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Racconti Erotici

Angeli Cannibali

By 10 Aprile 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

La gente la voleva diversa. I suoi grandi occhi scuririspecchiavano i desideri di coloro che aveva attorno.
Non le era mai sembrato di vivere, ma piuttosto di
interpretare una parte. La parte di un’attrice che studia un copione non scritto, ma che, per diversi motivi, già conosceva. Copione fatto dalle aspettative dei suoigenitori e dalle rigide regole morali, che lasuacattolicissima famiglia le imponeva. Studentessche mai in vita sua aveva dovuto piangeresuun tema andato male. Ottimi voti da sempre, educazione impeccabile, presenza fantastica. Lei si, che era la fiabesca ragazza modello. Diciotto anni e la voglia, profonda e segreta, di essere s&egrave stessa. Timorata com’era, nemmeno nella più totale solitudine si lasciava andare a inopportuni colpi di testa. Ma era da un pò che, in cuor suo, sentiva il bisogno di qualcosa di suo. Voleva a tutti i costi qualcosa che le appartenesse. Un qualcosa che nascesse da dentro di lei, dal più profondo del suo cuore. Al suo diciasettesimo compleanno, i suoi genitori, le avevano regalato tra i tanti regali che si convengono ad una ragazza di buona famiglia, un lettore mp3 già caricato con tutti i migliori brani delle opere classiche predilette da mamma e papà. “Ti servirà per rilassarti nel tragitto da scuola a casa”. Prendeva lezioni di piano da quando aveva cinque anni e quella musica le era talmente famigliare che poteva quasi vedere le sue mani correre tal volta allegre, talvolta pesanti, sulla lunga fila di tasti bianchi e neri. Una piccola Horowitz alle prese con Rachmaninov! Mai una delusione, mai un battibecco. Eppure Gaia, paradossalmente, non sorrideva mai. A volte si era chiesta se le avessero dato quel nome per beffarsi di lei, ma poco dopo si sentiva disperatamente in colpa per aver pensato cose così orribili su chi la amava. Ma la domanda le tornava spesso in mente…Una domanda senza risposta che percorreva soltanto i suoi pensieri, come un vagabondo in cerca di un posto dove lasciare riposare la sua vecchia, stanca carcassa. “Basta, non devo nemmeno pensarci!”. E così chiudeva il libro dei suoi pensieri. Erano tutti forse troppo attenti ai suoi risultati, alla sua educazione, per vedere che lei, a tutta la sua mediterranea bellezza, non donava mai un sorriso. D’altrone Gaia, non avendo mai riso , non destava alcuna preoccupazione e anzi, il suo atteggiamento austero e serio regalava ai suoi genitori la convinzione
che fosse solo opera della grandissima rettitudine e serietà che Gaia portava dentro di s&egrave.

Frequentava il quinto anno di un liceo classico e dai compagni era in parte ammirata ed in parte schernita per la sua estraneità al gruppo classe. Portava praticamente un uniforme composta sempre da classici pantaloni neri coordinati di giacca, affiancati ad una camicetta, a volte bianca a volte rosa. Aveva solo
un’amica che oltretutto era sua compagna di classe. Martina si chiamava e con lei parlava e a volte, sorrideva. Martina era un anno più grande di lei, era stata bocciata in prima ed era l’unica che aveva saputo legare, seppur in minima parte con Gaia. Non era una studentessa modello, ne educata nel senso vero e proprio del termine. Forse aveva quella grinta e quella verve, che Gaia non possedeva. A volte se lo chideva, Gaia, per quale motivo le piacesse tanto Martina ma concludeva sorridendo dentro di s&egrave, che le voleva bene così. Bene davvero.Ovviamente, durante la settimana, Gaia non poteva uscire dopo cena, ma il tardo pomeriggio le era concesso di sgattaiolare quel paio d’ore fuori casa. Sempre ammesso che non avesse da studiare oltre l’orario del doposcuola. Quando poteva, quindi, si infilava i suoi jeans 501, una delle sue anonime t-shirt bianche e con la bicicletta raggiungeva Martina al parco, sotto casa sua. Questo era uno di quei pomeriggi dove avrebbe potuto concedersi quel pò di relax, quindi prese il cellulare e chiamò Martina. Doveva fare così perch&egrave “Tina” spesso usciva con la sua compagnia, di certo non “adatta” ad una ragazza come Gaia. Compose il numero e la voce squillante di Tina rispose “Hey, ciao bella!” “Ciao Martina. Io avrei un paio d’ore libere, ti va se ci vediamo al parco?” “Ma certo Gaia…Sono liberissssssssssima, solo che per le 5 e 30 deve passare un amico. Ma si tratterà di qualche minuto. Ti va bene?” chiese con fare sicuro “Certo” rispose titubante Gaia.Si infilò le sue converse da tempo libero e prese la bicicletta. La città era così bella a Maggio. Caotica e già rovente. I clacson dei Tassì e lo sbuffare degli autobus creavano una piccola cacofonia che a Gaia era sempre piaciuta tanto. Maggio fa sorridere e i capelli sciolti al vento ti accarezzano le tempie e il viso dolcemente.

Arrivò a destinazione poco dopo, dopo aver sfrecciato libera e sicura nel traffico cittadino. Entrò nel parco spingendo la sua biciletta rosa a mano e arrivò alla
panchina segreta,circondato da enormi e gagliardi cespuglii misti a bambù, dove si trovava Martina. Avevano spostato, non con poca fatica una panchina
scassata la in mezzo. Tina aveva scoperto quel posto portando a spasso il cane e il giorno dopo lo mostrò a Gaia. Da fuori sembrava soltanto un grosso e
rotondo agglomerato di canne di bambù ornamentali di un raggio di circa 6 metri ma al suo interno si trovava questo loro piccolo paradiso di tre metri per tre.
Entrò piano, cercando di non farsi notare da nessuno. “Ciao!” le disse appena la vide. “Ciao Bella!” Rispose Tina accendendosi una sigaretta. “Come va?” Le chiese retoricamente. La risposta di Gaia era sempre -Bene grazie- ma si sorprese nel sentire che non era la solita giornata. “Potrebbe andare meglio” sbottò
Gaia. Tina alzò lo sguardo stupita, fece una esagerata smorfia di curiosità, squadrò Gaia dalla testa ai piedi e disse “Ma che cazzo! Ho sentito bene?” “Sì” disse
in modo secco Gaia. “Sai, sono un pò stanca e non vedo l’ora che la scuola finisca”. le 17:21 segnava l’orologio digitale che continuava a fissare con
impazienza Tina. “Dai raccontami un pò…non può essere solo quello. Quei cazzoni dei tuoi?” “Tina, per favore…” replicò Gaia. “Non dire così. Beh comunque si, un pò.” Tina spazientità replicò a sua volta “Senti scema, non farti tirare fuori le cose con le pinze come al solito…Ora dimmi cosa c’&egrave che non va senza farci giri
stronzi attorno! Non mi va di stare qui perdendo tempo nel farti domande…Avanti, sputa il rospo!” Gaia, un pò scocciata ma anche sorpresa dalla reazione dell’amica fece un respiro profondo e disse “Sai che ti dico? Che non so chi siano realmente mia madre e mio padre a questo punto. Non ricordo un giorno felice in loro compagnia. Non ricordo un giorno felice, punto. Pretendono il massimo da me, ma loro cosa mi danno? Mi sembra di essere un automa. Sono obbligata a soddisfare ogni loro desiderio…Lo so che pretendono il massimo perch&egrave desiderano che io abbia il massimo nella vita ma sono convinta che sia un esagerazione. E sto arrivando al limite.” Si interruppe di colpo. Sopresa da se stessa. Come se un demone, un angelo, o uno spirito si fosse incarnato in lei e avesse parlato per il suo conto. Un parto senza gestazione. Parole pronunciate nell’istante medesimo in cui venivano pensate. Si guardarono Gaia e Tina. Uno sguardo misto fra la sorpresa e lo spavento. Rimasero così per un pò e senza toglierle quello stesso sguardo di dosso Tina balbettò “Beh…oh…Hai provato a parlargliene?” Seguì il silenzio. “Che scema, scusa la domanda idiota” Aveva capito che Gaia aveva appena sbattuto il naso su una porta che fino al giorno prima, fino al minuto prima, era stata sempre aperta. “Riformulo…parlargliene no, eh??” Gaia cadde dalla sua personalissima nuvola di smarrimento e disse “No sei pazza? Come posso propormi a loro in questo modo? Sarebbero feriti, li scioccherei troppo. Mi prenderebbero per pazza. Meglio che non ci pensi più…” Tina stava per dire la sua quando il misterioso amico arrivò alle loro spalle, facendo frusciare il cespuglio di escallonia, berberis e bambù. Gaia non poteva credere ai suoi occhi. Che diavolo ci faceva la il prof di storia dell’arte? Lo sguardo meravigliato di Gaia incrociò quello altrettanto meravigliato del Prof De Benedetti. “Ciao Marco…” fece Tina ammiccante “…non ti preoccupare per Gaia, lei &egrave una tomba!” “Una tomba? Giuliani di che stai parlando?” “Su non fare lo stronzo Marco…ora siediti qui e stai calmo” “Non so davvero di che tu stia parlando” si girò e scomparve oltre le fronde. Tina scattò in piedi e gli corse dietro. “Senti non so cosa tu abbia in mente, ma ti avevo detto che questa cosa doveva rimanere tra noi.” “Senti sono maggiorenne, e sai bene che i miei sanno che frequento un uomo molto più grande di me!” ” Si ma non sanno che questo “uomo molto più grande” di te, coincide con il tuo professore di Arte! Martina, ragiona…” “E tu parla piano idiota! Hai gridato talmente forte che la tua scenetta di la con Gaia, ormai ha perso tutta la sua efficacia. Non &egrave stupida, anche se aveva qualche dubbio riguardo a
questa cosa fino ad un minuto fa, ora ne ha la certezza! Ora calmati e torniamo la…per favore.” “Si ma che figura ci posso fare con i genitori di Gaia? Sai che &egrave la migliore ragazza dell’Isituto, questa faccenda mi metterà in cattiva luce Martina, verrò trasferito o peggio ancora sospeso!” “Se non la smetti mi metto a gridare che vuoi stuprarmi…” “Non lo faresti…” “Certo che lo farei se servisse a tenerti qui. Ma infondo trannenerti non servirebbe a nulla…Mica stiamo insieme no? Tu hai la tua mogliettina a casa e io ho il mio giro di scopate…Ma se mi scarichi Marco, te la faccio pagare. Andiamo ora” Intanto Gaia, che aveva senza volerlo,
sentito ogni cosa aleggiava nella sua confusione. Stava lì a fluttuare senza meta in un mare di pensieri liquidi, quasi tangibili e viscidi. Sembrava di stare in mezzo ad un mare salatissimo, quasi delle sabbie mobili. Decisamente si trovava a disagio. Ricadde dalla sua personalissima nuvola di smarrimento appena i due rientrarono nel “cerchio magico” creato dagli arbusti. “Marco ti presento Gaia, Gaia ti presento Marco. Anche se vi conoscete già ora avrete modo di lasciare da parte i vostri formalismi…” “Salve” fece Gaia, senza avere il coraggio di prendersi quella libertà di dargli del tu che Tina aveva incoraggiato. “Ascoltate voi due…”iniziò Tina “..ormai sapete quello che c’&egrave da sapere. So che tu Gaia non ne farai parola ad anima viva e so anche che tu Marco hai qui qualcosa per me…” “Tina, non mi sembra il caso…” “Senti…smettila. Tanto le dico tutto lo stesso. Arreso Marco estrasse dalla tasca un misterioso cartoccio che porse a Tina che aggiunse “Tanto per essere chiari, Gaia, non stiamo assieme…scopiamo e basta” Marco arrossì ma non riuscì a non guardarla in modo severo ed esasperato. Gaia, che si sentiva sempre meno a suo agio la in mezzo voleva andarsene ma c’era qualcosa che al tempo stesso la teneva incollata a quella panchia malandata. Era un segreto grosso. Un qualcosa che non doveva essere raccontato. Un qualcosa che spezzava la routine e trasformava la sua banalissima vita in un altro qualcosa di ora indecifrabile. Certo non era chissà cosa ma per Gaia, era molto. Nessuno le aveva mai confidato un segreto, e poi un segreto del genere! Martina accese una canna e nel disagio generale a lei estraneo, dopo un paio di boccate la passò a Marco che per accontentare la ragazza accettò l’offerta. Tina era molto diversa da come la immaginava. Sapeva che a volte si lasciava andare a divertimenti un pò sopra le righe, che comunque non superavano il litro di birra e la cannetta solitaria. Era sempre più perplessa e sempre più eccitata nel suo profondo. Fissava i due con occhi sbarrati e pieni di vita. Tina butto indietro la testa, mostrando il lungo e sottile collo, espirando alla fine l’ultimo gradevole tiro della canna. Chiuse gli occhi e rimase così, sorridente. Ritirò su la testa, che a Gaia sembrava pesare dieci kili, e aprì gli occhi ora lucidi e arrossati. Erano ormai le 18:45 e Gaia doveva essere a casa per le 19:00 ma non aveva nessuna intenzione di schiodarsi da lì. Tina sfiorò le labbra di Marco con un leggero bacio e si alzò in piedi. “Vi voglio bene” Disse con tono alterato e divertito. “Questo sarà il nostro posto segreto anche se in principio era solo mio e di Gaia. Marco non farlo vedere a nessuno…” Il ghiaccio si sciolse e nonostante Gaia fosse troppo lucida per seguire i discorsi lenti e goffi dei due, si trovò bene, tanto da scordarsi di tornare a casa. Alle 19:20 il suo telefono squillò dissolvendo come una doccia fredda quell’atmosfera pacata e serena che si era formata nel cerchio magico. “Gaia! Dove sei??? Lo sai che ore sono? Tra poco &egrave pronta la cena!” “Scusa mamma, arrivo subito! Scusami, scusami davvero…Oggi ho studiato talmente tanto che sono così confusa da aver perso la percezione del tempo! Arrivo immediatamente.” Si alzò, infilò il piccolo cellulare in tasca e si spolverò i jeans dai licheni e dalla polvere della panchia. “Mi ha fatto piacere stare qui con voi. Martina ci vediamo domani a scuola, comunque dopo ti telefono” “Ok, fai per le 9 massimo 9 e 30 che devo ripassare mate…Oggi non avevo voglia di studiare” Non appena Gaia svanì fuori dal cerchio, Marco e Tina cominciarono a baciarsi appassionatamente e si lasciarono andare ad un fugace, dolce/arrabbiato, quarto d’ora di passione.

Il giorno dopo a scuola Gaia era diversa dal solito. Aveva un aria più spigliata e un mezzo sorriso le adornava il volto. Non vedeva l’ora di vedere Tina che da cinque minuti l’aspettava fuori sulle gradinate. “Ciao” “Ciao!” “Senti Gaia, sono felice di averti fatto sapere quella cosa su Marco ieri. Sono felice che tu sia mia amica, sono felice che possa condividere qualcosa con te!” Gaia sbalordita ma felice le disse “Sono felice che tu mi abbia reso partecipe alla tua vita Tina. Ti voglio bene!” Si abbracciarono sotto gli occhi stupefatti di mezzo istituto e entrarono in aula. Quel giorno Gaia aveva la testa altrove e quando l’insegnante di filosofia la chiamò per intervenire e non ottenne risposta sbottò “Mantovani!” Cosa le prende oggi? La lezione non &egrave di suo gradimento???” Fuori dalla finestra l’estate strava premendo con tutte le forze contro il cielo, quasi volesse esplodere dall’orizzonte e schizzare lassù in alto, dove già gli uccelli migratori volavano da qualche settimana. Si voltò e si scusò “Scusi professor Pisani, ho avuto qualche difficoltà ad addormentarmi.” “Se non sapessi che sei la miglior studentessa del liceo, Gaia, direi che questa &egrave un’ottima scusa. Ma essendo la prima e certamente l’ultima volta che ti richiamo, farò finta di crederti.” Gaia accennò un sorriso di ringraziamento e dentro di s&egrave penso “Ma perch&egrave mai se sgarrò una volta sola devono prenderla tutti così esageratamente? Cristo, ho sempre dato il massimo e per un attimo di debolezza tutti si agitano…Ma perch&egrave non ve ne andate affanculo???” Turbata dai suoi stessi pensieri alzò la mano e chiese il permesso di andare in bagno a rinfrescarsi il viso. L’acqua gelida la fece rinsavire. La campanella suonò il cambio dell’ora e gli studenti si riversarono nei bagni e nei corridoi per sfruttare quei tre minuti di caos generale prima dell’inizio della lezione successiva. Martina si precipitò nei bagni delle ragazze e trovò Gaia fissarsi allo specchio. “Gaia va tutto bene? Che ti frega di Pisani, lo sai che &egrave un complessato del cazzo. Ha appena scoperto che sua moglie gli fa le corna, me l’ha detto Marco.” “No no, Tina. E’ tutto ok. Ho solo pensato che sono un pò stanca e non vedo l’ora che la scuola finisca.” “Senti, &egrave sabato. Stasera non ho impegni, ti va di venire nel pomeriggio da me e poi si esce un pò? Poi fermarti da me questa notte?” “Credo di sì, non dovrebbero esserci problemi. Questa settimana ho accontentato a sufficienza i miei e visto che lunedì e martedì non ci sarà lezione posso permettermi, forse, di svagarmi un pò” Aveva già dormito a casa di Martina, i suoi genitori erano intimi con i suoi e se anche trovavano Martina un pò troppo vivace pensavano che non fosse un problema troppo grande visto che Gaia aveva sale in zucca per tre. Poi erano ottimi finanziatori i Giuliani. Ottenne infatti il permesso di stare da Tina quella notte. Il sabato aveva l’autorizzazione per rientrare attorno le una al massimo ma Tina aveva libertà assoluta il sabato sera. I suoi pensavano “Ma sì, dopo tutta la settimana a scuola le fa bene

staccare un pò e tutto sommato, sta studiando parecchio ultimamente”. I compiti e le verifiche, a onor del vero glieli faceva Edoardo, il secchione della classe ma questi erano particolari sconosciuti ai genitori di Martina,soprattutto per suo padre che per essere borghese era abbastanza permissivo con la sua figlia naturale. E dopotutto, amava più Martina che Roby, figlio della sua attuale moglie. Ma queste sono cose che non si possono dire. Via. “Via dalla testa questi pensieri.” Si incontrarono al parco alle 15:00 davanti alla vecchia quercia e si avviarono verso casa di Martina. “I miei staranno fuori casa questo fine settimana. Vanno a Ostia alla casa al mare. La domestica &egrave partita per andare a trovare la sua famiglia…Abbiamo casa tutta per noi. Tranne forse mio fratello che passerà di qua, ma lui non &egrave comunque un problema…” Gaia restò di stucco ma Tina la prese sotto braccio in modo rassicurante. L’idea poi di vedere Roby, il fratello di Tina, le faceva tremare le ginocchia. Aveva un debole per lui anche se non aveva affatto la faccia da bravo ragazzo “…dai che ci divertiremo…” Entrarono nel giroscale e presero l’ascensore che le porto nell’attico. Entrarono nel grande e luminoso appartamento e si precipitarono in camera. Tina prese un cd e lo mise nel lettore. Le hole cominciarono a gridare con tutta la rabbia del mondo la loro Babydoll e Gaia, non abituata a quella musica sembrava stordita all’inizio ma poi pensò che non era poi tanto diversa dal chiasso della città. Dalla violenza del traffico e dal vociare forte della gente. E cominciò a sentirla crescere dentro di se. “Questa &egrave folle. Sono le Hole. Io le adoro…” Gaia sorrise tanto da mostrare la perfetta fila di denti bianchi che il buon Dio le aveva donato. “Senti stasera ti porto in un bel localino che conosco io. Mi hanno lasciato la macchina piccola i miei. Possiamo fare quello che vuoi…” ammiccò forse un pò maliziosamente…Di solito quando Gaia si fermava da Martina passavano la serata a guardare film strappalacrime oppure Gaia studiava mentre Martina ascoltava nel walkman, davanti alla specchiera, le sue cassettine preferite iperboleggiando con rimmel e rossetto.”Gaia, senti posso farti notare una cosa?” Fece mentre versava del martini per due “Ma non la prendere a male, non voglio romeprti le palle…” “Dimmi pure Tina” rispose curiosa. “Senti. E’ ora che lasci quella immagine. Forse i tuoi non lo apprezzeranno…” “Cosa intendi Tina?” “Niente di che, ma forse quei jeans e quella t-shirt…beh non vanno più bene…Insomma cerca di ripigliarti perch&egrave hai 18 anni. Tutte le altre rimorchiano o quantomeno si truccano un pò. Non che tu sia brutta anzi…cazzo, sei splendida ma vorrei vedere un pò cosa posso tirare fuori da te…” “…Io veramente non so se &egrave il caso…” sospirò rassegnata “Hey, Gaia…I tuoi mica lo devono sapere” Gli strizzò l’occhio Tina. Si sentiva di nuovo eccitata e disse “Sì, ok fammi vedere che puoi fare!!!” Era seduta a gambe incociate sul morbido pavimento fuxia della stanza e saltò in piedi. Fortunatamente Gaia e Tina erano molto simili fisicamente tranne per il fatto che Tina aveva un seno molto sviluppato ma per il resto, indumenti e scarpe potevano apparire dello stesso proprietario. Le fece provare decine di pantaloni e magliette. Ridevano come pazze mentre giocavano a fare le top model nella grande camera da letto di Tina ma nessuna combinazione sembrava convincere la neo-stilista. Allora decise che forse era il caso di passare prima alla prova make-up. Anche qui trascorserò un sacco di tempo a provare tonalità di colore giuste con le quali, Tina, dalla mano esperta, decorava quel viso splendido. Era bellissima così, con un pò di terra sugli alti zigomi e un sacco di rimmel ad allungare quelle già infinte ciglia. Uno sprazzo di color rame sulle palpebre e un filo di gloss trasparente sulle labbra. Era quasi perfetta. Mancava l’abbigliamento giusto. Ma forse aveva trovato! C’era quel vestitino rosa che aveva preso in una botique in viaggio a Parigi che però non si riusciva a mettere per il seno troppo abbondante. Quello a Gaia sarebbe stato a pennello. Lo andò a prendere nella cabina armadio di sua madre e torno sventolandolo come una bandiera. La bandiera di quella notte di follie che si stava prospettando davanti a loro. Era di tulle e chiffon con degli inserti in raso. Aveva un taglio bizzarro, a bustino ma elegante con una fila di bottoncini tondi e piccoli che percorrevano l’abito passando dalla vita fino al seno. Era complicato per Gaia da mettere, quindi si mise davanti al grande specchio che rimandava la sua sottile immagine integralmente e chiese l’aiuto di Tina. “Prima devi metterti qualcosa di adatto sopra. Quel reggitette &egrave sportivo! Improponibile. Mia madre porta la tua taglia. Ne ha un sacco che non mette mai ora ti trovo qualche completino nuovo di zecca.” E infatti tornò dopo poco con un completino color pesca e un paio di autoreggenti in tinta. Gaia si sbarazzò del suo intimo sportivo nel bagno e si infilò calze, tanga e reggiseno. Uscì dal bagno sotto lo sguardo estasiato e compiuaciuto di Tina. Lei era già pronta, in un abitino color verde acqua e tacchi alti. “Metti queste” le disse mentre le porse un paio di scarpine rosa dal tacco
vertiginoso. “Aiutami tu” le chiese Gaia, un pò impacciata. Infilò il vestitino aperto dalle gambe guardandosi allo specchio. Non si riconosceva. “Qui dietro ti devo tirare un pò le stringhe…quando l’ho provato io ho dovuto allentarle del tutto…” Iniziò il minuzioso lavoro sul bustino. Riusciva a vedere torso di Gaia dilatarsi e rilassarsi, in lunghi respiri profondi. Sentiva il suono dell’aria uscire dalla sua bocca e intravedeva il suo volto riflesso allo specchio. “Hai mai baciato un ragazzo Gaia?” Trasalì…”No! E quando? Non ho idea di come si faccia…” Tina ridacchio “Ti piacerebbe imparare? E rispondimi sincermente, il martini di prima parlerà per te” domandò indiscreta. Gaia effettivamente si sentivà leggerà. Aveva bevuto dello Champagne a Natale e alle ricorrenze importanti ma in una quantità irrisoria “Beh, credo di si.” Era seria ed impegnata mentre dava quella risposta. Sembrava volesse sembrare spontanea e disinvolta ma Tina si accorse del suo imbarazzo e della sua insicurezza. Stava sistemandole il bustino ora allacciato di tutto punto. La prese per la vita e ne percorse gli incavi. Gaia stava come una ballerina a braccia larghe, in precario equilibrio. Sarebbe sembrata una di quelle ballerine di cristallo dei Carillon, fragile e bellissima. Tina la giro verso di se e cominciò a sistemare l’abito sul davanti. Poi si volse sulla cassettiera e prese una collanina d’argento. Le stava allacciando la collana e i loro sguardi si incrociarono. I loro respiri danzavano all’unisono e le loro pupille si restringevano mettendosi a fuoco le une con le altre. “Se vuoi posso insegnartelo io” disse Tina “Insegnamelo…” rispose espirando forte Gaia. Le loro labbra si sfiorarono dapprima. Gaia con gli occhi sbarrati vedeva la sua amica tanto vicina da dover chiudere gli occhi e si accorse che stava per abbandonarsi a quelle labbra roventi che cercavano avide le sue. Le labbra di Tina premevano forte contro i suoi denti tanto da dover dischiudere le sue. Le loro lingue si incontrarono a metà strada tra la curiosità e l’eccitazione. Aveva un buon sapore Tina. Le appoggiò delicata le mani sui fianchi e Tina si staccò per un attimo piovendo poi umida sul suo collo. Sentiva un calore innaturale sprigionarsi dentro di se, e lo avvertiva
anche Gaia. Veniva dal basso e saliva verso l’alto, a vampate intermittenti. A ritmo con i morsi lievi di Tina che piano allungò la mano sul petto di Gaia. Cominciò a baciarla nell’incavo del seno ma in quel momento suonò il campanello. SI ricomposerò nella frazione di un secondo, fissandosi perlpesse. Tremanti. Eccitate.
Spaventate. “Dev’essere Marco” tartagliò Tina. A Gaia sembrò di colpo tutto pesante. La testa cominciò a girarle e si lasciò cadere seduta sul letto vicino. Dopo
qualche minuto entrarono in camera Tina e Marco. Aveva l’aria visibilmente sconvolta e Gaia la fissò. “Non mi sento troppo bene…” “Ha bevuto?” chiese Marco preoccupato “Si solo un martini…” “Portiamola sul terrazzo, a questo punto le basterà solo un pò d’aria fresca”. Fu così che dopo una quindicina di minuti Gaia stava già notevolmente meglio. “Scusatemi, devo essere apparsa così ridicola…” “No…” la interruppe Tina “…i tuoi sono ridicoli. Ma hai mai vissuto veramente
Gaia? Eh? Hai la minima idea di cosa significhi vivere? Perch&egrave non li mandi affanculo?” Gaia sussurrò sconsolata un timido “Tina…” ma secca lei le rispose “Su, ora basta. Questo discorso mi ha rotto e poi se non prendi da te le decisioni, certo non posso farci niente…Non fottiamoci questo sabato sera”. quindi andò in cucina a prendere due grossi bicchieri d’acqua fresca. Tornò e uno lo porse a Gaia che lo bevve tutto d’un fiato. Tina guardò Marco ammiccante e disse “Tra
poco si sentirà come nuova di zecca”. Marco fissò Tina e poi i loro bicchieri vuoti. Inorridito, capì. Rimasero assorti, così. Giusto per quel pò che non si può quantificare. Quando lo spazio ed il tempo sembrano essere inerti. Non c’erano scadenze o starter con la pistola in mano pronti ad annunciare la partenza. Non
c’era bisogno di avere fretta, neanche nel pensare.

Quell’attimo di smarrimento generale venne interrotto dal rumore della chiave nella serratura blindata dell’appartamento.

Non sapevano quanto tempo era passato e Gaia sentiva dentro di s&egrave qualcosa di strano. Come se avesse perso il suo grillo parlante. La sua coscienza. E poi le

dita delle mani non erano sue, o meglio lo erano ma era come se non lo fossero. Non avrebbe saputo trovare le parole. Come se migliaia di formiche le

camminassero sulle dita. Tutto sommato stava bene. Si. Forse stava più che bene… Entrò Roby e gridò “Marty ci sei???” ed una rispota venne dalla camera vicina “Si sono qui Roby, vieni….”. Lui si fece avanti, entrò nella stanza e si buttò tra le braccia della sorellastra 7 anni più giovane di lui. “Ciao piccola…Hai le pupille come due vinili. Inutile chiederti come va!” Lei lo guardò come se fosse l’angelo di quel sabato sera “Speravo che venissi Roby. Senza di te queste serate sono così vuote…”Marco non stava un granch&egrave bene. Ricordava i tempi dell’università e ricordava come andavano a finire quelle serate. Prese la sua giacca. Se ne andò senza pensarci due volte. Senza dire nulla. Sua moglie era a Salerno, nel piccolo appartamento per le ferie che si erano sudati. Lui le aveva detto che sarebbe andato ad una rimpatriata sul Trasimeno. Voleva solo arrivare da lei. Le urla di Martina gli corsero dietro come coltelli lanciati da un’artista circense. Ma lui non le sentì. Non le ascoltò. Arrivo velocemente in strada. Salì sulla sua Volvo Polar color Rosso e inserì la prima marcia. Era felice di andarsene. Ma era una felicità transitoria. Sentiva pulsare la vena nera e marcia della sua coscienza.

“Quello stronzo…Me la pagherà. Domani telefonerò a quella povera corunta e le dirò tutto! Tutto!!!” Tina era infuriata e Roby che sapeva come gestire quel delicato tipo di situazione. La abbracciò stretta e le disse che tutto sarebbe andato bene. Che ci avrebbe pensato l’indomani. Che ora era al sicuro tra le sue braccia e niente le avrebbe fatto del male. Lei si calmò. “Scusami Roby. So che mi avevi detto di non vederlo più…E’ che eri così lontano. Mi mancavi, capisci?” Lui annuì e aggiunse “Dammi un pò della tua roba. Io l’ho finita”.Gaia si alzò in piedi. C’era un sottofondo musicale. Martellante. La eccitava terribilmente. E ora aveva un sacco di caldo. La sua bocca era arida ma non aveva affatto sete. Raggiunse Tina in cucina. C’era anche Roby. Non si era accorta del suo arrivo e non sapeva da quanto tempo era lì. Stavano seduti al tavolo di cristallo. Era chino sul tavolo. Davanti a lui Martina. Roby si tirò su facendo alcune smorfie e strofinandosi il naso. “Ciao Gaia. Sei bellissima stasera” Si alzò e la andò a baciare sulla guancia. Non si accorse nemmeno di aver affrontato al situazione senza arrossire o senza balbettare. Semplicemente, lo abbracciò e gli disse “Anche tu sei bellissimo.” Lui rise e si volse verso Tina “Vedo che hai fatto il biglietto anche per Gaia” Tina dal tavolo annuì alzandosi “Si, sola andata per il paradiso” fece sorridendo.

La pioggia batteva sul parabrezza della macchina. Era già abbastanza lontano. Nello stereo la sua cassetta preferita “We must play our lives like soldiers in the field but life is short i’m running faster all the time”. Si sentiva così ora. Un soldato armato di sole parole. Quanto tempo aveva buttato via? Perch&egrave l’aveva tradita? Cosa cercava in quella ragazzina? Stava forse impazzendo? Erano forse i retaggi dei suoi divertimenti adolescenziali? Pensava. Era felice di essersene andato. Ma da una parte sentiva che c’era qualcosa di sbagliato nell’andarsene da lì. Buttò la Marlboro dal finestrino e alcune goccie colpirono la sua mano. Salerno era ancora lontana. Come lo era ancora la sua mente.

“Cazzo. Ha iniziato a piovere…Porca puttana! Che facciamo? Volevo andare a quella festa su all’attico. Ma con questo tempo, figurati…” Roby prese il cellulare
“Chiamo qualche amico dai. Se non possiamo andare alla festa sarà la festa a venire da noi”. Nel giro di trenta minuti la casa era piena di gente. Tina prese per
mano Gaia, che stava ballando nell’ampio salotto. “Vieni con me… Devi bere qualcosa altrimenti stai male…” Roby stava in cucina con tre suoi amici. Gaia lo guardava. Divino. Una t-shirt aderente a larghe righe nere e rosse e un paio di Jeans strettissimi. Su quelle lunghe e magrissime gambe. Sembrava una rockstar con quella giacchetta di sottile pelle nera addosso. Aveva gli occhi scavanti e profondi. Quasi del tutto neri. Ma un verde ultraterreno faceva il girotodo intorno
alle sue pupille. Parlavano di qualcosa che lei non riusciva a capire. Ma non le interessava. “Tina, porta Gaia di là…arrivo subito” “Ok” rispose prendendo l’amica per mano. Cominciarono a ballare in mezzo al salotto. Gaia si tolse le scarpe. Non aveva mai ballato quella musica prima ma le sembrava di essere posseduta dal di dentro. Come se un serpente le facesse da spina dorsale vedeva se stessa muoversi sinuosa contorta nelle sue stesse mille spire. Un ragazzo biondo e decisamente fatto si avvicinò ballando a Tina. Non si dissero niente. Solamente le loro bocche cominciarono a violentarsi vicendevolmente. Gaia non si accorgeva di niente. Tina prese lo sconosciuto per la cintura e lo portò con s&egrave in camera da letto. Roby come promesso poco prima, arrivò. Non si curò di dove
fosse la sorellastra e si diresse verso Gaia. Lo stereo suonava il remix di Enjoy The Silence dei Depeche Mode. Roby cominciò a ballare con Gaia e la afferrò
per la vita “All I ever wanted all I ever needed Is here in my arms… words are very unnecessary they can only do harm” Si guardarono negli occhi mentre lui le
sussurrava le parole della canzone. Gaia sentì esplodere dentro di s&egrave miliardi di effimere galassie. Era scompattata in cento milioni di universi e in ognuno di
questi c’era un suo stato d’animo. Esplosero assieme travolgendola e riempendola. Si senti così piena di vita, di amore, di gioia. Non faceva parte dell’universo.
Lei era quell’universo che si specchiava degli occhi di Roby. Si abbandonò a lui che la prese ora con più forza. Senti il suo petto premerle contro. Il suo profumo
era amplificato all’enesima potenza tanto da farle credere di potergli dare forma e consistenza. Le femeliche labbra di lui premevano ora contro quelle ardenti di lei. E le loro mani, incerte ma estremamente curiose perlustravano i loro corpi esili e magnifici. La porta dela camera da letto più vicina li risucchiava come un tornado.

Diluviava e Marco era sempre più vicino a lei. Sempre più lontano dai suoi errori. “Cristo sono solo ragazzine…”. Si forse era lontano dai suoi errori ma sempre più vicino alla sua coscienza. “In starlit nights I saw you, so cruelly you kissed me. Your lips a magic world your sky all hung with jewels. The killing moon will come too soon…” …Martina… Si infilò come folgorato nel primo casello autostradale e inverti il senso di marcia. Sentiva che qualcosa sarebbe andato storto quella notte. Ma infondo voleva bene a Martina. O no? Forse era il terrore di vivere per sempre con il senso di colpa se solo fosse capitato qualcosa a loro.
Forse era solo un padre un pò perverso che andava a salvare la sua piccola Lolita. Entrò disperato in austostrada. Di nuovo. Senza guardare nemmeno a
sinistra si gettò nella corsia rimanendo quasi travolto da un pullman. Il suono del clacson soffocato dalla pioggia battente vibrò sul suo cuore una fitta che gli
tolse il respiro. Esitò un solo secondo. Perse quasi il controllo prima di ritrovarsi in careggiata. Le sue mani stringevano il volante tanto che le nocche bianchissime gli dolevano. Il suo cuore batteva un ritmo rapido, costante. L’aria che respirava gli bruciava in petto e i suoi occhi erano fanali spenti nella notte. “Oh love like liquid falling Falling in cascades. Oh lovelorn victims, laughing in cascade”.

Lo sentiva pesare sopra di s&egrave, sotto morbide lenzuola si seta. Il grande letto disfatto. Respiri che non erano loro. Gaia si voltò a destra e incontrò gli occhi di Martina. Chiuse gli occhi lasciandosi andare. Non le importava nulla. Era l’universo che sentiva fluire fuori dal suo corpo. Il caldo l’avvolse completamente. Le labbra carnivore di Roby cercavano i suoi seni come brandelli di succulenta cruda carne. Martina si protese verso Gaia e la girò su un fianco aprendole il bustino. Roby lo sfilò con uno strattone deciso. Gaia aprì gli occhi. Oltre le spalle di Roby vedeva il soffitto rosso precipitare su di loro. Le sue mani sulla schiena di lui si contrassero e le sue unghie lo trafissero. Ora lui le stava restituendo l’universo, iniettandolo tra le sue gambe. Faceva male. Un male d’inferno. Chiuse gli occhi e trattenne il respiro. Il ragazzo biondo alle spalle di Martina tormentava le labbra di Roby ma non le sembrava strano. Tutto vibrava assieme a lei. Erano un unica grande cosa, come quando Martina la baciò e sentì di nuovo in un’altra esplosione. Gaia sentiva ora scorrere in lei più vita di quanta mai ne avesse realmente avuto bisogno nell’arco di un intera esistenza, e scorreva veloce come Marco scorreva ora in lei, in quel mare inesplorato e vergine di umori roventi. Erano un groviglio di corpi sudati e fatti che si cibavano di loro stessi. Troppo giovani e belli per essere veri cannibali, troppo poco puri per essere angeli.

Cosa gli era saltato in mente ?! Era scappato come un ragazzino da lì. Avrebbe pagato per questo. Spingeva sull’acceleratore come il condottiero di se stesso. Qualcosa lo spingeva forte da dietro “We must play our lives like soldiers in the field but life is short i’m running faster all the time”. Era da un pò che guidava e Roma sembrava ancora tanto lontana. Sarebbe mai arrivato in tempo? E in tempo per cosa?

Cominciava a non sentirsi troppo bene. Aveva la nausea e la bocca secca. Le facevano male quelle mani e quelle bocche. Ma non aveva la forza di respingerli. Il ragazzo biondo le torturava i capezzoli con troppa foga e Martina ora era lontana. Dall’altra parte del letto, prendendo rapide boccate d’aria tra le gambe del figlio della sua matrigna. Non c’era sangue in comune. Il solo essere fratellastri li eccitava più di ogni altra cosa.No. Non faceva più parte di quell’armonia. Era come uno violino scordato in un quartetto prima perfetto. “Basta…” mormorò. Ma non face tempo a prendere aria che Martina quasi l’affogò con la bottiglia d’acqua. “Bevi dannazione…starai meglio dopo”. Di là la gente se ne stava andando. Nessuno cambiava il disco che continuava a ripetersi da qualche ora e tutti gli alcoolici
erano finiti. Il ragazzo biondo era dentro di lei ora. Sentiva Martina gemere ma non riusciva più a vederli. Svenne…

“Mancano sessanta chilometri. Cazzo…Cazzo! Devo muovermi.”It’s getting faster, moving faster now, it’s getting out of hand on the tenth floor, down the backstairs into no-man’s land. Lights are flashing, cars are crashing, getting frequent now…” Disorder stava operando meticolosa, come un chirugo-killer, nella
sua testa. Erano due persone nello stesso corpo. Una terribilmente confusa, l’altra maledettamente cosciente. “Sto arrivando ragazze, tenete duro…” Era un
sensitivo o cos’altro? Marco da sempre aveva la tendenza a lasciarsi andare ai suoi istinti. E il suo istinto questa sera gli diceva di correre. Correre come, anzi più del vento!

Quando riaprì gli occhi era in preda a dolori indescrivibili. Una sonda aliena, sconosciuta e spietata le perlustrava lo stomaco. Il cuore batteva a mille. Appena si levò a sedere vomitò per terra, sul cashmere. Saliva e acqua come acido muriatico. Cercò di alzarsi ma barcollò e poi cadde. Martina la prese per un braccio e se lo mise dietro al collo aiutandola ad alzarsi. “Andiamo in terrazzo…” Lentamente raggiunsero l’esterno dell’attico. Appoggiò Gaia al bordo del terrazzo. “Martina…sto male. Ho paura di morire…” Martina le accarezzò il volto e le disse “Ma tu non puoi morire. Noi siamo Angeli, non lo vedi? Non lo senti?” Aveva smesso di piovere da un pò e uno squarcio di cielo nero era apparso sopra la capitale. La luna piena come un’enorme pupilla osservava il sabato notte spegnersi come una candela di paraffina. Martina salì in piedi sul muretto, completamente nuda. Alzò le braccia verso il cielo e cominciò a gridare frasi senza senso. Roby corse sul terrazzo a torso nudo “Martina! Fermati. Non fare la scema. Scendi da lì!” Gaia, si riprese un pochino e le afferrò la caviglia… Roby si avvicinava terrorizzato ma lentamente. “Ok, Martina…Senti. Hai esagerato con quello schifo stasera. Vieni qui ora. Non sei un fottuto angelo. Non hai le ali.
Dammi retta. Scendi” Martina ora stava li immobile con le braccia lungo il corpo, in silenzio. “Si. Io sono un angelo…sussurrò.” Si voltò verso Roby. Il volto rigato
dal trucco colato. Stava piangendo “Sono – un – fottuto – angelo. Hai capito figlio di puttana?” gridò con rabbia in faccia al fratellastro. “Sei solo confusa Martina.
Se salti, morirai. Dammi la mano, ti prego…” Lei lo guardava aleggiando in un mare di terrore e stupore “No Roby…” “Martina scendi…ha ragione lui…ti prego non ho più forze. Fallo per me ti prego” fece Gaia ancora ancorata alla sua caviglia. Non ce l’avrebbe fatta ad alzarsi e a tirarla verso di s&egrave. Tremava dalla testa ai piedi in un continuo spasmo di dolore.

“Ci sono quasi…” era gia sul Grande Raccordo Anulare da un pezzo. In poco meno di dieci minuti sarebbe arrivato a casa di Martina. Prese la statale Pontina. A quell’ora non era di certo trafficata. Premette sull’acceleratore e il contagiri sul cruscotto sembrava registrare i battiti del suo cuore.

“Stammi lontano Roby. Ti odio…mi hai usata…sempre” Gaia ora era sveglia e cosciente di ciò che stava per accadere ma ancora troppo debole per fare anche il minimo movimento. Solo le sue mani…circondavano quella caviglia come una morsa “Scendi…come te lo devo dire che non sei un fottuto angelo?!?!” “Maledetto
figlio di puttana… lo so benissimo. Ho solo perso il controllo della situazione…Non sono un angelo. Ma ora, se IO voglio, posso diventarlo e tu non lo impedirai…Non dimentico Roby e non ti dimenticherai nemmeno tu…” ” Fermati per Dio, Tina…Non fare stronzate…” “Ascolta Gaia…Martina scendi…” “Addio Roby. Gaia dammi la mano…” Si guardarono negli occhi…Gaia vide i suoi genitori davanti a lei. Vide la loro delusione dipinta su volti di pietra. La sua vita distrutta. Avrebbe dovuto raccontare ogni cosa. Non aveva la forza di salvare Martina. L’ambulanza e la polizia le avrebbero fatto mille domane. Avrebbe dovuto essere sincera. Dire che cosa era accaduto. Che avevano preso qualcosa…Si. Non sapeva cosa. Aveva scopato. Si, scopato con due ragazzi ed una ragazza. Si era fatta prendere da ben sei mani diverse, che la cercavano, la violavano e tutto quello che prima le sembrava estasi ora le appariva come la più terribile delle cose. A dire il vero solo ora realizzava cosa Cristo era accaduto. E Martina era lucida. Sempre. Anche lei lo era. Lo era sempre stata, tutta la notte. Solo che non
c’erano grilli parlanti, non c’erano inibizioni, non c’erano i suoi genitori. Era la sua essenza. Era stata s&egrave stessa per la prima volta. Ricordò quella sera che avevano guardato Thelma&Louise e a quanto avevano pianto abbracciate. A quanto erano state bene dopo. Pensò al loro posto segreto. Ci sarebbe dovuta andare da sola. Si. Pensò che era molto più semplice fuggire dalla realtà piuttosto che affrontarla. Roby, al centro del grande terrazzo, era convinto che Gaia a questo punto l’avrebbe tirata verso s&egrave. La vide mentre si alzava a fatica. Alle sue spalle senti una porta chiudersi. Vide Gaia sussurrare a Martina qualcosa. Non sentì cosa. Ma rivide nella frazione di un secondo, cento volte le labbra di Gaia muoversi. “Come Thelma e Louise”. Capì. Si lanciò a grandi balzi verso la balaustra. Leggere Gaia e Martina staccarono i loro piccoli piedi dal muretto. Erano nell’aria leggere. Le mani di Roby predavano l’aria. Le sue grida si scioglievano in quella stessa aria e arrivarono alle sue orecchie dopo miliardi di anni luce. L’aria fredda di una notte umida avvolgeva Gaia e Martina. Martina disse “…Ti amo Gaia…” Gaia chiuse gli occhi “…Ti amo Martina…” E ormai non c’era più spazio e tempo per niente. DI nuovo Gaia sentiva l’universo entrare a far parte di se. Lucidamente. Ma più violentemente ancora…”Gli angeli devono avere freddo…” Poi il nulla.

Marco giudava come un pazzò. Era quasi sul viale della casa di Martina quando vide da lontano un sacco di lampeggianti blu. Sentì il suo cuore fermarsi. Sapeva
che era lei. Sentiva che erano loro. Si avvicinò quanto potette. Lo stridere delle gomme fece girare la piccola folla riunita attorno ai paramedici in piedi e sconsolati.
Il ragazzo che era arrivato quella sera, gli sembrava si chiamasse Roby era seduto sull’ambulanza avvolto in una coperta color caffelatte. Con gli occhi sbarrati e pieni di lacrime. I sensi di Marco rallentarono. Gli sembrò di vedere tutto scorrere lentamente. Si fece largo tra la folla. Barcollava. Quasi cadde ma fu sostenuto da un signore lì a fianco che cominciò a gridare “Aiutatemi quest’uomo sta male. Credo sia un parente!” I suoi occhi cominciarono a chiudersi. Decise di lasciarsi abbandonare alla sua paura. Vide, tra tutte quelle gambe che davanti a lui creavano un groviglio di rovi in jeans e goretex, una pozza di sangue e due mani che si tenevano strette. Alzò gli occhi alla Luna. Perse i sensi.

La macchina con lo sportello spalancato levava la musica nell’aria come una leggera nebbia che inghiottiva silenziosa e morbida ogni cosa. Nessuno aveva voglia di andare a spegnere quello stereo. A dire il vero erano tutti troppo presi nel vedere quei due corpi la a terra. Quei due volti che non esistevano più. Avrebbero avuto tutti da raccontare qualcosa domani “Ho visto tutto” “Io c’ero”. Commenti banali in un banale sabato sera. Migliaia di ragazzi stavano tornando alle loro case. Alcuni di loro stavano ancora danzando sotto la Luna come elfi. Ignoranti qualsiasi cosa. Come lo erano stati i genitori di Gaia e di Martina fino a pochi minuti prima. Lenzuola bianche le coprirono. Un bianco che ben presto virò al rosso. “Su andate via. Non c’&egrave niente da vedere qui…Che avete da guardare? Su avanti…Via. Hey, Esposito…Va laggiù nella volante a prendere il nastro. Transenna la zona per Dio!” I poliziotti allontanarono la gente. Solo un ragazzo biondo stette la vicino ad osservare la scena. Sapeva che doveva pagare per qualcosa che gli altri non sapevano. E l’unico modo per pagare sarebbe
stato quello di scolpire ogni singola immagine nella sua mente. Pregò Dio, gli angeli e il Demonio di tormentarlo per sempre. Nessuna base avrebbe neutralizzato la sua coscienza acida. Non sapeva il nome di nessuno di quei ragazzi. Non sapeva come era capitato lì. Non era nemmeno del posto. La gente si allontanò…Tutti tornarono nelle loro case. Marco si era ripreso ma ora, dopo aver allontanato tutti, compresi i paramedici era lì solo e muto. Nessuno prestava attenzione a lui. Salì nella macchina ancora accesa. Chiuse lo sportello e inserì la marcia. Mise la freccia per superare un ragazzo biondo che barcollava…Forse era ubriaco. Forse…
Alzò lo stereo…una canzone che aveva sentito tanto tempo prima…non si ricordava quando e non sapeva come faceva a conoscerne le parole…Partì senza sapere dove andare, cantando. “Under blue moon I saw you So soon you’ll take me up in your arms, too late to beg you or cancel it, though I know it must be The killing time Unwillingly mine…Fate up against your will Through the thick and thin He will wait until You give yourself to him In starlit nights I saw you So cruelly you kissed me Your lips a magic world Your sky all hung with jewels The killing moon Will come too soon….”
-“Martina…..”-

FINE

Iza

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