, e pensavo che sì, fatto apposta per me, e me l’ero fatto io!
Ormai ero presa da quel vortice, stavo rimuovendo ogni tabù, ogni inibizione’ dopo venti anni, quasi, sentivo, imperioso, irresistibile, inesorabile, il desiderio, l’urgenza di un maschio’ No, mi sbagliavo, non di ‘un’ maschio, ma di ‘quel’ maschio, e che fosse mio figlio, carne della mia stessa carne, era la cosa più bella, più affascinante, attraente’
Di colpo, fui richiamata alla realtà.
Un’altra canzone, un’altra voce, una diversa musica, come una doccia fredda sul mio entusiasmo, sulla mia esaltazione.
Era Patty Pravo, anche lei unica, riconoscibile tra mille. Quasi , distaccata’.
‘pazza idea di far l’amore con lui…
… io che sorrido a lui’
Stavo facendo scivolare la mia mano da sotto alla sua, impietrita, sconcertata’ colpita da quella tremenda verità’ ‘pazza idea” &egrave vero’ ma sentivo che la frenesia era tale da poterla far considerare una vera e propria insania.
Per fortuna giunsero le pizze, e il vino.
Prima d’ogni cosa, alzai il bicchiere, guardandolo, e bevvi tutto d’un sorso. Rimasero solo poche gocce. Peter prese il calice dalle mie mani, lasciò cadere nella sua bocca il pochissimo vino che era rimasto.
‘Voglio conoscere il tuo pensiero, Mary.’
Avvampai, sarebbe stata una rovina’ meno male che era solo una stupida convinzione popolare.
Mi guardò fisso. Raggiante.
Cominciammo a mangiare le pizze. A me era quasi sparita ogni traccia di appetito.
C’era uno strano silenzio, tra noi.
Fu Peter a riempirmi di nuovo il bicchiere e, alzando il proprio, ad invitarmi a bere.
Ma sì, meglio così. Forse sarebbe servito a rimuovere quella specie di nodo che mi serrava la gola.
Mi giungeva alle nari uno strano odore, dolciastro, non sapevo definirlo, Lo dissi a Peter. Si limitò ad annuire col capo.
‘Ma” ‘non più Mary, perché?- che ne diresti di andare a ballare?’
‘In discoteca?’
‘No, qui vicino c’&egrave un piccolo e accogliente locale, con una bravissima orchestrina che suona dell’ottima musica, soprattutto del passato.’
‘Non so”’
‘Hai sonno?’
‘Questo no.’
‘Allora chiedo al cameriere di telefonare per sentire se ci sono posti.!
Chiamò il cameriere, con un cenno, gli sussurrò qualcosa. Quello annuì e si allontanò. Dopo non molto, tornò, gli dette una specie di busta.
‘E’ l’invito, signore, come ha chiesto lei.’
Peter pagò il conto. Mise l’importo nel tovagliolo e non riuscii a comprendere quanto avesse speso. Già pensavo che l’avrei rimborsato.
Gli feci cenno che potevamo andare.
Ci avviammo verso l’uscita.
Prima del guardaroba gli dissi che sarei andata a’ ad incipriarmi il naso.
Sorrise, mi fece cenno che avrebbe attesa.
Fuori della pizzeria, mi prese di nuovo sottobraccio, ora il suo strofinio era più deciso che mai. E mi stava sempre piacendo, anche di più.
Non era lontano, il locale, subito dopo la prima traversa, a sinistra.
Un’entrata discreta.
Peter aveva preso dalla busta un cartoncino rosso e lo aveva esibito all’ingresso. Fummo pilotati ad un posto non centralissimo, ma da dove si dominava la sala, la pista. Quasi di fronte all’orchestra. Luci appena soffuse, tutto improntato a un gradevole blù. Tende, divani, tovagliato dei tavolini. Musica piacevole, soft, gradevolissima.
Mi sembrava sentire lo stesso profumo dolciastro che avevo notato in pizzeria.
Coppie, in genere, ai tavoli. Comunque parlavano a bassa voce.
Sedemmo. Peter fece solo un gesto del capo al maitre, e subito un cameriere portò due coppe di ottimo champagne. Brindammo subito.
L’orchestra aveva annunziato Nostalgia, di Juliàn Plaza. Un tango.
Peter si alzò, mi tese la mano.
Andammo sulla pista.
Musica dolce, meravigliosa, dolce ed eccitante nel contempo. Coinvolgente, intrigante, affascinante, sensuale.
Il tango deve essere ballato secondo quando il nome stesso del ballo esige: tango, tangere’ toccare’lambire’ sfiorare e in alcune accezioni anche commuovere’ La coppia, quindi, non può che essere vicina, e in alcuni momenti quasi avvinta, con le gambe che si cercano, si intrecciano’
Peter mi attirò a sé, con energia. Lo guardai.
‘Pete?!’
‘Mary’ &egrave un tango”
E strinse ancora di più.
Lo sentivo sul mio ventre. E come lo sentivo. Il seno era schiacciato al suo petto. Le sue gambe carezzavano le mie cosce, vi si intrufolavano volevano sentire il tepore di me’ del mio grembo sussultante. Era bello, meraviglioso. Mi abbandonai totalmente, lo assecondai in tutto, presi anche l’iniziativa di strusciarmi a lui, sulla sua patta per dirgli che lo sentivo’ e lui’ mi sentiva? La’ sentiva? Ero giunta a questo! Ero sbigottita per quanto mi stava accadendo, sbalordita, turbata, confusa’ ma era meraviglioso, fantastico, impensato. Ero eccitata, infiammata, improvvisamente risvegliata da un lunghissimo letargo.
Mi auguravo che la musica finisse presto’.. No’ No’ che non finisse mai’
Non capii cosa mi accadeva’. Mi ritrovai, d’un tratto, seduta di nuovo al mio posto, al tavolino.
Peter mi guardava, con un’espressione che non avevo mai vista sul suo volto. Era incantevole.
Mi porgeva qualcosa’ una sigaretta’ o meglio una specie di sigaretta’ la presi, meccanicamente la portai alle labbra, era già accesa’
‘Devi aspirarla lentamente’ lentamente, coprila con le mani accartocciate’. Così”
Mi fece vedere come.
Lo feci’ aspirai’ aveva uno strano sapore’ dolciastro’
Poi, mi sembra, l’orchestra disse qualcosa’ mi sembra’ a media lùz’ ma non volli ballare’ sentivo le gambe deboli’ e come un calore che mi avvolgeva’ sempre di più’ un senso di ubriachezza’
Ricordo vagamente’ ancora champagne’ forse ballai ancora’ era tutto bello, intorno’
Non era lontano casa, ma prendemmo un taxi.
Quella era la mia camera’ la mia doccia’ ero io sotto la doccia’ l’acqua era tiepida’ gradevole’ sentivo delle mani che mi carezzavano, leggere, delicate’ poi l’acqua più fredda’ ed ancora la mani’ mi sembrava di uscire dalla nebbia’ come se piano piano si diradasse’ cominciavo a vedere chiaramente le cose’
Ero nella mia camera’ m stavo asciugando’ qualcuno mi aiutava’ era Peter’ Pete’ lo guardai’ sì’ era lui’ mi aiutò ad indossare l’accappatoio, sedere sulla poltrona’ era semivestito’ bagnato fradicio’ s’inginocchiò di fronte a me’
‘Ma’, stai bene?’
‘Si’ cosa &egrave successo’ non ricordo nulla”
‘Niente, ma’.. niente’ forse il caldo lo champagne, la musica”
Mi tornava tutto alla mente’ il ballo’ lui che mi stringeva’ io.. io che’ quella sigaretta’
Lo guardai.
‘Quella sigaretta, Peter, forse quella sigaretta’ Cosa era?’
‘Forse’ mamma’ ma stai bene?’
‘Si, caro, sto benissimo’ ma cosa era?’
Aveva le mani sulle mie gambe scoperte, la vestaglia s’era dischiusa’ ricordai il ballo’ lui che mi stringeva.. io che’ quel contatto’ mi stavo agitando di nuovo’ eccitando’
Mi guardò.
‘Solo un po’ d’erba’ mamma’ niente di straordinario’ ma lo champagne”
Scossi la testa.
‘Non dovevi bambino mio’ non dovevi”
Gli misi le mani sul capo, lo carezzai’ oddio’ oddio.. aveva poggiato la testa sulle mie gambe, e quelle s’erano schiuse’ allargate’ spalancate’ ora il suo volto era sul mio grembo’ le sue labbra’ le sentivo’ sul mio sesso’ e questa era la sua lingua’ le sue mani mi cingevano le natiche, le stringevano, ed io premevo la sua testa contro il mio sesso’ non dovevo’ non dovevo’ ma speravo che’ e infatti’ era la sua lingua’ mi frugava’ entrava’ si’ entrava’ perlustrava’ golosa’ curiosa’ e certo sentiva il sapore dei miei abbondanti umori che distillavano da me’ entrava’ usciva’ rientrava’ circolava in me’ sì’ sì’ così’ così’ cosiiiiiiii’.
Quell’urlo era mio’ ero io a sussultare scompostamente, avvinghiata freneticamente ai suoi capelli, alla sua testa che premevo tra le mie gambe che la stringevano convulsamente, voluttuosamente’
‘Oh, ma” sei meravigliosa”
Le sue mani erano sul mio petto’ ed ora erano le sue labbra che lo lambivano, che stringevano i capezzoli, li ciucciavano’ Sicuramente stavo morendo’. Dal piacere’ la luce dopo il buio di lunghissimi’ infiniti anni’
Mi sollevò sulle braccia’ mi depose sul letto, delicatamente’
Forse avevo chiuso gli occhi’ quando lo riaprii’ era nudo’ bellissimo’ un maschio poderoso e favoloso’ temevo e anelavo quello che sentivo che stava per fare’
Era inginocchiato tra le mia cosce alte e trepidanti’
Mi guardò con occhi lampeggianti’ Non m’accorgevo che la mia testa assentiva’ diceva di sì’ invitava a non attendere’ ad affrettarsi’
Non attese’ il suo glande era all’ingresso rugiadoso della mia vagina’ arcuai la schiena’ stava entrando in me’. In me’. In me’ era lui’ Pete’ era mio’ mio’ mio’
E’ stato qualcosa di inenarrabile, indescrivibile, fantastica, splendida, un piacere mai immaginato, una voluttà inebriante, il mio grembo assetato, riarso, avido, non cessava dal saziarsi a quella inesauribile fonte di ebbrezza’
Quante volte lo ripetemmo? Come?
Cosa importa’ ero, finalmente, appagata, placata, acquietata, soddisfatta, completamente rilassata’ in quel momento pensai che sarebbe stato bello morire’ finire’ era il momento più incantevole della mia esistenza.
Era su me, imponente, ancora palpitante’ in me’
Lo baciai sugli occhi’ ridevo e piangevo’
‘Grazie, amore, grazie”
‘Mamma. Sei meravigliosa, ti amo’ ti voglio’ sempre”
‘Sono qui, tesoro, sono qui’ con te’ per te’ solo per te’ quando mi vuoi’ anche io ti adoro, ti voglio”
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Peter, era seduto dietro la scrivania, nella sua camera. Aveva accesso il PC, ma era rimasto a meditare, pensoso’
Scuoteva la testa, perplesso’
Susy già da un anno era corrispondete estera in una grande società di import-export. Sempre bella, avida di coccole e generosa nel corrisponderle. Sicuramente aveva conosciuto, e forse tuttora aveva, qualche ragazzo.
Peter sorrideva nel risentire le parole della sempre bellissima Susy, la sua bambolina. Gli diceva che era diverso con lui, che gli altri uomini potevano significare un piccolo arco della sua vita, dei suoi desideri, della sua sete di amore. Lui invece, il suo meraviglioso fratellino, era tutto, il principio e la fine, lo sentiva a trecentossesanta gradi. Completamente. Con gli altri c’era sempre, più o meno inconsciamente, una piccola parte di sé, fisica o mentale, che quasi avrebbe voluto respingerlo. Con Peter, invece, non solo non c’era il minimo accenno, neppure impercettibile, di rigetto, ma tutta sé stessa lo accoglieva, gradiva, tratteneva, assimilava! Era essenza e motivo di vita.
Sapeva Susy di lui e di Mary?
Sapeva Mary di lui e di Susy?
Mah’ forse sì, ma non era mai riuscito a comprendere fino a qual punto tra le due donne ci fosse una tacita e complice intesa.
‘Mary era sempre splendida, forse più che mai. Imbelliva sempre più, incredibilmente, ed era sempre più appassionata. Anche lei gli diceva che lui, Pete, era la sua vita, la sola ragione per cui valesse vivere.
Si, ma ora?
Era trascorso qualche anno. Era stato proclamato dottore in ingegneria chimica, primo del suo corso. E già erano piovute proposte di occupazione.
Quella sera erano tutti a cena. Allegri come sempre.
Fu Mary a buttarla là, con indifferenza.
‘Allora, Pete, quando ci fai conoscere la donna con la quale realizzerai una famiglia?’
Susy alzò la testa, di scatto, incrociò lo sguardo con quello della mamma. Poi, lentamente si rilassò.
‘Già, fratellino, quando ti sposi?’
Non era facile rispondere. Tentai.
‘Perché dovrei rinunciare a quello che ho oggi? Sto tanto bene, così?’
Mary sorrise, dolcemente, fissò Susy.
‘E chi dice che dovresti ‘rinunciare’ a qualcosa. Si tratterebbe, eventualmente di ‘aggiungere’, non togliere.’
Susy s’illuminò in volto.
‘Certo, fratellino, addizionare’ non sottrarre!’
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Questo &egrave accaduto tanti anni fa.
Alcune cose sono cambiate.
Il mio rapporto con Mary &egrave sempre tenero e amorevole, affettuoso, ma certe effusioni, pur sempre meravigliose, sono meno frequenti e più calme.
Susy &egrave sempre incantevole, ha messo su solo un paio di chili, ma deliziosamente distribuiti, ed &egrave sempre una splendida amante. Seguita a sostenere che quando vuole veramente sentirsi femmina deve ‘farlo’ con me.
Anche Eileen, mia moglie &egrave uno splendido esemplare della bellezza muliebre, ma quella che rifulge sopra tutte &egrave Judie, mia figlia, che ha diciannove anni e assomma in sé quanto di più affascinante hanno la madre, la nonna, la zia’
Judie, sicuramente la femmina più affascinante e sexy che sia mai esistita.
Judie, molto di me stesso. Come si diceva una volta, frutto dei miei lombi. C’era qualcosa che la accomunava a Mary, a Susy, soprattutto a me. Avevamo lo stesso profumo, lo stesso sapore’ Già, sapore.
La sapidità di Mary, frutto maturo e succulento, appetitoso, invitante. Come mordere e godere la polpa d’un frutto inebriante’ ed era esaltante ed eccitante dissetarsi al nettare che gemeva la sua tiepida e palpitante vagina.
L’agrodolce iniziale di Susy, Il succo del suo fiore che andava lentamente divenendo profumato miele.
Il sapore semplice, naturale, tradizionale e casalingo di Eileen.
Judie affascinava per quella sua acerbità, come di frutto appena comparso, che ti fa venire l’acquolina in bocca e la voglia di addentarlo pregustando il sapore asprigno che ti attrae, forse per il piacere di essere il primo a coglierlo, a penetrarlo con i tuoi denti famelici, avidi, cupidi.
Judie, la mia bambina, così deliziosa.
Era piccola piccola, e mi diceva che io don dovevo crescere più, dovevo aspettarla, perché doveva essere la mia fidanzata.
Mi saltava al collo, allegra, festosa, spensierata, mi abbracciava, mi baciava sulle labbra, con la sua boccuccia vermiglia, si aggrappava e mi cingeva con le sue gambette.
Lo fa anche adesso! E mi sembra di impazzire sentendo sul mio petto le sue tettine in boccio, e i miei fianchi stretti tra le sue bellissime e lunghe gambe. Certamente tornite da un dio. Scuoto la testa e sorrido, mi esalto, mi inorgoglisco, divento superbo, mi sento un dio, sì, io mi sento il dio che ha fatto venire al mondo quell’incanto della natura.
E, specie quando &egrave in mini, sento il calore del suo grembo. Esaltante, inebriante.
Judie, la mia bambina.
E’ lì, sul dondolo, in giardino, e sfoglia un libro.
E’ appena uscita dalla piscina.
Ha un minuscolo tanga, che sembra gridare al mondo: guardate che meraviglia. Un sederino da sogno, che ti spinge a fantasticherie, brama’ speranza!
Il reggiseno &egrave una sottile striscia. Potrebbe benissimo farne a meno.
E’ un po’ monella. Di solito i suoi reggiseno sono della seconda taglia, mentre per il due pezzi usa la prima! Quanto ben di dio!
Mi avvicino a lei, mi sorride. Lascia il libro, mi abbraccia, si butta tutta su me, con la testolina sul mio petto.
La abbraccio’ la carezzo’ la spalla.. il fianco’ la coscia’
Balza su me, siede sulle mie ginocchia, mi sbaciucchia’
Mi guardo intorno.
‘Chi c’&egrave in casa, Judie?’
‘Credo che siamo soli’ sono tutti fuori, per una ragione o per l’altra.’
‘Non hai freddo, così?’
‘No, perché mi scaldi tu.’
Mi guarda’ una luce bellissima nei suoi occhi. Lentamente muove le mani, le passa dietro la schiena’ slaccia il reggiseno.
‘Pa’, che dici, cresceranno ancora un po’ o devo farmi la plastica?’
Rimango colto alla sprovvista da quello spettacolo e da quella domanda.
‘Ma no, tesoro, sono già bellissime così’ e certamente diverranno ancora più rigogliose”
‘Dici che sono belle?’
‘Certo, cara”
Non resisto, mi chino a baciarle, lei arcua un po’ la schiena, come ad offrirle’ lambisco un capezzolo, lo succhio’ mi prende la mano e la porta al suo pancino’ Io sento che sto eccitandomi follemente’ la mano la carezza, s’intrufola’ incontra il piccolo boschetto di serici ricci, le labbra del suo sesso’ Sto scoppiando’
Adesso cosa fa?
Mi abbraccia e mi bacia sulla bocca, cerca di farmela aprire, ci riesce, la sua lingua umida e nervosa, entra, cerca la mia’ la mano le afferra forte il sesso, quasi a strapparlo’
Lei si muove un po’, cerca il mio’
Non ne posso più’ la prendo sulle braccia’. Rientro’ salgo di corsa le scale’ entro nella sua camera, la depongo sul letto’ rimango così, in piedi, inebetito, con la patta gonfia. E’ solo col piccolo tanga, il reggiseno dev’essere rimasto in giardino. Con inimmaginabile naturalezza, si libera del piccolo triangolo di stoffa’ mi tende la mano’ mi avvicino a lei’ allunga le sue manine’ abbassa la zip dei pantaloni’ cadono a terra, li sfilo’ muovendo i piedi tolgo le scarpe’ lei ha messo la mano nei boxer ed ha afferrato il mio fallo, tirato fuori’ lo guarda’ mi guarda’
‘Che bello’ paparino’ &egrave per lui che io vivo’ ed &egrave per lui che voglio vivere’ vieni”
Sono sul letto, ormai nudo, accanto a lei, nuda.
L’abbraccio, la bacio, la lambisco per tutto il corpo’ sono fuori dalla grazia di dio’ come devo fare’
Judie si sdraia, alza le gambe, mi prende la mano e dolcemente mi attira a sé, sono in ginocchio tra le sue cosce, col suo sesso riccioluto spalancato’ mi pone le gambe sulle spalle’
‘Vieni, pa” vieni’ ti voglio’ lo so che mi vuoi”
Prendo il glande e lo strofino sul suo clitoride vibrante, lo bagno agli umori che distillano da lei’
‘Adesso, pa” adesso’ ti prego”
Entro appena in lei’ arcua la schiena, alza il bacino.. spingo’
Oddio’ &egrave vergine!
Nel mio cervello scoppiò come una bomba. Ero sconvolto, atterrito. Guardai Judie: occhi chiusi, si mordeva il labbro inferiore, espressione estatica, come in estasi. Fu istintivo fermarmi’
Aprì gli occhi, con aria di sgomenta’ Si spinse ancor più verso me, mi afferrò le natiche, le attirò a sé, convulsamente’
La voce era roca, affannata, allarmata’
‘Non tradirmi, pa’, ti prego’ &egrave una vita che attendo questo momento.’
Il suo ventre palpitava, la sua vagina, convulsa, mi ingoiava, si stringeva intorno al mio fallo che, comunque, non mostrava affatto segni del mio sconvolgimento mentale.
Ormai, ero in lei, incredibilmente in lei, per quanto quel corpicino potesse racchiudermi in sé, il suo incessante movimento, quell’ondeggiare del grembo che altalenava travolgente e voluttuoso, stava dandomi sensazioni nuove, sconosciute, paradisiache, eccezionali, sovrumane, e sentivo che lei era sul punto di essere impetuosamente travolta da un irrefrenabile orgasmo che mi stava trascinando deliziosamente’ ansimava’ mugolava’ gemeva’
‘Pa” pa” quanto ti ho desiderato’ ma non sapevo’ non’ non’ immaginavo che fosse così bello’ belloooooo’ bellooooooooo!’
Ebbe un sobbalzo più forte degli altri, sentii le contrazioni della sua vagina, gli spasmi, l’invasi col mio seme’incoscientemente, come un principiante al suo primo rapporto’ vibrò, s’inarcò’ ricadde’ giacque. Sudata, ansante, voltando il capo qua e là’ con gli occhi semichiusi dei quali si vedeva solo il chiaro’ e la morsa che aveva stretto il mio sesso, si andava rilassando.
Aprì gli occhi. Mi guardò sorridente, beata, con una luce mai vistale nel volto.
La mia piccola Judie.
Scossi il capo’ con aria angosciata.
‘Cosa ho fatto, bambina mia’ cosa ho fatto’ non sapevo che eri”
‘Lo sono rimasta per te, pa’.. a chi altri potevo fare questo dono?’
‘E non abbiamo adottato alcuna precauzione’ oddio, Judie’ cosa potrà capitarci”
‘Buono, pa” buono’ &egrave da tempo che prendo la pillola, proprio per questa occasione che bramo da sempre’ volevo sentire in me lo stesso seme che mi ha procreata’ &egrave meraviglioso’ peccato che non posso avere un figlio tuo”
Mi fissava con aria incantata, stupenda, incantevole.
‘Non dovevamo farlo, tesoro, non dovevamo.’
‘Dovevo, pa’. Dovevo, l’ho sempre sognato. Sarà il più bel ricordo della mia vita. Sento che il tuo seme, la mia linfa, stanno lasciandomi, dopo essersi sparsi come balsamo in me’ Io ritaglierò questa meravigliosa testimonianza, e la serberò per sempre.’
Stavo per sollevarmi.
‘No, pa” non te ne andare.. &egrave cos’ bello sentirti in me.’
‘Quelle parole, quel risentire di nuovo le contrazioni del suo piccolo sesso, aumentarono la mia eccitazione, il mio fallo era più arzillo che mai.
‘Ti sento, pa’, ti sento’ come puoi lasciarmi così.. ti voglio’ ancora!’
Feci un lungo sospiro.
Come staccarmi da un così voluttuoso momento.
Sì, era la sua prima volta’ ma, in fondo, non era che un particolare, insignificante.
Avevamo sentito il richiamo imperioso, irrefrenabile, invincibile della identicità dei nostri esseri.
Nessuna forza al mondo può resistervi.
Stessa essenza, stessa specie.
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La domenica successiva, secondo un’antica usanza, era il giorno della ‘benedizione del padre’.
Raccolta la famiglia a tavola, per il pranzo, il ‘padre’ la benediceva, immergendo un ramoscello d’olivo in un calice dove c’era dell’acqua santa presa in chiesa, al fonte battesimale, e pronunciando la frase ‘con quest’acqua di vita vi dono la vita’.
In alcune famiglie, legate alla tradizione, esisteva uno strano aggeggio, chiamato ‘aspersory’, aspersorio, ma confidenzialmente detto ‘sprinkler’, lo spruzzatore. Consisteva in un cilindro metallico, vuoto e con una asticella metallica al centro, sormontata da una specie di bottoncino, e da un coperchio a vite, con un forellino in corrispondenza del bottoncino interno. Si riempiva di acquasanta, si avvitava fino in fondo, il bottoncino chiudeva il foro, il recipiente diveniva impermeabile.
All’inizio del pranzo, il ‘padre’, svitava leggermente il coperchio che aveva la forma di un piccolo fungo, e, mentre tutta la famiglia era in piedi, la aspergeva col liquido che sprizzava dal forellino, dicendo, appunto la famosa frase: ‘quest’acqua vi dona la vita’!
Io avevo visto in casa, da ragazzo, un simile oggetto, e mamma me ne aveva spiegato l’uso. Lei lo conservava gelosamente, in una particolare scatoletta foderata di velluto azzurro.
A me, a dire la verità, sembra soprattutto un simbolo fallico. Del resto, la forma é quella.
Mamma, venendo a casa mia, come spesso faceva, mi portò quell’astuccio e mi disse che avrebbe gradito una riunione familiare per la domenica della benedizione, e che io, il ‘padre di famiglia’, benedicessi tutti i componenti di essa riuniti a tavola.
Purtroppo, Martin, il marito di Susy, non poteva essere presente, era di servizio.
E così, quella mistica domenica, ero l’unico uomo, con quattro donne: mamma Mary, Susy, mia sorella, Eileen, mia moglie, e la bellissima Judie.
Tutte affascinanti. Ognuna rappresentante meravigliosamente una generazione: Mary, Susy e Eileen, Judie.
L’unico uomo io, Peter, con i miei 45 anni, portati abbastanza bene.
Tutti in piedi. Svitai un po’ la testa dell’aspersorio e irrorai allegramente ognuna di loro: ‘questo liquido dona la vita!’
Mi guardavano tra il serio e il compiaciuto, e c’era come un leggero velo nei loro occhi. Come una dissolvenza che si sperdeva nei ricordi.
Fu la voce di Mary, calda, commossa, a scuoterci.
‘Io ho dato la vita a te, Peter, figlio mio. E tu l’hai data a noi tutte.’
Ognuna fece un impercettibile segno di assenso.
Intorno alla tavola.
Mary, Susy, Eileen, Judie. Ed io.
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