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Racconti Erotici

LA SIRENA DELLE SORGENTI

By 26 Febbraio 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Ho scoperto una favola, in una conchiglia.

La raccontava il mare.

Ho trovato una perla bianca, sulla spiaggia.

L’aveva dimenticata una sirena.

Ho visto una barca, sulla sabbia.

Era un vascello, per navigare i sogni.

Ho ascoltato una melodia sepolta.

Erano canti marini.

Ho sentito la brezza forte, sulla pelle.

Era un’anima imprigionata, che volava e volava verso la felicità.

E il silenzio spezzava il niente.

Oh, ecco, ecco, riapro i miei occhi, e riporto al mio udito quel caro ricordo di mare, a me prezioso forse quanto la vita.

Oh, la mia meravigliosa conchiglia bianca, che pareva di porcellana, dal cuore di madreperla! E vi giuro, non mi stancherò mai di riascoltare il suo canto, lo riascolterò per sempre, perché narra di felicità e tristezze, di gioie e sofferenze, di misteri e di passioni.

Una voce era prigioniera della conchiglia e diceva:

– O anima passante e fuggitiva, un’anima giace sepolta qui dentro, come un segreto del mare! E se una dolce parola mi rivolgi, io ti rispondo.

No, non era l’eco!

Era una sirena, una sirena, che ripeteva il suo canto per l’eternità, prigioniera di quel silenzio triste.

E questa &egrave la sua storia.

Oh, ecco, ecco, mi sembra di rivederli!

Nuotavano insieme, quasi abbracciati, nelle profondità turchine del mare.

Oh, sì, andavano tenendosi per mano, laggiù, nel blu.

Erano loro, Sirena e il suo marinaio, e si vedevano tutte le meraviglie degli abissi, si vedevano i coralli, le conchiglie, le stelle di mare’

Oh, sì, perché sotto la superficie azzurra di quell’acqua c’era un secondo cielo, forse più favoloso e immenso di quello che sta sopra i nostri occhi!

Le due anime nuotavano, abbracciate.

E vi giuro, ai miei occhi sembravano incatenate, strette da un filo sottile, d’argento, che la lingua dei mortali chiamava affetto.

Non una parola turbava il silenzio fatato.

E si vedevano tanti pesci meravigliosi.

Oh, quanti colori, quanti colori! Sì, era un arcobaleno!

E lei era soave e bianca, così soave, e bianca, che’ oh!

Pareva fosse una regina e volesse mostrare al suo compagno le sue case e i suoi castelli’ E giocavano, oh, certo, giocavano, quasi fossero stati fanciulli!

E tutto accadeva lì, nell’azzurro stellato e di perla.

I capelli di lei erano come alghe’ gli occhi suoi, stelle di mare.

E i due amanti si baciavano laggiù, sugli scogli sommersi, pareva dovessero restare lì per sempre, per sempre, come se il blu fosse la loro tomba di tenerezza.

E lei, prima che si separassero, diceva al suo compagno:

– Non andartene! Non lasciarmi qui, sola nel mio paradiso triste!

Ma erano richiami d’illusione.

E risuonavano laggiù, nelle profondità immense e perdute, tanto a lungo, che parevano un’eco melodiosa.

Ma il marinaio doveva andare. Il marinaio aveva la sua nave!

Che altro poteva darle, se non la promessa di ritornare, di ritornare sempre, sempre, sempre, finché l’abbraccio della morte’ oh, non fatemici pensare!

E rammento di una spiaggia fredda, battuta dai venti di mare’ La sabbia volava e volava tutt’intorno, pareva un deserto, eppure era lì che era nata la loro felicità.

Il marinaio camminava scalzo sulla sabbia, con la sua pipa di legno fra le labbra, il cappello blu e la barba bianca.

Lì intorno c’erano soltanto lui e la sua capanna di paglia.

E gli occhi suoi guardavano i gabbiani bianchi, che volavano in alto nel cielo, le ali spalancate, si libravano nel vento, al di sopra di ogni cosa, gettando le loro grida roche e vaghe.

Il mare era burrascoso, feroce.

Ah, ma lui lo conosceva bene, il mare! Lui l’aveva esplorato, l’aveva navigato e costruiva la sua barca, per mettersi in viaggio, e andare dove io non so. Erano fratelli.

Un giorno la sua nuova nave sarebbe stata pronta e allora’. Oh! Non fatemici pensare.

Lo sapete che cosa brillava in quegli occhi, oh, lo sapete?

Io ho visto quell’immagine, riflessa nelle sue pupille e bella come una visione! Era un’immagine di guerra e di forza, un’immagine di morte, davvero, sì!

Il mare, furioso, assassino’

Gli albatri, che volavano sopra le onde, e la schiuma bianca, e riempivano il cielo con le loro urla cupe!

Una nave, che lottava contro gli abissi’

I marinai, urlanti!

La fiocina alla mano, dovevano, volevano colpire, perché il mostro usciva dagli abissi, sì, lui, lui, lui, il mostro, improvvisamente, dal mistero!

La balena!

Poi, tutt’a un tratto, quel grido, che pareva il barrito di un elefante morente, confuso con i muggiti del mare.

E poi, le onde altissime, la schiuma, gli albatri, le voci forti degli uomini adirati’ ah!

Questo era quello che si vedeva brillare negli occhi del nostro marinaio. E forse voi non lo sapete, ma aveva le braccia ricoperte di tatuaggi bigi e di cicatrici, di ancore, fiocine e morsi di pescicane.

Il vento forte gli spettinava i capelli già bianchi e la barba.

Era lì, sì, l’amico della sirena.

E a volte’ Oh, mi sembra di rivedere quei magici momenti!

Nei giorni di luce, quando il sole, a mezzogiorno, tingeva d’oro puro gli scogli e l’acqua si faceva d’argento, lei veniva, oh, sì, lei veniva!

Si mostrava lì, fra le rocce, dove la voce affettuosa del mare era più magica e fatata.

E tutto era così tranquillo, tutto era così incantato, che’ oh!

Gli occhi suoi brillavano come due astri generati dal mare, era lei, lei, lei, la bellissima, la dea. I capelli suoi erano agghindati con tante perle’

A volte, lui non c’era, oh, ma che cosa importava che ci fosse oppure no, ella era meravigliosa!

Mi sembra ancora di vederla.

La voce sua era l’incanto.

– Vieni, non avere paura, ti porterò con me laggiù negli oceani, dove proibito &egrave l’accesso a ogni mortale!

Così diceva la bella.

E lo ripeteva sempre, sempre, sempre. Le parole sue morivano nel gorgogliare tranquillo del mare celeste.

E c’era tanta luce, tanta luce, che’ oh!

Poi, più nulla.

Per un attimo, si vedeva la coda d’argento di lei, Sirena, poi se ne andava, tuffata giù giù, nel suo blu. Ma se fuggiva, era soltanto per ritornare. Sì, era così.

E c’era una casa, sulla spiaggia, una casa tutta nera, con il tetto sconnesso che cadeva giù a pezzi, a poco a poco, un po’ alla volta.

Là, si diceva, stavano i pirati.

Oh, ma forse, erano morti, tutti morti, ormai, e si riunivano lì soltanto il sabato notte, quando i loro spiriti cattivi facevano baccano e spavento, baccano e spavento, sì.

Una volta, a me &egrave parso di vederli.

Alcuni avevano un uncino, al posto del braccio, altri, la gamba di legno, alcuni si scolavano bottiglie di ruhm, altri giocavano a carte, o alla mora.

Le bottiglie cadevano giù e si rompevano in mille pezzi, in mille pezzi’ Era buio, poche candele accese illuminavano la scena. Avevano rotto una lampada, che giaceva dimenticata sul pavimento ricoperto di cocci.

C’era anche un ragazzaccio, con un occhio solo (una benda nera gli copriva quello che aveva perduto in un arrembaggio), che suonava la fisarmonica e ballava su una cassapanca alla quale mancava un piede.

Cantava:

– Le sette belle figlie’ Bum! Bum!

Poi, scoppiava la rissa. E fuori, il mare era in burrasca!

Buu’Buuu’ Buuuuuu’ Che muggiti! Che tuoni! Che lampi! Che scoppi! Pareva che gli abissi si fossero rovesciati sulla terra. Ah, che immagini cupe!

Che spavento!

Non fatemelo ricordare.

Non fatemici pensare.

Lasciatemi piuttosto pensare a lei’ Oh, sì, sì, rivedo lei, Sirena, e il suo bel marinaio!

Lui correva lungo la spiaggia, mentre lei lo seguiva, nuotando lungo la riva del mare, ed era bello, proprio come vivere in un sogno.

Dove andavano, dove?

Io non lo so, non me lo voglio neppure chiedere, non importa’ Io li seguo, vado con loro dovunque, dovunque mi porti il destino, o la mente.

E si sentivano le loro grida di felicità’

Oh, mi sembra di sentirle ancora, adesso, mentre vi scrivo, dentro di me! E’ come se tutto questo fosse accaduto ieri.

– Vieni, corri, andiamo via, lontano!

– Oh, dove?

– Che importa? Tuffati nel mare, nuota insieme con me! Fuggiamo! Fuggiamo! Fuggiamo’

La voce di Sirena risuonava turchina nel suo eco.

E c’era tanta luce, che tutto pareva una magia, un’invenzione, un’immagine fantastica e lieta insieme, toccata dal blu.

Era così, sì!

– Vieni, non avere paura. Andiamo in un posto bellissimo dove volano i gabbiani’ Vieni’ Vieni’

Queste erano le parole melodiose di lei.

E suonavano leggere come la voce del mare tranquillo, senza onde, nelle grotte. Ah!

Paradisi!

Poi, li rividi’

Stavano seduti insieme, su quello scoglio lontano che pareva una conchiglia azzurra!

Sirena era emersa dall’acqua, il sole faceva brillare forte la sua coda d’argento, che sembrava fatta di tanti piccolissimi diamanti.

E tutto scintillava.

Oh, sì, il cielo brillava, il mare brillava, gli occhi di lei, brillavano!

E si sentiva sempre la voce di quell’essere sublime, che rideva, rideva e rideva, ma d’un riso incantato e giocondo, che nessuno può raccontare.

Io non mi ricordo bene quello che si dissero.

Ma che cosa importa?

Lei teneva in mano una piccola arpa, incrostata di madreperla. E il marinaio la guardava, sì, la guardava, perché voleva darle una cosa, una cosa che aveva preparato per lei, chissà quanto tempo prima.

Era una collana di perle e di fiori.

E così, semplicemente, gliela infilava al collo, quel lungo collo proporzionato e lungo, piano piano, piano piano.

Sirena intanto gli regalava un sorriso.

Poi, più nulla!

Un tuffo, il rumore del mare blu, quel saluto, quel brillar d’occhi.. Ella se n’era andata!

Dove?

Chissà!

Ma la verità era che Sirena non lasciava mai il suo marinaio, neppure la notte, neppure nei sogni. Oh, sì, lei c’era sempre!

Perché?

Misteri!

E una volta’ Oh, una volta, lei andò da lui, per raccontargli una leggenda triste, che quasi non si può dire! Una leggenda, che forse era una storia vera.

La storia della sorgente di lacrime’

Sì, la vecchia sorgente, che stava sepolta in una grotta in fondo all’oceano, davvero!

Oh, perché raccontargliela? Perché non tacere quel segreto di mare, invece che rubarlo alle profondità blu che lo custodivano? Perché? Perché?

Era la storia di una fanciulla uccisa dal pirata, annegata, con una pietra azzurra legata al collo. E i capelli suoi, gli occhi suoi, le mani sue, mentre andava giù, parevano appartenere a una statua bianca.

Possibile? Sì.

Era sprofondata piangendo’ e il suo ultimo desiderio era stato quello di diventare una sorgente e di poter piangere in eterno lacrime di cristallo e di topazio. Oh, forse, voi non ci credete!

Ma in realtà era così.

E nessuno si ricordava più di quella storia, fuorché lei, la bella Sirena.

Era la leggenda delle sorgente di lacrime’ la leggenda della sorgente di lacrime, sepolta in una grotta sottomarina! Che tristezze!

Malinconie turchine e stellate!

E adesso dirò delle cose cupe che si vedevano in quel paese lontano, fatto di sogni e di spiagge bianche.

Oh, sì, dirò del vecchio vascello!

Tutto accadeva a mezzanotte, quando la luna tingeva le onde del suo scarlatto e le piccole stelle sembravano tuffarsi nel mare, per illuminare un secondo cielo sommerso.

Era così, sì’

Ed ecco, ecco, a poco a poco la marea faceva ritirare le onde e il fondale poteva guardare il cielo, nudo del suo mantello azzurro. Apparivano gli scogli, bianchi bianchi’

E poi, quel vascello. Oh, sì, era andato a picco lì, centinaia e centinaia di anni prima, io non so quando davvero, io non so.

E si vedevano le vele, quasi intatte, gli alberi, il timone, lo scafo di legno, incrostato di alghe e conchiglie, di alghe, e conchiglie, sorelle del tempo e del mistero.

Luna folle!

Perché, perché illuminare tanto? Perché non custodire un segreto, che apparteneva soltanto alle stelle? Mah! Io non so.

E si vedevano gli scheletri bigi, gli scheletri d’avorio, dei marinai caduti’ oh, visione malinconica!

Alcuni tenevano ancora in mano la vecchia cara bottiglia di ruhm, altri, il sacco pieno di monete d’oro. Erano periti durante un fortunale. E sembrava di sentire le loro voci, disperate e tenebrose, cupe, nel momento fatale!

Questo succedeva a mezzanotte, questo, sì.

Ah, custodisci il tuo segreto, mare tenebroso e azzurro! Copri con il tuo manto turchino il nero della morte! Perché tu sei la migliore e più pietosa tomba.

Oh, cosa emergeva dalle acque, a mezzanotte! Cosa accadeva!

Cielo!

Mi ricordo che altrove, là dove il mare si infrangeva contro gli scogli muggendo con la sua voce più cupa, capitavano cose da fare quasi spavento.

Sì, sì, non scherzo!

Là, c’era un gorgo’ e tutte le persone infelici che vi erano cadute non avevano più rivisto la luce, perché la morte li aveva portati via con sé. Ah’ La morte!

Cielo!

In quel luogo, tutti i sabati notte, appariva il vecchio pirata defunto, adesso ve lo voglio raccontare, sì, davvero.

Oh, ma che storia cupa!

Io sono il solo ad averlo visto. In quegli attimi, lo si vedeva salire dall’acqua, dagli abissi, con la mani lorde di sangue’ e pareva che volesse soffocare qualcuno! Oh, cosa dico’ cosa racconto!

In testa teneva un cappellaccio nero, che sembrava una feluca; vi era disegnato un teschio. Lo sventurato aveva perduto un occhio, durante uno dei suoi assalti.

Sì, perché lo teneva coperto con una benda nera nera, come la sua coscienza, o forse, la sua anima.

E se ne andava così, camminando sull’acqua’ sì, sull’acqua, sull’acqua, sull’acqua’ Dove?

Oh, io non so!

Ma le vecchie madri, se i loro figli andavano a giocare vicino a quegli scogli, li richiamavano subito, con voce grossa, poiché sapevano bene ciò che poteva capitare e che, buon Dio, era già capitato.

Sì, proprio così!

Ho ancora negli occhi l’immagine di una fanciulla sfortunata, precipitata giù nel gorgo, nel gorgo’ E gridava, gridava e gridava, piangeva, invocando soccorso, ma nessuno la poteva salvare, perché tutti coloro che ci avessero provato sarebbero morti.

E’ la verità, sì.

Basta, vi prego.

Non fatemi narrare di storie cupe!

Io voglio raccontare sogni, tristezze, speranze, illusioni, amori’ nient’altro!

Niente altro.

E il mare sussurrava sempre con la sua voce celeste. Oh, quanto era bello ascoltarlo! Mi sembra ancora di sentirlo, davvero, sì, di risentirlo’ Ssssst’ Ssssst’ Ssssst’. Mrrrrr’. Oh, pareva una madre, che raccomandava il silenzio!

Poesie!

E adesso vi narrerò la storia di Sirena.

Oh, sì, ella apparteneva al mare, ma non abitava da sempre quelle grotte sommerse, forse, voi non mi crederete, forse, vi sembrerà un sogno!

E invece’

Oh, mi ricordo di un padre, che doveva partire per un lungo viaggio, un lungo, lunghissimo viaggio. E le figlie sue avevano tanta paura che non dovesse ritornare più!

Cielo!

L’ultimo istante fu tristissimo.

Sì, fu come se quel padre morisse fra le braccia delle sue figlie.

Tutto era successo lì, davanti al viale dei vecchi faggi, che doveva portarlo lontano lontano, tanto lontano, che forse’ oh!

L’uomo aveva quasi le lacrime agli occhi, le mani delle figlie gli accarezzavano la bella barba bianca e gli rubavano il cappello a cilindro.

Poi, le prese in disparte, una alla volta.

Era così che voleva parlar loro!

Alla primogenita, regalò un bacio e il suo tesoro, che l’avrebbe mantenuta per tutta la vita.

Alla secondogenita, le sue raccomandazioni, che parevano quelle di un moribondo, nel momento in cui sta per lasciare quanti gli vogliono bene!

E le affidava anche la casa e i cavalli, le stanze dove risuonavano le voci dei violini, le tante bambole’

– Papà!

Dicevano tutte così, le sconsolate, tutte così!

Poi, venne all’ultima sua figlia.

L’ultima, la più bella, sì!

Oh, che cosa poteva darle? Cosa mai gli rimaneva? Un anello, prezioso, che aveva avuto da sua madre, povero vecchio! Fu allora che decise di donarlo alla figlia più cara.

– Tieni, &egrave magico!

Oh, sì, magico! Cosa voleva dire questa parola? Il povero sconsolato aveva pochi minuti per spiegarlo alla figlia adorata, pochissimi istanti, prima di andarsene, forse, per sempre!

– Ti regalerà la felicità, quando lo indosserai’ Oh, il tempo stringe! Non posso più restare con te, devo andarmene via, così’

– Papà!

– Un’ultima raccomandazione, non separarti mai da questo anello, che ti ho donato or ora, perché altrimenti’ Cielo!

– Perché mai?

L’infelice non riuscì ad accorgersi di quello che volevano dire le ultime parole di suo padre.

Egli se ne andò così, lo si vide svanire nella nebbia grigia, che saliva dal fiume, ed avvolgeva come un’illusione il viale dei vecchi faggi, oh, quel giorno i grandi alberi indossavano il loro mantello dipinto d’autunno!

E le foglie ingiallite cadevano una ad una. Oh, mi pare ancora di sentire, dentro di me, quella voce di vecchio, che salutava, salutava, salutava, per poi svanire così, nel vento.

Addio!

E da quel giorno, nessuna delle tre figlie lo rivide più. Mai più.

La terza figlia si guardava sempre il dito, al quale brillava il bell’anello, così dorato’ oh, era tutto tempestato di diamanti!

Diamanti!

E finché se lo teneva indosso, sembrava che la letizia non la lasciasse mai, il sorriso non se ne voleva andare dalle labbra sue, così rosse e dolci, come il corallo, oh, no, forse non l’avrebbe abbandonata mai, mai, mai!

Ah, quei diamanti!

Ma che cosa aveva voluto dirle suo padre, con quelle ultime parole appena sussurrate, che il vecchio non aveva potuto ripetere, improvvisamente taciuto dal vento?

Che cosa?

La verità era che se il prezioso e magico anello fosse caduto nell’oceano, lei gli sarebbe appartenuta per sempre, per sempre, sì, sì, per sempre.

E lei, piccola ingenua, non lo sapeva.

Un giorno, camminava lungo il mare, tutta sola, oh, quanto le piaceva ascoltare la voce casta delle onde!

Era salita sulle rocce, sì, sulle rocce. Mi ricordo che il vento soffiava impetuoso e le scompigliava tutti i capelli, mentre l’azzurro sembrava chiamarla.

Oh, possibile?

L’anello le cadde giù.

Ma in realtà, era stato come se uno spirito virile, dalle braccia d’avorio, con una corona d’argento sul capo, gliel’avesse rubato, con le sue mani gentili. Che attimo fatato e fuggitivo fu!

Eppure, la sconsolata si accorse di aver perduto il suo anello. Non lo trovava più!

Cielo!

Il mare pareva ripeterle le ultime parole dette da suo padre, prima di partire. Adesso sì che le capiva e quanto le facevano male! Quanto la fecero soffrire!

Era inutile fingere di non udirle, quella voce le ripeteva sempre più forte, sempre più forte’ Le onde blu erano infuriate!

Lei era in alto in alto, in cima allo scoglio più elevato.

Poi’

Oh, poi, accadde!

L’infelice precipitò di lassù, e si tuffò nel mare. Una catena invisibile da quel momento l’avrebbe legata a quell’azzurro.

Una catena che nessuno poteva spezzare, sì!

Tutto questo sembra un sogno, triste e celestiale quanto una morte di silenzio. Eppure, appartiene alla realtà, a quella che hanno visto i miei occhi, gli stessi che guardano le nuvole bianche del cielo e le rondini blu che volano in quell’immenso.

Questa era la storia di Sirena.

Questo brillava nelle sue pupille, piccole perle di mare! Questo, sì.

E io me la ricordo, rideva nel sole quel giorno.

Oh, sì, lei rideva e tutto pareva disegnato per l’incanto, lì, su quella spiaggia dorata!

Aveva un fiore bianco fra i lunghi capelli, sembrava una visione, un incontro con il Cielo che a pochi mortali &egrave dato sperimentare.

Sì, era così!

E con le sue piccole mani, la bella giocava con una conchiglia rosa.

E tutto tintinnava, tintinnava, tintinnava! Si sentiva la voce paterna del mare. Tutto era così dorato, così lieve, così bello, che’ oh!

Lei si rotolava molle sulla sabbia bianca’

E mostrava al sole il suo seno quasi nudo, vestito soltanto di meravigliose alghe, le più preziose dell’oceano.

Oh, aveva una perla, sì, una piccola perla candida, incastonata nell’ombelico, e una collana che poteva essere di corallo le cingeva il lungo collo.

Il resto del suo corpo era d’argento, fuorché le belle braccia e le piccole mani.

Pareva che mi chiamasse!

Pareva che mi dicesse:

– Vieni!

E mi faceva ascoltare il suono incantevole della sua risata, che dava l’impressione di salire dal profondo del mare.

Allora io corsi, corsi verso di lei, con le braccia allargate, gli occhi bramosi di contemplare la sua immagine, i sensi che speravano di goderla. La bella giaceva sola sulla sabbia’

E quel fiore, tra i bei capelli!

Ma poi’

Poi, quando mi avvicinai, quando la cercai col tatto e con l’abbraccio, mi accorsi che lei non c’era più, e sembrava davvero che fosse morta, nell’illusione!

Possibile?

E invano la chiamai, invano la cercai, corsi a perdifiato, lungo la spiaggia deserta e ventosa, alla ricerca di lei.

Gridavo forte:

– Dove sei?

Nessuno mi rispondeva.

La verità era forse una soltanto: la voce sua e quella del mare erano la stessa, e gli occhi suoi erano azzurri come quelli’ oh!

E cose simili capitarono ancora.

Accaddero a me, a tutti coloro che la conobbero ed ebbero la sventura di contemplare le sue pupille.

Oh, ma una cosa mi &egrave rimasta impressa nella mente, una sola, che non mi dimenticherò mai, mai, mai!

Quel fiore di mare, incastonato nei capelli’

Ah!

Ricordi!

E adesso me ne viene in mente un altro, di ricordo, uno che mi fa quasi paura, in questo istante, ma ne devo proprio parlare, &egrave essenziale.

Lo sentite, questo rumore? Io sì. Che rullio! Dentro di me, &egrave più forte che mai. Non vi fa paura? Non vi inquieta? Non vi mette i brividi?

A me, sì.

Rivedo tutto, come una visione.

Ah, ma tutto questo &egrave una visione!

Cielo!

Salvatemene!

C’era una locomotiva a vapore, tutta nera, fumante fumante, che correva, correva lungo i binari, a più non posso, più forte del vento. Era una locomotiva che pareva di chissà quanti secoli fa, ma quanto era veloce!

Il fumo saliva rapido nel cielo.

E si sentiva il fischio!

Che forte! Che forte! Io non so se quella locomotiva tirava tanti vagoni, oppure no, non chiedetemelo. So soltanto che, passando, sembrava un razzo, o forse, il pensiero.

E si vedevano gli alberi, le case, le strade, i fiumi, i campanili, che fuggivano, al suo passaggio!

E si vedeva lei.

Lei, sì, stava sulla locomotiva nera, e sembrava la guidasse, la guidasse’ I capelli suoi volavano impazziti nella corsa. Ma chi mai poteva essere quel fantasma?

Io non ve lo voglio dire!

Ma quella donna aveva perduto uno dei suoi occhi, ed era tutta vestita di nero, lo stesso colore della locomotiva, lo stesso, lo stesso, sì.

Cielo!

Il corpo suo era tutto sfigurato. Io non so come lo dovremmo chiamare, quel personaggio, che mi fa venire i brividi! Sì, brividi di fuoco percorrono tutto il mio corpo, mentre vi narro di quella donna!

Mi ricordo quella voce, che urlava’ Urlava queste parole, nella folle corsa:

– Vengo, vengo! Sto arrivando! Preparatevi, miseri mortali!

Mi ricordo di un fuoco, che bruciava forte nella caldaia il suo carbone, era lui l’anima dannata della locomotiva nera, della velocità, che errava furtiva sulla strada della fantasia.

E quella macchina infernale sfrecciava sempre, sui binari tutti arrugginiti!

– Vengo! Ih ih! Preparatevi a morire!

Io non credo che tutto questo fosse vero.

Anzi, sono quasi certo di avere avuto uno di quei bruttissimi sogni che mi vengono tanto sovente, maledettamente, ahim&egrave.

Oh, ma perché questi incubi, qualche volta, non vengono agli altri invece che a me? Perché?

Il guaio &egrave che questi brutti sogni si avverano, infallibilmente, sempre, e questo mi mette davvero spavento.

Ah!

Speriamo di dimenticarlo presto, speriamo di non dovervi raccontare di quell’occhio di vetro e di quella volontà feroce. Ma ditemi, ditemi, come la chiameremo, questa creatura cupa, se arriverà?

Io lo so, oh, lo so già il nome suo. Ma fa troppa paura, e forse sarà meglio se la chiameremo l’Orba.

Cielo!

Non fatemici pensare.

Ah, ma quella locomotiva! Quei binari! Quel viso da feroce, quei lunghi capelli, al vento! Quell’urlo minaccioso! Quella bocca, fatta per sghignazzare!

Erano incubi, sì.

Speriamo così!

Adesso socchiudo le mie palpebre, come per sognare, o forse, sprofondare nella mia solitudine giocosa. Vorrei pensare a tanti fiori, a tanti coriandoli colorati, a tante meraviglie della natura, a incontaminate spiagge, a isole dorate!
Mi vengono in mente di quelle cose cupe, di quei racconti macabri, blu come la notte!

Mi ricordo di cieli stellati e freddi, di rumori soffocati nel silenzio celeste’ L’Orba era arrivata.

Noi chiameremo sempre così questo personaggio, non nomineremo mai il suo vero nome, perché &egrave giusto fare in questo modo, &egrave giusto fare il possibile per dimenticare le cose lugubri.

Ah, l’Orba!

Io la vidi, quella volta. E la vidi tante altre notti, sempre lì.

Era un angelo tetro e crudele, di quelli senza cuore. E camminava lungo la spiaggia, quando c’erano le stelle, sì, solo quando c’erano quelle.

Oh, non era bella, no! Aveva i capelli lunghi e bianchi’ Le mani sue erano tanto fredde!

E lo sapete cosa faceva? Chiamava lei, Sirena. Sì, era andata in quel luogo soltanto per incontrarla, per farla soffrire e morire per amore’ forse!

Cielo!

Era proprio così. E dopo il tramonto, al calar della notte, quando le tenebre cullavano le cose, con la sua voce nera Orba cercava di attrarre a sé la sua nemica.

– Dove sei? Dove sei? Vieni! Vieni da me!

Si sentiva forte l’eco di queste parole, che si confondevano con quelle del mare e non era un dolce rumore, no, non lo era affatto. Ve lo giuro, davvero, sì!

La verità era che Orba voleva annegare Sirena, perché la piccola perla, nata fra le onde, era unica, unica al mondo, e troppo bella per vivere!

Oh, forse non ci credete? E’ la verità, la verità, la verità!

Sì! Era così!

E adesso vi narrerò delle altre cose che hanno visto questi miei occhi, adesso vi dirò che’

Oh, lo sapete? L’angelo cupo parlava con l’anima fantasma del pirata, sì, quella del pirata! Le mie orecchie non si sbagliano mai! E la udirono, sì, così come udirono anche le risposte vaghe dello spirito perduto confabulante!

Succedeva lì, sulle rocce cupe.

Cielo!

E poi, si vedeva l’anima maledetta del fantasma che la abbracciava e con le sue mani bagnate di sangue e di alghe le toccava le forme. Non fatemici pensare!

E una volta, parve che l’animaccia del pirata la conducesse giù, giù, giù, nel gorgo, oh, la faceva affondare nelle sue sabbie!

Spero tanto di sbagliarmi.

Sì, spero tanto che non fosse vero!

E se i fanciulli vedevano passare l’Orba, fuggivano a gambe levate, tutti, subito, perché credevano che fosse la strega cattiva, e correvano a rifugiarsi tra le braccia delle loro madri spaventate.

Avevano ragione!

Ahim&egrave, sì.

Oh, conoscevi, tu, mia Sirena, la gioia di vivere nell’acqua?

Abitare i suoi azzurri, godere dei suoi spruzzi, giocare negli abissi, cadere addormentata nella tranquillità blu’ Sai tu che cosa significa tutto questo?

Io credo di sì.

Hai visto i pesci color dell’arcobaleno? E le conchiglie, che sembrano dipinte di cielo?

Forse gli occhi tuoi hanno contemplato il luccichio magico delle stelle sull’acqua?

Mi ricordo che ti aggrappavi a un amico pesce, per poi lasciarti andare, oppure ti fingevi morta, per farti trascinare dalla mano amica della corrente.

Poi ti ho visto quelle lacrime.

Ma il tuo pianto era un’illusione di perle.

E quando ridevi si sentiva il rumore del mare quando &egrave amico, mentre il caldo del sole accarezzava la pelle.

Era il tuo paradiso. Chi, chi mai poteva spezzarlo? Ditemi voi, chi, chi mai poteva uccidere tanti sogni, in un solo istante? Ah, mi viene in mente quello che ho visto dopo, quello che mi rimarrà per sempre impresso nel pensiero!

Cielo!

L’Orba e Sirena si rotolavano sulla spiaggia, avvinghiate l’una all’altra!

E la sabbia bianca bianca si era macchiata di sangue, io non so di chi fosse!

– Sì, sì, sì! Adesso ti ho presa e non ti lascio più! Ho passato tutta la mia vita cercandoti, speravo fossi soltanto una leggenda, e invece!

La bella piangeva, ahim&egrave.

E questa volta non era per gioco, né per scherzo.

– Voglio che tu non esista più! Voglio i tuoi occhi una rarità, fatta di perle’ Voglio averti tutta per me, senza concedere una briciola di te agli altri! Ti voglio per la mia collezione!

La voleva per la sua collezione privata, sì!

Mi ricordo che la sabbia era tanto fredda quel giorno, tanto, che’ oh!

La mia voce trema mentre racconto tutto questo, le parole mi abbandonano per la disperazione, davvero. Non fate del male a quel povero, casto essere del mare!

– Voglio tagliare la tua coda d’argento e i tuoi lunghi capelli, intrecciati con le alghe, ih ih ih!

Le parole tenebrose di Orba erano così paurose, e quell’immagine tanto brutta da descriversi, che preferisco non parlarne affatto.

Mi viene in mente la barba bianca del marinaio, che abitava nella casa di canne e tesseva le sue reti. Pensava continuamente alla sua bella.

Mi ricordo che aveva sempre la pipa in bocca e preparava la sua barca per la partenza, perché aveva un nemico, che voleva distruggere. Ne parlava sempre, sempre, sempre.

Mi rammento che quando raccontava del mostro, si sentiva forte la voce del mare in burrasca, che faceva da sottofondo magico e quasi spaventoso, sì.

Oh, il mostro!

Forse, abitava in una delle grotte sottomarine, chissà, ma che cosa importava?

Il marinaio aveva giurato vendetta, perché anche suo padre aveva fatto il suo stesso mestiere ed era caduto, ucciso dalla Piovra Nera.

Ma com’era successo?

Io non ve lo voglio dire. Mi ricordo soltanto la voce del vecchio, che raccontava, raccontava, raccontava, il rumore feroce del vento, il muggito del mare infuriato!

Però, secondo quei racconti, la Piovra Nera, il mostro crudele, era fuggito dal profondo dell’abisso, per tormentare i miseri mortali.

E bisognava ucciderla, sì!

Oh, ma cosa potevano quelle due braccia, quei muscoli temprati dalle forse del mare?

Cosa potevano quegli occhi, che avevano visto tante balene lottare tra i flutti spumeggianti, cosa potevano quelle forze mortali?

Io non lo so!

Ma mi ricordo che ho avuto una specie di incubo, una volta, una sorta di attimo fatale, in cui ho visto delle cose terribili, che quasi non vorrei narrarvi.

C’era lui, il marinaio appassionato, c’era la Piovra Nera, con i suoi tentacoli!

Il mare era feroce, si vedevano le onde alte, con le loro creste bianche, si sentivano i muggiti tenebrosi del vento fra le rocce.

Oh, che lotta!

Che spavento!

E quello che faceva più paura era il verso minaccioso del mostro, molestato da un miserabile mortale, illuso di poterlo sconfiggere.

Oh, io non ve lo so descrivere quel verso feroce!

Cielo!

E la Piovra Nera aveva afferrato il marinaio con uno dei suoi tentacoli.

La Piovra Nera aveva spalancato le sue fauci, come per mangiarselo, sì, per divorarselo’ ah!

La morte arrivava, con le sue mani gelide, per portarsi via il misero infelice che aveva osato sfidare il mostro degli abissi. Il marinaio veniva inghiottito da quelle fauci, che non perdonavano’

Poi, più nulla!

Soltanto un rigurgito cupo, tenebroso, che metteva spavento.

I tentacoli neri affondavano giù nell’acqua, quel corpo color della pece, lentamente si ritirava giù nel mare, perché il mostro voleva ritornare nei suoi abissi.

Io ho visto tutto questo!

E speriamo che questo presentimento terribile non si avveri mai, speriamo che quello che vi ho raccontato non succeda!

Stai attento, marinaio!

Mi ricordo che si vedevano gli albatri volare piano piano sulla spiaggia, per poi planare sul mare, oh, quanto erano grandi e leggeri! I loro versi secchi e un po’ melodiosi riempivano il silenzio e sembravano renderlo felice. Non c’era altro rumore.

Oh, quante ali bianche!

E non v’era anima viva lungo la riva del mare, non un mortale che con la sua presenza turbasse i pensieri e le cose, non un mortale, no, non un mortale.

Serenità!

Poi accadde una cosa tanto triste.

Sì, perché mi capitò di vedere la mia creatura azzurra, che precipitava giù, giù, giù’ E nessuno la poteva fermare, aiutare, salvare. Cielo, mi vengono le lacrime agli occhi!

Gli occhi suoi erano socchiusi e non brillavano più! Non regalavano più luce ed affetto! Non facevano innamorare più!

Le mani sue erano diventate bianche bianche, il colore della morte!

Il mare le faceva da culla dolce e tranquilla. Perché niente la poteva risvegliare! Niente, buon Dio, niente, niente, niente!

L’abisso blu la riceveva fra le sue braccia cupe e si sentiva una voce tenebrosa, perfida, che diceva:

– Ah, ti ho presa! E adesso non mi scappi più, vieni, vieni da me, che ti darò un bacio, ih ih ih!

Cielo!

Era lei, Orba, ad aspettare quell’essere adorabile teneramente addormentato e dagli occhi chiusi! Io ho visto tutto questo, sì!

Ho visto quella coda d’argento e quei capelli ornati d’alghe, che naufragavano nell’azzurro triste, perché ormai Sirena non nuotava più, più, più!

Non chiedetemi altro, ve ne prego. Sono io che voglio chiedervi di salvarla!

Sono io che voglio supplicarvi, se potete, non fate succedere una cosa simile, fate che la mia creatura lieve e buona continua a vivere per amare e non se ne vada così.

Oh!

No, non fate che la mia Sirena precipiti così!

Io vi ho raccontato un’illusione dei miei occhi, ma non oso pensare una cosa! Quanto ho appena scritto potrebbe essere la verità. Cielo, io non so se era un sogno oppure no!

So soltanto che lei precipitava giù, precipitava giù, precipitava giù, soave e immobile’ Pareva morta per sempre!

Morta, nel suo blu.

Mi ritorna in mente la voce affettuosa del marinaio. Lui piangeva, sì. Perché doveva essere capitato qualcosa di terribile ed era infelice!

Lo si vedeva in alto in alto, sullo scoglio grande, sotto di lui c’era un mare feroce feroce, che quasi metteva paura. E la chiamava, dolcemente’ La chiamava, col suo nome, fatto per essere sussurrato languidamente nelle notti stellate.

Ma lei non gli rispondeva più!

Oh, che cosa mai le era capitato, buon Dio? Che cosa, Cielo, che cosa l’aveva portata via alle braccia di colui che più l’amava?

Povera creatura del mare! Quanto ti volevano bene!

La voce del marinaio moriva nel blu, si perdeva così, sì, come la luce di un faro nella notte.

– Amica mia, dove sei? Perché, perché mi hai abbandonato? Rispondimi! Rispondimi!

Il silenzio era così triste! I gabbiani bianchi sembravano voler parlare all’infelice, per raccontargli la verità crudele.

Povero marinaio dalla barba bianca! Poveri occhi, pieni di mare!

Che qualcuno lo consoli!

Ma pareva che nessuno sapesse che esisteva anche il suo dolore. E dentro di me sono rimasti tanti ricordi che non vorrei neppure raccontare.

Mi ricordo di quella voce di marinaio’ Mi ricordo di un mare burrascoso, che voleva uccidere!

Mi ricordo del vento che muggiva fra le rocce, della sabbia che volava alta alta fino a toccare il cielo, delle tamerici tristi.

E lui chiamava sempre!

– Sirena, Sirena, dove sei? Dov’&egrave morto il tuo languido sorriso? Dove abiti adesso? Dimmelo, che io possa raggiungerti!

Ma lei non glielo diceva, non gli parlava più. Portati via quell’infelice, mare crudele!

Abbraccialo, con una delle tue onde affettuose e fredde, conducilo giù, nei tuoi abissi azzurri e dorati, dove non s’odono i rumori della terra. Lì, forse, i due amanti si incontreranno di nuovo.

E non si lasceranno mai più!

Cullatelo nel blu, acque misericordiose’ Che la vita infelice non abiti più quella mente, quelle braccia, quella volontà, nate per soffrire!

Ascoltatemi, forze cieche della natura!

Ascoltatemi!

Ma voi non capite, oh, no, no, no, non capite. E le parole mie nascono per morire nel silenzio del niente, fatto di cristallo e di madreperla, e d’illusione.

Oh, quei dolci occhi, nati per amare! Quei poveri occhi!

Si sarebbero chiusi presto, io lo so.

Ma perché, perché, perché lei più non rispondeva? Dov’era? Temo di non essermi sbagliato e di avere visto giusto, temo che la verità crudele fosse quella che vi ho narrato.

Poi mi &egrave parso di vedere il buon marinaio dalla barba bianca, triste, mentre precipitava dall’alto degli scogli, a testa in giù, nel mare, a picco! A picco!

Cielo!

Aveva sussurrato il nome dell’amata per l’ultima volta.

Lasciatemi dimenticare.

E mi &egrave parso anche di scorgere altri particolari tristi, giù, negli abissi.

Tristi?

No, cupi, cupi quanto la notte, la pece, il carbone, le streghe e il mistero. Lo sapete che cosa vogliono dire tutte queste cose, messe insieme? Lo sa forse la vita?

Il mostro era addormentato nei suoi ascosi antri. Ne sentite il respiro soffocato? Ne udite i palpiti cupissimi? Ne vedete i lunghi tentacoli, pronti per la caccia?

Zzzz’Ronn’ Zzzzz’ Rrrrroonnn’ Zzz’ Zzzz’ No, non c’era di che sorridere, non c’era di che scherzare, erano i sospiri della Piovra Nera, il feroce degli abissi.

Cielo!

E se si fosse destata?

Cosa faceva laggiù, nascosta nella sabbia bianca, fra le acque azzurre? Tutto era così freddo, da quando era arrivata lei! E quali pensieri minacciosi correvano nella mente del perfido essere addormentato?

La sua tranquillità faceva paura. Io l’ho visto, sì, in quel momento! Io ho toccato con le mani quei tentacoli, che parevano fatti di ghiaccio. Non ci credete? E’ possibile, invece, possibilissimo! Ma non svegliate il mostro addormentato, per favore!

Soltanto il pensare ai dolci baci di Sirena, purpurei come le rose più scarlatte, mi consola.
Ma vi prego, fate qualcosa, che qualcuno incateni il mostro, con dei ferri che nessuno possa spezzare! Che qualcuno lo faccia dormire per sempre, così il destino triste non si avvererà!

Fate qualcosa!

Ma io lo so, sì, io so che cosa doveva succedere e adesso ve lo dirò, fino ad ora mi sono trattenuto, ma a questo punto non posso più continuare a farlo, mi devo aprire, perché’ oh!

Voi sapete che il marinaio infelice era caduto in mare, per sua sventura. E precipitava giù, negli abissi.

Sì, avete capito bene. A poco a poco, lentamente, se ne andava giù, si avvicinava al mostro addormentato’ Oh, che cosa mai ne sarebbe stato di lui?

Dovremo forse assistere alla lotta furibonda che vi ho promesso? Due esseri che lottano avvinghiati, il Bene e il Male, che si affrontano, l’eroe che fronteggiava il suo rivale, il cattivo, che però era tanto più forte di lui’ Doveva succedere tutto questo?

Io non so.

Cerco di immaginare il destino di lei, la mia Sirena.

Sapete cosa ne voleva fare l’Orba? Lo sapete? Un pezzo della sua collezione personale, un bijou! Povero essere del mare! Povera creatura fatta per le stelle!

Mi pare di vederla, lì, appesa a una catena tutta dorata, nella stanza grande, piena di oggetti luccicanti e tristi, perché senza vita. Non respirava più, sembrava incantata! E luccicava molto, sì!

Luccicava, tra le farfalle morte, dalle ali variopinte e bellissime, attaccate alle pareti con degli spilli lunghi e sottili, d’ottone puro. Oh, nemmeno quelle potevano più sbattere le loro grandi ali, per volare nel cielo immenso!

La coda di lei, d’argento, brillava, lucida e bianca.

E si vedevano le pareti, a cui erano appesi dei campanelli, decorati con perle naturali, dai riflessi vivissimi.

Si vedevano i pesci, che facevano il bacio con la bocca tutta spalancata’ Ma il pezzo forte della collezione di Orba era lei, sì!

Era lei, con quei suoi capelli che parevano alghe, con quei suoi denti candidi e scintillanti, come l’avorio. E se ne stava appesa, così, come una natura morta.

L’Orba la ammirava attraverso i vetri di cristallo, diceva, con la sua voce tremenda, di essere immensamente felice, perché adesso la sua collezione privata era davvero al completo.

Oh, lo era davvero, sì!

Non ci credete?

Forse sarebbe stato veramente così, se non fosse arrivato qualche eroe dal Cielo a salvare la bella. Ho tanta paura che tutto questo sarebbe accaduto presto, tanto, tanto presto, anche se, per il momento, ciò che vi ho raccontato rimane soltanto un’impressione.

Speriamo che non si avveri mai!

Speriamo che Sirena e il marinaio possano scendere ancora, insieme, abbracciati, negli abissi stellati, non in quelli paurosi e cupi, nel blu, fatato e magico.

Speriamo che i loro occhi possano contemplare di nuovo la sorgente di lacrime, nelle grotte marine! Speriamo! Oh’.

Ma si alzava un vento freddo, che faceva tremare le tamerici caste! Oh, arrivava la burrasca, che faceva urlare forte i gabbiani e gli albatri! Mi vengono i brividi, pensandoci.

Cosa doveva succedere? Cosa? Cosa? Cosa? Sgorga ancora per me, sorgente magica, sorgente di lacrime’ Sgorga ancora, per sempre!

Ti prego, fallo per quegli occhi tranquilli, che promettevano gaudio, e forse si sono spenti.

Oh, no, no, ma che dico mai? Lei era viva, viva, viva, sulla spiaggia!

Che felicità!

Gli occhi suoi erano appena aperti, le lacrime sue erano di contentezza, no, no, no, Sirena non era precipitata giù, negli abissi azzurri.

La gioia abitava in lei.

Il canto dei gabbiani in volo le rendeva la vita, goccia dopo goccia, come rugiada, sulla sua pelle di cristallo.

Oh, forse era morta e poi risuscitata? No!

Io la vidi, quel giorno.

Fra le mani, stringeva forte un fiore di mare, bello quanto il cielo. Lo baciava con le sue labbra. I capelli suoi carezzavano la sabbia bianca bianca, pareva la adorassero.

Era salita dalle sue grotte, dalle sue grotte, sì, per ammirare il sole meraviglioso.

Oh, ma che fine aveva fatto il suo marinaio triste? Perché, perché era precipitato in mare, perché l’aveva chiamata tante volte, sempre inutilmente?

Io lo so, sì.

Il nome di lui era morto su quelle labbra rosse come il corallo’ Sirena lo ripeteva nel silenzio, quasi fosse diventata improvvisamente folle.

E quando non trovò più il suo marinaio, allora quasi si mise a piangere, poiché le dispiaceva tanto di aver perduto il suo amico del cuore.

Perduto, sì, forse per sempre!

Avrebbe voluto stringerlo al suo petto, e coprirgli la fronte con i suoi baci, sussurrandogli parole dolci e affettuose. Oh, sì, ella desiderava consolarlo per il resto dei suoi giorni!

E invece, quel destino’ Cielo!

Ma poi accadde una cosa bellissima, davvero, vi giuro.

Perché quell’essere celeste ritrovò il suo amico, che era caduto giù, giù’ Lei riuscì a salvarlo dai tentacoli della Piovra Nera, che aveva deciso di divorarlo.

Nemmeno io ci posso credere!

Ma alla fine il marinaio e la sua bella stavano insieme e lui la teneva fra le sue braccia. Io me li ricordo, andavano l’uno accanto all’altra, soli, sulla spiaggia, che sembrava ammantata di stelle marine.

La bella gli aveva ridato la vita, con un suo bacio!

Le sue labbra rosse erano magiche. Mi par di risentire, deboli e felici, le loro voci che morivano nel blu. Le porto ancora dentro di me, oh, non se ne sono mai andate dallo scrigno prezioso dei miei ricordi.

Era lei, lei, lei, che parlava sempre’

Rideva!

– Giurami, giurami che uno di questi giorni verrai a visitare il mio blu! I recessi azzurri che abito da tanti secoli!

E glielo ripeteva, glielo ripeteva, glielo ripeteva sempre, sempre, sempre.

– Vieni con me sott’acqua, dimentichiamo il mondo dei miseri mortali, dove la parola fine &egrave quella che si pronuncia più spesso! Dimentica le cose grigie, vieni con me nei regni sommersi!

Davvero, allora, tutta la vita era solo un bacio.

Mentre vi parlo, ne sono certo più che mai. E mi ricordo soprattutto il suono allegro di quelle voci, che tradivano una felicità triste! Oh!

E poi’

Poi, li vedevate abbracciati, per un’ultima volta. Arrivavano delle nubi di sabbia dorata, sollevate dalla mano invisibile della brezza, dei venti di mare.

Più nulla.

Loro erano svaniti così, sì.

Misteri!

E rammento di una volta in cui gli occhi di Sirena brillavano forte, tanto, tanto forte.

Erano pieni di tristezza e di passione, sì!

Cielo, perché mai? Ricordo delle sue belle mani bianche, che accarezzavano le rocce, la voce sua tradiva quasi il pianto.

E le parole che diceva erano piene di malinconia.

Sì, perché era come se avesse perduto i suoi castelli, le sue perle nascoste, i suoi pesci che avevano tutti i colori dell’arcobaleno.

Che cosa, che cosa rendeva quegli occhi simili alla superficie del mare quando &egrave tranquillo, nei giorni nuvolosi, in cui l’universo non riesce a specchiarsi sull’immenso?

Che cosa, buon Dio?

– Ho visitato le mie grotte. Ho scoperto un mistero che mi fa piangere! La sorgente di lacrime sembra morta, non sgorga più, laggiù, nel mio blu!

Voi non lo sapete. Io non so se posso dirvelo, oppure no.

Ma quando Sirena piangeva, dagli occhi suoi scendevano delle lacrime fatte di perle!

E’ la verità, sì. E succedeva così anche in quell’istante, fatto di vaghezze e soave rimpianto.

– La mia sorgente &egrave morta! Chi, chi &egrave stato a ucciderla, chi ha avuto tanta cattiveria?

Questo diceva la nostra amica. Ma non le rispondeva nessuno! Lei lo sapeva, dovevano essere stati gli uomini cattivi, come al solito, come sempre, purtroppo.

E la bella diceva:

– Restituite la vita alla mia sorgente, esseri malvagi! Vi prego, fate che pianga ancora del suo pianto di felicità, laggiù, negli abissi stellati! Fate che sgorghi ancora per me!

Io l’ho vista così, quella volta, aggrappata con le sue mani bianche agli scogli, e quegli occhi’ oh! Non fatemici pensare!

Lo sapete?

Tuffandosi, per ritornare giù, aveva detto:

– Voglio morire anch’io, insieme alla mia sorgente!

Oh, vi prego!

Fate che quegli occhi non siano mai più così tristi come quel giorno! Fate che brillino come il mare sotto i bei raggi del sole, fate che succeda così, per favore!

Ah’

E se penso al destino del mio marinaio, al destino di quelle braccia forti, mi viene in mente un ricordo del passato, cui forse non potrete credere.

Una volta, vicino allo scoglio grande, c’era una casa, tutta di legno, con il tetto e i camini.

Lo sapete? Guardava sul mare, però l’azzurro si increspava in basso in basso, perché proprio davanti alle finestre di quella dimora stava un precipizio.

E si vedevano le onde lontane lontane, di lassù!

La notte nella casa si accendevano tante luci, tante, che pareva un faro.

E di lì si sentivano i venti di mare che soffiavano forte, così forte, che’ oh! Ricordo tutto questo, come se l’avessi vissuto ieri.

Nella casa di legno dimoravano tre fanciulle bianche. Parevano angeli. E quando il vento soffiava forte e il mare era burrascoso, le vedevate affacciate al terrazzo, i loro vestiti di seta ondeggiavano, scossi mollemente dalla brezza.

E nessuno sapeva chi fossero.

Oh, nessuno sapeva da dove venivano!

Poi, quella sventura.

Sì, perché una delle tre, un brutto giorno in cui le one sembravano volersi portare via tutto, cadde giù.

Cadde giù, sì, nel precipizio!

Le rocce che stavano ai piedi del dirupo la uccisero. E quanto alle altre due, oh, non voglio pensarci! Il mare divenne la tomba di quella che se n’era andata per prima, sì, la tomba triste e fatata che non la poteva restituire all’affetto dei suoi cari, ahim&egrave, neppure senza vita.

Un’altra morì di crepacuore, sussurrando il nome della madre che l’aveva lasciata per sempre.

Un’altra, un giorno che si bagnava nel blu turchino del mare, incontrò il mostro degli abissi, che la volle portare via con sé; forse, una piovra.

Cielo!

Che destini!

Ma la storia malinconica non finisce qui. Nel tempo in cui &egrave ambientato il nostro romanzo, la casa di legno esisteva ancora, perché nessuno l’aveva distrutta, né bruciata.

Oh, e perché?

E nei giorni in cui il mare era burrascoso’ Oh, nei giorni in cui gli spruzzi bianchi delle onde toccavano il cielo e arrivavano a bagnare la terrazza della casa, succedeva!

Di solito, era di notte.

Sì, di notte, quando la luna bianca faceva brillare tutto di tristezza! Allora, si vedevano le tre fanciulle, nella casa, che si rianimava.

Oh, sembravano esseri celestiali, pareva ballassero, danzassero, cantassero, tutte avvolte nei loro vestiti candidi candidi, leggeri come il Cielo dal quale provenivano!

Nei rumori della burrasca, risuonavano le loro voci melodiose e magiche, insieme a dei suoni d’arpa.

Pareva piangessero.

E piangevano davvero, sì!

Piangevano, per il destino sconsolato di un marinaio innamorato e della sua Sirena!

Piangevano, perché quella storia doveva essere davvero tanto triste, nel suo finale, e c’erano dei cattivi, che volevano la morte degli eroi!

La fine e l’infelicità di quelli che si volevano bene, sì!

I singhiozzi fatati delle anime fantasma si confondevano con i muggiti cupi del mare tempestoso, non c’era una sola barca sull’azzurro notturno, in quei momenti, non una, a sfidare il naufragio.

Forse voi non ci credete’ oh!

Quelle anime parevano tre dee, incatenate alla loro sorte terrena, da cui nessuno le poteva staccare più.

E le si sentiva chiamare:

– Vi prego, fate dell’immenso, venite a liberarci! Sciogliete le catene di fiori che ci legano a questo luogo di tristezze, lasciateci volare via, lontano, lontano!

Ma nessuno le ascoltava.

E lo sapete che cosa sarebbe capitato?

Le tre sconsolate avrebbero chiamato l’anima del marinaio, non appena fosse morto, perché le liberasse, le facesse andare verso i lidi felici dove volavano i loro desideri. Che importa se in fondo al mare o fra le stelle? Che importa?

La mente mi si appanna, sapete?

Vedo tutto offuscato, nebbioso, le cose mi si dissolvono davanti, perché tremo di malinconia e di spavento, dopo essere stato sfiorato da una carezza di felicità.

E forse &egrave giusto così, davvero.

Ma adesso vi dirò un’ultima cosa, anche se vi farà un po’ impressione, e forse non vi piacerà neppure. Però le tre anime morte volavano sopra il mare, quando era tranquillo.

Sì, se ne andavano così, vicino ai luoghi della sventura, tanto era loro concesso!

Con i loro vestiti bianchi, sericei, sfioravano l’azzurro dell’acqua, tanto profonda e cupa, in quei paraggi, e triste, come le loro sorti. Era così, sì.

Io le ho viste, davvero! Ma &egrave soltanto ai miei occhi che si sono volute mostrare, e a nessun altro, perché la gente non doveva spaventarsi.

E il tesoro, la meravigliosa sorgente di lacrime, giaceva sempre negli abissi stellati e tristi.

Oh, voi non l’avete vista? Voi non avete mai contemplato il suo meraviglioso splendore?

Avete sbagliato!

Io non so se era morta o no. Io non so se le parole di Sirena erano vere, o dettate soprattutto dalla sconsolatezza della solitudine.

Oh, sorgente magica!

Era l’ultima perla, che gli uomini non avevano ancora potuto scoprire e distruggere.

Era l’ultima felicità sommersa, che le cattiverie degli esseri della terra non avevano potuto infangare e spegnere. Lo sapete voi, dove stava? Lo sapete, amici cari?

Giaceva in una grotta segreta, negli abissi blu. Ma io non vi dirò come raggiungerla, io non vi svelerò questo segreto, no, affinché la sua bellezza incantata non venga infranta.

Rivedo gli occhi della mia creatura celeste.

Ha un dito sulle labbra.

E’ segno di silenzio!

Sì, devo tacere, tacere, tacere. Non posso raccontarvi ciò che più non mi appartiene, altrimenti qualcuno mi sgriderà, prima o poi.

Ma vi prego, non fate piangere la bella figlia dell’oceano, dai seni eburnei, decorati con una stella marina!

Non fatela piangere, vi prego!

E’ il mio ultimo sogno. Non spezzatelo.
Ricordo che ci fu un momento cupo, più che mai.

Io non so bene se era notte oppure giorno, ma c’erano le stelle, che brillavano, e il vento fra le rocce pareva una voce di donna, capace di incantare.

E s’udiva una voce, sì, che si lamentava, si lamentava, si lamentava’ Buuu’ Buuuu’

Poi, quasi all’improvviso, il silenzio.

E dopo il silenzio, di nuovo, s’udivano quei suoni fatti di mistero.

Per la verità, c’era qualcuno, che chiamava, chiamava e chiamava, senza sosta, senza mai stancarsi di sussurrare alla tranquillità triste.

Quel qualcuno sussurrava sempre!

Sembrava fosse il marinaio, amico di Sirena. Pareva che le dicesse cose che facevano amare e piangere mentre le raccomandava, anzi, la supplicava, di venire in suo soccorso, sì.

Cielo!

Forse era morto?

La creatura celestiale aveva sentito quel richiamo, già nuotava nei suoi regni sommersi per arrivare in tempo, perché voleva soccorrere il suo amato, come aveva fatto altre volte.

Eppure, oh!

No, non andare, povero essere del mare! Non ascoltare chi ti vuole uccidere! E’ un inganno! In nome del Cielo, non andare!

Sì, perché quella voce lamentosa, che pareva venire dal mondo dei morti, apparteneva all’Orba.

Era la sua, sì! Era lei! La perfida! La cattiva! E si fingeva il marinaio morto, per attirarla in una trappola.

Che spavento facevano le vecchie rocce, gli scogli cupi che emergevano dal mare! Che brividi, in quell’istante!

– Sirena! Vieni! Aiutami! Soffoco! Soffoco! Non senti il tuo amico, che piange per te? Non ti raggiunge la mia voce? Sirena, amica del mio cuore, non lasciarmi! Aiutami!

Queste parole mi sono rimaste nella mente, tanto, che non le potrò mai dimenticare.

– Sirena’ Sirena’ Sirena’ Ho sempre vissuto per il nostro eterno affetto, solo per quello! E ora, chi ti ha tanto voluto bene muore piangendo’ Non lasciare che mi succeda! Ascolta il rumore delle mie lacrime, che si tuffano nel mare pietoso, come le pietre preziose dell’addio!

E si sentiva davvero il rumore di qualcosa che cadeva nell’acqua blu, spumeggiante, sì.

L’Orba era davvero molto astuta, oh, forse, quelle che precipitavano giù nell’azzurro, erano piccole perle bianche, simili a gocce di tristezza nella luna.

Ma in verità era un inganno, un inganno!

E la povera fanciulla degli abissi, lei, sì, la meravigliosa, ci stava cadendo, cadendo, cadendo, poverina!

Non fatemici pensare!

Io chiudo i miei occhi e li nascondo dietro le mie mani bianche, toccate da un gelido pallore. Mi viene quasi da urlare. Non andare, angelo degli abissi stellati, non andare!

Non lasciare che quelle grinfie bigie, nascoste da guanti neri come la pece, ti facciano una carezza mortale! No! Non fartelo fare! Diventeresti una natura morta, fatta soltanto per essere collezionata ed ammirata!

Non andare!

Ascoltami!

Oh!

Davvero, in quel momento, il mio angelo rischiava di morire, di morire, sì’ Che cosa l’avrebbe salvata? Io non mi ricordo bene’ So che sento freddo, raccontandolo.

Cielo!

Altre immagini più dolci mi ritornano alla mente, tale &egrave la loro tranquillità, che quasi non riesco a raccontare.

Il marinaio dalla lunga barba e dalle braccia robuste stava sempre sulla spiaggia’ Perché lei era lì!

E gli occhi del lupo di mare la contemplavano, la ammiravano, la guardavano ebbri di lei, delle sue dolci forme, del suo sorriso che brillava di mare, perché quell’angelo era meraviglioso.

Me la ricordo sdraiata sulla sabbia.

Le onde toccavano la sua coda d’argento, tanto dolcemente, tanto dolcemente, che’ oh! La schiuma bianca la accarezzava.

Gli occhi suoi erano socchiusi, ma non era morta, no, non lo era. Sognava!

C’erano dei fiori di alga, lì, accanto a lei, intrecciati alle sue bianche mani. Quelli sì che erano morti! Li aveva portati via la corrente, fredda fredda, quella che aveva tanta pietà, anche se i suoi sguardi erano ciechi.

Oh, i fiori del mare erano morti!

Erano rarissimi, di quelli che crescevano soltanto nei recessi turchini del sogno.

E i sussurri di Sirena non potevano risvegliarli dal loro torpore, no, no, no, non più!

I gabbiani si posavano sulle spalle nude di lei, certi che non voleva far loro del male. Erano così candidi, così puri che pareva appartenessero al Cielo. Lei sospirava sotto il fuoco delle loro carezze e soprattutto di quella del suo uomo, sulla pelle.

Povera meraviglia dell’oceano!

Eri tanto commossa, in quel momento!

Perché anche un semplice sospiro bastava ad incantarti. Sì, era così, davvero. Allora, sospiravi di piacere e di felicità!

E lui guardava sempre la sua amica.

Poi, all’improvviso, quella specie di sogno.

Forse voi non ci crederete, neppure io ci credo, ma quegli occhi di lupo di mare videro l’illusione.

Era una visione bianca bianca, sì!

Era sul mare!

Lì, lì, lì, fra l’azzurro, fra la schiuma candida, dove i raggi del sole brillavano più forte’ oh!

Era lei, Sirena’ Giocava con un delfino blu. Sì, gli stava aggrappata alla coda, si faceva portare da lui, che saltava le onde.

Favoloso!

Cavalcavano insieme la schiuma d’avorio. I due erano amici, sembrava che si conoscessero da sempre, da sempre! Il delfino era così grande, così bello, così simpatico, che il bell’angelo di mare non voleva mai staccarsi da lui.

E la si sentiva ridere felice, tanto, tanto felice!

Era così contenta, così contenta. Tutto scintillava intorno a loro, mentre guizzavano nell’acqua.

Poi, quello spruzzo bianco, nato per un gioco, velò ai miei occhi la dolce visione.

E la nascose anche al marinaio, che guardava, guardava e guardava, dalla spiaggia.

Ma la voce di lei si sentiva sempre. Sì, lei continuava a parlare e a scherzare con il suo animale amico! E tutto svaniva, proprio come in un sogno.

Magari fosse stato sempre così!

Magari!

Lasciatemi sperare, lasciatemi sognare, ancora per una volta. Che male c’&egrave? Lasciate che mi tuffi nei miei ricordi più lieti.

Ricordo che poi i due amanti si abbracciarono; lei era venuta per dirgli delle malinconie, che facevano piangere, sì!

Oh, perché, perché?

Il mare non brillava in quel momento, tutto pareva improvvisamente triste, anche il sole si era ritirato dietro le sue nubi bigie.

Che mai?

La voce dell’angelo azzurro, allora, era sconsolata, vi giuro!

Aveva detto’

Oh, aveva detto che preferiva affondare per sempre in fondo al mare, piuttosto che dover dire tante cose che davano preoccupazione e tormento!

E sussurrava di sventure.

Diceva così:

– Ho ascoltato la voce della mia sorgente sommersa, la mia amica segreta’

Poi si fermava, come se non avesse voluto più parlare, gli occhi suoi cercavano invano conforto in quelli del suo amico del cuore, che la ascoltava.

E mormorava:

– La mia sorgente mi ha sussurrato tristezze, mi ha detto che uno dei miei incubi si avvererà fra poco, nel profondo degli abissi. Ma dimmi, tu ci credi alle sorgenti?

– Io sì, se me ne parli.

– Ho udito parole di morte. Sì, la sorgente di lacrime si &egrave risvegliata, all’improvviso, soltanto per dirmi che una mano feroce cercherà di strapparmi al tuo affetto!

Cielo!

Pareva una profezia, sì.

E forse, lo era.

Il marinaio, stringendo il suo berretto fra le mani, le diceva di non andarsene così, di non lasciarlo solo con il presentimento di una prossima sventura.

Ma il pianto ormai toccava le dolci guance della povera sconsolate, quelle guance fatte solo per essere accarezzate!

E lei, dopo aver regalato un bacio al suo uomo, svaniva così, nell’acqua blu’ Nell’acqua blu, sì!

Non andartene, piccola infelice!

Non andartene via nella tristezza!

E mi vengono in mente di quei ricordi, ah, di quei ricordi, che’ Cielo! Voi non lo sapete che cosa pensava una mente nera, protagonista del nostro racconto! Meglio così!

Ma io mi ricordo di quello che faceva l’Orba, sghignazzando, lungo la spiaggia, spazzata da folate di vento freddo!

Ah, il suo volto era tutto contratto, solcato da profonde rughe, era vestita con un lungo mantello color della pece, che svolazzava, pareva volesse fare un giuramento, o dare fuoco al mondo intero!

Il mare era in burrasca, le onde sembravano volersi portare via tutto, tutto, tutto! E l’Orba sollevava con le sue forti braccia delle pietre pesanti pesanti e bigie.

Le gettava nell’acqua azzurra, una dopo l’altra, con ferocia, sì!

Pareva volesse uccidere il mare e tutta la vita meravigliosa che ospitava nelle sue profondità amiche.

Urlava:

– A me, forze della morte!

Ma l’azzurro era tanto più forte di lei’ Oh, se avessero voluto, gli abissi si sarebbero spalancati, per inghiottire l’Orba!

– Prendi, mare! Prendi, natura, che io dominerò! Sii mia alleata, mia complice, nella cattura della Perla! Ih ih ih!

Io lo so.

Un giorno, tanti uomini malvagi sarebbero andati in aiuto di Orba, per catturare Sirena, l’ultimo tesoro vivente. Queste brutte cose purtroppo succedono sempre!

Ah, il bel delfino!

Di quante informazioni tristi doveva essere messaggero, di quante, di quante!

Mi ricordo che cercava il marinaio, per dirgli una cosa. Oh, sì, per dirgli quello che non si può dire, Cielo!

Era proprio così, credetemi. Rammento appena che quel giorno l’oceano era diventato tutto bigio, pareva di cenere’ Non un solo gabbiano si abbandonava al volo sopra le sue acque, perché’ oh!

Io non so se quel delfino azzurro parlasse oppure no, io davvero non so come riusciva a farsi capire.

Ma il marinaio sapeva.

E non era una favola, quella, no, proprio non lo era. Sembrava più un racconto lugubre. Davvero, credetemi!

Mi ricordo che il delfino celeste faceva dei versi tanto tristi, che’ Oh, pareva che piangesse!

E andava su e giù, andava in cerchio, nell’acqua azzurra e bassa, povero sconsolato, era rimasto senza la sua amica, senza la sua amica, sì!

Il marinaio lo guardava sempre.

E mentre lo osservava, capiva tutto, tutto!

Lui conosceva il mare e i suoi abitanti, sapeva parlare il loro stesso linguaggio.

Poi, il delfino se ne andò, scomparve fra gli scogli del fondale, lentamente, a poco a poco, sì, tristemente, tanto tristemente, che’ oh!

Era come se avesse detto delle parole di morte!

Era come se avesse detto così:

– La mia amica &egrave morta e nessuno va ad aiutarla! La mia amica giace addormentata per sempre in fondo al mare, che sarà la sua ultima dimora, la sua tomba meravigliosa!

Cielo!

– Il povero angelo lotta con il mostro, che l’ha presa con i suoi tentacoli neri e la vuole divorare, le vuole strappare la dolce vita, che abita misteriosamente in lei!

Credetemi! Era proprio come se il delfino celeste avesse detto così.

Oh, che cosa mai brillava negli occhi del marinaio, che cosa brillava! Era stata la Piovra Nera a prendere Sirena, a portarla via con sé, giù, in fondo al mare.

Era stato il mostro! Quello che bisognava distruggere!

E sapete cosa credeva di sentire quel povero uomo di mare, dalla barba bianca e arricciata?

Mi ricordo che era calata la notte blu, piena di ombre e di promesse di castigo. E fra gli scogli’ Oh, vicino alle grotte, succedeva! Succedeva, davvero, sì!

Si sentiva la voce di lei, s’udivano i suoi palpiti, nell’ultimo istante.

Povera Sirena!

E chiamava, chiamava, chiamava il suo amico, sperando che la potesse aiutare, salvare’ Quelle parole sembravano salite dal profondo degli abissi.

– Aiutatemi, soffoco! Soffoco, nell’abisso blu! Amico mio, vieni, vieni, vieni ad aiutarmi’ Vieni, vieni, la tua amica sta morendo!

Il marinaio sentiva tutto, tutto!

E vi giuro, niente più di tanto poteva essergli di tormento. Niente poteva superare con la sua tristezza il dolore che gli procurava l’ascolto di quei suoni.

– Aiutatemi’ Che qualcuno mi aiuti, l’abisso mi sospinge alla morte!

Questa era la voce che saliva dal profondo.

Ma la cosa che faceva rabbrividire era che la si sentiva mescolata insieme ai muggiti del mostro!

Perché la Piovra Nera se l’era presa, la teneva stretta con i suoi lunghi tentacoli, e non la voleva lasciare più, più, più! La povera vittima si lamentava così:

– Venite a liberarmi! Amico del mio cuore, vieni a salvarmi, fa’ presto! Fa’ presto!

Questi suoni vagavano nella notte.

E il marinaio li ascoltava!

Le parole gli arrivavano all’udito come mescolate al suono liquido delle onde, dell’acqua blu’ Mi ricordo che la luna di quella notte faceva davvero spavento, faceva così paura, che’ oh!

Ho visto tutto.

E davvero, pareva un incubo.

Il marinaio si era tuffato giù, nelle acque più profonde, lampi di tempesta scintillavano nei suoi occhi! Il suo sguardo parlava di un odio cupo e di un affetto immenso, che niente poteva spegnere.

Niente!

Ve lo giuro.

Ho visto gli abissi profondi. Ho visto le rocce buie, abitate dal mostro, ho sentito un respiro soffocato, lento lento, costante costante, che forse era il suo.

Ma non era addormentato!

Non c’erano i pesci azzurri, i pesci coriandolo, né i pesci arcobaleno, ahim&egrave.

Non c’era niente di tutto questo. Soltanto, la morte!

Non c’erano i bei raggi di luce che immaginate, le belle onde, le belle collane di corallo o l’acqua verde smeraldo, come potete figurarvi, ma soltanto una luce cupa, che faceva paura!

Oh, i miei ricordi si fanno strani, confusi, forse, davvero, &egrave stato un incubo.

Ma mi &egrave sembrato di vedere un angelo di mare dalla coda d’argento, lei, Sirena, prigioniera dei tentacoli neri del mostro. Invano cercava di liberarsi.

E le fauci cupe della Piovra Nera si spalancavano, pareva che quella brutta bestia avesse cento denti bianchi e aguzzi.

Oh, quei capelli rossi, intrecciati d’alghe! Quelle dita candide, decorate con anelli e perle! Quegli occhi che piangevano, di un pianto di cristallo! Infelice!

Cielo!

Uccidevano la bellezza! Uccidevano l’amore! Ma arrivava il marinaio dagli occhi di fuoco!

Succedeva così, sì!

Almeno così mi sembra’ Ma a questo punto il cuore comincia a battermi forte, la testa mi si confonde, non ci vedo più, oh! Il destino!
Poi, improvvisamente, quell’urlo, giù, negli abissi. Possibile? Possibile? Possibile?

– Sirena! Vengo a salvarti! ‘ disse il lupo di mare.

Ma la Piovra Nera aveva cento tentacoli, sì, erano cento, cento, cento, vi giuro! Aveva un morso tanto forte, che poteva uccidere qualsiasi innocente, davvero.

– Sirena!

Mi ricordo di una coda color argento, che ondeggiava negli abissi blu.

Mi ricordo due braccia forti, che lottavano, lottavano, lottavano, sott’acqua, senza stancarsi mai, senza arrendersi mai, mai, mai!

Poi, l’urlo del mostro. L’urlo, soffocato!

Non chiedetemi altro!

L’angoscia mi assale, mi sembra di morire, perché la morte passava di lì, in quegli istanti, nelle profondità turchine e misteriose del mare freddo.

Lasciatemi pensare una tristezza!

Forse, i due eroi, giaceranno insieme negli abissi!

Giaceranno laggiù, per sempre, senza possibilità di rivedere i raggi dorati del sole, e tutto sarà blu, ai loro occhi, soltanto blu, blu, blu’

Oh, uccisi dal mostro! Il mostro, sì, il mostro spietato.

Allora, le rocce e gli scogli sommersi piangeranno, piangeranno le stelle, che per l’afflizione cadranno sconsolate giù dal cielo, nel turchino fatato degli abissi.

Oh, possibile?

Io non so.

Le donne della terra si commuoveranno, quando verranno a conoscenza del destino triste. Forse, non lo crederanno vero, ma che importa?

Nessuno porterà fiori alla tomba sottomarina.

Nessuno potrà farlo, no, nessuno mai.

Allora, forse’

Oh, forse, qualche folle, tuffatosi per ammirare le bellezze delle profondità, si accorgerà di due voci tristi ed erranti! Due voci delle grotte sommerse, sì!

Una voce di uomo e una di donna, o meglio, di angelo meraviglioso.

Li sentiranno, li sentiranno, e udranno da loro il racconto della storia triste, la loro storia di amore e di morte. Lasciatemi pensare queste cose, per un attimo, lasciate che mi commuova e sospiri un poco, ve ne prego.

Perché quasi mi viene da piangere pensando a quello che ho visto e udito! Lo hanno visto i miei occhi. Lo hanno udito i miei orecchi. Ed era vero.

Oh, salvate la mia Sirena!

Salvate quegli occhi di tenerezza!

La verità &egrave una soltanto e temo di saperla. Quegli occhi erano morti’ Davvero. Non fatemi illusioni! Non fatemene, vi prego.

Perché mi vengono proprio le lacrime agli occhi se solo cerco di ricordare le robuste braccia del marinaio, il vecchio capitano, col suo cappello bianco con la visiera.

Me vennero giorni più belli, molto più belli.

Gli occhi di lei brillarono ancora, sì, brillarono ancora e più forte di prima, poiché qualcuno era venuto a salvarla e la morte non l’aveva voluta tra le sue braccia.

La bella stava con me, che le ero accanto. Voleva concedermi il suo corpo come dono. Eravamo sdraiati nudi, sulla sabbia ricoperta di conchiglie rosa.

Il sole giocava a nascondino tra le nubi, e lei permise alle mie mani di giocare con i suoi capezzoli carnosi, con i suoi seni grandi, fatti di pelle e decorati con una stella marina, rossa scarlatta.

Mentre la toccavo lei gemeva di piacere. Mi diceva di non smettere, di continuare a toccarle il petto e il grembo, mentre lei già strofinava con voluttà il suo ventre nudo contro il mio, irsuto.

Poi mi svelò un segreto.

Si tolse quella specie di tunica d’argento, che era la sua coda. E mi mostrò le sue belle gambe, lunghe, sode, di donna. Era tanto giovane e appassionata!

Vidi i suoi piedi lunghi, ricoperti da pochi granelli di sabbia purissima. Lei mi concesse di toccarli e di assaporarli con la lingua scarlatta, specialmente lungo la pianta e sulle belle unghie lunghe e naturali.

Mentre facevo quel gesto, lei sorrideva felice!

Mi chiese di accarezzarle i lunghi capelli dietro la nuca e io lo feci. Respiravamo forte, sì, respiravamo forte!

Le domandai se potevo metterle un bel paio di decolleté di velluto nero, col tacco a spillo. Lei mi rispose di sì e io gliele misi. Si addicevano meravigliosamente a quei piedi grandi e perfetti, che la natura aveva disegnato per una dea, per una Venere.

Avvicinai le labbra ai suoi capezzoli e lei mi chiese di succhiare. La esaudii.

Fu allora che Sirena cominciò a gettare grida di piacere soffocato e a sussurrarmi le sue parole d’amore più dolci.

La schiuma bianca del mare accarezzava i nostri corpi nudi. C’erano tante onde, si vedeva un villaggio lontano e le grandi reti dei pescatori stese ad asciugare.

Poi lei volle che le sfiorassi le lunghissime gambe con una conchiglia.

Mentre realizzavo quel suo desiderio furtivo, ella mi faceva sentire dolcemente le sue unghie e i bei denti bianchi sulla pelle. Voleva che soffrissimo entrambi, ma di piacere.

Intrecciò le sue gambe con le mie, le sue braccia con le mie, tanto che divenimmo una sola carne, una sola anima, un solo affetto.

Mi sussurrò anche, con una voce che saliva dall’eco del mare, racchiuso in una grotta, che non era tradimento.

No, lei non tradiva mai, perché non aveva giurato castità al suo uomo!

Poi mi disse:

– Vieni da me!

E allora le infilai dentro la verga. Mi accorsi dell’imene, che lacerai con un grido. Ma Sirena era perpetuamente e magicamente vergine, per quanto facesse l’amore con chiunque amasse.

– Dai, più forte! Più forte! Ah!
Diceva così, mentre mi strofinavo contro la vagina sua, raggiungendola e stimolandola in ogni sua parte.

– Vienimi nel grembo! ‘ mi sussurrò, mentre sospirava di piacere e faceva i suoi versi.

Mi teneva sempre le belle mani sulla schiena, nuda, era come se una fiamma turchina avvolgesse i nostri corpi e li divorasse, a poco a poco, per trasformarli poi in ebbrezza.

Quando lei venne, si drizzò a metà, improvvisamente, davanti a me, e dalle labbra le sfuggì un urlo soffocato, simile al muggito della tempesta, che, infine, morì in un tenero bacio, schioccato sulle labbra.

Poi si rimise la sua coda d’argento e svanì.

Cara Sirena!

Me la ricordo nuda, sulla spiaggia.

E faceva davvero caldo, il freddo se n’era andato via e pareva non dover ritornare mai più.

Un lenzuolo bianco bianco le voleva il seno, ch’ella quasi nascondeva con la mano.

Lui c’era e la toccava con i suoi sguardi, avidamente, beatamente.

I capelli di lei erano sciolti, ricadevano lunghi sulle spalle candide e lisce, che sembravano fatte apposta per essere accarezzate dalle mani di un uomo.

Le guance sue erano rosse, di piacere.

Oh, e c’era la brezza marina, che le faceva i dispetti, sì, i dispetti!

Le onde si divertivano a spruzzarla, quando lei meno se l’aspettava. Le loro, però, erano carezze delicate e fraterne.

Il lenzuolo candido che le copriva il corpo volò via nel vento, pareva volersene andare via con lui, ma soprattutto, si sentivano sempre quelle risatine di contentezza.

Era il suo sorriso, sì, a far scintillare ogni cosa!

Era la sua felicità.

Mi ricordo quella coda d’argento, quella coda, che brillava forte, come una meraviglia, come un gioco di prestigio!

Ma lo era davvero, sì!

Non ci credete?

E la si sentiva sospirare, cantare, sussurrare, perdutamente, quasi desiderasse di essere abbracciata.

Era nell’acqua.

Oh, cara, azzurra compagna di giochi! Tanto le faceva piacere, che mai l’avrebbe lasciata volentieri, se non per correre incontro a chi le voleva bene.

Rammento di come chiamasse il suo salvatore in ogni momento, oh, sì, il suo pescatore coraggioso, il suo marinaio!

Lo voleva sempre accanto a sé, sì!

Ma lui non andava, no, non andava vicino a lei, quasi per dispetto!

La bella allora si rotolava nel blu, travolta dalla sua stessa sensualità.

Oh, pareva che desiderasse unirsi a lui, nel modo più casto che la natura avesse mai potuto immaginare! Ma la natura non aveva inventato le sirene, che non erano fatte per gli uomini, no!

Ed erano le braccia dell’azzurro a carezzarla, in quegli istanti.

Erano quelle mani invisibili e pure, a solcare le sue belle forme.

Ricordo che aveva gli occhi chiusi. Sembrava che sognasse, sì, che sognasse. Ma il sogno suo non doveva finire davvero mai.

No, mai!

Lasciatemelo dire’ Non sentite? Con la mia voce, sussurro le parole che scrivo, perché &egrave proprio questo il miglior modo per farvele ascoltare.

Sono parole di piacere!

Davvero! Lasciate che anche io chiuda i miei occhi, per vivere pazzamente quegli attimi. Lasciatemelo fare, per un’ultima volta ancora.

E mi vengono in mente altri pensieri di contentezza, altre fonti di gioia serena.

Il delfino azzurro giocava con i due amanti, sì, stava in mezzo a loro, nell’acqua blu.

E li spruzzava con la sua coda, li riempiva di schizzi. I capelli di Sirena diventavano splendidi, bagnati, ve lo giuro.

Si sentivano forte le loro risa.

Oh, cosa si dicevano!

– Basta! Uh, guarda che ti prendo per la coda, sai! Guarda che te le faccio pagare!

– Fa’ il bravo delfino!

Il caro animale pareva annuire.

Oh, sì, davvero sembrava che li comprendesse, che capisse il senso del gioco e delle loro parole.

Possibile?

Il delfino guizzava in mezzo a loro, poi, mi ricordo che con un colpo di coda fece cadere furtivamente il marinaio, che cadde con un tuffo giù nell’acqua.

Sì? Adesso la doveva pagare!

Ma il caro briccone l’aveva capita, perciò non rimase lì ad aspettare la punizione, se ne andò in un batter di ciglia con un colpo della sua coda.

Dove?

E chi lo sa!

Mi ricordo che tutti ridevano, tutti, tutti, tutti!

Che bel momento, indimenticabile! Davvero, me ne ricorderò a lungo, sì, sì.

Ma la felicità aveva i suoi nemici, che non aspettarono a lungo, prima di ritornare.

Rammento di come fosse calata la notte, con tante stelle bianche, sì’

L’angelo del mare si era rifugiato sotto le alte rocce, perché cominciava a piovere.

Oh, le sentite anche voi quelle gocce d’acqua lievi lievi, che precipitavano giù come le perle nell’azzurro mare? Le sentite voi? Pluff’ Pluff’ Pluff… Erano di cristallo!

Oh, che rumore argentino, regolare regolare, leggero leggero, a tal punto, che’ ah!

Sirena le ascoltava, erano come un suono d’arpa, ma poi’ Oh, poi, sentì due mani fredde fredde, che le accarezzavano la pelle. No, non erano quelle del suo amico!

E di chi, allora?

Era lei, l’Orba!

– Sei mia! ‘ le disse, sghignazzando. ‘ Sì, sono tornata, per te’ Sono tornata, per vederti morire!

Che voce cupa risuonava perdutamente sotto quelle rocce! E si sentivano i tuoni dell’acquazzone, i tuoni della tempesta, che facevano tanta paura al povero angelo di mare.

– Ti voglio per la mia collezione! Sì, ti attaccherò al muro con un chiodo, sarai mia, mia, mia! Perché tu sei l’unico esemplare al mondo di questa specie! E per imbalsamarti, chiamerò in mio aiuto tutti gli uomini della terra, se sarà necessario! Adesso che ti ho presa, non ti lascerò mai più libera!

Orba rideva, ma di cattiveria.

Questa, sì, la verità!

E mi ricordo che, china sulla sua spalla, le sussurrava di quelle cose, di quelle cose, che’ ah!

Cielo!

Sirena piangeva.

Sì, succedeva così!

E nessuno la poteva consolare, neppure il rumore della pioggia, che era diventato oscuro e cattivo, oscuro e cattivo, ahim&egrave!

E le lacrime bagnavano quelle guance bianche e vellutate, rendendole tanto, tanto belle, anche se tristi!

L’Orba voleva portare via con sé quell’angelo, davvero, voleva portarselo via, per sempre. Quella volta la bella riuscì a sfuggirle solo per caso!

E io non so quando quella cosa orribile sarebbe capitata, ma prima o poi, la perfida ci sarebbe riuscita’ Oh, non fatemici pensare! Ve ne prego!

Per questo, Sirena cominciò a fare tutte le cose, come se dovessero essere le ultime, le ultime della sua vita, sì.

Perché il destino suo era di essere separata dal mare, uno dei suoi migliori amici, che tanto amava!

Oramai, in cuor suo, l’aveva capito.

E mi ricordo che aveva voluto farsi pescare con le reti dal suo marinaio, aveva voluto lasciarsi prendere da lui, soltanto da lui.

Poi, così, tutta intrappolata fra le maglie della rete e le alghe, aveva voluto dargli un bacio, da appassionata moribonda, con gli occhi chiusi. Aveva delle ciglia così lunghe!

La sua coda d’argento brillava debolmente, dolcemente, sotto quel sole incantato.

E lui le aveva chiesto cosa avesse, cosa mai’ Ma la bella non aveva voluto rispondergli!

Sì, perché lei parlava sempre solo della sua sorgente, sepolta in fondo all’oceano. Parlava solo di quella!

Gli rivelò tanti segreti, gliene disse moltissimi, quasi tutti quelli che sapeva.

Alla fine, volle che lui glieli ripetesse, uno per uno, uno per uno, sì.

E volle anche che le promettesse di avere cura della sua sorgente sepolta, di fare in modo che la cattiveria degli uomini non la distruggesse.

Cielo, che tristezza!

– Non abbandonare la mia sorgente segreta! Non abbandonare la sorgente di felicità e di lacrime, che giace in fondo al mare! Non dimenticartene, mai!

E fu allora, sì’

Fu allora che lei sembrò morire, tra le braccia del suo amato!

Era diventata pallida pallida, le dolci membra ancora soavemente prigioniere delle reti del pescatore affettuoso, la sua pelle aveva il colore della sua collana di perle.

E delirava!

Nel delirio, le sfuggivano parole d’amore e di tormento.

– La mia sorgente di lacrime’ E’ il segreto di ogni felicità!

Poi, più nulla.

Non ricordo altro di quell’istante.

Il pescatore, il marinaio, allora, pensò. Oh, ma la mente sua non correva che alla Piovra Nera! Era quella, la fonte di ogni sventura!

E un bel giorno, il nostro eroe, la pipa in bocca, fissava il mare, con il suo berretto bianco da capitato calcato sul capo. Voleva andare, voleva andare, andare, andare, sì!

Ma dove, buon Dio?

Io lo so.

Cielo!

Mi ricordo della tempesta, della tempesta’

Il mare era diventato tutto di fuoco, sembrava scoppiasse, davvero!

E pareva di veder passare sulla sua superficie spumeggiante tanti fantasmi, avvolti nei loro lenzuoli bianchi. Tanti fantasmi, che volavano così, ululando, perdutamente!

Che muggiti! Che spruzzi! Che cavalloni!

E il vecchio capitano aveva preparato il suo battello, perché voleva partire, per compiere la sua vendetta!

Voleva uccidere la Piovra Nera, sì!

Era salito su uno scoglio, teneva la fiocina in mano, quella che aveva forgiato con il suo sangue! Quanto era minaccioso! Ah, ma la mente mia &egrave confusa, come se tutto questo fosse stato un incubo!

C’era anche lei, l’angelo del mare.

– Ucciderò chi ti fa piangere! ‘ le promise il suo amore, urlando.

La voce di lui svanì nel vento di tempesta.

Sirena voleva salvare il suo amico, che sapeva destinato alla morte, sì, alla morte, come lei.

E piangeva, piangeva, il bel volto tra le mani, lo chiamava, inutilmente, perché i rumori della burrasca soffocavano ogni voce.

Che tuoni!

Che scoppi!

Che urla disperate, nel vento!
Davvero, il mistero sembrava volersi portare via gli scogli, la spiaggia, il villaggio lontano e ogni veliero! Ma il misero mortale voleva partire, per impedire al mostro di portarsi via l’angelo degli abissi, come già era accaduto.

Mi ricordo che era tanto buio.

Che brutti attimi!

E si sentiva qualcuno che rideva, nelle tenebre.

Era lei, l’Orba!

Oh, io non so dove si fosse nascosta, ma davvero si divertiva in quel putiferio.

Doveva avere i capelli tutti ritti, per il vento, se ne stava lassù, in cima a uno degli scogli più alti, o davanti allo strapiombo, e guardava la spiaggia, i lunghi capelli bigi calcati sotto un cappello a visiera. Portava un vestaglia di pizzo, color della pece.

E forse, si fregava le mani, per la contentezza!

Cattiva!

Oh, non ricordo altro, non ricordo altro di quel momento tragico! La mia mente &egrave confusa ancora, non vedo che un pezzo di coda d’argento, una barba bianca, la cattiva, delle onde cupe, tanti spruzzi e una barca a remi.

Non ricordo altro.

Chissà, forse, presto sarebbe tornato il sereno.

Il sole, con i suoi raggi d’oro, i gabbiani, la voce del mare, come una musica, le conchiglie, lucide lucide sulla sabbia, le alghe verdi e bianche, i fiori meravigliosi degli abissi, morti sul bagnasciuga, per sempre’ Tutto questo doveva tornare!

Ma sarebbe stato così triste’ Ci sarebbe stato di che piangere, davvero, vi giuro.

Mi chiudo gli occhi con le mani, per non guardare, mi tappo gli orecchi, per non sentire, dico sul serio, sul serio!

Perché questa che vi racconto vuole essere una storia malinconica!

Tanto, che forse il finale neppure si potrà raccontare. Ho tanta paura che sarà così. Ahim&egrave!
Un ricordo molto opaco e meraviglioso si disegna in questi istanti nella mia mente.

Oh, &egrave come una voce che mi parla, che mi racconta cose che già vedo nel profondo di me stesso, brillanti come immagini dei recessi più fatati.

E’ una voce di mare.

E’ il piacere, da ascoltare.

L’angelo celeste stava su una roccia, la sua coda d’argento si lasciava toccare appena dalle onde soavi soavi, e così caste’

No, non aveva gli occhi chiusi, no!

Non le scendevano lacrime preziose sulla guancia, ma aveva un flauto di Pan, alle labbra.

Sì, un flauto, fatto di canne, e il dolce suono si diffondeva a poco a poco fra le rocce, andava verso il villaggio di capanne e i pescatori lontani, sdraiati sulle amache. Non vi sembra di sentirlo, di avere la gioia, il privilegio di ascoltarlo?

Erano musiche di mare.

E la voce delle onde, la voce del blu, le accompagnava magicamente.

Parevano due anime, che cantavano insieme.

Ma erano canti tristi e felici insieme, che neppure si possono raccontare, davvero.

Oh, possibile?

Sì, tutto questo accadeva veramente, in quegli istanti. Mi ricordo che ogni tanto, Sirena allontanava il grande flauto di canne dalle labbra, per mettersi ad ascoltare.

Perché i suoi, erano richiami!

Sì, erano favole, sussurrate per incantare.

Ma non arrivava nessuno, no, nessuno. Ed era come se qualcuno l’avesse lasciata, per sempre.

Poi, il suo amico blu veniva a trovarla.

Era il suo delfino, sì!

Si spingeva vicino agli scogli e si lasciava accarezzare il muso, che era color del mare’ Non ci credete? Era davvero così.

La verità era una sola.

Era lui, povero abitante del blu, il solo che ascoltasse la bella! Perché il più grande amico di Sirena era tanto lontano, talmente tanto lontano, che’ oh!

Allora, la creatura triste dalla coda d’argento fece qualcosa di molto malinconico.

Sì, lei lasciò andare il suo flauto, costruito dagli dei del mare in persona’

Lo lasciò cadere giù, giù giù, nell’acqua, dove nessuno più avrebbe potuto tuffarsi per recuperarlo, onde rendere la gioia perduta ai suoi begli occhi.

Era così che faceva capire al suo amico delfino il suo desiderio di morire.

Era così, sì!

E mi ricordo che poi’

Oh, poi, parve quasi abbracciarlo, lo strinse forte mentre con gli occhi suoi sembrava volergli raccontare tutta la sua infelicità.

Gli diede un bacio con le sue labbra rosse, sì!

E sconsolatamente, lo bagnava con le sue lacrime, sussurrandogli di condurla lontano, lontano, trasformandola in una specie di regalo per colui che la faceva piangere.

Poi, il delfino se ne andava.

E forse, per non ritornare mai più.

Lei lo salutò mormorando magicamente:

– Consolami!

Ma perché, perché, perché il vecchio capitano se ne era andato così, in cerca della morte? Forse amava più la morte che i bei riccioli di Sirena, intrecciati d’alghe di mare, favolosi, come la madreperla? Forse era così?

No!

La bella ricordava un giorno felice in cui aveva fatto l’amore con lui. Allora, gli si era mostrata come donna, non come creatura fatata: quindi, senza la coda di pesce.

Aveva agghindato il suo corpo nudo di corallo e di gioielli, fatti di madreperla. Si era tolta ogni velo, per stare corpo a corpo con il suo uomo.

Aveva voluto sentire il suo petto irsuto contro le sue braccia, le sue cosce, i suoi fianchi sinuosi. Era successo sull’amaca, nella capanna solitaria, vicino alle palme.

– Sì, sarò tua! ‘ gli aveva sussurrato la meravigliosa.

L’amaca dondolava sempre, dondolava sempre’ Lui aveva voluto sentire la carezza dei capelli di lei, sulla pelle. Poi le aveva infilato forte un dito nel grembo, facendola urlare.

Voleva il suo ventre, sì, il suo ventre! Si era messo a mordicchiarle la schiena, a leccarle le natiche sode, carezzandole le gambe e i polpacci con il resto del corpo suo.

– Fammi urlare! ‘ questa era stata la richiesta di lei. ‘ Fammi urlare ed accarezzami con un fiore di mare.

Lui l’aveva penetrata nell’ano, dal quale non era mai uscita che acqua cristallina, mescolata a magiche pietre preziose, lasciatemelo dire. Oh, sì, non era un ano, il suo, ma uno sfiatatoio favoloso e profumato, fatto per il piacere e la felicità.

Ed era così stretto!

Lei aveva urlato, fin dal principio. Ad ogni suo urlo, quelle spinte divenivano sempre più forti, mentre il suo uomo fregava la sua lanosa guancia contro la sua, e le stringeva la mano. Era così gentile! Così premuroso!

I due amanti erano così vicini!

Sirena, mentre sentiva il fuoco pervaderla, impazziva di piacere, le belle ciglia abbassate, la bocca semiaperta per gridare; menava le gambe su e giù, su e giù, su e giù.

I due amanti si lamentavano sempre.

Ma anche quei momenti erano svaniti, così.

Ora il suo amico l’aveva lasciata sola, la povera infelice si ricordava delle parole minacciose che aveva sentito dall’Orba. Che spavento che le facevano! Le venivano i brividi.

– Mio padre era un marinaio. E sai che cosa mi raccontò mia madre? Morendo, piangeva, perché non avrebbe mai visto nascere suo figlio! Fu in un fortunale!

Le sembrava di riascoltare la voce di lui, mentre glielo raccontava.

E fin da quando aveva udito dalla madre quelle parole cupe, il marinaio credeva fosse stata la Piovra Nera a farlo morire, sì, a ucciderlo, che parola dolorosa! La Piovra Nera, leggendario mostro, fuggito dalle oscurità degli inferi.

Ricordo che Sirena aveva tanta paura di morire, perché temeva di non riuscire più a proteggere la sua sorgente di lacrime, ultimo tesoro sommerso, da cui dipendeva la felicità del mondo.

Fortunatamente, il suo delfino ritornò.

E allora andarono insieme giù, in profondità, a visitare i regni sommersi del mare, sì, quei paradisi dimenticati, nel blu.

Lo sapete? Nuotavano insieme.

Lì, Orba non poteva arrivare, con i suoi artigli, forse, nemmeno con il pensiero poteva pensare di raggiungerli, perché non sapeva neppure nuotare.

Oh, sì, se la megera si fosse tuffata, sarebbe annegata!

Rammento che il povero angelo, figlio dell’azzurro, si sentiva felice in quegli attimi, oh, davvero, lo era tanto, tantissimo, nel suo regno.

E pareva danzasse, laggiù.

Oh, sì, sembrava abbandonarsi al blu!

Prendeva una lunga alga, color dell’oro, e la faceva volteggiare intorno a sé, nell’acqua, come una stella filante.

Pareva si avvolgesse da sola, come in un incantesimo.

Era una magia.

E lei ruotava, ruotava, voluttuosamente, avvolgendosi in quella specie di volo dorato, oh, piccola illusione di mare, piccola, favolosa nuotatrice!

Il delfino azzurro intanto la guardava.

Sì, la guardava sempre, sempre, sempre, ed emetteva quei suoi versi allegri, che riempivano il silenzio blu. Erano una musica.

E le nuotava intorno, facendole festa, quasi fosse il suo compagno, smarrito lietamente in quello spettacolo sommerso, che nessuno poteva vedere, che nessuno poteva ammirare.

Oh, sì, pareva che il delfino le disegnasse cerchi bianchi, attorno al bel corpo abbandonato all’estasi!

Illusioni!

Eppure, succedeva davvero questo, laggiù, in fondo al mare, dove l’occhio degli uomini malvagi non poteva arrivare, mai.

Credetemi!

Ma c’erano tante nuvole nere, che si disegnavano all’orizzonte e facevano paura.

Erano così tante, che’ oh!

Mi ricordo che il nostro capitano stava in piedi, a prua della sua barca.

Lo sapete? Aveva le lacrime agli occhi, pensando alla meraviglia del mare, che non era più con lui.

Oh, Sirena! Sirena! Dov’eri andata? Perché non lo raggiungevi? La verità era che lui era troppo lontano, perché la bella potesse trovarlo.

E quante nubi, quante nubi di tempesta c’erano davanti al vecchio legno, che solcava il mare! Quante nubi, cariche di tuoni, gli ferivano lo sguardo!

La voce di lei era dentro di lui. Gli diceva:

– Amico mio, non andare! Ritorna indietro, finché sei in tempo! Io conosco la Piovra Nera, da cui già mi hai liberato. Nessuno può sperare di ucciderla, perché lei &egrave un mostro che non ha vita. E’ il mostro della morte, sì!

Arrivava la burrasca, di nuovo.

C’era così tanto vento, che’ oh!

E il mare diventava a poco a poco nero nero, nero nero.

In quel caos, al capitano pareva di udire sempre la voce innamorata di lei, che lo chiamava, lo chiamava, lo chiamava, per nome, dolcemente, perdutamente.

Gli gridava, con affetto:

– Amico mio, torna indietro! Torna indietro, finché sei in tempo!

Poi’ oh!

Fu come una visione.

E io non la posso raccontare, davvero, ma il capitano la vide, illuminata dalla luce di un lampo.

Un lampo, sì!

Cielo!

Era il momento fatale, già accaduto tanti anni prima, purtroppo. Oh, lui vide il suo vecchio padre, in mare’ E i tentacoli del mostro, neri neri, salivano dal profondo degli abissi, per afferrarlo!

Fatalità!

E si sentiva il verso cupo cupo della Piovra Nera, uscita dall’inferno per tormentare la gente di mare e portarla giù negli abissi, insieme a’ oh!

Qualcuno sogghignava.

Poi, la luce del lampo si spense.

E nulla si vide più. Nulla più! Per sempre’

Oh, che cosa aveva visto il povero lupo di mare, cosa aveva visto! No, non poteva permettere che il mostro crudele portasse via con sé anche la sua Sirena!

E urlò alla Piovra Nera, con una voce tonante, capace di sfidare i muggiti della più feroce delle tempeste:

– Vieni avanti! Vieni avanti, che non ti temo! Avanti, maledetta, portati via anche me!

E Sirena, con la sua voce, rispondeva, chiamandolo di lontano:

– Amico mio, ritorna indietro, finché sei in tempo! Ritorna da me, dai miei abbracci!

Oh!

Che brutti presentimenti mi vengono in questi istanti’ Che brutti presentimenti!

Ricordo che alla fine la bella voce flautata si spense. Dopo molte ricerche, la bella ritrovò il suo amore, là, lontano, in alto mare.

Lo seguiva nuotando, nuotando sempre, ed aveva tanta paura per lui, questo, sì, questo, oltre alla sua folle passione, l’aveva spinta a raggiungerlo, senza temere i pericoli dell’oceano!

Cielo!

Il capitano la vide. Fu allora che si commosse. Ma non poteva dirle che le voleva bene, no, non poteva dirle di restare lì e di fargli compagnia, per un motivo triste e ben preciso.

E questo motivo era la morte!

Il lupo di mare sapeva che l’essere crudele sarebbe tornato e non voleva che la sua bella corresse i suoi stessi pericoli.

Ricordo che l’angelo affettuoso aveva le lacrime agli occhi e lo supplicava a mani giunte, di non andare, di non osare, no, no, no.

E lui le rispondeva cacciandola!

La bella faceva tanti spruzzi tristi, con la sua coda d’argento’ Oh, gli mostrava i suoi occhi, perle rare, piene di lacrime e di malinconia! Avrebbe tanto voluto regalargliele!

– Non andare, ritorna indietro, ti ucciderà! Ti ucciderà, sì!

Così gli diceva.

E lui le rivolgeva le sue parole più cattive, le più dure ed aspre che avesse mai detto in vita sua, davvero. Che momento disperato fu!

– Ti ucciderà! Io lo so’ Me l’ha detto la mia sorgente sepolta!

Che voce languida aveva Sirena! Era commovente! Vi figurate il rumore del mare e delle sue onde, prima della tempesta? E lo invitava sempre a tuffarsi in mare con lei, a lasciarsi stringere dalle sue braccia, che l’avrebbero riportato sano e salvo sulla spiaggia, come in un sogno ameno e lieto.

Ma lui non voleva!

E così’

Oh, non fatemi dire quello che accadde poi!

Il marinaio cominciò a lanciare con la sua bella delle cose, le prime che gli capitavano alle mani, perché non voleva che lei gli restasse vicino.

– Vattene! ‘ le gridò, pieno di cattiveria. ‘ Non ti amo più! Vattene! O la morte ti avvolgerà nel suo mantello!

La bella, allora, si tuffò, piangendo, per ritirarsi giù nei suoi recessi azzurri. E la si sentì singhiozzare a lungo, come se avesse perduto per sempre il suo tesoro.

Cielo!

La morte arrivava davvero, anzi, era già arrivata.

Oh, io ho ancora negli orecchi il forte urlo del capitano, quando con tanta cattiveria aveva comandato alla sua amica di andarsene!

Si vedeva tutto nero, tutto nero’ Le cose diventavano color della pece. Avevano dei riflessi rossastri, fatali. La costa lontana sembrava uno spettro.

L’occhio del lupo di mare già scrutava il nemico, da ricacciare nel fondo nell’inferno.

Ma dov’era quell’inferno? Forse era già lì, accanto a lui, povero capitano. La marea era così bassa, in quel punto, che emergeva la tana del mostro.

Si vedeva una grotta tenebrosa, delle rocce, macchiate di sangue, e tanti teschi, tante ossa, oh, visione cupa! Di tanto in tanto, l’essere stregato faceva capolino dalla sua tana, ne usciva, con i suoi tentacoli, per tendere una trappola ai passanti.

E si sentiva una voce sconsolata, la voce del padre che parlava al proprio figlio:

– Che hai fatto! Non dovevi venire fin qui! Adesso, per te, sarà la morte!

Scoppiavano i tuoni. Era la tempesta.

Ricordo che il marinaio pregava fervidamente, per allontanare da sé i mostri dell’oscurità, che erano venuti a trovarlo.

Cielo, che istanti!

La voce sua si confondeva con quella più forte del mare, che s’infuriava, in tutta la sua collera. Ed era come se, oh, come se’

Pareva che ci fossero tanti angeli vestiti di bianco, sopra le onde, venuti in soccorso del nostro eroe.

Erano così tanti, che’ Alcuni avevano un’arpa dorata in mano, altri una bacchetta d’argento. Oh! Si sentivano le loro voci, in coro, che gli dicevano:

– Noi non possiamo aiutarti, no! Noi non possiamo, il buon Dio ci proibisce di soccorrere coloro che lo sfidano!

Piangevano.

Io non ricordo altro, di quel momento, rammento soltanto il tatuaggio che il marinaio aveva sul suo braccio, perpetuo segno che gli doveva far presente ogni giorno della sua vita l’impegno che aveva preso su di sé un tempo, giurando.

Il capitano era arrivato all’inferno. Fuochi fantastici e rossastri avvampavano sull’acqua, accanto alla tana del crudele. A destra e a manca di quell’anfratto, pareva di scorgere candelabri di smeraldo, dove ardevano ceri serpeggianti.

Ma lui doveva uccidere la Piovra Nera, che altrimenti si sarebbe presa Sirena, come già aveva fatto con suo padre!

Fu il mostro a cercare lui.

Cielo, il momento fatale era arrivato, sì!

Cosa potevano quelle robuste braccia, ricoperte di tatuaggi e morsi di meduse, o quella piccola fiocina, aguzza, forgiata con il sangue e pronta a colpire?

Era così dorata, così lucente! Tanto, che brillava come una stella, in quelle tenebre! Sì, scintillava di luce magica. Il nostro eroe, ritto in piedi, a prua della sua barca, era pronto a scagliarla come una saetta della giustizia, mentre un vento di fuoco gli scompigliava la barba e i capelli e un raggio di sole gli illuminava il volto.

Che impressioni terribili!

Mi ricordo di tanti tentacoli neri, color carbone, emersi improvvisamente dall’acqua spumeggiante. Il piccolo legno venne rovesciato dalla forza del mostro, il navigatore triste cadde nell’acqua, allora fredda come la morte, sì!

Oh, cosa accadeva!

Era la fine.

Davvero, forse, lo era! E si sentiva sempre qualcuno che sghignazzava forte, forte, forte’ I tentacoli del mostro facevano paura! Oh, stava tutto fuori dall’acqua e sembrava di vedergli le fauci, con tutti quei denti bianchi, e la lingua rossastra, ignea!

Qual mortale avrebbe potuto sperare di salvarsi?

Che lotta forsennata fu!

Chi mai, chi mai avrebbe vinto?

Io non lo so, no.

L’acqua saliva nel cielo, a spruzzi, ed era come se il mastino, addormentato, si fosse infuriato. Oh, buon Dio, succedeva così, sì!

Oh, che urli!

La Piovra Nera non era un animale come tutti gli altri, il capitano lo sapeva, però aveva voluto andare a morire lo stesso, lo stesso, pur di fare le sue vendette.

E lo si sentiva gridare con voce forte:

– Che il mio braccio divenga strumento stesso del buon Dio, contro il diavolo sfuggito dall’inferno! Che l’Onnipotente si serva di me, per reincatenarlo negli abissi!

Era la voce di un moribondo, che osava ancora.

Mi par di vedere nuovamente i tentacoli neri e minacciosi, che s’agitavano rabbiosi nell’acqua rossa di sangue. Il mostro aveva afferrato la sua preda e la alzava in aria.

E dentro di me, sento forte quel muggito sordo, feroce, che non apparteneva ad alcuna creatura della terra. Qualcuno piangeva.

Forse, era la Pietà, che stava per perdere uno dei suoi figli prediletti.

– Non avresti dovuto farlo, figlio mio! Non avresti dovuto farlo!

Così pareva che gli dicesse, così, sì.

Tristezze!

E il povero capitano precipitava giù, come un palombaro di bronzo, senza vita.

Sì, perché l’acqua azzurra si era tinta di sangue, come vi ho detto!

Cielo, forse, nell’ultimo istante, il poverino aveva pianto, bagnando con le sue lacrime il triste blu!

Un tentacolo del mostro lo teneva stretto stretto, lo soffocava! Ed era come se lui fosse dentro la sua bara, e andasse a fondo, a picco, verso la sua ultima dimora.

Non ci credete?

Io non so se era morto, oppure no, ma forse era proprio come vi racconto.

Aveva perduto il combattimento con il mostro! Sì, aveva perduto la sua battaglia, per sempre!

Nessuno sarebbe andato fin lì, ad onorare quella possibile morte con un fiore. Nessuna vecchia in lutto avrebbe osato sfidare gli abissi, per lui, nessun pianto, per lui, soltanto, il FRU FRU del mare cupo.

E mi pare di risentire la voce del marinaio, che raccontava ai ragazzi:

– Non andate mai al largo da soli, con le barche a remi, non fatelo mai! Perché c’&egrave un mostro, a cui piace sentire il pianto dei fanciulli.

E se li vedeva disobbedire alle sue raccomandazioni, si metteva a urlare:

– Tornate indietro! E’ la morte che state cercando?

Che ricordi cupi!

Ma adesso io vi racconterò come andarono le cose in verità. Niente più bugie tristi!

Il nostro eroe non era morto, no, ma soltanto ferito. E se l’oceano si era tinto di rosso, era stato anche per il sangue della Piovra Nera, che aveva ricevuto un colpo terribile.

E alla fine’

Oh, alla fine era arrivata la sua Sirena!

La meraviglia del mare aveva preso l’infelice fra le sue braccia e l’aveva tratto in salvo, sì.

Con la sua coda d’argento nuotava nell’acqua, abbracciata a lui, e consolandolo con le sue carezze lo portava in salvo, sulla spiaggia, con la speranza che vivesse.

Era stato il delfino azzurro a dirle tutto, a farla andare in soccorso dell’infelice!

Lui, sì!

Lasciamo andare i due amici, nel blu.

Oh, forse, quando arriveranno alla spiaggia, basterà una sola cosa per fare il miracolo, una soltanto!

Un bacio, sì, un solo bacio di lei, sulla ferita dolorosa che poteva dare la morte’ Questa, la migliore medicina per guarire!

No, voi non ci credete.

E neppure io credo a quel mondo sommerso, fatto di sirene, di arcobaleni sepolti, di pesci gialli, rossi e turchini, di delfini.

Ma &egrave tanto bello sognare!

E che cosa importa, se un giorno ci sveglieranno, e ci diranno che dobbiamo disilluderci, perché non era vero niente di tutto ciò che abbiamo visto con gli occhi della fantasia?

Che cosa importa?

Il male era passato, oh, sì, se n’era andato proprio come una nuvola nera e cattiva, che passa nel cielo.

Ma forse, sarebbe tornato!

E allora’ Oh, Cielo, non fatemi pensare a tante tristezze, perché ho da raccontarvi cose liete, sì, davvero. Non uccidete il mondo delle favole!

Il capitano aveva riaperto gli occhi suoi.

E la sua bella era stata la prima cosa che aveva visto!

Allora, da quelle palpebre che avevano conosciuto mille burrasche erano uscite delle lacrime di felicità, molto simili a quelle della nostra piccola Sirena.

Poi’

Oh, ricordo che quella volta lui le aveva scritto una poesia sulla sabbia bianca e finissima. L’aveva fatto per vederla sorridere, solo per questo.

E lei lo aveva accontentato.

Oh, che cosa c’era in quelle parole, prigioniere di pochi granelli di sabbia?

Forse, la vita!

C’erano gli occhi di lei, il profumo d’alghe che portava indosso, il suo sorriso amabile e casto, le orchidee con cui talvolta intrecciava i capelli suoi.

C’era anche il sussurro lieve del mare blu, sì!

Oh, perché raccontarlo? Perché?

Voi sapete che certe cose sono troppo difficili da dire e anche da sussurrare. Immaginate!

Abbassate le palpebre e sentirete le risatine allegre di lei, vedrete il suo sorriso, illuminato, baciato da un raggio di sole!

Possibile? Sì.

E mi ricordo la voce calda e suadente del capitano, che ripeteva al vento i suoi versi tristi e felici insieme. Li ripeteva sempre, sempre, sempre, come una cantilena, così’

Ma la bella fu dispettosa.

E con una mano fece presto a cancellare le belle parole scritte sulla sabbia, sì, fece presto a rovinare tutto, allegramente.

Alla fine, però, continuava a ridere. Anzi, era più divertente di prima. Si mise a costruire barchette di carta, come per gioco. Voleva farle navigare sulla sabbia.

Io rivedo tutte queste cose come dentro un velo dorato, di contentezza.

Oh, sì, era questa cosa meravigliosa la regina di quegli istanti!

Dopo i pericoli di morte, scampati, ci poteva essere solo lei, che sembrava un abbraccio, il solo in grado di unire insieme il capitano e la sua Sirena.

Oh, forse non ci credete?

Neppure io.

No, neppure io, oh, vedo involarsi questi begli attimi, come sogni, li vedo sbattere le loro ali bianche, per poi andarsene via, chissà dove, chissà dove, lontano da me!

Li vedo nuotare nel blu, leggeri leggeri, e svanire così, soavemente, tristemente’

Sento ancora le allegre risate di lei, mentre rivedo per un’altra volta quel sorriso scintillante.

Poi, più nulla.

Nulla, se non ricordi, amari e dolci.

Sirena ritornava sempre dal suo amico, quando lo vedeva solo lungo la spiaggia. Allora, correva da lui, nuotando, libera nel blu.

E quella volta’ Oh, quante cose malinconiche disse! Davvero, fu così, credetemi!

Aveva quasi le lacrime agli occhi, perché sapeva di dover morire anche lei, come tutti gli altri esseri del mare.

E sapeva il buon Dio quanto sperava che questa cosa triste capitasse il più tardi possibile!

Ma che cosa sono le speranze dei miseri mortali?

Che cosa, se non illusioni che si creano loro stessi, per non piangere più? Oh, io non so’

Il marinaio la abbracciò.

Ma questo non serviva a nulla, a nulla, davvero! Serviva soltanto a renderla ancora più sconsolata, a farle sentire di più il dispiacere di chi sa di dover lasciare la persona a cui vuole tanto bene, sì!

La bella prese tante piccole conchiglie rosa.

Le raccolse lungo la riva del mare, una ad una.

E fu allora che cominciò a sussurrare, a cantare, quasi magicamente, quasi magicamente, e tanto soavemente’ Voleva che le parole sue restassero prigioniere delle conchiglie di mare!

E successe davvero così.

Poi la nostra Sirena le regalò al suo amico.

Gli disse:

– Almeno, se io un giorno non ci sarò più, tu avrai dei bei ricordi’ Ascolta la voce prigioniera della conchiglia: &egrave la mia, che ti parlerà per sempre, per sempre, sai?

Poi ci fu tanto silenzio.

E un brivido freddo attraversò il corpo bellissimo dell’angelo meraviglioso.

Pareva la morte!

Oh!

Il cuore dei due amanti batté forte per il resto di quel giorno.

La bella, infatti, doveva ancora sussurrare molte malinconie e dire tante parole che fanno piangere!

E fra queste’ oh!

Diceva:

– Un giorno ti dovrai dimenticare di me. Io sono solo una piccola perla triste, destinata a dissolversi nel mare. Una goccia di tristezza, che ti racconterà un mistero prima di perdersi nel blu e svanire per sempre.

Oh, per sempre!

Che parola malinconica, di quelle che fanno venire voglia di andarsene chissà dove, di fuggire, e forse, di morire.

Ma lei restava sempre lì, tuffata nell’acqua, dalla quale emergeva il suo busto di donna e la pinna della sua coda.

La sua bella testa ornata di lunghi capelli era rivolta verso la terraferma, per parlare a lui.

Diceva:

– Ti racconterò gli ultimi segreti della sorgente sommersa, la sorgente di lacrime. Devi vederla, perché lì, negli abissi, giace tutta felicità di cui i miseri mortali possono godere. Sì, &egrave così!

Ma il capitano non le credeva, no, non le credeva.

Mentre la contemplava, le accarezzava la meravigliosa chioma, bagnata d’azzurro. Voleva che la sua bella gli restasse accanto, ma lei già se ne andava!

Cielo!

Un giorno avrebbe dovuto dimenticarla. Questo gli era stato appena detto, e nel modo più malinconico che si potesse immaginare.

Ahim&egrave!

Destini!

Il marinaio era tormentato sempre dai suoi pensieri di morte. Quello che gli aveva detto Sirena lo faceva singhiozzare.

Oh, già lo sconsolato aveva rischiato più volte di morire, per tentare di uccidere la Piovra Nera, ma che importava? Che importava, forse, poteva essere proprio quel mostro ad uccidere l’angelo dell’oceano.

E per questo’

Ah, mi pare di vederlo!

Aveva il martello in mano e lo usava per battere forte il metallo fumante, rosso più del fuoco!

E si sentiva il rumore cupo del ferro, che non voleva piegarsi, non voleva cedere, quantunque appena uscito dalla fucina’ Tin, tin, tin’

Ricordo l’espressione feroce del capitano, in quel momento; lo ricordo terribile.

Sì, perché era forse con quel ferro, appena forgiato, che sperava di uccidere la Piovra Nera! Forse voleva provarci di nuovo?

E si sentiva sempre il rumore del martello’ La nuova arma d’acciaio rimbalzava sull’incudine.

Cielo!

E mi ricordo anche i muscoli forti dell’uomo di mare, vistosi e potenti, tanto, che facevano paura. E lo sapete, lo sapete perché si era messo a fare quel lavoro?

Perché voleva bene al suo angelo appassionato e lo avrebbe difeso contro qualsiasi crudele!

Sì, era così, davvero.

E lo sconsolato avrebbe dato la sua vita perché Sirena non morisse mai e potesse abitare per sempre nelle profondità azzurre.

Ma tutto questo non era possibile, no, non poteva più succedere!

E in quei momenti, era l’allegro modo di ridere di lei, la sola cosa che teneva nel cuore!

Erano le parole affettuose che la bella gli aveva regalato più volte, quelle che gli sembrava di ascoltare misteriosamente, nello scrigno dell’animo suo.

Tutto questo mi commuove e mi rattrista insieme.

Non fatemici pensare!

Non fatemici pensare!

E rivedo lei, l’Orba’

Ah, quella volta, era vestita tutta di rosso, di scarlatto, e stava lungo la spiaggia.

Ricordo che pioveva, pioveva forte, a dirotto, ma i rumori del diluvio le piacevano davvero tanto, sì, le davano i brividi!

Forse, rideva.

Oh, io non lo so bene cosa volesse fare, non voglio neppure ricordarmelo, tanto mi spaventa!

Ma si riparava dalla pioggia con un ombrellaccio, tutto nero, color della pece, che le piaceva da morire. I suoi vestiti erano rattoppati e sembravano stracci.

E aveva una specie di canna di legno, in mano.

Forse, era una canna da pesca, e aveva gettato l’amo in mare, con la speranza che qualcuno abboccasse, sì, ahim&egrave.

Sogghignava!

– Vieni! Sì, vieni! Non senti l’odore dell’esca? Abbocca, lasciati prendere da me, ti voglio per la mia collezione, ih ih ih!

Forse, quello che vi racconto, &egrave uno dei miei incubi.

Ma assomigliava tanto alla verità!

La pioggia grigia, color del fango, bagnava la sabbia e ricadeva nel mare bianco bianco, mosso a tal punto, che’ oh!

E l’Orba ripeteva al vento una serie di complimenti cupi, gli stessi che rivolgeva a Sirena, quando il Cielo voleva che la incontrasse. Alle sue spalle, in cima ad un colle, c’era la fabbrica dei velieri, abbandonata. Le grandi finestre dai vetri all’inglese, però, erano illuminate, come per incantesimo.

Ah, la perfida diceva:

– Vieni’ Ma che belle mani, che hai! Uh, che bei capelli, color delle alghe, e quella coda d’argento’ Sì, sì, mi piaci, ti voglio sempre con me’ Ti amo! Ti voglio veder pendere dal muro, come un quadro, o forse, mi piacerebbe di più venderti, sì’

Aveva gettato di nuovo l’amo in mare, dopo averlo recuperato per raddolcire l’esca; ferocemente, governava la sua lenza.

Oh, quell’ombrellaccio nero, quel vestito tutto rosso e un po’ strappato mi sono rimasti impressi nella mente, come il più brutto ricordo della mia vita!

Forse non dovrei raccontarlo, &egrave solo un brutto sogno.

Forse, però, &egrave realtà. Non so.

Oh, quante volte la verità diventa simile a quello che ci capita di vedere nelle notti più nere!

Ma adesso &egrave passato il tempo di sorridere o di piangere, vi assicuro.

La mia mente corre a quel periodo lontano e meraviglioso, che ora vi racconterò, perché anche voi sappiate e ricordiate ciò che forse &egrave favoloso e assurdo a un tempo.

E in quei giorni’

Oh, in quei giorni, i raggi del sole brillavano più forte e illuminavano la spiaggia e il mare come non mai.

Le onde avevano una voce meravigliosa, fatata, che risuonava nelle grotte naturali.

L’odio e il male parevano essersene andati, lontano, lontano, lontano, lontano’

E forse, quello era diventato per un solo istante il paese dove nessuno uccide. Neppure io ci credo, ma gli occhi dei miei protagonisti brillavano, perché i cattivi sembravano essersene andati!

E tutto era diventato dolce, come un bacio sulle labbra.

Ricordo i gabbiani bianchi, l’azzurro del cielo e del mare, la sabbia d’argento.

Rivedo quei giorni come avvolti in una nebbia turchina e amena. Ora ve lo dirò, sì!

Quelli, erano i giorni del paradiso.

Ed erano cominciati per caso, come un incantesimo venuto dal cielo, come una favola raccontata per il solo piacere di sentirsi contenti.

La mestizia se n’era andata, semplicemente, così, con un tocco di bacchetta magica.

E già mi viene in mente lei, che si divertiva a scherzare con il suo delfino blu, lungo la spiaggia, o rideva, mentre un gabbiano dispettoso, suo amico, le tirava i capelli.

Non ci credete?

Forse, tutto questo accadeva soltanto dentro la mia sfera di cristallo.

Ma quelli dovevano essere gli ultimi giorni di felicità, per la bella e il suo marinaio. Dovevano essere il loro ultimo, incontaminato paradiso.

Sì, ahim&egrave!

Improvvisamente, mentre Sirena suonava l’arpa, il delfino guizzò fuori dall’acqua, con un gran spruzzo, e proruppe nel suo canto melodioso, che nessuno mai aveva udito prima. Era magico, tanto che poteva riempire di giubilo qualsiasi infelice.

Le grandi conchiglie che stavano accanto alla nostra bella si riempirono di monete d’oro. I due amanti erano ricchi! Poi, il pesce fatato si rituffò e svanì nella schiuma d’argento, mentre il sole scintillava più forte che mai.

Vi furono altri momenti di ardente passione tra l’angelo meraviglioso e il suo marinaio.

Erano rimasti soli, vicino all’ancora abbandonata, tutta ricoperta di alghe, oh, vecchio cimelio del mare! Quanti viaggi, quante burrasche aveva conosciuto quell’amica dei fondali incontaminati!

Sirena sussurrò al suo uomo parole che lo fecero eccitare. Gli raccontava del suo bel ventre, della sua schiena nuda, dei suoi seni grandissimi e morbidi, delle sue spalle perfette.

Allora, la sua voce era come quella di Venere.

Le piaceva farlo impazzire con quelle confidenze proibite. Gli raccontava della bella cosa che aveva in mezzo alle gambe, di come se la toccava, pensando a lui, di come, di tanto in tanto, da essa zampillasse oro colato, a differenza di quando succedeva alle donne mortali.

Poi, scoppiava a ridere.

Lui guardava un veliero lontano, che solcava l’orizzonte, mentre la bella già cominciava a mordicchiargli il torace irsuto, per farlo eccitare, perché quella bella verga si allungasse e diventasse dura.

– Andremo in paradiso insieme! ‘ gli diceva. ‘ Andremo in Paradiso insieme e saremo felici’

Il capitano non si stancava di strofinarle la pelle con le sue mani poderose, che sapevano toccare.

Lei intanto gli era salita sopra e gli aveva messo i bei piedi sulle natiche, per stuzzicargliele (era magicamente donna), mentre ondeggiava e ancheggiava, cercando di sfregare quella cosa che aveva tra le gambe contro qualcosa di lungo e duro che aveva il suo uomo.

Poi, se lo mise dentro. Provò un po’ di fastidio all’inizio; tutti e due ne provarono. Dopo i primi colpi, entrambi perdettero il controllo. Le loro braccia nude erano intrecciate insieme.

Poco dopo, lui la capovolse, le alzò le gambe e si mise i suoi piedi sulle spalle, mentre lei chiudeva gli occhi, mostrandogli le belle palpebre azzurre.

I loro corpi divennero selvaggi.

Nessuno dei due pensava ormai ad altro che a quello che stava accadendo, che da fuochino divenne ben presto fuoco bollente.

Mentre Sirena scoppiava nei suoi versi, le sfuggivano dei piccoli sputi argentei, che colpivano la pelle del suo uomo. Era talmente rigida, talmente estasiata, che’ oh!

Il marinaio le fece sentire anche la lingua, la lingua, sì, sulla’

A tratti, lo tirava fuori e glielo infilava tra le labbra, affinché lei lo succhiasse e ne sentisse il sapore di vongole amare.

La cara ragazza si lamentava e rideva, mentre lui spingeva sempre più forte.

– Ahi, mi fai male! ‘ gli disse poi, supplicandolo di continuare.

Il lupo di mare, di tanto in tanto, si interrompeva, perché altrimenti sarebbe finita troppo presto.

I loro corpi si sporcarono leggermente di sabbia.

– Fa’ che non finisca! Oh, ti prego, fa’ che non finisca! ‘ urlava Sirena, con voce simile a quella dei gabbiani.

Intanto, un suono di cornamusa si levò improvvisamente, e ruppe il silenzio, infranto soltanto dalle grida dei due amanti.

La bella sentiva il pollice del suo amico che le stuzzicava forte la pianta dei piedi, sulla zona erogena, ah, quei lunghi piedi dalle unghie perfette, quell’ostrica, tatuata sulla caviglia!

Prima di venire, lei si aggrappò forte al corpo del maschio.

Alla fine, mi accorsi che un liquido bianco, dalle trasparenze fatate, simili all’opale, le gocciolava le labbra rosse e quella cosa preziosa, quello scrigno, che aveva tra le gambe.

Nel momento più ardente, mentre entrambi passavano attraverso la sfera del fuoco, Sirena aveva urlato tutto il suo amore al vento, donandosi al suo uomo.

Poi, ritornata mezza donna e mezza pesce, si mise a costruire castelli di sabbia, vicino all’ancora. Si rivolse al suo marinaio, strizzandogli l’occhio e dicendogli:

– Dai, che fai, lì impalato? Aiutami!

Sorrise.

Mi ricordo che era sempre estate.

Alberi di palme, di datteri erano cresciuti magicamente, forse, in un solo giorno, come in un sogno.

E nell’anima mi &egrave rimasto il canto monotono e quasi incantato degli uccelli dai mille colori, che volevano, volavano, volavano nel cielo.

Oh, sì, formavano mille nuvole allegre, lassù!

E tutto fioriva e prosperava.

Succedeva come quando si aprono i germogli al verde aprile.

E c’erano due amanti, un marinaio e la sua Sirena, che abitavano in quel blu, come in una fiaba.

Oh, mi ricordo che avevano aperto una noce di cocco, che conteneva un liquido di paradiso.

Ed entrambi ne bevevano, assieme, gli occhi socchiusi, le ciglia abbassate, quasi fosse stato un piacere da re. Forse non ci credete, ma era davvero così.

Suggevano quel nettare come si può succhiare dal seno materno.

E la brezza era così tiepida e affettuosa sulla pelle, l’acqua del mare, così cristallina e trasparente!

Mi ricordo che la coda d’argento di Sirena luccicava sempre, sì, luccicava sempre, sempre, sempre’ Sembrava che un incantesimo d’argento la avvolgesse.

Tutto questo sembra un’illusione.

E’ come un miraggio, prima della fine.

Eppure, accadeva, davanti ai miei occhi di smeraldo.

Favole!

Rammento il colore delle pupille di lei, in quegli istanti. Era lo stesso dell’arcobaleno.

Quando si concedeva al suo bell’uomo, lei era sempre donna. Poteva accadere anche all’improvviso. Una volta accadde su una specie di letto, fatto di canne di bambù.

Lui si strofinava nudo sulla sua schiena, per farla eccitare. La bella però stava zitta e non accusava il suo piacere. Poi, ad un tratto, quella penetrazione inaspettata, quel sussulto, quel brivido di corpi che si amavano.

In certi giorni, Sirena si faceva sorprendere nuda, distesa su una barca, vicino al bagnasciuga. Diceva che era il suo veliero’ Tra le mani stringeva della sabbia e mentre regalava quei granelli al vento, li trasformava in zaffiri.

Poi sentiva quella lingua, che si insinuava tra le sue cosce, dopo averle stuzzicato l’ombelico. Si accorgeva di avere le mani sulle spalle del suo bravo marinaio, senza vestiti. Allora, voleva mettersi le sue scarpe col tacco a spillo decorate di corallo, per essere più avvenente.

Poi, si metteva a cavalcioni sul corpo del suo lupo di mare, ed era come se trottasse. Ansimava, godeva!

La cosa che le piaceva di più era sentire la guancia irsuta di lui, sulla sua pelle, sul suo seno. A volte, gli grattava la schiena, o stringeva forte tra le sue mani quella verga lunghissima. Era come se ci giocasse.

In certe occasioni, voleva pensare soltanto al suo corpo, voleva essere corpo, donna, soltanto donna, e non più creatura del mare. Capitava che si abbandonasse furtivamente ai sensi, mentre faceva sesso anale dietro le tamerici discrete, e un’asta forte le stimolava il ventre, regalandole un piacere profondo, indimenticabile.

La bella sapeva anche amarsi da sola.

Il godimento più intenso della sua vita, però, fu quello che provò con il suo lui quando decise di farsi legare e bendare. Sì, una benda di seta le chiudeva gli occhi, accadde lì, vicino al vecchio porto abbandonato’

Si udivano di lontano le sirene delle navi, le grida dei marinai e i canti sperduti degli uccelli marini.

Sirena non poteva muoversi, era legata mani e piedi. Sospirava senza sosta, mentre qualcuno di sua conoscenza osava toccarle il bel corpo senza veli.

– Toccami, fa’ presto ‘ disse. ‘ Non parlare. Non parliamoci più.

Sì, non era più il caso di comunicare con le parole, ma soltanto con i versi, liberando l’anima dai loro corpi, fuggendo insieme, verso i lidi spensierati del piacere.

Il maschio cominciò a menarla piano, poi, sempre più forte. Era cavaliere ed era come se le offrisse tutto il piacere che fosse capace di dare a una femmina, su di un vassoio d’argento.

La bella gradì molto quell’offerta e ne godette.

Oh, se ne godette! Durò a lungo, tanto, che le parve di impazzire.

All’inizio, era stato come se lui le avesse promesso di venire molto tardi, dopo di lei, dopo qualsiasi cosa, dopo che il fuoco invisibile si fosse divorato quei seni turgidi, quelle curve piacevoli, quelle gambe lunghissime e allora intrecciate alle sue.

Sirena era legata e non poteva muoversi’ Non poteva vedere’ Le restava soltanto la sua bella, meravigliosa bocca, per gridare. Mentre lo faceva, i suoi denti aguzzi e bianchissimi brillavano nel sole.

Il marinaio non si stancava, no, non si stancava.

– Prendimi, avanti! Prendimi’ Non senti le mie caviglie, che lambiscono i tuoi polpacci irsuti? Non senti il fremito delle mie membra, la carezza dei miei capezzoli rosa? ‘ gli diceva lei.

Che piacere era sentire quella vagina che si contraeva e palpitava! Era così bagnata, così liscia e gommosa!

La bella sbavava leggermente dalle labbra, la sua, era una saliva preziosa, profumata, che racchiudeva il segreto dell’eterna giovinezza e, forse, di tutta la felicità.

Poi, quel getto di virilità, bollente, sulla sua pelle.

La creatura del mare amava farsi sorprendere addormentata, affinché il suo amico la svegliasse con uno dei suoi baci. Ma accadeva anche che cadesse, prigioniera dei sogni subito dopo aver fatto l’amore con lui, dopo che la tempesta aveva scosso con veemenza il suo bel corpo.

Sapete? La nostra amica aveva il dono di poter rendere la vita alle stelle marine, che l’avevano perduta. Lo faceva con un soffio. E tutto era meraviglioso, intorno.

Amava giocare a nascondino e tuffarsi all’improvviso. Avrebbe giocato con tutti.

Ma il vero paradiso era sott’acqua.

Era lì che i due amanti si tuffavano, era quello, il vero regno di Sirena, che ci crediate oppure no.

E laggiù brillavano tante più stelle di quante ne fossero state accese nel cielo che stava al di sopra.

Oh, sì, erano stelle di mare. E la bella le mostrava una ad una al suo eroe, gli faceva vedere le conchiglie che si aprivano da sole e avevano il colore della madreperla.

Poi, arrivava il delfino.

E riempiva il blu, con la sua voce melodiosa, con i suoi versi flautati, che non facevano paura, anzi, ispiravano una profonda amicizia e un immenso affetto.

Laggiù, i raggi del sole erano tanto più tenui e delicati, più tristi, forse, perché si tingevano d’azzurro.

E Sirena era contenta, perché prima di allora aveva versato molte lacrime e non aveva mai avuto veri amici che le tenessero compagnia e la facessero sentire meno sola.

Oh, mi pare ancora di vederli, tutti uniti!

Il capitano aveva abbracciato forte l’angelo di mare e danzava con lei, laggiù, nei recessi turchini dell’oceano, o almeno, così sembrava.

Era la prima volta che ballavano allegramente assieme, davvero!

E i due danzatori si muovevano nell’acqua con una leggerezza e una grazia perfetta, sì, perfetta, perfetta’ I lunghi capelli di lei li avvincevano magicamente insieme, erano morbidi e delicati, come quel blu, o quei coralli, che sfioravano.

Sì, era così!

Forse, era l’ultimo sogno, prima della morte.

Ma i due ballerini felici non pensavano a quell’evento lugubre, a quella nuvola nera, all’orizzonte, perché i loro occhi non potevano ancora vederla e le loro menti non potevano pensarla, no, no’

Coccolavano il delfino come se fosse stato il loro figlio prediletto!

Poi, le loro braccia si staccavano, piano piano.

Era bello, sapete?

I sussurri incantati dell’amico pesce continuavano sempre a riempire il blu, come una melodia, semplicemente, e tanto allegramente, che’ oh!

E mi ricordo altre cose, che mi rendono felice forse quanto loro, in quegli istanti di giubilo.

Erano andati giù, nella grotta sommersa’

Erano entrati piano piano nel suo azzurro’

E oramai sembrava loro di essere diventati dei fantasmi di passione, avvolti da fiamme scarlatte e affettuose, erano loro, sì, le anime innamorate degli abissi, soltanto loro, smarriti in quel blu.

Tutto era silenzio, triste e bellissimo.

I raggi del sole arrivavano delicati fin laggiù.

E si vedevano come dei piccoli fasci di luce bianca, purissima, filtrata da una sfera di cristallo, no, d’ametista, tutto questo era solo per loro, sì, solo per loro.

Le loro mani quasi potevano toccare quelle piccole lame scintillanti, o almeno, così sembrava.

I loro occhi erano diventati perle, oh, perle, perle’ perle!

E Sirena aveva la sua corona dorata in capo, quella che si metteva quando stava nel suo regno, decorata di conchiglie rare e preziose, con le gemme più brillanti del mare, sapete?

Sì, era così.

Oh, chi mai poteva pensare di trovarli, laggiù?

Chi poteva fare loro del male? Soltanto il destino crudele, sì, soltanto lui.

Pochi rumori abitavano il silenzio azzurro, nel quale nuotava la magia.

Oh, mi pare di risentirli, di ascoltarli ancora, dentro di me! Cari amanti! Che sorrisi! Che scherzi! Com’erano felici!

Pareva il pianto fatato degli abissi.

O forse, l’illusione!

Io non so. E s’udiva la voce del delfino amico, che li chiamava, li chiamava da lontano, desideroso di farsi carezzare ancora una volta dalle loro mani affettuose.

Forse, voi non ci crederete, ma il marinaio e Sirena potevano parlarsi, laggiù!

E le loro voci erano così deboli e meravigliose, che’ oh!

Erano un nulla, dinanzi alla grandezza degli abissi turchini, da loro abitati.

Poi ricordo che lasciarono le grotte sommerse. Oh, e per andare dove? Dove? Dove?

Lontano, tanto lontano, in un luogo in cui forse neppure il pensier mio potrà arrivare. E i giorni passavano, le notti stellate seguivano ai tramonti, ma la felicità non se ne andava, non se ne andava, no, mai, mai, mai’

Mai!

Me li ricordo su uno scoglio.

Erano sdraiati sul granito bianco, dove avevano impresso i loro nomi; i loro occhi erano tutti chiusi, ma non per piangere.

Oh, no, non era per piangere, credetemi!

Loro amavano ascoltare il mare, quando la voce sua diventava tanto forte, tanto forte, sì.

E in quel momento faceva l’impetuoso e lo ascoltavano mano nella mano, rapiti dal suo suono.

A lei piaceva tanto sentirlo, quando era forte, perché diceva che anche quando muggiva, il suo amico blu non voleva far male, no.

Non poteva uccidere, quando urlava di burrasca e ruggiva come un leone contro gli scogli.

Perché lui non provava odio, mai!

E ascoltarlo con gli occhi socchiusi era come ammirare, con gli sguardi di un addormentato, i suoi spruzzi bianchi, che toccavano il cielo.

Era sentire la sua mano sulla pelle, che accarezzava tanto forte, così forte, che’ oh!

E la gocce di blu che li toccavano quando stavano su quello scoglio, erano dei piccoli baci, dati da due labbra invisibili che desideravano soltanto amare.

Questa era la verità, sì!

E Sirena la conosceva.

Così passavano le ore di tempesta. E i due amanti, ad occhi chiusi, ascoltavano le voci dei gabbiani, che si libravano nel vento.

Anch’esso non era più che una carezza, ai loro sensi.

Oh, sì, una dolce carezza sulla pelle, e nulla più!

E il delfino azzurro guizzava in lontananza, per salutare i suoi amici, oh, in quei momenti gli piaceva scherzare con le onde tanto alte e forti e saltarle in alto in alto, per farsi vedere bravo.

Giocava!

Tutto questo era paradiso.

Erano le meraviglie del blu!

E le nostre menti stentano a crederci, perché sono abituate al grigiore dei giorni di tristezza.

Mi ricordo anche un’altra cosa, ma forse &egrave un sogno, sì, un sogno, soltanto’

Ma io ve lo racconterò lo stesso, perché &egrave tanto bello e favoloso, che quasi mi fa venire le lacrime agli occhi, per la commozione.

Rammento che succedeva giù, negli abissi blu.

Sì, negli abissi turchini, negli abissi azzurri azzurri, dove tutte le cose luccicavano, come i capelli delle fate.

Sirena aveva in mano una corona, che brillava e sembrava d’oro puro.

C’erano tanti diamanti incastonati in quel gioiello, tante perle, tante conchiglie rare e preziose, tanti piccoli rubini’ oh!

E il suo amico marinaio era con lei.

Poi, così, semplicemente, la bella gli poneva sul capo quella piccola corona scintillante, ed era come se lo volesse incoronare re del piccolo regno che le apparteneva.

Ma questo &egrave un sogno, io non avrei dovuto raccontarvelo!

Eppure, anche laggiù, anche in quell’istante, si sentiva il suono lieto di quella risata. Era l’eco di lei, che rideva, ebbra di letizia.

I pesci guizzavano tutt’intorno.

Pareva un arcobaleno.

Oh, dimenticate quello che vi ho appena raccontato, perché forse non appartiene alla realtà, ma soltanto al ricordo! Ma che cosa importa? E’ tanto bello, che forse il non crederlo vero rende tristi.

Fantasie!

E si udivano dei suoni dolci e sublimi che vagavano nel fondo del mare’ No, non era l’illusione, ma l’armonia!

Io non so bene cosa fosse, non ve lo so raccontare, ma poi, vidi lei, sì, lei, lei, lei!

Aveva una grande conchiglia rosa, fra le braccia. Era una conchiglia triste, una conchiglia morta, davvero, vi giuro.

Ma a dire la verità, quello era un dolce strumento, fra le sue labbra.

Oh, sì, la bella lo suonava, lo suonava, lo suonava! Mi pare ancora di sentirla!

Allora, dalle conchiglie potevano uscire soltanto melodie di piacere.

Era così, davvero!

Io la vidi, in quell’attimo, era bellissima laggiù, naufragata nell’azzurro. Pareva indossasse abiti di perla, di corallo, oh, io non so.

Dagli occhi suoi usciva una luce magica, che io non vi posso raccontare, no, non posso, non posso’

E sembrava che, uno ad uno, i pesci uscissero dai loro anfratti, da dietro le rocce sommerse, forse, soltanto per ascoltare. Ma la mia &egrave soltanto un’impressione.

La verità era che lei era vestita di mare.

Credete ai sogni, credete a queste piccole perle, credete!

La conchiglia morta suonava sempre, sempre, sempre. Era Sirena, che chiamava i suoi amici e il suo marinaio, di laggiù.

Sì, era così.

Ed ecco, arrivava lui, il suo compagno!

Scendeva sott’acqua, le loro mani già quasi si toccavano, benché fossero ancora lontani, tanto lontani, che’ oh!

Anche se non sembrava, c’era un piccolo abisso a dividere la vita dell’uomo di mare da quella dell’angelo che tanto amava.

Ma le loro mani, le loro braccia protese si toccavano di nuovo, laggiù, nel blu. Poi, non più’

Perché una distanza misteriosa si frapponeva di nuovo fra loro due, e la bella nuotava lontano, lontano, lontano, quasi spaventata e soprattutto molto triste.

Eppure, aveva le lacrime agli occhi per la contentezza!

Oh, davvero io non so cosa fosse quell’indicibile distanza, quella tristezza segreta!

Oh, la verità era che tutto quanto, improvvisamente, si vestiva di mistero e nessuno, nemmeno il cielo, il mare, o la bella luna, lo poteva svelare.

Perché dire quel segreto a voce alta, sarebbe stato infrangere il bell’incantesimo che regalava gioia, o forse, distruggere quel piccolo paradiso, sì.

Sirena e il marinaio si abbracciarono di nuovo, tante volte, laggiù, nel profondo.

Ricordo che quella volta scesero tanto in basso!

Ma s’udiva un suono nuovo e un po’ triste.

Era una voce bellissima, sì!

E io non vi posso raccontare che cosa fosse, so soltanto che i due amanti la ascoltavano con gli occhi chiusi, sì, con le ciglia abbassate, davvero.

E sembravano mormorare:

– Cos’&egrave questo dolce suono?

– Oh, non chiedermelo, perché se te lo dicessi, tutto sarebbe finito!

Poi, più nulla.

C’era soltanto il loro silenzio, e sempre, il meraviglioso suono.

Ma io adesso vi dirò quale era la vera natura di quel rumore sublime e regolare, che sembrava una musica sommersa e dimenticata.

Era il respiro degli abissi.

Era il sospiro dell’azzurro.

Era il palpito del mistero blu.

Altro io non vi posso raccontare, di quell’istante, eppure, l’ho vissuto, al fianco dei miei due protagonisti, accanto al mio bell’angelo di mare.

Ahim&egrave, quell’attimo fu tanto bello, quanto passeggero e fugace.

Ma gli occhi di Sirena brillavano di piacere e il piccolo paradiso in cui vivevano non doveva svanire così presto, oh, no, era appena apparso davanti a loro.

– Vieni giù, con me!

Così gli parlò lei, una volta, con una voce tanto suadente, tanto suadente, che.. oh!

Lui andò.

Fu allora che vide la sorgente, sì, la sorgente’ Fu il momento più bello di tutti, il più malinconico e favoloso, a un tempo.

Per ammirarla, bisognava andare giù, a grande profondità. Occorreva entrare in una piccola caverna, sommersa, tappezzata di smeraldi, dove l’acqua del mare correva tanto forte, tanto, tanto forte.

Lì, c’era una luce così turchina, così favolosa, che sembrava venire da un altro mondo, o forse, da qualche stella lontana.

La sorgente di lacrime stava dietro due tende dorate, che sembravano di seta, sì, di seta, e ondeggiavano morbide nel blu.

Tutto era silenzio.

Solo una voce triste lo rompeva, sì!

Apparteneva alla sorgente sommersa, alla sorgente di lacrime, che io non vi posso descrivere. Non era un sogno, vi giuro!

E non &egrave fantasia, quello che vi racconto, perché io l’ho veramente vissuto, dentro di me.

Le lacrime uscivano a zampilli, erano come perle bianche. Uscivano da cento teste di cigno, per poi precipitare in due grandi anfore brillanti, fatte di un metallo che non esisteva altrove sulla terra.

Una ad una, riempivano l’azzurro. C’erano anche tante alghe, che assomigliavano ai capelli biondi di una fanciulla, morta piangendo.

Forse, la defunta era lì, insieme a loro!

Forse era proprio così.

Lasciatemelo credere, tanto!

E c’era molto oro, in un forziere, oh, io non so come si fosse formato; c’erano anche dei gioielli, delle grandi guantiere d’avorio e argento, monili rari, che, forse, erano appartenuti alla morta.

Lì, la sventurata aveva cessato per sempre di sbattere le belle palpebre e se n’era volata via, chissà dove, chissà dove’ Ma il corpo suo si era trasformato in quella sorgente, dalla quale sgorgavano lacrime, oh, sì, sgorgavano, sgorgavano, soavi e fatate!

Fu davanti alla sorgente che il marinaio decise di fare un piccolo giuramento a Sirena. Disse:

– Non dimenticherò mai questo luogo e questi istanti e li difenderò contro chiunque, così come vorrei difendere per sempre la tua felicità, mia cara amica.

Ricordo che la bella, ascoltandolo, abbassava dolcemente le palpebre, come se sognasse.

Perché non c’era alcuna differenza fra il più bel sogno della sua vita e quei momenti!

Se allora fosse morta, sarebbe stata contenta per l’eternità, sì, davvero, credetemi.

Altro non ricordo.

– Abbi cura della mia sorgente! Abbine cura, per tutta la tua vita di mortale!

Questa fu la preghiera dell’angelo di mare, questa, soltanto.

E vennero tanti altri giorni, ancor più belli di quelli di cui vi ho narrato, sapete? Venne la gioia sublime, oh, ma quale felicità poteva esistere, che loro non avessero già? Non ve lo so dire!

Ma dagli occhi della bella uscivano tante lacrime, simili a brillanti, che avevano il colore della luce, sì, il colore delle fiabe.

Cielo’ Io non so per cosa fosse, tutto ciò, no. Ma quella volta, li vidi abbracciati tanto forte e follemente.

Oh, dove andavano insieme? Cosa succedeva? No, questa volta, non erano misteri, no.

I due amanti avevano gli occhi chiusi.

E a poco a poco, tanto dolcemente, scendevano giù, nel profondo dell’oceano.

Oh, sembravano addormentati!

Sì, perché avevano tutti e due le palpebre socchiuse, le ciglia abbassate’ No, non erano morti, ma era così che a loro sarebbe piaciuto che la morte li prendesse, un giorno, se proprio doveva succedere.

Erano bellissimi.

E così, semplicemente, calavano nel blu.

Pareva che il mare li accogliesse fra le sue braccia, anzi, era proprio questo quello che accadeva, in quegli istanti magici di silenzio.

Il profondo degli abissi celesti era una culla, per loro. Non c’era nessun cattivo. E il mondo si vedeva lontano lontano.

La luce del sole era leggera leggera, debole debole.

Poi, più nulla.

I due abbracciati giacevano sul fondo del mare, come se il destino ce li avesse sepolti per sempre, sì, per sempre, per sempre’ Forse, si erano addormentati così!

Oh, per fortuna che non erano capitate delle cose tristi e che quella non era la loro morte, no, era solo un sogno, uno scherzo, di paradiso.

Ma forse, un giorno, la fine della fiaba sarebbe stata tanto simile a quel momento, così tanto, che’ oh!

E mi ricordo che lei gli giurava sulle rose, sul mare, sui fiori di paradiso che li circondavano, dovunque andassero.

Gli giurava sull’azzurro, sul cielo, sulle stelle’ Oh, io non mi ricordo il verso suono di quelle parole fatate e non lo posso raccontare! Era indicibile.

Erano frasi di giubilo.

E lei giurava sempre, sempre, sempre!

Il suo giuramento d’affetto posava le sue ali sulle grandi navi, sui velieri, sulle barbe bianche dei pescatori, sul respiro blu degli abissi, sulla sua sorgente di lacrime, sui pesci multicolore che abitavano le profondità celesti, sul vento, quando soffiava forte, tanto, tanto forte, sì.

Sirena giurava anche sulla burrasca, sulle tamerici incantate, sulla morte, che ancora i loro occhi non potevano vedere e forse, oh, forse, non avrebbero visto mai, chissà!

Sulle piccole perle bianche, sulle gemme, sepolte nel mare, lei giurava’ Sulla sua coda d’argento, culla sua pinna dorata, sui suoi occhi, che brillavano più del sole, sulla sua vita’

Sui gabbiani bianchi, che volavano alti alti, nel cielo, sulla voce casta delle onde azzurre, sui gorghi marini, che trascinavano giù’

Sui marinai, sulla sabbia’

Sul profumo della terra e su quello dell’acqua di cristallo’ Sulle meduse’

Sul paradiso’

La voce sua ripeteva sempre quelle magiche parole che formavano il suo giuramento, senza stancarsi mai, mai, mai, mai, mai, mai!

Credetemi, era così!

Davvero!

La meravigliosa volle fare l’amore anche con me. Per quell’occasione, si era messa in testa la sua bella corona ornata di diamanti. Si nascondeva i grandi seni turgidi con le mani.

Di tanto in tanto, mi faceva cenno di avvicinarmi.

Non so dove fossimo. Eravamo in una grande nube turchina, o forse, in una bollicina di cristallo, sospinta da un soffio di brezza.

Mentre cominciavo a toccarla, mi accorsi di quanto fosse donna. Portava delle graziose scarpe con i tacchi a spillo, e una catenina dorata alla caviglia.

Intorno alla coscia sinistra, completamente nuda, sotto un velo, portava un tatuaggio, che assomigliava a una corona di spine, o forse, a una treccia. Già aveva cominciato a carezzarmi le gambe pelose con il piede, dopo essersi tolta una delle sue grandi scarpe.

Le dissi di farmelo ancora, ancora e ancora.

Poi prese a toccarmi con le dita, che erano diventate come minuscole pinne, capaci di far scoppiare di piacere.

Voleva che lo facessimo in piedi, sì, in piedi, appassionatamente.

Mi chiese di penetrarla con veemenza. Le nostre lingue si toccavano affettuosamente, la sua saliva mi bagnava la bocca, mentre entravo in lei, quasi con ferocia.

Poi, cominciammo a fare sesso lentamente, in un modo sublime. Di tanto in tanto, avevo l’impressione di farle male. Mentre perdevamo il controllo, mi accorgevo di come lei ansimasse sempre più forte.

Le mie mani non si stancavano mai di toccare la sua pelle, fino ad arrossarla, si insinuavano tra le sue natiche, mentre lei mi diceva che ero bravo, e che non dovevo smettere.

Le sue ginocchia erano piegate, pareva ballassimo, pareva ballassimo.

Poi prese a dimenare le gambe follemente. Capii che doveva soffrire moltissimo, anche se soltanto per il piacere. Era una sofferenza che si manifestava attraverso il sudore che le imperlava la bella fronte, le sue dita, piegate a uncino, il suo ventre caldo, sul quale non mi stancavo di premere energicamente il mio.

Fece presto a farmi impazzire.

Non esitai a leccarle il collo, che esalava un profumo invitante. La sua pelle aveva un sapore ancor più gradevole. Sempre strofinandomi in lei, le stuzzicai il mento con la lingua, più e più volte, fino a strapparle un grido d’eccitazione.

Volle sperimentare tutto.

Volle che le tirassi dolcemente i capelli e che le sussurrassi bestialità agli orecchi. Mi chiese anche di metterla a testa in giù, e di fare la carriola con lei.

Lo facemmo.

Intanto, rideva, rideva e godeva insieme. Mi disse che non poteva rimanere incinta, perché era impossibile. E bisognava continuare, sì, bisognava continuare sempre!

Allora cominciò a lanciare dei versi dolci e penetranti, sembrava guaire, oh, come si lamentava, come si lamentava, sommessamente, furtivamente! Volli regalarle un piacere più intenso che mai.

Era il mio modo di ricompensarla per le gioie che già mi aveva dato e che continuava a darmi in quegli istanti.

Mi accorsi che era già venuta due o tre volte. Ma voleva venire ancora. E aggrappandosi alla mia spalla, mi implorò di continuare.

Sapevo qual era il suo punto debole e così ne approfittai. La voltai e presi a solcarle la schiena con la lingua, lungo la spina dorsale, dopo averla penetrata nuovamente.

La meravigliosa allora si irrigidì ancor più e la sua bocca si contrasse in una smorfia indicibile e allegra insieme. L’avevo punta sul vivo. E intanto, la incalzavo, entrando e uscendo dal suo ventre con vigore.

Oh, sembrava piangesse! Eravamo ancora in piedi e lei aveva alzato la gamba, non so se per disperazione o per quale altro motivo! Era rimasta a piedi nudi e le si vedevano le belle unghie dipinte.

Come era bello stare insieme a lei! Eravamo uniti. L’appassionata, intanto, si divertiva a farmi il solletico nei posti più impensati. Portò anche le mani dietro la schiena, per mostrarmi le belle ascelle depilate. Erano lisce, sode, carnose.

Erano eccitanti!

Le sue braccia erano molto belle. Me le adagiò sul dorso più volte, quando si accorse che delle contrazioni già cominciavano a percorrermi la verga.

Si avvicinava la conclusione. Ma non dovevamo pensarci, no! Nessuno dei due doveva pensarci, per nessun motivo. Poi, però, esplosi in lei, che mi guardava sorridente.

Quand’ebbi finito, mi toccò amichevolmente la punta del naso con l’indice. Era come per promettermi che l’avremmo fatto ancora, chissà dove, chissà quando.

Poi, tutto svanì in una specie di illusione dorata, come la corona che lei aveva sul capo, o la felicità di quella stagione idilliaca.

Ma un bel giorno il dolce sogno si spezzò.

E forse, i due amanti avevano perduto il loro paradiso per sempre.

Il bell’angelo di mare piangeva nei suoi abissi, laggiù, nell’azzurro.

E non voleva, no, non voleva risalire in superficie, perché l’animo suo era pieno di paura, dato che aveva fatto da poco un bruttissimo incubo.

Poi, arrivarono due braccia amiche, per consolarla.

Era il suo marinaio, sì!

E le sue mani, ricoperte di tatuaggi eroici, la accarezzavano forte, ma tutto questo non bastava, davvero, non bastava per confortarla!

– Abbi cura della mia sorgente di lacrime! Abbine cura per sempre, se io morirò!

Così sussurrava la poverina.

E aveva ragione a preoccuparsi, buon Dio, sì, aveva maledettamente ragione.

Poi arrivò anche il delfino, che fece un po’ di festa, riempiendo il blu con le sue acrobazie e le sue piroette. Cercava di sollevare il morale di Sirena, riempiendo il silenzio con i suoi versi buffi.

Era buffo, sì!

E come nuotava, in cerchio!

Ma ogni gioia era morta.

E così’ Oh, e così’ Le parole mi muoiono sulle labbra, i brividi mi impongono di tacere.

Perché proprio in quel momento, una rete, gettata dai pescatori, intrappolò Sirena!

Cielo!

Sì, accadde mentre lei cercava inutilmente di gettarsi tra le braccia del suo lupo di mare, il solo essere al mondo che le volesse immensamente bene.

Oh, no, no, no!

A che serve narrarvelo, a che cosa, a che cosa? La bella era rimasta intrappolata fra le maglie crudeli di quella grande rete e dalle labbra le era sfuggito un grido disperato.

Era come se esalasse i suoi ultimi sospiri.

No, quelli erano baci, che il destino le aveva proibito di regalare all’uomo che amava.

– Amico mio, perdonami se muoio!

Così diceva l’infelice, in quei momenti.

E andava alla deriva, sì, la portavano via, via, via! Non c’era più niente da fare, il loro paradiso era perduto, il loro paradiso era morto, morto, morto!

– No! Lasciatela andare! Prendete me! ‘ urlò il buon lupo di mare.

Ma Sirena già lo salutava.

Il delfino amico la seguiva, perché non voleva rassegnarsi a perdere la sua migliore amica. La bella già aveva chiuso i suoi begli occhi, perché desiderava morire, sì, morire, piuttosto che essere divisa dal suo marinaio, o andare a finire dentro un acquario.

Dagli occhi le sfuggivano lacrime amare, belle come perle, che il suo lui tanto avrebbe voluto cogliere per un’ultima volta, in quell’immensità blu.

E se ne andava così, immobile e triste, intrappolata in quella rete, maestosa quanto una statua di cera.

Addio!

Oh, no, no, no!

Fu allora che il capitano si ricordò delle sue cacce alle balene e alle piovre. Fu allora che gli venne in mente la fiocina nuova, che aveva forgiato! L’aveva preparata apposta per quel momento, sì!

E intanto, trascinavano Sirena verso la spiaggia.

Lei si sentiva quasi consolata dalla presenza del suo amico delfino, di cui avvertiva i richiami. Poi, sulla sabbia, riaprì gli occhi, e’

Fu allora che vide Orba, vestita di nero e con un collare di pizzo bianco, circondata da tanti uomini cattivi. Si riparava dal sole con un grande ombrello color carbone.

Appena la vide, la megera gridò:

– Eccola, &egrave lei la meraviglia di cui vi ho parlato! Prendetela!

Così disse la perfida, puntando l’indice verso la creatura innocente.

E rideva, rideva, rideva’

Sirena avrebbe fatto meglio a tenere chiusi quei suoi occhi scintillanti, davvero.

Perché poi, vide le cose atroci che fecero al suo amico delfino, che aveva osato seguirla fin lì, e’ Cielo!

L’Orba lo uccise davanti a lei, a colpi di scure! E sghignazzava, per il piacere che le dava quel gesto, o almeno così sembrava. Quegli attimi furono talmente terribili, che non auguro a nessuno di viverne di simili.

La prigioniera urlò:

– Cattiva! Uccidi me, ma non torturare il mio amico del cuore!

Ma Orba fece finta di non sentirla e disse:

– Ah, che bel delfino! Questo me lo voglio imbalsamare, per la mia raccolta, sì!

La stessa cosa doveva capitare a Sirena, che ormai si era completamente rassegnata al suo destino.

Ma dov’era, dov’era il suo marinaio?

Dov’era il suo braccio forte e il suo coraggio, dov’era la sua forza, che la doveva proteggere?

Io non lo so.

So soltanto che lei piangeva, lì, chiusa, intrappolata in quella rete di pescatori, perché le parole degli uomini malvagi le facevano tanto, tanto male.

Pareva che chiamasse il suo amato.

Sì, era così!

E piango anch’io, al ricordo di quegli istanti tristi.

Il marinaio non abbandonò al destino la sua bella Sirena. Ah, qualcosa gli brillava negli occhi, sì, qualcosa che io non vi posso neppure raccontare, tanto era fatale.

Era una tempesta, sì, una burrasca di mare, un fortunale!

Una nave, un battello a vele sfidava le onde altissime e bianche. Qualcuno rideva della morte dei marinai.

Era lei a sghignazzare, lei, la donna fatale, quella dai lunghi capelli bianchi al vento e l’occhio cieco! Stava tutta sola a prua, ebbra della sua vittoria.

E i lupi di mare non la volevano con loro, no, avrebbero tanto desiderato abbandonarla alla deriva, perché la sua presenza stessa era una maledizione, che avrebbe fatto colare a picco la nave.

E quel riso arcigno! Ah, quel riso pareva quello del diavolo, buon Dio, sì!

E un giovane, all’improvviso, afferrava l’Orba per i capelli, accusandola di essere lei la responsabile di tutto, per aver aperto una falla nella stiva.

Alla fine, entrambi cadevano giù, in mare, avvinghiati, in una lotta che l’uno combatteva con i pugni, l’altra, con gli artigli.

Oh!

E la luce di un lampo illuminò quell’istante, era tanto forte, che il suo bagliore accecava.

Questo, sì, era quello che brillava negli occhi del nostro marinaio, che teneva i pugni stretti, mentre la sabbia, sollevata dal vento impetuoso, lo avvolgeva, come per incantesimo.

Io non so cosa fosse quel ricordo.

Io non voglio nemmeno pensarci, davvero, vi giuro.

Lasciatemi dimenticare quell’istante terribile, di cui non avrei voluto neppure parlarvi.

E mi ricordo che il cielo si era tinto di rosso.

Sì, perché una neve fredda cadeva piano piano, sul paradiso perduto! Oh, che velo pietoso doveva ricoprire il sogno, come un manto!

Ahim&egrave!

Fu allora, in quell’istante, che vidi il lupo di mare piangere, forse, per la prima volta in tutta la sua vita.

Poi, più nulla.

Ma il nostro eroe non si era dato per vinto e non si era dimenticato dell’ultima fiocina che aveva forgiato con il suo sangue. E andò a recuperarla sotto la sabbia, là dove l’aveva nascosta.

La strinse forte tra le mani. Cielo! Voleva farne uso, aveva proprio deciso, sì! E contro chi mai, se non lei?

Oh!

E si alzava il vento del mare.

Era forte, feroce e freddo, come non mai. Ruggiva tra gli scogli come un leone ferito.

Cielo, pareva il grido di vendetta di un gigante, di un Giove infuriato!

Non chiedetemi che cosa stava per succedere, non chiedetemelo, ve ne prego. So soltanto che ve lo devo raccontare e che già mi viene la pelle d’oca, pensandoci.

Già, &egrave così!

E’ proprio così. Brrr’

Mi ricordo che’ Oh, l’Orba e il marinaio si incontrarono un giorno!

Il capitano aveva in testa il suo berretto con la visiera decorato con le ancore e stringeva in pugno la fiocina terribile.

E Orba gli mostrava le zanne e il suo sorriso di fuoco, sì! La perfida si appoggiava al suo bastone ricurvo, che avrebbe usato come un’arma e aveva la testa nascosta in un cappuccio nero.

Il vento era tanto forte, in quel momento, così tanto, che sembrava volersi portare via i due nemici, per fare di loro brandelli. Tutto accadeva sul promontorio, a picco sul mare.

E Orba sogghignava:

– Sì, sì! La tua Sirena sta per diventare il più bel pezzo della mia collezione! Mi sono alleata con i miei fratelli uomini, per riuscire a catturarla. Grazie a lei sarò ricca, ah, ricchissima! Quando mi sarò stancata di vederla, la venderò a peso d’oro, perché non esistono altri esemplari come lei sulla terra!

Ma il marinaio le promise la morte!

E quelle parole terribili gliele disse con l’arma fatale in pugno.

– Mi ricordo di te! Megera! Eri su quel battello, trent’anni fa! E fui io, sì, io, a strapparti quell’occhio! Adesso mi prenderò anche la tua vita!

Così le disse, sì. Orba si portò istintivamente la mano sulla benda nera. Era stato come se un serpente di mare l’avesse morsa.

– Adesso ti pianterò la fiocina in petto, come già feci con tante balene e altri mostri dell’oceano!

Questo urlò il capitano, mentre la sua barba arricciata volava nel vento.

Cielo!

– Sirena &egrave mia, soltanto mia! ‘ ribatté l’Orba, brandendo il suo bastone. ‘ Ti farò a pezzi!

– No, lei &egrave libera ed appartiene a me soltanto. Te lo giuro! Questo colpo te lo do in nome del mare e degli abissi!

Che lotta disperata e senza quartiere fu!

Poi, entrambi precipitarono dalla montagna e caddero nell’oceano. Io non mi ricordo bene quel momento, no, non me lo voglio ricordare, no, no, no!

Che spruzzi bianchi si alzarono di laggiù! Sembrava volessero toccare il cielo.

E si vedevano degli albatri, o forse, degli avvoltoi, giunti per portarsi via il cadavere del soccombente e divorarselo. Si vedevano quattro braccia disperate, che si levavano dalla superficie dell’acqua come i tentacoli di una piovra!

Oh!

Ho ancora nel cuore il rumore terribile del vento, della burrasca!

Cielo!

No, vi prego, non fatemici pensare, io non so bene come andò a finire quella lotta! Ma se Sirena avesse visto, avrebbe pianto!

Sì, se negli occhi suoi si fosse formata quell’immagine di disperazione, l’avremmo vista molto, molto triste, ve lo giuro.

Ma invece’ Oh, chissà, chissà dove l’avevano portata!

Chissà che cosa le facevano e come si divertivano a torturarla, i perfidi mortali!

Piuttosto che cadere tra le mani di quelle carogne, sarebbe stato tanto meglio per lei chiudere gli occhi e morire per sempre, fra le braccia del suo amato, sì, di colui che le voleva bene.

Ahim&egrave, che malinconia!

Che destini!

Il mare era diventato molto triste, perché aveva perduto la sua migliore amica, sì.

E sembrava che davvero, oh, davvero sapesse; era come se qualcosa o qualcuno gli avesse detto che non si sarebbero rivisti mai più, mai più!

Che parole grosse, che parole difficili e amare più del fiele! Eppure, era questa la verità, vi giuro, nessuno la poteva accettare, nessuno che fosse buono.

Ho ancora negli occhi il colore bigio e spettrale delle onde, e la loro voce, che errava sugli scogli, come un fantasma, pareva quella di una madre, che si lamentava, perché le avevano portato via la figlia prediletta.

Era così, sì!

Forse, se avesse potuto parlare, il mare avrebbe gridato forte:

– Amica mia, dove sei? Perché non vedo più i tuoi occhi, pieni di luce? Perché non vieni più a nuotare dentro di me? Ti volevo bene, tanto, tanto bene!

Povero mare! Povero mare!

La sua amica era morta, lo sentiva!

E anche se l’evento fatale non era ancora accaduto, non importava: erano tanto lontani l’uno dall’altra, che’ oh!

Cielo, non fatemici pensare!

I gabbiani volavano sopra le onde, le toccavano, si tuffavano giù. Li vedo ancora, in questo istante, in cui mi sembra di impazzire per la malinconia.

Perché ho rivisto gli occhi di un uomo, un sopravvissuto, che aveva sperato di morire! E invece era ancora vivo, ma soltanto per soffrire, sì!

Oh, cosa voleva fare? Cosa poteva fare? Cosa? Cosa? Cosa? Io non so.

Ma andò da lei, oh, davvero, la cercò, con tutte le sue forze, perché voleva liberarla da coloro che la tenevano prigioniera, voleva liberarla, sì!

Sirena era ancora tutta intrappolata nella rete crudele dei pescatori. L’avevano appesa in una piazza, perché tutti potessero ammirare quel trofeo. Com’erano stati bravi coloro che l’avevano catturata! Ma che bravi!

Si sarebbero meritati una medaglia!

Quel povero angelo meraviglioso, quell’angelo donna, con la coda d’argento, nato per nuotare nell’oceano, era allora esposto allo scherno della gente.

E quando lui la vide’

Oh!

Le loro mani cercarono di toccarsi, inutilmente! Sirena cercava di far passare le sue attraverso le dure maglie della rete, ma il marinaio non poteva tagliarla, no, perché gli uomini cattivi lo stavano guardando.

– Amica mia, ti libererò!

Ma lei singhiozzava forte, sì! Sapeva che presto l’avrebbero uccisa e imbalsamata. Era Orba a volerlo.

– Se lo farai ‘ disse la bella, piano piano ‘ prenderanno anche te! Vivi! Almeno tu, vivi! Vivi per me! Fallo per la mia sorgente! Fa’ che almeno quell’ultimo tesoro sopravviva intatto!

Il capitano aveva preso il suo pugnale, con cui sperava di riuscire a liberare la sua amica del cuore dalla rete che la teneva imprigionata. Ma Sirena non apparteneva più a lui! Era diventata un oggetto, di proprietà della perfida che l’aveva catturata. E se l’avesse liberata, lo avrebbero accusato di furto.

– Oh, morte, sii buona, prendimi in questo istante, l’ultima felicità che la vita mi regala! Oh, morte, vieni, abbracciami! Consolami con il tuo gelo e le tue tombe!

Sirena farneticava così, le lunghe ciglia abbassate, le labbra rosse semiaperte.

– Te lo giuro sul mare, non ti lascerò prigioniera di questa rete! ‘ le disse lui, per consolarla.

Povero marinaio! Illuso!

Intanto, arrivavano gli uomini malvagi, per dirgli di non toccare la loro preda, quel pesce prezioso, che sembrava donna. Doveva lasciarla stare, perché non l’aveva pescata lui!

Già l’avevano preso per le braccia; erano troppo più forti di quel poverino e, mentre lo malmenavano, ridevano a crepapelle!

Sì, lo prendevano in giro, perché si era innamorato di un pesce di mare. Ma il povero capitano avrebbe ucciso per quei lunghi capelli, per quegli occhi languidi, per quella coda d’argento scintillante!

Sì, era così.

E all’improvviso arrivò lei, l’Orba. Era abbigliata con vestiti di lusso, si era tutta agghindata con ninnoli e gioielli preziosi, al collo portava la più bella collana di perle che avesse, ah, quel vestitino color porpora!

– Oh, il bel marinaio rivuole la sua amica! Allora, che se la compri!

Così diceva la megera, tra le tante risate.

– Amica mia, lo farò per te!

Il marinaio gridò queste parole con gran passione, come per esprimere tutto il suo immenso affetto in un solo attimo.

– Ah, la compreresti? ‘ disse Orba. ‘ Ma guarda che mi dovrai dare tante, tante belle monete d’oro, sai? Ih ih ih! E’ un pezzo unico, preziosissimo per la mia collezione!

Il povero lupo di mare non aveva molto denaro, per pagare. E le sue forze non erano bastate per uccidere Orba, perché lei era un mostro, sì, davvero, un mostro!

– Te la darò quando sarà imbalsamata! Così non dovrai fare altro che appenderla al muro, eh? ‘ urlò la maliziosa, raccomodandosi la bella collana e il colletto sfavillante con la mano.

Ricordo che alla fine, la bella e la perfida rimasero sole, lì sulla piazza, e si guardavano negli occhi tanto intensamente, che’ oh!

Cielo!

Sapete cosa diceva l’Orba? Lo sapete?

Pareva giocasse con lei, sussurrandole:

– Oh, lo sai che cosa voglio fare di te? Lo sai come ti voglio vestire e modellare? Vedrai, vedrai, faremo proprio un bel lavoro! Un bel lavoretto, coi fiocchi!

– Liberami! Avermi non ti sarà utile!

– Povero tenero fiorellino di mare! Sai che cosa ti metterò in quella bella bocca? Una grossa perla finta, sì! Ti aprirò il pancino, per togliere tutte le porcherie che contiene, affinché tu non vada in putrefazione. Ti scioglierò il cervello con l’acido’ Quanto agli occhi, oh, sì, te li caverò, ti trovo molto meglio a palpebre abbassate o con un paio di smeraldi nelle orbite! Ih ih!

E Orba si andava fregando forte le mani.

– Dimmi un po’ ‘ continuava ‘ come ti piacerebbe essere appesa? Per le mani o per la coda?

– Vattene via! Lasciami piangere in pace!

– Oh, scorbutica! Ti avevo solo chiesto un consiglio. Un consiglio, e tu guarda come mi rispondi! Screanzata! Ti pentirai di avermi parlato così. Ti farò soffrire ancora di più!

E mi ricordo che Orba si andava mangiando le unghie, per il piacere.

Sì, finalmente era riuscita nel suo intento! Finalmente l’aveva presa, l’aveva fatta sua! E nessuno gliela poteva portare via. Nessuno!

L’Orba si allontanava canticchiando.

E disse ai suoi compari:

– Badate bene che il suo corpo non si rovini! Conservatela con ogni cura, perché vale davvero un forziere pieno d’oro, quel tesoruccio!

Sirena era sconsolata.

Perché ormai, non le restava che la morte!

La morte, sì, la cosa più triste che abbiamo a questo mondo. E la povera creatura del mare sperava tanto che per lei arrivasse presto, tanto, tanto presto.

Ahim&egrave!

Sirena pregava la morte, la invocava, affinché venisse a prenderla e la portasse via con sé.

E mi ricordo che era quasi calata la notte, ma lei era ancora intrappolata nella rete, appesa sulla piazzetta, affinché tutti la potessero vedere.

Rammento i suoi occhi, che chiedevano pietà, compassione, libertà.

Mi sembra ancora di vedere le sue mani, le sue dita disperatamente intrecciate con le maglie di ferro che la tenevano prigioniera e non volevano lasciarla andare.

Oh, pensate! Aveva persino tentato di morsicarle con i denti. Invano!

All’improvviso, arrivava un’ombra nera, con le ali grandi, che facevano paura.

Io non vorrei dirvi chi fosse. Ma la verità era che un momento terribile era arrivato: quello della fine. E quanto importava chi fosse quel qualcuno o quel qualcosa che la rapiva? Quanto importava?

Era arrivato il Cattivo, a portarsi via la meravigliosa Sirena, per farla morire.

E due mani nere nere avevano preso la rete e la trascinavano lontano, mi ricordo che la povera infelice teneva sempre chiusi i suoi begli occhi, per non vedere! Pensava alla sua sorgente segreta, alla favolosa sorgente di lacrime’

Oh, quanto sperava di poterla rivedere! Quanto sperava che gli uomini non la distruggessero! Perché finché fosse durata, al mondo ci sarebbe stata felicità.

Era quasi notte. La luna bianca brillava nel cielo e sembrava salutare con i suoi sguardi le case di legno.

Oh, buon Dio, le mani del Cattivo avevano trascinato la poveretta così lontano! E la sventurata era sempre intrappolata nella rete!

Il mare era vicino, tanto vicino, che’ oh!

Tutto era così grigio e così cupo, così color cenere, che non voglio pensarci.

Le onde sbattevano sugli scogli, gli spruzzi si sollevavano in alto, tanto in alto. Ma quelle rocce, quelle acque, erano abitate dagli squali.

Cielo!

Ce n’erano a dozzine; si vedevano le loro pinne bigie, che spuntavano dall’acqua. Erano così minacciosi! A tratti, emergevano dall’acqua e spalancavano le loro fauci. Oh, la morte!

Era stato il Cattivo a chiamarli, sì!

Perché era così che la poverina doveva morire: divorata, semplicemente.

Si sentiva qualcuno che sghignazzava, che si fregava le mani, al buio, pronto a godersi un bello spettacolo, illuminato soltanto dalla luce opaca di una falce di luna.

La povera Sirena aveva le lacrime agli occhi, ma non voleva piangere.

Sussurrò:

– Continua a sgorgare per me, sorgente di lacrime e di felicità! Continua a sgorgare per sempre!

E poi’

Poi, il Cattivo, con le sue braccia nerborute, afferrò Sirena, imprigionata nella rete, e con tutte le sue forze la gettò nell’acqua, sì, in mare.

E gli squali, che aspettavano facendo la ronda, la divorarono.

Buon Dio, successe davvero così, sì!

E l’acqua azzurra si tinse di rosso. L’oceano continuava a mormorare tristezze, per una morta, mentre, una ad una, le stelle bianche salivano nella notte.

Una ad una, semplicemente.

E quando seppe’ Oh, quando seppe che il suo tesoro non c’era più, Orba fece follie!

Ah, sì, follie.

Me la ricordo, disperata e furibonda, mentre si rotolava sulla sabbia bianca della spiaggia, ne prendeva delle manciate, che poi lanciava all’impazzata. Pareva stesse male da morire.

Moribonda? Lei?

Oh, che momento impressionante! Che brutta smorfia aveva fatto la donna fatale!

Aveva la bocca spalancata, tanto, che le si vedevano le zanne. Si era messa a mangiare la sabbia e sembrava volersela divorare tutta! Che disperazione! Che urli uscivano da quelle fauci!

Cielo!

– Sirena! Sirena, dove sei? Eri il più bel pezzo della mia collezione! Chi ti ha rubato? Dove me l’aveva portata? Sirena! Sirena!

Orba aveva i lunghi capelli tutti scarmigliati e in disordine.

Stava lunga distesa sulla spiaggia ed era come se l’avessero ferita a morte, sì, a morte, a morte!

– Ridatemela! Restituitemela! Me la dovete rendere’ Lei &egrave mia! Mia! Mia! Nessuno me la può rubare! Sirena! Vieni da me! Tornatene qui! Ridatemela!

Faceva così freddo, quel giorno’

Tutto era così grigio, in quel momento, che’ oh!

– Strappatemi a questa tortura! Restituitemi il mio tesoro! Senza il mio tesoro muoio! Mi avete strappato le viscere, sì! Ah!

Io non potrò mai dimenticare quel momento da incubo, mai, mai, mai!

Oh, quel corpo di donna che si dimenava come una biscia sulla spiaggia deserta! Sembrava un serpente!

E quegli occhi stralunati! Quella bocca spalancata! Quell’espressione, che tradiva la morte! Le mani che si alzavano, per chiedere inutilmente pietà!

E la sabbia si sollevava a nubi, nascondeva tutto.

Forse, laggiù non rimaneva che un cadavere bigio, o poco più.

Sì, l’Orba aveva perso il suo tesoro e adesso non lo trovava più! Mai più.

Passarono tanti giorni, uno dopo l’altro.

Il capitano cercava sempre la sua bella, la sua amica segreta, ma non la trovava: era come se lei se ne fosse andata, per sempre.

Si diceva che la dovevano portare via, sì, ma non tanto presto. Che cosa avevano fatto di lei? Che cosa? Che cosa, buon Dio?

La rete che l’aveva tenuta prigioniera non c’era più. La meravigliosa non era più appesa sulla piazzetta, affinché tutti la potessero ammirare.

Era sera, quel giorno.

C’erano tante piccole stelle dorate, che baciavano il mare.

E da uno scoglio all’altro, dall’uno all’altro capo della spiaggia, un sussurro triste errava. Forse, era il suo. Oh, sì, sì, sì, era così!

Il marinaio ascoltava in silenzio, senza stancarsi mai, mai, mai.

Quel sospiro remoto era azzurro e veniva da tanto lontano, da tanto lontano, che’ oh! Io non vi posso raccontare le sensazioni di quell’uomo, non posso, non posso!

Ma era come se lei gli parlasse, sì!

Ed era come se lo facesse per l’ultima volta, prima di dirgli addio.

La voce sua era lì.

Lì, fra la schiuma bianca del mare, nel deserto, sepolta nel silenzio.

– Amico mio, non cercarmi più, mai più! Io sono così lontana da te, che le nostre mani non possono toccarsi.

– Sirena!

– Sì, sono io! Ma tu non devi parlarmi, non devi piangere, adesso che io non ci sono più!

– Non può essere così, no!

– E’ la verità. Io sono morta e la mia anima giace in fondo agli abissi blu.

– Allora ti raggiungerò! Verrò da te e saremo felici!

– No, tu non puoi. Non mi troveresti mai! Ascolta queste mie parole. Sono le ultime che ti posso rivolgere. Le ultime, per sempre! Sono il mio eco’

La voce sua si tacque, morendo nel silenzio triste, come il vento che carezzava le tamerici. Per un attimo, non si udì che il fragore del mare, lento e tranquillo, immenso.

Tutto era come incantato e le cose sembravano prigioniere in una sfera di malinconia.

A tratti, s’udiva la sirena lontana di qualche nave, persa nelle nebbie.

– Non cercare di trovarmi, ti perderesti! Moriresti! ‘ diceva quel sussurro. ‘ Non venire da me, non puoi farlo! Non venire! Io sono morta! Mi hanno uccisa gli squali. Ricordati di quella conchiglia, usala per parlare con me’ La mia voce &egrave rimasta incastonata lì. Addio’ Addio’

Ci fu un’onda forte, che si schiantò sugli scogli. Poi, più nulla.

Il marinaio era rimasto solo.

E aveva le lacrime agli occhi, sì!

Si ricordò della conchiglia, ma non voleva rassegnarsi a quel destino, no, lui non voleva!

Ma la sua amica non c’era più!

– Pensa alla mia sorgente, la sorgente di lacrime! Fa’ che gli uomini non la scoprano! E’ l’ultima fonte di felicità e di meraviglia!

Così gli diceva lei, sepolta in fondo al suo cuore.

E lo sconsolato credeva di sentirla sempre, sempre, sempre, dentro di sé. Gli diceva di essere morta. Era morta, morta, morta’

Cielo!

Per un istante, gli sembrò di vedere il volto di lei, riflesso sul mare, illuminato dal primo raggio di luna della notte. Rivide il suo sorriso, le sue labbra rosse come il corallo’

Illusioni!

Allora, il marinaio corse alla sua capanna di paglia, dove teneva tutte le sue reti, i suoi attrezzi, i suoi tesori. Era folle, in quei momenti.

– Sirena, dove sei? Sirena, torna qui, da me! Dove sei andata? Dove? Dove?

Il lupo di mare gridava sconsolato. Ma lei non gli rispondeva più!

E a quel punto, egli prese una tremenda decisione. Fece una pazzia. Ricordo che accese il fuoco, sì, il fuoco.

Voleva bruciare la sua capanna di paglia, la sua unica casa, dove abitava da sempre! Voleva incendiarla, con tutto quello che c’era dentro! Era come se avesse deciso di bruciare il suo cuore.

Oh, perché?

Io non lo so, no, non so. So soltanto che lo si sentiva piangere e chiamare forte la sua amica! So solo questo, questo, questo!

Le fiamme tristi ardevano nella notte azzurra, turchina’ Oh, era così, sì!

Il capitano aveva deciso anche un’altra cosa, sempre dentro di sé. Aveva stabilito di fare’ Oh, ma posso dirvelo? Posso davvero?

Era l’aurora.

Le onde facevano una schiuma così bianca, ma così bianca e dorata, che’ oh!

Lui stava lì, sulla spiaggia, aveva i calzoni arrotolati fino al ginocchio, alla pescatora, il cuore gli batteva forte nel petto, tanto, tanto forte, vi giuro.

Gli pareva che il suo angelo gli fosse accanto.

Oh, gli pareva che lo chiamasse!

Sì, lo chiamava, lo chiamava a gran voce, e gli diceva di venire, di far presto. Perché aspettare ancora un solo istante? Perché ritardare un dolce abbraccio? Perché? Perché? Perché?

E così, lui’

– Arrivo, sai? Aspettami! Aspettami!

Correva nell’acqua.

Dagli occhi gli scendevano lacrime di vera malinconia, forse, per la prima volta nella sua vita.

Le onde del mare gli accarezzavano le ginocchia; confusa con il loro suono c’era la voce di lei, che chiamava, o almeno così sembrava.

– Amico mio, vieni! Corri da me! Sei il mio amore perduto e ritrovato! Non attardarti un solo istante! Abbracciami! Sono qui a consolarti con i miei baci. Che cosa mai può dividerci? Forse, la morte?

Era la voce di Sirena! Era la voce di Sirena!

L’uomo di mare già aveva la camicia bagnata.

– Amico mio, non farmi morire di crepacuore, ti aspetto! Non vedi? Tendo verso di te le mie braccia, ti voglio avere accanto! Corri da me! Corri da me!

Poi venne un’onda più forte delle altre, che lo sommerse, ahim&egrave.

Si risvegliò sulla spiaggia, l’indomani.

Fu la luce bianca del sole ad aprirgli gli occhi.

Si ritrovò ancora nel mondo dei vivi, ma era successo un miracolo, perché l’uomo infelice conservava un dono della sua amica, attorcigliato intorno al collo, e il ricordo di un bacio, che gli era rimasto incastonato sulle labbra.

Con le mani carezzava quella collana di perle, conchiglie e fiori rari. C’erano tanti gabbiani, sapete?

E qualcuno sussurrava:

– Non tentare l’impossibile! Lasciati andare’

Fu allora che il marinaio sussurrò il vero nome di lei. Era un ultimo ricordo, che moriva nel silenzio blu, per sempre, sì.

Non passò molto tempo prima che accadesse l’irreparabile, purtroppo.

Ricordo che il capitano era salito su uno scoglio e l’oceano era diventato nero come il carbone, ve l’assicuro, era proprio così.

Non fatemi raccontare cose che mi fanno venire i brividi prima ancora che ve ne parli! Oh, non fatemelo fare!

Nel cielo c’erano tante di quelle nuvole color pece, c’erano tanti di quei lampi, che’ oh!

E il tuono, di tanto in tanto, vi faceva scoppiare il cuore!

– Sirena, dove sei?

Una voce lontana lontana rispondeva a quel richiamo, ma era soltanto per gridargli di fuggire, prima che fosse troppo tardi.

– Stai attento! In nome del Cielo, stai attento, non farti prendere! Qualcuno sta arrivando e vuole strapparti la vita! Stai attento!

Ma il capitano non teneva più alla sua vita, ormai.

– Amico mio, stai attento! Lei sta arrivando!

La voce lo ripeteva sempre.

Il destino triste si stava avverando, a poco a poco, e non si poteva fare niente per evitare questo. Niente, ahim&egrave!

– In nome della bontà, non farti uccidere! Non restare sullo scoglio, vattene via!

Ma il lupo di mare non ascoltava. Oh, no, lui aveva incrociato le braccia e aspettava solo che la morte lo venisse a prendere. Forse, era stato lui a chiamarla, chissà.

Lui, sì!

Oh, lo sapete cosa brillava in quei suoi occhi, nell’istante terribile? Lo sapete voi? Lo sapete?

Era il momento più fatale della sua vita.

C’era un battello, un mare furioso, un vento che faceva venire i brividi al solo pensarci. E tra i flutti’ Oh, Cielo, fra le onde assassine c’era lui, sì, il marinaio! Era caduto in acqua e la Balena lo assaliva!

Era lei, la Balena, sì! Voleva sbranarlo!

Ce l’avrebbe fatta? Come sarebbe sopravvissuto? Come? Oh, ditemelo voi, vi prego!

Gli spruzzi bianchi dell’oceano toccavano il cielo. Che spavento! Che brividi! E il marinaio teneva il suo coltello da caccia tra i denti!

Poi, all’improvviso, quell’urlo!

E non si riusciva a capire chi l’avesse lanciato. Forse, era stato il mostro marino, oppure, la sua vittima. La burrasca era forte, tanto, tanto forte. Questo, sì, era tutto quello che brillava negli occhi dello sconsolato, in quel momento.

Questo e niente altro!

Perché un incubo simile a quello che un tempo vi ho raccontato stava per accadere nella realtà! Sì, era così!

L’uomo di mare aveva chiuso gli occhi suoi, ah, che importava, ormai, se l’anima sua stava per scendere agli inferi oppure salire verso i giardini dorati?

Arrivava la fine.

Passo dopo passo, arrivava.

Aveva la forma e le sembianze di una piovra, color della pece, ma tanto più grande del solito, e più cupa. I tentacoli neri si alzavano dall’acqua, azzurra e bianca insieme.

E questa volta non c’erano ricordi di mare o di morte che potessero salvare il marinaio, no, non c’erano davvero. Si sentivano forti i rumori della burrasca. Era un’eco folle. Vuu’ Vuuuu’. Vuuuuu’ Li udite anche voi? Che paura!

Poi, il mostro degli abissi allungò ancor più i suoi tentacoli. Il marinaio fu vinto dalla forza di quel crudele e la Piovra Nera, in un sol boccone, se lo divorò.

E questa fu la vera fine di quegli occhi, in cui brillavano i riflessi dei diamanti e dei mari più belli. A volte, erano così celesti! Ma si erano spenti, per non rivedere mai più la luce.

Tristezze!

Una lacrima solca il mio volto, mentre le narro.

Guardo il cielo, le sue nuvole bianche, i raggi del sole. Pare che tutte queste cose belle divengano grigie all’improvviso, al solo ricordo di tante disgrazie.

Forse, della nostra storia &egrave rimasto poco o nulla, ormai. Forse, neppure quello.

Un solo sussurro rimane, imprigionato in una conchiglia fatata, per l’eternità.

Chi lo ascolterà? Chi potrà scoprirlo, prigioniero degli abissi profondi dell’oceano? Chi mai? Io non lo so. E neppure me lo domando. Ma se i nostri occhi potessero vedere’ Oh, cosa scoprirebbero!

Ho visto due piccole statue, sepolte in fondo al mare, bianche bianche. Io non so chi le ha scolpite, chi le ha fatte; un brivido azzurro mi percorre la pelle, se solo me lo chiedo.

Le due statue sono tanto graziose e commoventi, che quasi fanno piangere a guardarle. Pesci di mille colori vi guizzano intorno. E il mostro degli abissi, con i suoi tentacoli, neppure le scalfisce.

Nessun altro le ha viste, fuorché me.

L’acqua &egrave più blu in quei recessi deserti. E piccoli fiori di profondità ammantano il granito candido, che nessuno potrà mai scoprire.

Oh, lo sapete voi chi, che cosa raffigurano quelle statue? Lo sapete chi le ha volute, scolpite, seppellite laggiù, in fondo al mare?

Sono Sirena e il suo marinaio, abbracciati per sempre, nel loro ultimo istante di felicità, prima della morte. Ed &egrave stato il destino, sì, il destino, a volere questo.

Altro non ricordo.

Ecco, i miei occhi si chiudono su questa dolce immagine, come davanti a un sogno, troppo bello e triste per poter essere vero.

Devo ancora raccontare altre malinconie, sì, altre immagini velate di grigiore celeste.

Oh, sento il vento, che soffia forte e accarezza la pelle! E’ freddo e galante, tanto, che non riesco a raccontare. Vedo qualcosa’

Oh, chi mai?

Chi, lassù, fra quelle rocce? Chi? Oh, Cielo, lei! Ah, quel sorriso arcigno, quei capelli tutti scarmigliati e lunghi, quell’occhio bendato!

Era l’Orba.

No, nessuno l’aveva uccisa, neppure il rimorso, perché i cattivi, purtroppo, non muoiono. E stringeva forte il pugno’

Sotto di lei, il precipizio, il mare in tempesta!

E più innanzi, in lontananza, all’orizzonte, i lampi, ultime luci del giorno. E sapete cosa diceva, la perfida? Sapete cosa sussurravano al vento, quelle labbra minacciose? Ah!

– Sì, sì, sì! Morite tutti, voi altri! Io non muoio mai, mai, mai! Provate a uccidermi, se ne siete capaci! Ah, vieni, o morte, cerca di strappare la vita a queste braccia, a questa mente immortale! Provaci, se ne sei capace!

E ricordo che aveva i capelli al vento. Teneva una grossa pietra fra le mani, in segno di sfida, sì! Diceva:

– Scatenatevi, onde marine, spalancatevi, abissi, e cercate di inghiottirmi con le vostre fauci, se ne siete capaci! La vostra forza &egrave un nulla, perché non può piegarmi!

Orba regalava i suoi sorrisi tenebrosi all’orizzonte. Era come se regalasse la morte. Faceva spavento persino agli uccelli.

Ricordo che era vestita come un fantasma, con un lungo drappo scarlatto, che svolazzava quanto un mantello. E il suo occhio cieco era sempre coperto con una benda nera. Certo non aveva paura di mostrarlo.

Cosa voleva fare con quella pietra che aveva in mano? Ai suoi piedi, ne aveva ammucchiate cento altre.

E sogghignava, dicendo:

– Ah, che importa, che importa se ho perduto il pezzo più bello della mia collezione? Che importa? I cattivi non muoiono mai, &egrave questa la legge della natura. I perfidi seppelliscono i più deboli. Ah, Sirena! Sei morta! Meglio così, se non puoi essere mia, allora non devi essere di nessuno! Ma ricordati che io ti ho posseduta!

Non ricordo bene quell’istante terribile. Improvvisamente, la vista mi si appanna.

Che visione macabra, lassù, in cima alla rupe, sul mare infuriato! Quel riso crudele mi &egrave rimasto nel cuore. Credo che non lo dimenticherò mai. Mai!

E mi viene in mente il rumore forte che fece il sasso di Orba, quando lei lo gettò giù dal precipizio, in mare! Bum! Cielo! E ne gettò giù tanti altri, tanti altri, in segno di sfida, o forse, di rabbia!

Tutto era finito, ormai. Dopo aver portato sulla groppa i nostri amici, i cavalli del destino se n’erano andati nell’immenso, lasciando dietro di sé una lunga scia di ricordi, che avevano il sapore della sabbia, tra le labbra.

Prima di lasciarvi, vi racconterò delle emozioni che vissi, pensando alla povera Sirena morta.

Mi era venuto in mente uno dei nostri incontri amorosi, uno dei tanti. Eravamo chiusi in una specie di conchiglia, c’erano tante colonne greche intorno a noi, dai capitelli bianchi, decorati con foglie di acanto.

Lei stava seduta su di un trono, adorno delle pietre più preziose della terra. Mi faceva segno di avvicinarmi. Era donna e si stava togliendo sapientemente una delle sue calze traforate.

Volle pormi la bella mano da baciare. Poi, mi spogliò e quasi mi catturò, nudo, con le sue braccia. Le sue dita si fermavano come uncini sulla mia pelle e mi davano piacere.

Desiderò che lo facessimo sul suo trono. E lo facemmo. Per un attimo esitai, poi, però, le dissi di alzarsi in piedi, per poi sedersi su di me, affinché potessi entrare comodamente in lei.

Mi chiese di non deludere i suoi sensi. Non li delusi. Non le diedi pace. Ma era lei, quella che si muoveva di più, appoggiandosi al suolo cristallino con quei piedi che sembravano scolpiti nel granito, come quelli di Venere.

Venendo, si lamentava, come negli istanti che avevano preceduto la sua morte. Mi stringeva forte il mento con la mano, pur non osando guardarmi negli occhi. Poi, prese a strofinare una delle sue guance sul mio collo. La sentii liscia e inconsistente, ad un tempo.

Poi, venne.

Accadde quasi improvvisamente. Era triste, era triste, lo sapevo. La causa di tutto era una ferita invisibile, che aveva nel cuore. Dopo che tutto fu finito, si mise in ginocchio e con una mano si ripulì il sangue che le usciva dalle labbra. Era scarlatto.

In seguito, mi parve di incontrarla sulla spiaggia. Forse, era la sua ombra. Accadde vicino al villaggio dalle case di legno.

Oh, io non so’ Appena la vidi, la rincorsi, perché avevo tanta paura che si facesse male. Con quei capelli al vento, mi sembrava un fantasma di tristezza, sì! E forse, oh, forse, era proprio così.

E lei correva, correva, chissà dove.

– Non andare! Non andare sulle rocce!

Ma lei andava, andava, andava. Salì lassù e poi, oh, Cielo, si tuffò! Che paura provai in quell’istante! Affondava, a poco a poco, nell’azzurro, e io, folle, volli seguirla, quasi ci fosse stata un’ipotetica catena che ci univa.

Oh, sì, avete capito bene, anch’io mi gettai, giù dalle rocce più alte. Affondavamo insieme, nell’acqua del mare, che era fredda, ma tanto, tanto pura.

E la vedevo, lontana da me.

Oh, era una fanciulla, dal capo adorno di una ghirlanda di fiori vermigli, e sprofondava nell’acqua con una grazia tale, che io non riesco a raccontare. Avevo paura che annegasse.

Pareva morta e forse non respirava più! Forse, era diventata una delle tante anime che abitavano il mare, ma non chiedetemi di svelarvi troppi misteri, no, non chiedetemelo.

Poi, ebbi quasi una visione’ Oh, sì, la rividi, bellissima e vestita di turchino, mentre fuggiva tutta sola per gli abissi, a cavallo di qualcosa’ Oh, anche adesso la mia mente &egrave un po’ appannata, mentre lo racconto, ma cosa importa?

La fanciulla se ne andava in sella a un cavalluccio marino, sì, gli stava sulla groppa. Era il suo pony, il suo amico fatato. E lei lo cavalcava tenendolo per le briglie dorate, decorate di arabeschi.

Oh, vi giuro che la tranquillità regnava incontrastata su quegli istanti!

Io nuotavo dietro di loro e li guardavo, li contemplavo, meravigliato, perché erano un incanto per gli occhi. Di tanto in tanto, l’ippocampo si fermava e voltava il capo all’indietro, come per ammirare la bella padrona che lo cavalcava.

Entrambi erano un paradiso per i miei sguardi.

Lei era adorna di lunghe strisce scintillanti, che avevano i colori dell’arcobaleno. Sembravano stelle filanti, tutte d’oro, e ondeggiavano come alghe nell’azzurro profondo degli abissi.

Oh, sì, era così!

Poi, la bella si voltò, e mi guardò con i suoi begli occhi, allora color perla, mentre muoveva le labbra, come se avesse voluto regalarmi un bacio invisibile. Io non so bene se vissi veramente quegli istanti, oppure no, ma ricordo quella scena avvolta in un alone dolce e triste, insieme.

Oh, sì, quella visione aveva anche non so che di triste, perché la meravigliosa creatura spargeva tutt’intorno delle grandi lacrime, che sembravano fatte di diamanti. Davvero, sembravano delle grandi pietre preziose, che regalava a me!

No, le regalava all’azzurro.

Forse voi non mi credete, ma non importa. Io so soltanto che nuotavo dietro di lei, rapito da un’estasi meravigliosa, la stessa che proviamo quando navighiamo nei nostri sogni.

Allora, ogni pensiero, ogni parola che mi venisse in mente si trasformava in un essere incantato, fatto per abitare nelle fiabe, oltre che nei miei sguardi. Aveva una spada al fianco, dall’elsa d’argento, reggeva uno scudo con uno stemma sconosciuto e il suo volto era celato da un elmo fatto di conchiglie. Era uno dei numerosi guardiani del regno sommerso’

E all’improvviso, vidi lei, che scendeva dal cavalluccio marino. Sembrava essersi trasformata in un angelo, con due ali bianche che sbatteva soavemente per muoversi nel blu. Forse nuotava, forse, volava, in quelle profondità celesti.

Avevo paura che la morte la minacciasse e la toccasse, con le sue mani fredde! Temevo che la accarezzasse e le facesse perdere il magico splendore di cui la natura l’aveva dotata.

– Fermati! Non andare nella grotta! ‘ gridai alla fanciulla, che non mi ascoltava.

La silenziosa viaggiatrice continuava il suo percorso, pensosa e assorta. Fu allora che mi accorsi che dalla sua lunga chioma uscivano delle piccole stelle, che si spargevano a destra e a manca, come a profusione. Brillavano!

Sembrava fosse diventata invincibile, oh, forse, davvero, niente più poteva toccarla. Nessuno avrebbe potuto farle del male!

Era un arcangelo.

Nuotava tutta sola nel suo blu, grande e immenso, ma assai freddo. Tutto era così meraviglioso, che’ oh!

Forse, la mia amica andava incontro alla felicità, o questo, almeno, era ciò che desiderava. La verità era che la morte non poteva più averla con sé, dopo aver fatto l’impossibile per catturarla con i suoi tentacoli crudeli.

La bella si lasciò raggiungere da me.

E come in un attimo di passione, la strinsi forte, tanto forte, tra le mie braccia. No, non volevo perderla, non volevo che lei morisse, no, non più!

Sospirava, sapete? Aveva abbandonato alle correnti sottomarine la sua ghirlanda dai mille fiori, come per farne omaggio alle divinità del mare. Voleva una cosa, da me’ oh, che mai?

Fu allora, sì, fu allora che mi mostrò la sua corona fantastica, tutta scintillante. Voleva essere incoronata per un’ultima volta, da me. Era di nuovo la mia Sirena degli abissi, Sirena dell’azzurro.

Oh, pensate! Lì intorno c’erano tante bollicine color argento, che se ne andavano alla deriva, nella corrente, e ciascuna conteneva un sogno. Pareva fosse appena passato il mago e avesse fatto una delle sue solite magie, piene di mistero.

La bella non fuggiva più’

E a tratti, mi mostrava il suo sorriso, che brillava della stessa luce di cui splendono gli astri lontani.

Non c’era tristezza, in quegli attimi, no, non c’era, non c’era.

La bella voleva essere incoronata. Oh, mi aveva quasi pregato a mani giunte, mi aveva abbracciato, perché lo facessi. Io acconsentii. Oh, sì, in quegli istanti, avrei fatto tutto ciò che mi avesse chiesto! Esaudire quel desiderio meraviglioso era un nonnulla.

Dopo che le ebbi posto la bella corona sul capo, lei mi apparve in tutto il suo splendore. Era una dea, una Venere degli abissi. La vidi con un lungo mantello ornato d’oro e di zibellino indosso. Con la mano destra, reggeva uno scettro, ornato con una grande stella marina che sembrava di topazio.

La giovane donna era una regina.

E poi’ Oh, volle regalarmi un bacio: si posò due dita sulle labbra e me lo tirò, come per incantesimo. Quello era davvero il più bel segno della sua gratitudine!

Improvvisamente, mi accorsi che lei aveva ripreso a piangere, di malinconia. Perché aveva lasciato la mia mano? Perché non voleva più restare accanto a me? L’avevo stretta con tanto affetto! Forse, l’amavo!

Io non sapevo bene cosa stesse accadendo allora.

Fu così che vidi giungere a noi una fastosa carrozza degli abissi, tirata da cavallucci marini bianchi. Era tutta decorata e recava lo stemma di una casa regnante, non so bene quale. Il cocchiere portava indosso un abito di altri tempi e, nella destra, reggeva un frustino magico. Aveva un mantello scarlatto e sul capo portava una specie di feluca ornata di piume fantastiche.

La bella salì sul predellino. Io le corsi dietro, perché avevo paura che fosse un rapimento. Sapevo che in fondo all’oceano c’era un luogo molto pericoloso e temevo la conducessero là. Chissà quale pericolo mortale accarezzava la pelle casta di lei, in quegli istanti!

– Non andare! Non andare, per l’amore eterno! ‘ gridai.

Ma le mie parole divennero scintille, nel blu.

La corrente impetuosa le rapì. Intanto, la meravigliosa era salita sulla vettura fatata e aveva richiuso la portiera, lucida come l’alabastro.

– Al galoppo! ‘ la sentii ordinare, con voce imperiosa.

Le gridai di nuovo di non andarsene, di non lasciarmi. Tutto inutile. Il cocchiere già aveva incitato i cavallucci marini, che poi partirono, a gran velocità.

Sirena allora sporse la bella testa dal finestrino e mi lanciò il suo sguardo più appassionato, mentre i capelli suoi volavano nella corrente, morbidi come un mantello.

– Ricordami! ‘ mi gridò.

Con un bacio mi regalò il suo addio. Poi, svanì.

Una luce turchina e quasi incantata l’aveva avvolta per sempre. E così mi era capitato di vivere la malinconica visione di felicità e incanto, che la sorte aveva voluto riservarmi.

Mi era sembrato che, mentre se ne andava, la mia cara amica avesse teso la sua bella mano verso di me, chiedendomi di aiutarla, di andare con lei, benché io non potessi nulla, contro la forza del destino.

Della nostra storia, più nulla resta.

Un’ultima cosa, un’ultima cosa, soltanto.

E’ sepolta in fondo al mare, ricordate? Laggiù, negli abissi, e nessuno la può scoprire, nessuno, nessuno, nessuno. I miei occhi rivedono quel prezioso ricordo, ne ascolto il meraviglioso suono, sì, il gorgoglio fatato.

E’ lei, ricordate? La sorgente di lacrime, sepolta in fondo al blu. E fra poco, nessuno ne parlerà più. Ah, felicità triste!

Dalla sorgente sgorgano lacrime di perla. Non &egrave la sola ad essere appartenuta a Sirena. Ci sono due tende meravigliose, che sembrano di seta, fatte apposta per coprire quel monumento casto. I raggi del sole che riescono ad arrivare laggiù sono azzurri e immacolati.

E ci sono tante pietre preziose, un piccolo tesoro, nascosto a tutti, perché nessuno ne deve conoscere l’esistenza.

Pochi rumori abitano il silenzio blu. Pochi sussurri, che sembrano dettati dalla tristezza di una morte. Forse, quelli di una defunta, che aveva chiuso i suoi occhi, prima di trasformarsi in sorgente eterna.

Ve lo ricordate?

A Sirena piaceva credere questo: dalla sua fonte dipendeva tutta la felicità dell’umanità. Mi sembra di rivedere il caro angelo, come per caso. Era mattino, correva lungo la spiaggia, tanto forte. Era fanciulla.

Continua a sgorgare per lei, piccola sorgente.

Continua a sgorgare, per sempre.

Addio!

F I N E

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