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Racconti erotici sull'Incesto

Twin & mom

By 3 Novembre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

‘Rashomon’ é un film giapponese del 1950, diretto da Akira Kurosawa, in bianco e nero, dove i protagonisti raccontano lo stesso avvenimento, ma ognuno a modo suo, secondo le cause che hanno provocato il proprio comportamento, perché il medesimo episodio può essere originato da violenza, amore, sessualità, gelosia’ Pubblico e critica furono favorevoli.
Se consideriamo bene le nostre azioni, spesso non ci &egrave facile stabilire se le abbiamo compiute razionalmente o istintivamente. Ponderazione e impulso sono antitetici, e non sempre siamo in grado di controllare gli impulsi, cio&egrave le sollecitazioni interiori più forti della ragionevolezza.
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Alma &egrave nata un diciotto di settembre.
Ventuno anni dopo, più o meno alla stessa ora della sua nascita, metteva al mondo, a distanza di minuti l’uno dall’altra, Diana e Mauro.
Ogni anno festeggiavano i loro genetliaci con una certa allegria, ma quell’anno era degno di particolare solennità, altri diciotto si aggiungevano al giorno della ricorrenza: i diciotto anni di Maro e di Diana.
Purtroppo papà Giorgio era lontano. La sua attività professionale lo costringeva a dare gli auguri per telefono, per internet, comunque non di persona. Era a Kuwait City. Al suo ritorno ci sarebbe stata una celebrazione straordinaria, con tanto di regali.
In famiglia si aveva un po’ il pallino dei numeri, e quel giorno fu messo in risalto che, diciotto era il giorno, diciotto gli anni compiuti dai gemelli, per cui si poteva chiamare il giorno 54, cio&egrave 18×3, e se a ciò si aggiungevano i 39 anni della mamma, si arrivava a 93. Quindi, piccola festicciola al ‘Club 93′ coi tre celebrati, madre e figli, mentre il sabato successivo i ragazzi avrebbero riunito un po’ di amici nella loro discoteca preferita.
Torta con tre candeline: rossa per mamma, rosa per Diana, celeste per Mauro. Come tutti gli anni. Champagne millesimato, una cena leggera ma deliziosa, e quattro chiacchiere in perfetta armonia.
Poi, nella saletta a loro riservata, qualche balletto, ora con mamma ora con Diana, prima di andare a nanna. I regali, s’era d’accordo, erano rinviati al ritorno di papà.
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C’era molta allegria, e lo champagne non era estraneo a tale stato che sconfinava in una sorta di eccitazione: diciotto anni, si é grandi!
Mauro pensava alla maggiore età e che, in anni lontani, da quel giorno, compimento dei diciotto anni, era permesso frequentare le case di tolleranza. ‘Vietato ai minori di diciotto anni’ era un avvertimento che non li riguardava più. Lo disse alla sorella, mentre ballavano, e, forse per una subcosciente connessione di idee, l’accostamento a Diana lo infiammava. Era arrapato come non mai. Stringeva la ragazza, tenendole le mani sulle natiche e dimenando il bacino. Pienamente ricambiato da lei.
Mauro, anche lui ‘numerologo’, pensò alla loro statura: lui 190, mamma 175, Diana 165. In totale erano ‘alti’ 530 centimetri.
Diana sentiva sul ventre il gonfiore dei pantaloni del fratello, e anche lei fantasticava di centimetri. Chissà quanti erano. Di lunghezza.
Conosceva il sesso maschile, di vista e per qualche sfuggevole e sporadico contatto. Nulla di più. Aveva anche sognato di essere penetrata. Solo sogni.
Anche Alma era stata tra le braccia del figlio. Un ballo liscio, anzi un tango, vecchia e classica musica argentina. Mauro la stringeva, la sua gamba s’infilava tra quelle di lei, le vigorose e sode tette materne gli premevano sul petto, gli sembrava di percepire i capezzoli eretti, quelli che lo facevano impazzire ogni volta che riusciva a sbirciarli, per non parlare degli sfioramenti ghermiti con mille sotterfugi. Quel grembo che ora poggiava sulla sua coscia sembrava vivere. Alma non poteva non esserti accorta della possente erezione del figlio, ma nulla faceva per discostarsene. Anzi.
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Ad una certa ora fui io, Alma, che suggerii di tornare a casa. La festicciola era stata bella, le danze ancora di più, ma l’indomani ognuno aveva i propri ‘doveri’ da compiere.
Coglievo una certa tensione nell’aria. Forse c’entrava un po’ la deformazione professionale, (come docente di una certa parte della fisica, trovo in tutto correnti magnetiche o qualcosa del genere), ma mi sembrava che si fosse determinato un triangolo isoscele. Al vertice Mauro, alle altre estremità Diana da una parte, io dall’altra.
Mauro e Diana sono gemelli ‘dizigotici’ derivati da due ovuli diversi, rilasciati dalle ovaie nello stesso periodo, e fecondati da altrettanti spermatozoi.
Il loro patrimonio genetico &egrave uguale per il 50%, cio&egrave come nei fratelli nati in momenti diversi. Li ho generati io. Essi, quindi, hanno corredi ereditari in parte simili e da me derivanti almeno per il cinquanta per cento. Triangolo di massima familiarità, ma pur sempre differenziato nelle caratteristiche sessuali: un maschio, due femmine.
Quello che alcune genti esotiche definiscono ‘harem perfetto’: un maschio, due femmine.
Mi frullavano queste strambe considerazioni per il capo, ma la verità era che riflettevo come il legame primario tra me e Mauro, e quello altrettanto rilevante tra lui e la sorella gemella, poco o nulla influivano sulle reazioni istintive e spontanee dei sessi. Avevo ben visto Diana strusciarsi lascivamente al fratello che la sovrastava di 25 centimetri, e come cercava di sentirne l’evidente e malcelata erezione. Di contro, Mauro se la stringeva vigorosamente e quasi la faceva svenire’ o venire?
Veramente sù di giri, il mio ragazzo, questa sera. Non che mi sia dispiaciuto, anzi, ma sembrava proprio che volesse farmi accorgere del suo voluminoso batacchio che dava l’impressione di volermi infilare tra le gambe. Senza dire dello strofinìo del suo petto sul mio seno e dell’irrequietezza delle mani che salivano e scendevano sulla mia schiena, sui glutei, che il solo ricordo mi fa fremere il ventre e trasudare la vagina.
Siamo a casa.
Ancora scambi di auguri, baci e abbracci (con energiche strizzate di contorno) e ognuno nella sua camera.
Non riuscivo ad addormentarmi.
Dovevo cercare di capire cosa mai avesse in testa Mauro, se quel suo comportamento licenzioso fosse veramente frutto dello champagne o’ altro. Mi alzai, e così, nella mia corta e leggera camiciola, andai dietro la porta della sua camera. Se fosse stato sveglio gli avrei parlato subito. Battere il ferro quando &egrave caldo. Non sapevo se la cosa sarebbe stata facile, anche perché non potevo dirmi del tutto immune da una certa esaltazione euforica’ diciamo così!
Non sentii alcun rumore, origliai, nulla, silenzio. Abbassai piano la maniglia, aprii. Il letto era vuoto, non c’era nessuno.
Pensai che fosse andato al bagno.
Entrambi vuoti.
Forse in cucina, a bere qualcosa dal frigorifero.
Nulla.
Tornando sui miei passi colsi dei sussurri provenire dalla camera di Diana.
Mi fermai.
Non riuscivo a capire di cosa parlassero.
Non parlavano. Era Diana che gemeva, si lamentava, lentamente’
Forse non si sentiva bene’ aprii cautamente, guardai dentro’
Era accesa solo la luce del comodino.
Diana era sdraiata sul letto, nuda, con gli occhi socchiusi, le gambe allacciate sul dorso di Mauro che la stava stantuffando vigorosamente. E vedevo le sue chiappe muscolose alzarsi e abbassarsi energicamente, mentre lei stava cercando di soffocare l’urlo che l’orgasmo le faceva salire in gola.
Mi sembrò che tutto il mondo crollasse intorno a me.
I gemelli stavano scopando impetuosamente!
Incredibile, ma quello spettacolo mi eccitava al massimo, sentivo l’urgenza del maschio, di essere penetrata, con altrettanta energia e potenza di quanta Mauro stava dedicando, con sommo godimento di lei, a quello scricciolo di figliola che spariva sotto la mole del gemello. Non riuscivo a staccare lo sguardo da quel groviglio palpitante, il gemere incalzante di Diana entrava in me, avrei voluto che fosse il mio, e quando lei fu scossa dai sussulti dell’orgasmo lo fui anche io, con la mia mano che frugava freneticamente tra le gambe, le gambe che stavano cedendo.
Mi ripresi appena in temo per non cadere, per sgattaiolare, per correre nella mia camera e gettarmi sul letto. Ansante.
Chissà da quanto tempo durava quella storia.
Malgrado ogni espediente per nascondere l’evidenza, l’indomani seppi dalle tracce residue, che quella era stata la ‘prima volta di Diana’.
Quando mi disse, arrossendo, che erano giunte improvvisamente le sue regole durante la notte, non risposi. Ma il colore del sangue mestruale era ben diverso!
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Durante tutto il percorso, dal Club a casa, mentre Mauro guidava, abbastanza silenzioso, e mamma era accanto a lui, andavo pensando a ciò che avrei potuto confidare al mio diario.
Conclusi che il mio ‘vita di Diana’, doveva solo recare l’annotazione: ‘festa di compleanno’.
Come potevo scrivere che mamma s’era inverecondamente strusciata al suo figliolone durante tutto quel ballo sensuale e lussurioso? Forse, se non c’ero io, l’avrebbe spogliato e l’avrebbe attratto a sé, posseduto oscenamente.
Capito la mia mammina?
Anche Mauro, però, prima mi stringe a sé. Mi abbranca le chiappe, mi fa sentire sulla pancia il siluro fremente del suo pisellone, come a dirmi: ‘toh! Misuralo! Senti quanto &egrave lungo! Ti basta?’ Mi fa allupare come una cagna in calore in attesa del suo primo accoppiamento, e poi va a pomiciare con la mammona!
Posso mai scrivere tutto questo sul diario?
Quando sono entrata nella mia camera, mi sono spogliata in fretta e, così, senza nulla addosso, mi sono gettata sul letto. Avevo una gran voglia di piangere, e anche un gran desiderio di essere carezzata, baciata. Avevo le mani tra le gambe, muovevo lentamente le dita. Ma erano le mie dita!
Quasi non mi sono accorta che la porta s’era aperta, era entrato qualcuno.
Di colpo, mi trovai Mauro vicino al letto, in vestaglia da camera, aperta, e da essa sortiva l’obelisco della sua virilità. Oddio, com’era grosso. Per fortuna che non era destinato a me; mi avrebbe squarciata, irrimediabilmente lacerata!
Mauro mi guardava con occhi strani, che non gli avevo mai visti, lucidi, mandavano bagliori. Si chinò su me, che m’ero messa seduta sul letto e cercavo in qualche modo di nascondere la mia nudità. Mi baciò sulla bocca, scese alle mie tettine. Le lambì, facendomi fremere per il piacere, prese tra le labbra i capezzoli e li succhiò golosamente. Il mio grembo era in tumulto, sentivo contrarsi la vagina, ergersi il clitoride. Mi sembrò d’impazzire quando fu il piccolo ciccetto palpitante ad essere stimolato, titillato. La sua lingua saettava tra le piccole labbra, entrava curiosa, cercando chissà cosa. Ero ammaliata, estatica. Un piacere che non avrei immaginato.
Si, volevo essere squarciata da lui. Il timore si mutò in brama. Volevo sentirlo in me, quasi godendo sadicamente al dolore che m’avrebbe procurato. La vagina si dilatava, lo implorava. Presi timidamente il suo esagerato glande e lo poggiai vicino l’orifizio del mio sesso. Mi guardò aggrottando la fronte. Annuii e inarcai il bacino. Incredibile, quel mastodontico fallo stava entrando in me’ una piccola resistenza, un insignificante doloretto, che passò ancor prima d’essere provato, per tramutarsi in un godimento paradisiaco. Avrei voluto che non finisse mai, e conobbi il vero orgasmo, e poi ancora un altro, e sentii che straripava in me il suo seme bollente, e avrei voluto che il mio utero lo aspirasse immediatamente, che mi facesse concepire ed anche partorire il frutto del mio primo e incancellabile amore.
Poi giacqui, affranta, e non sentivo il suo peso.
Ero soddisfatta, placata, dissetata, saziata, estasiata, rapita, illanguidita in un mare di voluttà che mi cullava deliziosamente.
Era dunque quello il sesso. O era Mauro?
Non immaginavo che al mondo potesse esistere altro maschio più maschio di lui.
Tremavo per il piacere.
Lo sentivo ancora in me, palpitante.
Era un delizioso affondare: e il naufragar m’é dolce in questo mare!
Lo carezzavo, mi carezzava.
Gli sussurrai che, purtroppo, dovevamo lasciarci. Dovevamo essere prudenti. Quella, ma’, poteva alzarsi per un qualsiasi motivo’
Uscì lentamente da me, e sapevo che non era un addio.
Mi alzai, lo accompagnai alla porta. Ancora un bacio ardente.
Tornai al mio letto. Mi sentii perduta. Se quella macchia rosa s’era anche estesa al materasso, sarebbero stati cavoli amari. Era il suo seme, il mio sangue, la testimonianza del mio godimento. Il suggello della mia femminilità: maggiorenne e donna completa.
Per fortuna tutto s’era arrestato al lenzuolo.
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Non &egrave facile, per chi non si trovi nella stessa situazione, comprendere lo stato, fisico e psichico, d’una femmina nel pieno della sua matura vitalità e sessualità, e in preda ad una indescrivibile sovraeccitazione, desiderio ossessivo, smania, frenesia, una vera e propria foia, si, una furia’ reminiscenze liceali’ furere’ furiam’ foia!
Ma non era la bramosia per un maschio. Era la lussuriosa concupiscenza per quel maschio che avevo visto mentre si accoppiava poderoso con una femmina.
Il mio grembo si contraeva dolorosamente. Come la bocca d’un neonato affamato che sugge a vuoto, lontana dal capezzolo che avrebbe potuto sfamarlo.
La mano che avevo portato tra le mie irrequiete gambe, tra le grandi labbra enfiate e supplicanti, soprattutto mi irritava, aumentava la mia pena. Avrei voluto torcermi come la murena che viene strappata via dal suo elemento. Bruciavo, ardevo, rischiavo di rimanere incenerita. Ero tutta un dolore: il seno turgido, i capezzoli eretti, il clitoride vibrante. Stringevo le natiche come a voler trattenere quello che non c’era. Impazzivo’ si’ impazzivo.
Erano passate almeno tre ore da quando avevo assistito, incapace di allontanarmi, a quella vista che m’aveva scioccata.
Chi m’avesse veduta uscire dalla mia camera, mi avrebbe certamente creduta in trance, in preda a sonnambulismo, a sonno ipnotico. A malapena coperta dal velo della camicia da notte gettata su una spalla, mi avviai, come un automa, verso la camera di Mauro. Porta appena accostata, che non fece nessun rumore quando entrai. Lui era lì, sul letto, col lenzuolo che copriva solo parte del suo pube. Per il resto era completamente nudo. Tremavo nell’avvicinarmi. Come una timida fanciulla attratta dalla sua prima esperienza sessuale. Eppure ero quello che tutti definivano un gran bel tocco di donna, moglie da diciannove anni, che era sempre riuscita ad evitare e allontanare lusinghe tentatrici, anche piacevoli, rimanendo fisicamente fedele al suo primo ed unico uomo. Ora ne concupiva un altro, un bel ragazzo, atletico, attraente, affascinante, ma era il suo Mauro, suo figlio!
Ero accanto al letto, scostai il lenzuolo, e il ragazzo apparve in tutta la sua plasticità. Bellissimo, sedetti accanto a lui.
Ero attratta da quel sesso che, pur nel riposo, esprimeva la virile potenza della gioventù. Neanche Eva, nell’Eden, aveva avuto maggior tentazione a cogliere il frutto. Mi sentivo nell’Eden, e l’oggetto della mia concupiscenza era li, a portata di mano, della mano che non sapeva resistere, si allungava cauta e lo toccava, lo carezzava timorosamente, trepidante.
Chissà cosa stava sognando, Mauro, perché il suo sesso lievitò, lentamente, fino a raggiungere una considerevole erezione. Era magnifico, imponente, prepotente. Con due dita, abbassai il prepuzio. Il glande era violaceo, lucido, invitante. Io, intanto, sentivo che la mia vagina s’era deliziosamente cosparsa del balsamo che avrebbe accolto il suo spasimato signore. Mauro sorrideva, con un’espressione beata.
Con estrema delicatezza, salii sul letto, senza nemmeno sfiorarlo, mi misi a cavallo del suo pube, poggiandomi sulle ginocchia. Lo ammiravo estasiata. Ero sul punto di possedere mio figlio. Forse desiderato da sempre.
Portai il suo fallo vicino al mio sesso e lentamente lo accolsi in me. Fin quando la mia vagina consentì.
Lui aveva aperto gli occhi, mi guardava attonito. Allungò la mano, come ad accertarsi che non fosse una visione, m’afferrò il seno, strizzò i capezzoli, le contrazioni che provocava alla mia vagina gli testimoniarono la realtà
Mi fissava sorpreso ed esaltato.
‘Ma” sei tu’ proprio tu’!’
La sua voce era roca, e si mischiava ai miei gemiti crescenti che gli dicevano quanto godessi, come fossi travolta dagli orgasmi che mi donava.
‘Si, Mauro, sono io’ mi vuoi?’
Per tutta risposta serrò le mie natiche e le accompagnò nella sempre più travolgente cavalcata che mi face raggiungere mete ignorate. Fin quando, domata da quel poderoso strumento d’amore, non mi riversai su di lui, che ancora seguitò a pomparmi deliziosamente, inondandomi del più dolce miele che mai il mio grembo avesse gustato.
Ero tentata di chiedergli se fossi più soddisfacente io o Diana. Si, mi sentivo in gara con mia figlia, ed avevo la presuntuosa certezza che io fossi migliore amante di lei. Se non altro per la maturità, per l’esperienza, per la capacità di far godere un uomo, specie se lui ti fa godere come era stato magnificamente capace Mauro.
Ma non dovetti fare alcuna domanda.
Il comportamento di lui fu la più eloquente risposta.
Aveva capito che genere di femmina ero, per lui, e agiva di conseguenza.
Mi pose le mani sotto la schiena, mi portò sotto di lui, mi sollevò, sì che il mio bacino si trovasse all’altezza del suo fallo, e mi penetrò decisamente.
Mi mantenne così, sollevata, mentre sentivo che mi scopava in modo incantevole e i suoi testicoli che battevano sul mio perineo ad ogni poderosa e saziante spinta.
Ogni barriera era caduta.
Pensai orgogliosamente che con Diana aveva avuto un modesto aperitivo, ma con me si stava sfamando.
E mi sfamava.
Sembrava inesauribile, instancabile. Il suo sesso non accennava a sottomettersi alle leggi della natura, rimaneva splendidamente rigido, e distribuiva con generosità il suo seme apportatore di voluttà.
Ero io, la femmina, che stavo cedendo. Ero disfatta, ma meravigliosamente disfatta.
Ogni attesa era superata. Tutto un incalzare di sensazioni nuove, lo scoprire qualcosa di sconosciuto.
Una festa di compleanno che avrei ricordato per tutta la vita, e che mi veniva dalla vita che io avevo messo al mondo.
Avrei dovuto rabbrividire, e rabbrividivo, infatti, ma di piacere.
Ero convinta che Mauro avesse dato fondo a tutte le sue forze, che sarebbe crollato nel riposo del guerriero, ed ero ansiosa di accoglierlo tra le mie braccia, farlo riposare sul mio seno, farlo giacere su me, sentirlo respirare sempre più profondamente, col suo fallo sul morbido materasso dei miei riccioli.
Ma le sorprese non erano finite.
Piacevoli sorprese.
Chissà da quanto anche lui, il mio Mauro, non sognava di poter amare così, fisicamente, la sua mammina.
Era evidente la sua gioia.
Come al bimbo che ha sempre guatato il vasetto della marmellata, senza poterlo raggiungere, ed ora, improvvisamente gli viene offerto senza alcuna limitazione.
Si, lui voleva tutto e subito, per tema che non gli si sarebbe più ripresentata l’occasione.
E non mi dispiaceva. Perché anche lui, per me, era stato fino ad allora inaccessibile.
Mentre ancora ansavo, divinamente stremata, mi trascinò dolcemente giù dal letto, si mise dietro me, spinse delicatamente la mia testa in basso, finché le mani non poggiarono sul pavimento, e s’introdusse tra le natiche, raggiunse l’entrata della mia vagina, e mi penetrò ancora, sempre più incantevolmente, mentre con le mani ora ghermiva il seno ora mi procurava un godimento pazzesco titillandomi il clitoride.
Lo sentivo battere sui miei glutei, sempre più decisamente, e non tenevo più conto delle volte che ero venuta, dacché ero completamente in preda a una indescrivibile estasi erotica.
Non immaginavo che il mio sesso resistesse a tali e tanti assalti, né che ne provassi tanto piacere.
Solo quando mi riportò sul letto e, con una mano tra le mie gambe, si abbracciò a me, mi ricordai di avere un marito.
Non mi sembrò affatto di averlo tradito.
Né, ripromettendomi di assaporare ancora tali delizie, che ciò sarebbe stato tradimento.
Strana morale, la mia.
Ma mi conveniva.
Unico timore era se per Mauro quella volta sarebbe stata l’unica.
Quando la prudenza ci suggerì di separarci, ognuno nella propria camera, mi dette la gioia della certezza.
‘Quando tornerai, ma’?’
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Una delle cose che più mi attraeva, delle videocassette, era il comando ‘rewind’. In ogni momento, potevi fermare l’azione, rallentarla, accelerarla, ma quello che più mi interessava era riavvolgere, tornare all’inizio.
Ogni tanto anche nel film della vita vissuta un ‘rewind’ &egrave interessante. Forse non sempre il passato &egrave piacevole rivedere, ma &egrave anche possibile, con molta buona volontà ed esercizio, installare un filtro nella mente, e non far passare le cose sgradevoli.
Quel 19 settembre m’ero svegliato piuttosto tardi.
Doveva essere un giorno lavorativo, come tutti gli altri.
Mamma all’università, perché c’era una riunione di docenti.
Diana ed io avevamo prenotato il campo di tennis.
Quando aprii gli occhi, mi accorsi che eravamo tutti a casa, anche la colf, che veniva solo al mattino.
La porta della mia camera non era completamente chiusa. Vidi che si apriva appena. Comparve la mamma, pimpante come non mai, con un viso luminoso, la sua bella carnagione pareva porcellanata, le labbra più carnose del solito, i capelli in sapiente e civettuolo disordine. Ancora in vestaglia, che s’apriva e chiudeva ad ogni movimento.
Aveva una tazzina di caff&egrave, in mano.
Si avvicinò al letto, sul quale m’ero seduto, cercando di coprirmi alla meglio col lenzuolo più arricciato che mai.
‘Ben svegliato, Mauro. Ti ho portato il caff&egrave. Sono le undici, sono già venuta prima, ma dormivi beato.’
Mi porse la tazzina e si chinò su me.
Di solito, in quelle occasioni, infilavo lo sguardo nella sua scollatura e tra i lembi della vestaglia che s’apriva sulle gambe quando lei sedeva sulla sponda del mio letto, e potevo conoscere il colore del reggiseno e dello slip. Quella mattina, mi si offrì l’incanto del seno nudo, e s’intravedeva lo scuro del suo riccioluto pube.
In effetti, solo allora stavo entrando nella realtà, uscivo dal sonno.
La festicciola della sera prima e’
Avevo finito il caff&egrave, mamma riprese la tazzina, si chinò ancora per il bacio del mattino, e mi sembrava che ancheggiasse più del solito quando andò verso la porta.
Mi stiracchiai pigramente.
Dunque, pensai, ricapitoliamo.
Un lieve busso alla porta, la voce di Diana.
‘Mauro, posso entrare?’
Domanda superflua, era già entrata. Nella sua gonnellina plissata, la blusa semitrasparente, e il volto radioso.
Corse ad abbracciarmi e baciarmi.
‘Ciao, fratellino, ti voglio bene”
Abbassò la voce.
”ti amo’!’
E un bacio, sulla bocca, tutt’altro che fraterno.
Ancora un ciao, con la mano, e uscì.
Cercai di svegliarmi completamente.
Era il momento del ‘rewind’.
Lasciai riavvolgere il nastro dei ricordi.
Quelle due femmine mi hanno stregato, da sempre, sia pure in modo diverso.
Le ho guardate, spiate, osservate segretamente: chi con curioso interesse, chi morbosamente.
A mano a mano che gli anni erano passati, l’indiscrezione era aumentata, si trasformava. Lo spuntare delle tettine di Diana, l’ombrarsi progressivo del suo pube, le sue curve sempre più muliebri. Tutto &egrave incantevole nella mia sorellina. Mi sarebbe piaciuto cullarla, con tenerezza, e solo di quando in quando la consideravo nella sua sempre più attraente femminilità. In quei momenti mi eccitavo, pensavo al suo grembo al suo sesso, alle sue splendide natiche. Una bambolina, deliziosamente proporzionata.
Mamma, invece, mi ha sempre turbato con la sua carnalità.
Tette splendide e didietro meraviglioso.
Non perdevo occasione per osservarla, anzi le creavo. La spiavo attraverso il buco della serratura, della doccia, della camera da letto; lasciavo socchiusa la porta della cabina, al mare; facevo finta di dormire quando ero nella poltrona, in camera sua, e lei si doveva cambiare. La conoscevo bene. Donna splendida, alta, con un fisico statuario, da far girare la testa. Conoscevo il suo petto, i suoi fianchi, i suoi glutei, quella che chiamavo la sua ‘foresta nera’. Mi eccitavo pazzescamente. Me la sognavo la notte. Sogni alimentati dalla fantasia, e sempre più spesso, ovviamente in sogno, introducevo il mio pisellone smanioso tra quelle gambe, tra quelle chiappe, e poi la mattina mi svegliavo col pigiama che comprovava gli effetti del sogno.
Da una certa epoca in poi, ero tremendamente geloso di mio padre. Ma come, lui se la poteva godere quando voleva, ed io sempre e solo a bocca asciutta?
C’erano tante donne in giro, di tutte le età. Molte anche disponibilissime, specie le amiche della mamma che più volte mi avevano fatto capire che volentieri mi avrebbero introdotto nel mondo del sesso praticato e completo.
Io, però, avevo occhi’ e il resto’ solo per Alma.
E negli occhi avevo, incancellabile, la meravigliosa visione di lei, nuda, riposare nell’afa estiva, senza immaginare (o lo sapeva ?) che io la fissavo. Spettacolo incantevole.
L’abbracciavo, la carezzavo, la stringevo, in modo che andava ben al di là della tenerezza filiale. Insomma, la palpeggiavo come potevo e quando potevo, e credo che a lei non fosse sfuggita tale mia mania. Se era affacciata alla finestra, preferivo starle dietro, non a fianco, e molto vicino, con la patta gonfia tra le sue chiappe. Cercavo di ballare con lei le danze più sensuali. Incontrandola in un luogo dove si passava comodamente in due, mi mettevo di fronte a lei e la strusciavo, la stringevo al muro, sfregandole il mio coso tra le gambe e indugiando fin quasi a venire nei pantaloni.
Quella festicciola, solo con loro, era stata l’orìgo cupiditatis, la causa della concupiscenza.
La ricorrenza, la saletta riservata, lo champagne, la musica, la danza.
Quei corpi sinuosi e ondeggianti che cingevo nel ballo.
Il loro profumo, il loro tepore.
La mia eccitazione che sentivo infiammarle.
Diana, discinta, abbandonata, quasi in offerta, sul suo letto virgineo, la mia eccitazione crescente. Il contatto con la sua pelle, l’estasi dei suoi occhi, il suo sguardo, implorante, tutto aveva contribuito a farci imboccare una strada senza ritorno.
Lo sentivamo che eravamo giunti al ‘no return point’, quello che io non sapevo &egrave che stava per donarmi la sua verginità. Me ne accorsi solo quando il mio fallo aveva già iniziata l’inarrestabile penetrazione nella sua palpitante vagina, mentre le sue tettine a piramide, dure come la roccia, mi carezzavano il petto. Percepii il suo attimo d’incertezza, intravidi il rapido mordersi del labbro inferiore, ma tutto fu superato e travolto dal piacere che la invadeva sempre più, dal totale abbandono, dall’estasi del suo primo completo appagante orgasmo.
Ero io a far divenire ‘donna’ la mia stupenda sorellina, a colei che m’era stata vicina dal primo momento del concepimento. Uniti anche nella passione.
Non fu facile staccarmi da lei.
Poi, nel mio letto, sognavo ancora di sentirmi in lei, che stringeva in sé il mio fallo, e nell’aprire gli occhi m’avvidi che era qualcosa più d’un sogno. Era un prodigio meraviglioso. Non riuscivo a crederlo. Il miraggio della mia pur giovane vita era divenuto realtà. Era lei, la mia desiderata, vagheggiata, bramata, concupita Alma.
‘Sto tornando in lei!’
Questo il mio primo pensiero.
Una attesa fantasticata da sempre.
Una attesa che aveva accumulato sogni e chimere.
L’avrei posseduta così’ e così’
Invece era lei che s’era impossessata di me, deliziosamente possessiva e dominante. Amazzone che guidava la sua cavalcatura al di là dei confini della voluttà, la trascinava con lei, la soggiogava e ne rimaneva soggiogata, travolta.
Troppo a lungo avevo represso in me il desiderio.
Poi volli essere io a sovrastarla, e l’afferrai dietro la schiena sollevandola verso il mio sesso invadente; e poi ancora a prenderla quasi selvaggiamente, usu ferae, come le fiere, le belve, da dietro.
Una intesa perfetta, una sincronia insuperabile.
Un giorno unico, perché non potrà mai capitare di compiere ancora diciotto anni, e di aver fatto l’amore, per la prima volta con mia sorella, vergine, e con l’eroina dei miei sogni, Alba, mia madre.
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Non fu semplice rinnovare quegli incontri, bramati da tutti e tre. Ormai noti a tutti e tre. Accettati in silenzio, connivente l’uno dell’altro, in una impenetrabile omertà.
Ogni occasione era buona.
E la cosa &egrave durata anche quando gli eventi della vita hanno condotto Diana all’altare, con un suo vecchio compagno delle elementari.
Quand’era con me, incantevole sempre più, mi ripeteva, tra le mie braccia, che si può ben sopportare il nulla per i momenti in cui si ha tutto.
Mamma non invecchiava, era sempre più affascinante, desiderabile e desiderosa. Per fortuna che riuscivo a tener teste a queste due incantevoli piovre dell’amore.
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