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Racconti Erotici

Asincroni

By 8 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Sorseggio il mio caffè, appoggiata di sbieco a uno sgabello troppo alto. Non mi piace, non so perché l’ho ordinato. Avrei potuto chiedere qualsiasi altra cosa, bastava fosse caldo e che riempisse una tazza da tener stretta con entrambe le mani. Guardo le volute di vapore che salgono, pigre. Un caffè lungo. Il barista mi ha guardata come se fossi impazzita: da queste parti lo ordinano solo i turisti e non ho per nulla l’aria della turista, lo so. Non ho nemmeno l’aria di una che sia abituata a stare da sola in un bar, se è per questo, e mi sento a disagio, crogiolandomi in quest’ulteriore malessere.

Alzo gli occhi e lo vedo, accanto a me. Cioè non vedo lui, vedo solo le sue mani che posano lo scontrino con pochi centesimi su. Sono belle quelle mani, rifletto. Sono grandi, dalle dita lunghe e affusolate. E’ il genere di mani che mi fa pensare a un uomo protettivo, perché sembra che possano racchiuderti tutta dentro di loro. Stringo più forte la tazza, mi scotto ma non penetro il gelo che ho dentro.

Non riesco a distogliere gli occhi da quelle mani e penso. Un uomo che mi stringa forte quando ho freddo, che mi sorrida quando il cielo tuona, perché quel brivido non arrivi su per la schiena. E la sua voce è sempre una carezza, sembra avvolgermi, dolce, potrei annegarvi dentro e non avrei fame d’aria, e saprei che nulla potrebbe mai sfiorarmi perché sono sua, perché quella voce non si è mai levata, dura, a ferirmi le orecchie, entrandomi dentro e scuotendomi, scuotendo la fiducia che ho in lui, in noi.

E mai le sue parole sarebbero meno che tenere e comprensive, mai una parola dura, uno sguardo di ghiaccio. Mi sentirei una cosa preziosa, saprei che ha cura di noi, perché insieme siamo ciò che rende la vita degna di essere vissuta.

Sarei pronta a scattare se lui mi chiamasse, con un sorriso a rischiararmi il volto, accoccolarmi tra le sue gambe, premendo le guance sulle ginocchia. E non mi direbbe mai che lo intralcio, ma mi stringerebbe, possessivo, per non farmi andar via, rimproverandomi che non sia stata io a cercare lui. E potrei nutrirmi facendo la fotosintesi del suo amore, farei le fusa, giocherei con le facce buffe e i bronci da bambina, la bambina che più non sono, e non mi sentirei ridicola o sciocca, perché mi guarderebbe con tenerezza.

E sarei la donna più fortunata del mondo, perché avrei lui, la mezza mela che combacia perfettamente con la mia.

Lo toccherei di continuo, per esser sicura che esiste davvero, e non è un maledetto sogno mandatomi da un dio burlone e perverso. E potrei chiedergli di più, anche quando mi ha regalato la luna in quel pacchetto che mi ha messo tra le mani, aiutandomi ad aprirlo, perché non vede l’ora di donarmelo, ma con gli occhi fissi su di me, per non perdere lo spettacolo della mia sorpresa. E non si sentirebbe defraudato del tempo che mi dedica, non mi lesinerebbe se stesso, buco nero che assorbe il mio amore, lasciandomi vuota e sola e inutile.

E sarebbe una gara tra me e lui, le nostre voci si incrocerebbero ansiose, chiedendosi l’un l’altra quando. quando potremo finalmente rivederci, ancora abbracciati, il cuore che fremerebbe d’anticipazione, ché il tempo dei nostri incontri è sempre troppo breve e dopo esserci salutati sale sempre alle labbra un’ultima cosa che vorremmo dirci. Un uomo che non mi lasci sola nel letto, nel caldo torpore dopo l’amore, che non si vesta dandomi le spalle perché con la mente è già alle sue incombenze. Un uomo che mi sappia amare, che riempia il mio universo ponendosi al centro, così come lui gravita intorno a me. Indispensabili l’uno all’altra, affamati di noi stessi.

Deglutisco. Mi accorgo che sto ancora fissando quelle mani, ora ferme. Salgo più su con gli occhi, fino a incontrare dei polsini bianchi, la manica di una giacca e poi più nulla. Solo una tazzina abbandonata, con la bustina di zucchero mezza vuota in equilibrio sul bordo del piattino. Andato. “Posso offrirgliene un altro? Credo che il suo si sia raffreddato.” La voce è gentile, attraverso le lacrime cerco di mettere a fuoco un volto abbronzato e due occhi verdi che cercano di contagiarmi con il loro sorriso. Un’altra tazza si materializza sul bancone, le mani si posano sulle mie e il loro calore mi penetra dentro. E capisco che il calore che puo’ darti un’altra persona è indipendente dalla sua o dalla tua temperatura. Provo incontrollabile il desiderio di raccontare tutta la mia storia a questo sconosciuto, vorrei urlare, vorrei straziare le mie stesse orecchie con quella verità che ho taciuto per tanto tempo, anche a me stessa. Apro la bocca per parlare, ma poi mi accorgo che non ce n’è bisogno. Lui sa. Lo sa già. L’ha capito solo guardandomi. Annuisce e col dorso della mano mi asciuga una lacrima ribelle.

“Fa davvero freddo oggi” Due sconosciuti che parlano del tempo. Siamo questo per chi ci osserva. Addirittura banale. Faccio sì con la testa, incapace di rispondere.

“Ma non sarà sempre così,” continua lui, e la sua voce è come l’avevo immaginata. Potrei chiudere gli occhi e lasciarmi cullare, ma non posso staccarli dai suoi. Non ho mai visto un verde così verde. “Presto le nuvole spariranno, e non sentiremo la loro mancanza.” Bevo un sorso, abile alibi per la mancanza di parole. Sorrido, sorpresa.

“Cioccolata!”

La sua risata è argentina. “Nessuno beve quella ciofeca che ha ordinato lei, se non per autopunirsi!”

Mi posa una mano alla base della schiena, con fare protettivo, e di nuovo sento il calore irradiarsi. “Qualsiasi cosa lei abbia fatto, ora ha espiato le sue colpe! E’ tempo di volersi bene.”

Lo seguo con lo sguardo, mentre va via verso l’uscita. Vorrei rincorrerlo, vorrei chiedergli di non abbandonarmi. non anche lui! Ma rimango seduta su quello sgabello troppo alto. E sorseggio la mia cioccolata calda.

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