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Racconti erotici sull'Incesto

UN RICORDO DI TEMPO ANDATO

By 4 Giugno 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Una violenza voluta.

Estate. &egrave sabato il primo giorno di vacanza. Non ho fretta. Mi lascio crogiolare nel letto. Sento il motore della moto di mio figlio allontanarsi. Di sicuro sta raggiungendo i suoi amici. Sta andando a programmare il suo periodo di vacanze scolastiche. Sono contenta. Si &egrave diplomato ed il prossimo anno va all’università. &egrave stata dura tirarlo su. Ho 38 anni e sono divorziata da quando il mio bambino aveva l’età di quattro anni. Non ho mai considerato la possibilità di risposarmi. Questo non mi ha impedito di avere qualche avventura che si sono sempre più diradate con l’avanzare dell’età di mio figlio fino a sparire del tutto. Sono ormai circa tre anni che un uomo non giace fra le mie cosce. Sono una donna molto ammirata e corteggiata. Le mie misure 90-60-90 sono invidiate da quasi tutte le donne che mi attraversano la strada. Dico quasi perché ve ne sono di quelle che suscitano invidia anche in me. Ho smesso di pensare agli uomini fin dal giorno in cui scoprii che mio marito mi tradiva. In quel momento scoprii di essere capace anche di odiare e fu solo l’amore per mio figlio che mi aiutò a non diventare un omicida. Basta poltrire. &egrave ora di alzarsi. Devo preparare il pranzo e poi fare una lista per le cose da portarmi nelle vacanze, le mie, che di fatto iniziano lunedì. Sono due anni che le faccio da sola. Scelgo sempre posti assolati ed isolati dove potermi denudare del tutto. Sono una amante del nudo integrale. Il mio corpo me lo permette. Scendo dal letto e vado a piazzarmi davanti allo specchio; mi libero della camicia da notte e guardo la mia immagine riflessa nello specchio; non c’&egrave dubbio, sono uno schianto. Mi accarezzo facendo scorrere le mani sul mio corpo. Mi soffermo sulle zizze ed in particolare sui capezzoli che artiglio con il pollice e l’indice (sono talmente grossi che sembrano la prima falange del mio dito medio) li strizzo e li torco. Un lamento mi nasce fra le cosce. Mi sto eccitando. Sposto la mano sotto la tetta destra e la sollevo; contemporaneamente chino la testa fino a che la mia bocca si scontra con il mio capezzolo. Apro la bocca ed avvolgo con le labbra la rossa e grossa ciliegia. Con la lingua la schiaccio contro il palato e la succhio. Il lamento diventa un nitrito. Sono arrapata. L’altra mia mano si sposta e raggiunge il mio inguine; le dita si aprono la strada fra i folti peli che coprono la mia micetta. Raggiungono le grandi labbra e si inoltrano verso l’interno. Sul loro cammino accarezzano le pareti della mia vagina rese viscide dagli umori che stanno secernendo. Il mio dito pollice resta fuori e va in cerca del mio clitoride. Lo trova e comincia a strusciare sul glande. Ululo. Uso le quattro dita della mano che sono entrate nel mio ventre come fossero un cazzo. Accarezzo l’utero. Mi chiavo. In breve tempo raggiungo un primo orgasmo a cui fa seguito, dopo pochi attimi, anche un secondo. Mi calmo. Esco dalla stanza e, nuda, raggiungo il bagno. Vi entro e mi infilo sotto la doccia; l’acqua &egrave fredda. &egrave quella che ci vuole. Mi asciugo e vado in cucina. Preparo la macchinetta del caff&egrave, la metto sul fornello e accendo. Ho dimenticato di indossare l’accappatoio. Mi giro per andare a prenderlo. Un urlo mi esce dalla gola e si propaga nella cucina e, credo, in tutta la villa. Un urlo che se fossimo stati in città la casa si sarebbe riempita di gente, ma abitiamo in collina e la nostra villa &egrave ubicata in aperta campagna, nascosta fra alberi quercia, ed &egrave molto isolata. Il mio grido non attira anima viva perché nessuno lo ha sentito. Nel vano della porta della cucina c’&egrave un uomo e mi sta guardando con occhi che sembrano vogliano uscirgli dalle orbite. Un braccio scatta a coprire, per quello che può, le mie grosse zizze mentre l’altro scatta e porta la mano a coprire il pube. In quella figura riconosco mio figlio.
‘A momenti mi facevi venire un infarto. Ma non eri uscito? Quando sei rientrato? Mi hai spaventata. Da quando sei lì a guardarmi?’
Lui fa un passo in avanti e chiude la porta della cucina con la chiave. Poi lentamente, senza staccare gli occhi dal mio corpo comincia ad avanzare verso di me e nel frattempo comincia a spogliarsi. In quegli occhi vi leggo il desiderio. I suoi vestiti, compresi gli slip, sono tutti sul pavimento. Indietreggio e nel farlo i miei occhi si posano sul suo inguine da dove si erge un affare di dimensioni più che normali. &egrave grosso e lungo e scalpita come uno stallone imbizzarrito. Capisco le sue intenzioni. La paura mi investe. Continua ad avvicinarsi. Il mio fondo schiena &egrave contro il tavolo. Non ho vie di fuga.
‘Cosa vuoi fare? Fermati. Ricordati che sono tua madre.’
Niente. Mi raggiunge; allunga le mani e le porta sotto le mie ascelle; mi solleva e mi fa sedere sul tavolo; mi allarga le cosce e si posiziona fra di esse. Le sue mani sono ancorate ai miei fianchi. Abbasso gli occhi e vedo il suo cazzo dritto come un palo e con un glande, grosso come l’estremità di un batacchio, poggiato contro la mia vulva. Alzo gli occhi e li fisso nei suoi.
‘Non lo fare. Non lo puoi fare. Torna in te. Ragiona. Sei mio figlio.’
Finalmente sento la sua voce.
‘Lo devo fare, altrimenti impazzisco. Sono anni che sogno di possederti. Sei diventata il mio incubo. Non me ne frega niente che sei mia madre. Ti voglio. Devi essere mia.’
‘Ti prego; ti imploro desisti dal tuo insano proposito.’
A nulla valgono le mie preghiere e le mie implorazioni. Lo colpisco con i pugni ma lui &egrave irremovibile. Lo sento spingere. Abbasso gli occhi e vedo il suo cazzo avanzare nel folto della foresta di peli che ornano la mia passera. Lo sento entrare. Sento lo scorrere del cazzo contro le pareti della mia vulva. Mi bagno. Un cazzo &egrave sempre un cazzo anche se appartiene a mio figlio; il grave &egrave che sta cominciando a piacermi. La mente mi si annebbia. La mia resistenza si affievolisce con il passare dei secondi. Mi lascio andare.
‘Non essere irruente. Non scapperò. Fai piano.’
La sua spinta si esaurisce. Il suo glande &egrave contro il mio utero. Ha riempito il vuoto della mia vagina. Sta occupando lo spazio nel mio ventre. Un brivido mi percorre il corpo. Una saetta parte dall’utero e raggiunge il mio cervello. Vengo. Se ne accorge.
‘Stai godendo?’
Non gli rispondo. Lo abbraccio. Sollevo le gambe e le porto sulla sua schiena. Lo imprigiono e gli stringo i fianchi con le mie cosce. Gli vado incontro con il bacino.
‘Sai cosa stai facendo? Stai chiavando tua madre. Ti rendi conto del tuo gesto? Cosa pensi che accadrà dopo? Fra me e te niente sarà più come prima.’
‘Non mi importa di quello che accadrà. Puoi anche denunciarmi.’
‘Denunciarti? E perché? Sei mio figlio. Non ti denuncerò mai. Piuttosto fai attenzione. Non sono protetta e non mi va che mio figlio diventi il padre del mio secondo figlio.’
L’irruenza gli fa dimenticare la mia raccomandazione. Non ci mette molto a riempirmi il ventre del suo sperma. Restiamo avvinghiati per il tempo necessario per un secondo round che culmina in una seconda bordata di sperma che dilaga nella mia pancia. Poi lui sfila il cazzo dal mio ventre; raccogli i suoi vestiti e si avvia ad uscire dalla cucina.
‘Dove vai?’
‘Cosa te ne importa?’
‘Mi importa eccome. Sei mio figlio e come mamma ti voglio bene e te ne vorrò sempre. Di quello che &egrave accaduto dobbiamo parlarne. Tu da questa casa non ti muovi e non ti permetto di lasciarmi sola. Mi hai fatta rinascere. Mi hai posseduta. Mi sono sentita nuovamente donna. Ho provato piacere e sei tu l’artefice. Sono stata la tua donna. Ora che ti ho trovato vuoi lasciarmi? Non puoi andartene.’
‘Mamma, ti ho violentata!’
‘Violentata? E chi lo dice? Nessuno sa e nessuno mai saprà. Da oggi prenderai possesso, nel mio letto, il posto che fu di tuo padre. Sarai il mio amante ed io sarò la tua donna. Ti va come soluzione?’
Mi guarda come fossi un extraterrestre. Si veste. Prende le chiavi dalla tasca dei jeans, apre la porta della cucina ed esce. Non lo vedrò mai più. Sparisce dalla mia vita ma non dalla mia mente. Sono ormai trascorsi circa 20 anni da quel fantastico giorno ed ogni minuto di quei venti anni mi vedono seduta sul tavolo della cucina e con mio figlio fra le mie cosce che mi sbatte il suo cazzo nella pancia riempiendomi il ventre della sua forza. Non c’&egrave solo il ricordo. La porta della cucina si apre e la figura di una bellissima ragazza si precipita ad abbracciarmi. &egrave la copia perfetta della mia immagine e si chiama Jessica.
‘Ciao mamma, sei sempre incantevole.’

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