Skip to main content
Racconti Erotici

I DEVA DI TARVISIO BOSCO VERDE

By 25 Giugno 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Nota: potete visitare il mio blog su dunklenacht.wordpress.com

C’era una volta la foresta grande di Tarvisio. Era una foresta di passioni, di lusinghe, di pini e di rocce. A volte, vi si incontravano le volpi. Io non so ben raccontare le sue voci, i suoi rumori, i suoi ruscelli ed i suoi sentieri maestri e silenti. V’erano, in essa, alcune bestie selvatiche, assai misteriose, che durante la stagione degli amori lottavano le une con le altre con energia, ma senza mai adoperare come si conveniva le loro armi fatali. Vi potevate incontrare dei suonatori di fisarmonica, dai petti ricoperti da lunghe barbe incolte, dalle belle casacche a quadri bianchi e blu, o bianchi e rossi.

Il treno passava lontano. Poteva essere l’anno di grazia 1876, o 1976, non ricordo bene, non ha importanza. Non rammento nemmeno se c’erano locomotive a vapore o diesel. Non rammento neppure tanto’

Avevo pianto.

Come si conveniva ad un infelice, avevo perduto la mia mamma, la mia adorata madre. Erravo dunque per i boschi, per le selve, sotto le montagne aguzze, in prossimità dei pendii dell’Austria e delle infauste terre slave, abitate soltanto da lupi e da genti straniere. Pareva che volessi morire!

C’era anche una stazione, sapete? Si chiamava Tarvisio Bosco Grande, no, Tarvisio Bosco Verde, Tarvisio Gr’newald. In quel tempo, era affollata di fanciulle, anzi, di giovani donne. Avevano tutte belle chiome, dovevano essere ariane, dai bei capelli biondi, a volte rossi. Le loro belle labbra narravano di giovinezza e di bontà. Portavano sovente degli zaini sulle spalle. Alcune di loro cantavano in un tedesco arcaico, una lingua che io allora non conoscevo, forse perché non l’avevo mai parlata durante le mie vite precedenti.

Lassù le estati erano fresche, malinconiche, sovente piovose. Quella era l’ennesima che trascorrevo vicino alle mie fronde. La vegetazione lussureggiante avvolgeva quella stazione, che sembrava tutta di legno.

E in mezzo alle tante giovani figlie dell’amore e della bellezza, un giorno, distinsi un fiore che brillava più degli altri. Io non so se lei era umana oppure no. Non so se era una stella, un cigno o una rosa bella. Sembrava bambola, ma non lo era. Le lunghe ciglia nere, i capelli biondi e folti, lunghi fino a metà schiena, le labbra carnose spiccavano alquanto, in virtù del suo vestitino rosso cupo, dei suoi stivali neri, di quella specie di mantella, che portava sulle spalle, forse per ripararsi dalle piogge del bosco.

– Siamo nati per vivere e soffrire ‘ disse un giorno la bella, china su uno dei miei orecchi. ‘ Ma io non soffro, io non muoio, io non piango e sempre sorrido felice di bellezza’ Non c’&egrave niente che possa uccidermi o ferirmi.

– Tu dunque ‘ le chiesi ‘ non sei fatta di ciò di cui son fatti i boschi, gli scoiattoli, i noccioli, i noci ed i mille prati verdi di montagna?

– No, quantunque le mie parvenze siano umane.

– Quanti anni hai? So di non essere molto cavaliere, domandandotelo, ma’

– I miei anni sono astrali’ Se sono settecentosette o duecentocinquanta, a te che cosa importa?

– &egrave vero, non ha importanza. So che alcune donne sono sempre in fiore e conoscono la vecchiaia e la morte più tardi degli uomini, ma tu ne sei immune, così come sembrano esserne esenti queste rocce e queste siepi, che poco prima dell’estate sbocciano in mille fiori bianchi, dalle favolose essenze. Te ne vorrei regalare un mazzo!

Ella tardò a rivelarmi il suo nome. Si chiamava Primavera, Fr’hling.

Le chiesi se conoscesse il segreto della vita. Forse lo conoscevano i fagiani di monte, le gallinelle d’acqua, le volpi, le folaghe, gli uccelli di bosco canori? Lo conoscevano loro? Lo cantavano loro ai venti, ai pini, ai roveri silenti? Lo cantavano ai tigli, ai prati, ai pascoli immensi?

La stazione di Tarvisio Bosco Verde, dove per la prima volta io e quell’essere ascoso c’eravamo corteggiati e abbracciati, svanì alle nostre spalle, come in una tenera illusione. Da essa, si dipartiva una specie di salita che conduceva, sotto le fronde di alberi in estate tanto verdeggianti, verso una chiesa dal campanile aguzzo, vagamente nordico, allora dipinto d’un giallo opaco, che sembrava mosto. Io ricordo come in sogno d’aver visto, tempo prima, un bordello, costruito lungo le rive della Drava, o forse, del Danubio. Ero stato oltre il confine, durante una di quelle estati colme di luce fredda e nordica. Il bordello era un edificio a tre piani, dipinto d’un celeste vago, tutt’intorno alle finestre c’erano come delle cornici di vernice bianca, le imposte erano tinte d’un marrone scuro, che faceva pensare all’oppio, dopo che ha sparso tutt’intorno i suoi vapori di sogno. Ma entro quelle mura non si consumava oppio’ La notte, le finestre s’illuminavano e, di lontano, le vedevate bruciare come fiaccole; oltre le tende, si discernevano delle figure cupe, che si dimenavano senza sosta, senza pace. Dal camino saliva del fumo nero; lì accanto passava quella sorta di torrente, dalle acque profonde e fredde, dai meandri infausti’ Ah!

Ricordo che io e Fr’hling passeggiavamo nel bosco tenendoci per mano e le parlavo del male, delle sofferenze che la vita serba ai mortali, della miseria e degli stenti di ogni giorno. Sapevo ch’ella aveva un segreto per non soffrirne, per non morirne.

Le chiesi anche se fosse avvezza a portare sempre i bei capelli d’oro sciolti, o se, di quando in quando, li raccogliesse in lunghe trecce. Non ebbi risposta.

– Le mie risposte sono baci, che volano nel vento ‘ disse lei.

– Hai tu un segreto o una medicina che permetta di liberarsi dal male della vita, che forse &egrave lo stesso che ci germoglia tutt’intorno? ‘ le chiesi.

– Il mio &egrave un segreto che nessuno sa. Io non piango delle vostre lacrime, o miseri mortali! Io appartengo ai deva delle più alte sfere dell’Aldilà, das Jenseits, sono una di loro’ I miei capelli sono fatti di vento, di sogno, i miei occhi sono più celesti del cielo d’inverno, in cui appaiono le prime stelle della notte.

Io la ammiravo, come abbagliato; quella peregrinazione dell’animo mio, vissuta con lei al mio fianco, fu fatale. Il mio sguardo fu come rapito dal suo zaino, dai suoi stivaletti leggeri, neri, dal suo vestitino scarlatto, che le donava tanto, forse, quanto i bei capelli. Mi aveva fatto dimenticare tutti i miei tormenti.

Il sentiero serpeggiava sempre, sotto le fronde amene. Ad un tratto, ci fermammo ed io le chiesi di voler essere la mia pranoterapeuta, la mia guaritrice spirituale, oltre che carnale. Ella acconsentì e mi diede un bacio sulla fronte. Quindi prese a narrarmi delle storie del Buddha, a sussurrarmi dei mantra, che avevano il sapore delle genti dell’Asia, piuttosto che dei campanili e delle guglie nordiche. Era possibile essere degli illuminati anche sotto le fronde dei bossi e dei lecci, degli abeti e degli ippocastani, mi disse. Fr’hling mi narrò altresì delle storie di deva, di semidei, di spettri e di uomini che avevano avuto un karma felice. Poi posò le sue amorevoli mani sulle mie spalle e sulle mie guance ed io sentii in me il fluire di un’energia cosmica, tenera, affettuosa, vitale, in grado di guarire e di conferire a chi la incontrasse l’eterna giovinezza.

– Agli illuminati! ‘ mormorò la cara giovane.

Leave a Reply