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Racconti Erotici

l’amore che va oltre

By 22 Luglio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Quando la porta si chiuse non cigolò nemmeno.
La serratura doveva essere stata cambiata di recente, infatti Il clic della molla risuonò come lo schiocco metallico del piatto di una Batteria, ma invece di dare il tempo come in un blues in quattro quarti, annunciò che la decisione era stata presa e da quel momento non sarebbe più potuta uscire.
Fortunatamente non la costrinse nessuno, raccolse i pensieri ed il coraggio ed entrò da sola, se pur con un senso di emozione ed imbarazzo percepibili a chilometri di distanza.
Ormai erano mesi che pensava di farlo, ragionava continuamente sull’idea di provare, infondo non sarebbe dovuto essere così male, poi, anche se non le fosse capitato un Adone, si sarebbe comunque potuta divertire, e fu proprio questo lo spirito con cui decise di affrontare l’incognito.
Si guardò intorno, le pareti avevano la carta, probabilmente pensò che nessuno al giorno d’oggi metterebbe la carta da parati in un appartamento, ma ragionare e forzare le meningi serviva a poco, solo a trovare una mera distrazione, un pizzico di sollievo, a dare un senso di normalità a quella strana e assurda situazione.
Consapevole o meno, continuò a perlustrare silenziosamente quelle quattro mura, che oltre ad avere un aria obsoleta, erano anche arredate malissimo.
Un letto matrimoniale in legno scuro e un comodino della stessa fattura riempivano quasi tutta la parte destra della camera, mentre una plafoniera con paralume, posizionata proprio accanto alla finestra ermeticamente chiusa, illuminava assieme al vecchio e decrepito lampadario di cristalli penzolanti, una piccola poltrona di pelle di almeno 40 anni fa.
Era vecchia, vissuta, era consumata, era quel tipo di poltrona in similpelle marrone scuro con piccole borchie di ottone ormai ossidate sul bracciolo, identica a quelle che quando eravamo più piccoli, vedevamo stazionare in tutte le sale d’aspetto degli ambulatori della città, dai quartieri borghesi a quelli di periferia, residuato bellico degli status di un tempo, ma che ormai, sarebbe bene dimenticare.
Il pavimento era di marmo, prevalentemente scuro con tutti piccoli ciottoli bianchi finemente inseriti, che se ti cade una cosa, stai pur certo che non la troverai mai più. L’usura e gli anni lo avevano crepato e bucato in alcuni punti, doveva essere un edificio molto vecchio pensò.
Un piccolo tavolinetto rotondo faceva bella mostra difronte alla poltrona, sopra, adagiate su un centrino d’altri tempi, erano poggiati un posacenere, una pipa e del tabacco, che davano al quadro che si presentava agli occhi, un tocco che sembrava completasse l’idea di antico e stantio che la avvolgeva la stanza.
Stranamente c’era anche una libreria, piccola, forse delle dimensioni di un anta di armadio ed era posizionata alle spalle esatte della poltrona.
Comunque, per quanto piccola potesse essere, era piena di libri, imbottita di titoli di vario genere, dai grandi classici della letteratura, ai saggi di Jung e Freud, c’era una Bibbia quasi consumata, dei dizionari di tedesco e qualche rivista di musica, che a giudicare dai personaggi in copertina, anche la più recente doveva essere datata millenovecentottanta.
Si avvicinò per vedere meglio i piccoli soprammobili esposti con scarsa cura, passò anche una mano sulla mensola, per vedere quanta polvere poteva raccogliere, ma stranamente, tutto risultò particolarmente pulito, probabilmente quei libri, quelle riviste, non stavano li solo per l’esposizione, erano li per essere consultati, sfogliati ed a giudicare dal loro stato, doveva avvenire anche abbastanza spesso.
La luce della plafoniera e di quel paralume stravecchio, sembrava messa li con l’intenzione di dividere in due la camera, appariva come una barriera artificiale che segnava il confine di due ambienti separati, due zone ben distinte tra loro.
Il taglio della luce, così netto e deliberatamente studiato, dava l’impressione di essere stato scrupolosamente cercato, e se l’arredamento ormai obsoleto faceva pensare ad una persona poco consona al gusto ed all’estetica, la forzatura che rappresentava quel muro virtuale, le dava in qualche maniera un aspetto oscuro e inquietante.
Perché dalla poltrona, non riusciva a vedere nitidamente il letto?
Perché dal letto non riusciva a vedere la poltrona e quello che poteva sembrare un piccolo studio?
Forse l’emozione ed il batticuore per un avventura così estrema e fuori dall’ordinario le faceva fare troppi pensieri strani, voleva risposte a domande che non avevano motivo di esistere, in fondo, quella poteva essere anche una stanza presa in affitto in un albergo della stazione e non necessariamente la casa di qualcuno.
Chi le aveva parlato di questo gioco era pur sempre un amica, si, magari non proprio una sua amica, ma un amica di una sua amica, però, se ne aveva tratto una così bella esperienza, evidentemente non doveva essere tanto male.
Continuava a pensare mentre delicatamente la sua mano sfiorava la pelle rovinata della poltrona che aveva davanti, cercava di mantenere la calma, di far vedere che tutto andava bene, ma ormai era quasi un quarto d’ora che era entrata, e i pensieri che si era augurata di tener lontano cominciarono ad affiorare.
Più che i pensieri poi, erano domande, domande che non aveva fatto, dettagli che non aveva chiesto, come il perché di tanta segretezza sul posto in cui era, sul fatto che l’aveva dovuto raggiungere bendata per non sapere nemmeno in che zona fosse, se in città o fuori. Un senso di leggera ansia ogni tanto faceva breccia nella sua mente, ma subito dopo, con determinazione, imponeva a se stessa di restare tranquillità, e così, nel giro di pochi secondi riuscì a ristabilire l’ordine nella sua mente.
Due o tre respiri profondi e via, di li a poco sarebbe iniziato il gioco, avrebbe iniziato a giocare, magari con un bel ragazzo dal fisico attraente, uno di quelli che somigliano un po’ ai modelli delle pubblicità, o magari con uno di colore, perché no, un bel ragazzo di colore con spalle enormi ed il cazzo grosso.
E pensare che solo un anno prima, non avrebbe mai accettato di partecipare ad una cosa così.
I quindici chili che aveva messo su dopo la gravidanza, le avrebbero impedito di dire si, di sentirsi attraente come invece si sente adesso, ma per fortuna era acqua passata, ormai era di nuovo in forma, morbida, ma in forma.
Le era rientrato il vestitino testa di moro, quello che comperò al centro commerciale per il battesimo della figlia della sua amica, quello elasticizzato e scollato ma che le fasciava il corpo accentuando i punti migliori.
Si guardò i sandali stringati con il tacco da dodici, muovendo leggermente le dita dei piedi smaltate di marrone scuro e pensò al fatto che in quell’ambiente mancava uno specchio.
Le donne, qualsiasi sia la situazione che stiano vivendo, con uno specchio davanti l’affronterebbero meglio.
Ad un certo punto un rumore fuori dalla stanza catturò la sua attenzione.
I venti minuti d’attesa divennero immediatamente solo pochi secondi, il cuore iniziò a battere come un tamburo e come da prassi, si portò verso il letto con le gambe visibilmente tremolanti.
Si sedette davanti alla porta, quella che lei stessa aveva varcato poco prima, attraverso la quale sarebbe entrato, con non poco imbarazzo, l’altro giocatore.
Udì chiaramente il tintinnare della fibbia di una cintura dei pantaloni e lo stridore di una sedia spostata senza essere alzata.
Disagio, paura, vergogna, tutte queste sensazioni e ancora di più, le frullavano nella testa come un enorme vortice che sembrava non si potesse fermare, mentre altri piccoli suoni e rumori continuavano a catturare la sua attenzione.
Abbassò leggermente una spallina del vestito, tanto per darsi un aria più disinvolta e serena, poi accavallò le gambe, scoprendo involontariamente un pezzo di coscia ed infine, con grande coraggio trattenne il fiato.
La maniglia della porta iniziò a flettere davanti ad i suoi occhi, e all’istante, sentì chiaramente il cuore riecheggiare nel torace ad una velocità folle.
Il rumore secco che accompagnò l’apertura la porta la fece sobbalzare, forse si aspettava un po’ più di delicatezza, o forse, era talmente tesa che anche il cadere di una piuma l’avrebbe potuta far saltare, fatto sta, che in quell’irruenza ci vide qualcosa di piacevole, infatti si morse involontariamente il labbro inferiore, accennando un lieve e malizioso sorriso, quasi come se avesse letto in quel gesto, un arrogante forma di virilità mai dichiaratamente cercata, ma spudoratamente desiderata.
Dall’oscurità cavernosa della stanza confinante, un ombra maschile poco distinguibile varcò la soglia, nascondendosi dietro al taglio di luce della vecchia plafoniera accanto alla finestra, spiegando una volta per tutte il perché di quella strana disposizione, sulla quale qualche minuto prima si era posta domande senza trovare risposte.
L’ombra si scostò leggermente e chiuse la Porta.
La chiuse con la stessa enfasi con cui l’aveva aperta, causandole nuovamente un piccolo spasmo, poi, finalmente, fece due passi in avanti.
Aveva i piedi nudi.
Il rumore delle piante sul pavimento si sentì chiaramente, anche se nulla ne amplificasse il volume.
Il silenzio nella camera era così profondo, da far percepire addirittura il ronzio della corrente, che alimentava le uniche due piccole lampadine superstiti ancorate al lampadario in stile Francese,
Due passi.
Bastarono due passi perché il sangue le si raggelò nelle vene.
Passando attraverso la luce, quell’ombra divenne una sagoma, e quella sagoma, non era certamente quello che pensava e sperava di incontrare quel giorno.
Era grossa, enorme, grassa, soprattutto agli occhi di una ragazza non ancora trentenne.
Era una sagoma lontana anni luce da quelle su cui aveva fantasticato, con le spalle larghe e la vita stretta, con i muscoli deltoidi che segnano la fine della spalla e l’inizio del braccio, con i bicipiti tondi e rassicuranti e con le gambe toniche, lunghe ed erculee, quello che aveva davanti, non era niente di tutto questo, anzi, era l’opposto esatto, una specie di incubo che nessuna donna vorrebbe avere, era una strana sensazione di schifo e fastidio, di nausea e disgusto, in parole povere uno strazio.
La luce da dietro, gli si rifletteva attraverso i peli, che dal dorso delle mani, salivano fin sopra le spalle, fino al collo e forse oltre, la vita era larga, enorme, la pancia era quasi più grossa delle stesse spalle, e anche se non lo fosse stata, era certamente più gonfia e dura di qualsiasi suo muscolo, le gambe tozze erano storte e piegate verso l’interno, i pettorali mosci e la peluria che inizialmente sembrava che gli girasse solo attorno, ad ogni centimetro che faceva andando in avanti, si mostrava sparsa e folta in ogni angolo della grassa epidermide.
Il cuore che fino a qualche istante prima rullava come il motore di un aereo nella pista, si era praticamente fermato, pompava il sangue con una lentezza che la portò a sognare l’ infarto, o un qualsiasi altro malore che l’avrebbe potuta far uscire da quella stanza e l’avrebbe portata lontano, ovunque, anche all’inferno, purché sola e senza di lui.
L’interminabile metro che li separava, finì proprio davanti a lei, e quando ormai la luce illuminò anche il viso, si presentò ai suoi occhi come l’orco delle peggiori favole dell’orrore.
Aveva una barba lunga, incolta e ingrigita dagli anni che gli copriva quasi completamente il viso, scendendo fino a sotto il collo.
I baffi avevano le classiche macchie marroni sotto le narici, causate dal fumo delle sigarette, o magari della pipa che sul tavolo, faceva bella mostra assieme al tabacco ed al posacenere, gli occhi erano scuri e socchiusi, mentre i capelli, apparivano mal curati e particolarmente sporchi ed unti.
Dal canto suo, l’uomo era invece in una posizione notevolmente diversa.
Passo dopo passo, scopriva la bellezza e la freschezza di una splendida ragazza morbida e formosa.
Le gambe erano ancora accavallate, la spallina era calata, la scollatura esaltava lo splendore di un seno di giovane mamma, soffice e pieno di nettare.
Guardare quegli occhi neri, quei denti perfetti e bianchissimi, quella pelle candida e quel naso che faceva da cornice ad un viso stupendo, doveva essere particolarmente emozionante.
Lei invece, sembrava quasi sconvolta.
Il rumore del respiro dell’uomo, che il silenzio accentuava proprio come aveva fatto con i passi che l’avevano portato a lei, sembrava un rantolo grasso che le diede l’ennesimo brivido disdegno.
Non disse nulla. Certamente pensò di andarsene, di scappare o magari di gridare, ma durò poco, sapeva perfettamente che sarebbe dovuta rimanere e avrebbe dovuto giocare, ma non ebbe il coraggio di dirgli nulla, nemmeno di fare un cenno con la mano.
Quando abbassò lo sguardo, quasi non riuscì a credere ai suoi occhi.
Distratta dallo scrutare la sagoma e travolta dai mille pensieri, non si era resa conto che quel tizio, così sgradevole e corpulento, era arrivato fin li completamente nudo.
La macchia scura che aveva tra le gambe, non era affatto un indumento intimo, ma un enorme agglomerato di peli peli pubici arrogantemente esibito, dal quale, senza il minimo pudore, spuntava un greve cazzo moscio e ciondolante.
Un disgusto spontaneo le sformò il viso e in maniera del tutto involontaria, fece un piccolo balzo all’indietro, come a voler prendere le distanze da quel pezzo di carne bianchissima, che faceva bella mostra di se, a poco meno di quindici centimetri dal suo piccolo naso.
Lo sconcerto era visibile.
Gli occhi fissavano il pube mischiando nello stesso sguardo, repulsione e disgusto, ma non solo, si intravedeva anche un sottile stupore dovuto alle dimensioni polpose e quasi appetitose del nerbo, che tutto sommato, con il resto dell’estetica non avevano nulla a che fare.
Nonostante fosse floscio, la sua stazza nobile non poteva passare inosservata, e questo, creava in lei un disagio psichico particolarmente fastidioso.
Da un lato, l’infausta situazione la impauriva e la proiettava in un forte stato d’angoscia, dall’altro la vista di quel cazzone nutrito e oltraggioso, le procurava un sublime senso di cedimento.
Lo esplorò imbambolata e quasi senza fiato.
La pancia grossa gonfia, faceva bella mostra di se proprio sopra quel giocattolo, e sul suono cavernoso dei bronchi intrisi di catarro, si gonfiava e si sgonfiava eclissando a tratti il viso leggermente reclinato di lei.
L’ uomo scorse una certa curiosità in quello sguardo, tanto che accennò ad un sorriso quasi compiaciuto, ma nonostante questo, non prese iniziativa, lasciò che quell’angelo potesse guardare ancora un per un po’, fiero del suo sesso maturo e certamente ancora attraente, ma ancora di più, fiero del fatto che ad ammirarlo fosse proprio lei.
Gli occhi, seguirono la sagoma di quella natura come se fossero accompagnati da qualcuno o qualcosa, scesero verso il basso incrociando il punto in cui la pelle, si congiungeva come in un disegno a due enormi coglioni pelosi, solenni, maestosi, due coglioni che sembravano avere attorno, un aurea di sacralità.
La cappella, giaceva sopita sotto la pelle liscia e setosa del prepuzio, sagomandola in maniera così perfetta da non lasciare nulla all’immaginazione ed il meato, roseo e chiaro come quello di un ragazzo, faceva capolino mostrandosi lucido ed appena inumidito.
Il primo piano di quel pube, di quell’apparato riproduttivo, di quel cazzo gonfio se pur moscio, che faceva bella mostra incastonato tra i due grossi e mascolini coglioni pelosi, rappresentava una realtà che non era mai stata tenuta nemmeno in considerazione, ma che in fondo, essendosi forzatamente materializzata davanti ai suoi occhi, risultava suo malgrado, teneramente appetitosa.
Nonostante questo, ammettere deliberatamente quella debolezza, avrebbe rappresentato un tabù decisamente invalicabile, e per tutto il tempo in cui rimase a fissare con sconcerto e turbamento quel corneo strumento, non mosse un muscolo e non disse una parola.
Una grossa mano fredda e adulta le si poggiò su una spalla, facendo definitivamente cadere la piccola stringa già abbassata da lei, e risvegliandola bruscamente dallo stato ipnagogico in cui sembrava fosse involontariamente caduta.
Non credo che si possano spiegare certe sensazioni.
Quando l’uomo senza chiederle il permesso si insinuò nella scollatura, le provocò un senso di fastidio così devastante, da immobilizzarle completamente il sistema nervoso, impedendole di avere qualsiasi tipo di reazione e tentare qualsiasi approccio di difesa.
Le mani, si calarono senza alcuna fatica nella morbida fasciatura dell’abito, che per ironia della sorte, aveva addirittura meticolosamente scelto, ed entrando, sparirono in un solo istante alla vista di entrambi, lasciando al tatto, il compito di descrivere cosa stesse accadendo dentro al vestito ormai stropicciato.
I palmi appena ruvidi e freschi, carezzavano i seni con grande delicatezza, come a mostrare un reverenziale rispetto per la sua figura di neo mamma, di tenera donna, che fino a pochissimo tempo prima, utilizzava la sua natura per sfamare una piccola e docile creatura tenuta in grembo per nove mesi, e questo atteggiamento paradossalmente discreto, se pur antipatico, lei riuscì a sentirlo.
Delicato e quasi paterno, massaggiava quelle superfici con fare mistico, sembrava immerso in uno strano rituale con il quale, attraverso il contatto delle mani, volesse carpire i segreti e la vita della ragazza che aveva davanti, e della quale non sapeva nulla, se non che fosse così bella.
Se per fastidio, disprezzo o per ira, oppure per via del’ epidermide leggermente più fredda della sua, o addirittura per piacere, libidine o passione non saprei, ma durante quell’antipatico ed inopportuno rituale, che avveniva contro ogni sua volontà, entrambe i capezzoli, si mostrarono crudeli al palmo delle mani che la massaggiavano, e più i secondi passavano, più qualcosa spingeva inesorabilmente quei due piccoli promontori a diventare più duri, più gonfi, causando suo malgrado, un aumento di sensibilità che l’uomo non poté fare a meno di notare.
Prima di lasciare definitivamente le due morbide rotondità, ruotò sul dorso la mano destra, con la quale diede un ultima tenera carezza, lasciandola poi sfilare di fuori.
Sulla pelle non più giovane della mano, rimase come per incanto una gocciolina di latte materno, che delicatamente, scivolò verso il basso, fermandosi sulla nocca del dito medio.
Guardando quel piccolo ed inaspettato miracolo, l’uomo avvicinò le labbra alla mano e succhiò la stilla chiudendo gli occhi.
Imbarazzata, intimorita ed apparentemente scioccata, continuò a rimanere immobile su quel lato del letto senza avere alcun tipo di reazione.
I capezzoli inturgiditi, avevano trasmesso contro ogni sua volontà, un frustrante senso di piacere al sistema nervoso e questa divergenza tra compiacimento del corpo e volere della mente, le causava un enorme disagio, un senso di angoscia che la faceva sentire sporca e soprattutto vittima di un gioco al quale aveva tanto desiderato giocare, ma dal quale adesso, sarebbe voluta scappare via in tutta fretta.
Con la stessa disinvoltura con cui si era permesso di palparla, l’uomo di fronte, decise di calarle anche l’altro pezzetto di spallina.
Portò nuovamente la mano sulla sua meravigliosa musa accarezzandola con tenerezza, e poi, con un piccolo movimento delle dita, liberò il lembo di stoffa rimasto, che ad un certo punto, come una molla, scattò verso il basso scoprendole tutta la parte superiore del seno.
Un riflesso incondizionato le fece chiudere istintivamente le braccia, che premendo sul busto, aumentarono ancora di più il volume delle sue splendide mammelle.
Dalla sua posizione, le areole gonfie ed increspate si lasciavano ammirare con una sensualità quasi ammiccante, e così, con un semplicissimo movimento delle dita, tirò giù l’ultimo piccolo orlo di tessuto che ancora copriva i capezzoli, liberandoli all’aria e mostrandoli in tutto il loro splendore.
Per buona parte, i seni giacevano ancora sotto le braccia chiuse ed irrigidite della sua piccola amica, che nonostante sembrasse ancora un pochino imbambolata, mostrò un leggero segno di partecipazione.
L’aria che irruenta le rinfrescò le mammelle, la portò fuori dal torpore nel quale sembrava essersi rifugiata e con grande sorpresa, alzò lo sguardo rivolgendosi direttamente agli occhi dell’uomo, che dall’alto, ammirava la sua grazia tremendamente infantile.
Gli occhi entrarono negli occhi, perforarono la cornea, superarono l’iride, raggiunsero l’anima e tornarono indietro, fondendosi con la nera pupilla di chi la stava guardando.
Qualcosa in quell’istante cambiò.
Qualcosa diede a quell’incrocio di sguardi, un espressività paradossalmente ancestrale, inspiegabile, addirittura indicibile e trasmise in lei, un senso di rassegnazione che non aveva nulla a che fare con la sconfitta.
Sentì una specie di bisogno atavico nel voler cedere, quasi come, se di punto in bianco, una mistica folgorazione le dicesse di seguire quel cammino, come se avere pregiudizi nei confronti della figura apparentemente sgradevole e assai matura rappresentasse un ingiustizia.
Quel richiamo si trasmise naturalmente, senza neppure dover dar fiato alla bocca.
Lascio le braccia scivolare per i fianchi verso il basso e sempre di più, fino a trovare le morbide coperte del letto che delicatamente prese ad accarezzare, poi, reclinò la testa all’indietro di pochissimi centimetri, ed aprì simbolicamente il grande cancello di ferro arrugginito che separava i loro corpi, e dal quale, solo attraverso le grosse sbarre, aveva permesso all’uomo di poterla toccare.
Le dita si avvicinarono ai seni e delicatamente ne disegnarono il contorno, sfiorando la bianca pelle che si increspò in quel gioco in cui erano entrambe vincitori, poi, si portarono difronte i grandi capezzoli marroni ed iniziarono a titillarli.
Piccoli ed innocui pizzichi tra l’indice ed il pollice, si mescolarono alle dolci stoccate delle unghie e consacrarono, assieme ai suoi brividi, quell’ingenuo momento di unione, in cui il piacere dell’uomo, iniziò a mostrarsi attraverso un afflusso di sangue, che converse dalle vene, ed arrivò dritto ai vasi dilatatori del pene.
Per la prima volta da quando si erano ritrovati assieme, la mano della giovane ragazza cercò un contatto con la pelle non più fresca del suo amabile aguzzino.
Lasciò la coperta che ormai stringeva e stropicciava, e si avvicinò alla gamba nuda che aveva difronte, scivolando dall’alto verso il basso come un soffio appena percepibile dalla folta peluria, che adesso, a differenza di prima, appariva diversa e piacevole.
La figura sgraziata di uomo maturo, era divenuta improvvisamente calda e rassicurante, al punto di sentire il bisogno di volerla toccare perché guardarla non bastava più.
I sensi iniziavano a reclamare le loro ragioni prepotentemente.
Con tutta calma, le mani ferme e forti salirono verso l’alto e si portarono sulla testa della giovane ragazza, che senza opporre resistenza, si lasciò guidare fino ad immergersi nel folto bosco pubico poggiandovisi sopra con tutto il viso.
Gli occhi, rimasero chiusi e sepolti nel soffice cuscino naturale, che tanto l’aveva sorpresa qualche minuto prima, dal quale, con eleganza, scendeva sempre più gonfio il bianchissimo il cazzo che dolcemente le accarezzava buona parte del viso.
Il naso piccolo e delicato, sprofondò nell’insenatura naturale dell’inguine, dove trovò posto anche la bocca, che senza obiezioni, sfiorava gli enormi coglioni come in bacio d’amore.
Sommersa da tutti quei peli, si sentiva come protetta, ma allo stesso tempo scossa ed emozionata.
Mosse il collo come a trovare una posizione migliore e quando scendendo appena, sentì l’odore dei pacifici testicoli, non riuscì a trattenere la sua voglia di catturarne un po’.
Inspirò con la delicatezza di un angelo, riempiendosene i polmoni che sembrava non si accontentassero mai, al punto di farle ripetere lo stesso gesto con sempre maggiore apprezzamento.
Questi piccoli sprazzi d’ affetto, eccitavano l’uomo più di quanto non lo eccitasse la nudità dei suoi seni, trasformando secondo dopo secondo, la forma e la dimensione del suo pene.
Quell’arnese sempre più duro che faceva perno sul suo viso, e paradossalmente, cominciava ad apparire sempre più bello agli occhi della sua fanciulla, e così, arrivò il primo vero approccio spontaneo tra i due.
Mantenendo le mani sulla testa, ma lasciandola libera di muoversi, fece un piccolissimo passo in dietro, permettendole di avere finalmente davanti agli occhi, tutta la sua virilità ormai non più così scioccante.
La mani della giovane donna, avvolsero la grossa protuberanza avvicinandola senza alcuna fatica alle labbra, e come se dovesse narrare la più della delle poesie, vi poggiò sopra la bocca, ed elargì piccoli e ripetuti baci appena udibili.
Se solo le avessero detto che un giorno, si sarebbe trovata a baciare caritatevolmente il cazzo di un uomo dell’età del padre, avrebbe storto la bocca senza nemmeno provare a sorridere, eppure, in quel momento non sarebbe voluta essere in nessun posto se non li, e non avrebbe voluto far altro se non quello.
Tra le labbra, la saliva schioccava in un suono delicatissimo, che nonostante il taglio del respiro divenuto appena più affannoso del suo uomo, arrivava dolce e sereno facendolo perdere in quel gesto d’amore, al punto di sentirsi addirittura commosso.
Due piccolissime lacrime gli bagnarono l’iride, scendendo leggere attraverso le rughe degli occhi e perdendosi tra i tanti minuscoli solchi del suo vissuto.
Tenera e dolce, continuava a baciare quel membro custodendolo accuratamente dalle mani. Poggiato sui piccoli palmi sembrava avere una mole ancora più tozza e corposa, al punto da far apparire le mani docili e premurose, simili a quelle di una bambina.
Qualche piccolo morso interrompeva quello che sembrava a tutti gli effetti un sacro raccoglimento spirituale.
Ogni tanto la lingua scivolava sul fusto lasciando una sottile striscia lucida e luccicante, e il più delle volte, scorreva proprio accanto alle grosse vene taurine, che davano a quel membro, un meraviglioso valore artistico ed estetico, ma che l’apice, l’avrebbe raggiunto solo dopo essere entrato nella bocca della sua amica, per congiungersi finalmente a lei e diventare un unica cosa.
Quel momento arrivò, e successe naturalmente, senza forzature di nessun genere.
La testa di lei e le mani di lui si mossero all’unisono, avvicinando come in una danza, la piccola bocca carnosa alla grande cappella nascosta nel prepuzio, per poi sposarsi in un incontro dalle sensazioni devastanti.
Il fusto del cazzo si insinuò nella bocca spalancandola oltre ogni previsione della ragazza, scivolò dentro con la stessa facilità con cui una siringa, irrompe nella pelle e ancora oltre, fino ad arrivare alla vena, che silenziosa e pronta, si lascia perforare dall’ago gelido e cinico che prende o da, a seconda del destino.
Il grasso fagotto di carne e sangue le ostruiva le affaticate labbra, ma la cosa più bella, &egrave che le riempiva il viso come a completarlo, come a divinizzarlo, e questa immagine, regalò all’uomo una sensazione di onnipotenza che andò ben oltre il piacere provato.
Sentì una forza devastante, qualcosa che lo elevò al disopra di ogni altro essere vivente, e guardando verso l’alto sembrava che volesse dimostrarlo a Dio.
Si sentì onnipotente!
Si sentì onnipotente davanti all’idea in cui, un essere umano, era stato straordinariamente più bravo e capace di Lui, nel prendere una Sua creatura, e renderla incredibilmente più bella.
La sua creazione, aveva a sua volta creato quello che Dio stesso, non era stato capace di fare, ed effettivamente, il disegno del profilo dell’uomo che diveniva un tutt’uno con quello della ragazza, attraverso la naturale congiunzione del cazzo nella bocca, era chiaramente l’eccezione che Dio stesso non era stato in grado di realizzare.
Tra le mille bellezze descritte nella Bibbia, come miracolose resurrezioni, moltiplicazioni di pani e pesci, prodigiose passeggiate sul filo dell’acqua ed altrettante straordinarie promesse di vita eterna, Iddio, si era dimenticato di citare la bellezza del cazzo infilato in una bocca.
Non &egrave un discorso maschilista, il maschilismo non c’entra nulla, anzi, il maschilismo in se, rappresenta la più grande debolezza dell’uomo inteso come maschio, sulla donna intesa come femmina, ne più e ne meno del razzismo.
Perché l’uomo bianco ha annientato la razza negroide?
La civiltà, era l’unica vera arma che rendeva l’uomo bianco più forte del così detto uomo nero, ed usò la sua cultura e la sua supremazia intellettuale, per piegare una società fisicamente superiore, ma civilmente arretrata e indifesa.
Se l’uomo nero, avesse avuto lo stesso grado di cultura e conoscenza del suo fratellastro bianco, sarebbe stato capace di spezzarlo definitivamente, capovolgendo il mondo e disegnando una storia che per noi, ora, sarebbe pura fantascienza.
La donna, intesa come creatura, come musa, come madre delle madri, &egrave così meravigliosa ed importante, che metterle il cazzo in bocca, non significa denigrarla, ma elevarla ad uno status di essere superiore, di divinità.
Una donna messa a novanta gradi, rappresenta un oggetto nel quale infilare il cazzo, un ingombrante giocattolo umano dove il maschio, spinge il suo organo riproduttivo, e scarica attraverso piccoli schizzi di sperma, le frustrazioni di una superiorità della quale non &egrave nemmeno particolarmente convinto, attribuendole la stessa valenza simbolica di una fedelissima mano, che a differenza sua, piuttosto che essere passiva, si agita in su e in giù dimostrando avvolte di essere anche migliore di una fica.
Il cazzo in bocca invece, &egrave qualcosa di più.
L’uomo dona alla donna l’unica cosa di se stesso, che vale veramente qualcosa, e la donna, lo accoglie con l’amore e passione.
Potrà simulare orgasmi anche tutta la vita, ma non potrà mai fingere di succhiare amorevolmente un cazzo e mai sarà capace di farlo.
Mai sarà capace di aprire la bocca, e di aspettare che l’uomo finisca senza leccare con passione il prepuzio, senza mordere affettuosamente la cappella, senza sentire il bisogno di infilare la punta della lingua nel piccolo spacco bagnato di maschio.
La fica &egrave li, come lo &egrave lo scarico di un lavandino, o un secchione della spazzatura, ma la bocca no, la bocca &egrave in alto, &egrave sopra, &egrave superiore.
Una volta dentro, la commozione e la tenerezza che solo pochi istanti prima l’aveva coinvolto, vennero spazzati via dal piacere e dalla gratitudine, che istante dopo istante, spinsero il bacino ad un dondolio sempre più morbido e frenetico.
Un centimetro, due centimetri, cinque centimetri, avanti, indietro e poi ancora avanti.
Vedeva la corona della cappella spuntare fuori le morbide labbra e poi sparire dentro, avanti ed in dietro, avanti ed indietro e sempre più forte, ancora più forte, dondolando, spingendo e penetrandola e poi accudendola allo stesso tempo.
Le mani sulla testa, le mani dietro la testa, le mani spingevano quando ormai mezzo cazzo era già dentro, cercavano di farlo entrare tutto, mentre le tonsille schiacciate da quella sostanza, spiegavano alla piccola ed indifesa creatura che era arrivato il momento di farlo fermare.
Ossigeno, una boccata di ossigeno e ancora dentro, e ad ogni spinta i coglioni ciondolanti le sbattevano sul mento, ricordandole che di roba da succhiare ce ne era ancora molta e ne avrebbe avuto per parecchi minuti.
Non soffriva affatto, faticava a trattenere il fiato e a coordinarsi per respirare, ma era felice di farsi fottere in bocca da quell’uomo.
Gli occhioni neri, ogni tanto si rivolgevano a lui per cercarne lo sguardo, sperando di trovare soddisfazione e compiacimento e stranamente, questo le trasmetteva un forte senso di piacere, qualcosa che non sapeva definire e giustificare, però le saliva dallo stomaco e arrivava sotto forma di chissà quale miscuglio alchemico al cervello.
Credo che quello che provasse in quell’istante non fosse affatto appetito sessuale.
Indipendentemente dalla sua bellezza e dall’attrazione fisica, la figura matura alla quale si stava concedendo, rappresentava qualcosa di etereo, qualcosa pronta a scuoterla in maniera diversa dal solito e il tutto, la fece sentire preda di una piacevole debolezza, un qualcosa che agiva sui suoi sensi e la toccava più nella mente che nel corpo.
Non era la prima volta che le infilavano in bocca un grosso pezzo di carne come quello, le era capitato in molte altre occasioni, e ogni volta, sia che fosse un amico appena incontrato ad una noiosa festa, o che fosse un emerito sconosciuto come le successe nel parcheggio di un centro commerciale, la ricerca del piacere fisico, era sempre stata l’unica vera motivazione che la tirava verso certe voglie, mentre ora, il pensiero di allietarlo, di gratificarlo, la emozionava più di ogni altra cosa.
Il sesso, il cazzo, la cappella non c’entravano nulla, se avesse avuto un pisello di dieci centimetri, sarebbe stata la stessa identica cosa, perché non era la consistenza del corpo estraneo nella bocca a darle quel brivido, ma l’amabile idea di soddisfarlo, perché quell’uomo non era un uomo, ma tutti gli uomini che per un motivo o per un altro, si erano presi cura di lei, l’avevano aiutata senza mai chiederle nulla in cambio, crescendola, istruendola e insegnandole a vivere.
Quell’uomo in quell’istante era centinaia di uomini. Era il Parroco dell’oratorio che da bambina la aiutava a fare i compiti, era il suo maestro delle elementari che le regalò il David Copperfield di Dickens, era il padre della sua amichetta del cuore che la portava in campeggio nel mese di Agosto, il fornaio sotto casa che le faceva trovare la merenda della scuola pronta, il bidello che le le faceva suonare la campanella, insomma, era tutte quelle persone che non aveva mai potuto ringraziare e adesso, succhiando quel cazzo, era come se lo stesse simbolicamente succhiando a tutti gli altri, adesso che era ormai una donna, adesso che li poteva finalmente ripagare.
Il fatto di non avere avuto un padre, l’aveva spinta a cercare quella figura ovunque.
Da piccola, i genitori delle sue amichette, rappresentavano per lei il surrogato di una famiglia che non aveva mai avuto, la completezza di quel nucleo che a casa sua, era composto soltanto da lei e dalla madre, la quale, per farle da ‘tutto’, era costretta a lavorare il giorno e addirittura la notte, lasciandola spesso da amici e parenti.
Non aveva mai conosciuto suo padre, sapeva soltanto che prima che lei arrivasse, se ne era andato di casa senza lasciare nemmeno una lettera, come nei peggiori romanzi drammatici che da piccola leggeva e rileggeva fino ad impararli a memoria.
Non aveva mai odiato quell’uomo, ci aveva provato e qualche volta c’era anche quasi riuscita, ma il richiamo del sangue, della natura, non le permetteva di odiare a prescindere, il bisogno ed il desiderio di conoscerlo erano così forti, da superare il disperato bisogno di odio subentrato quando l’idea di abbandono, si tramutò in idea di rifiuto.
La madre non aveva mai voluto parlare di lui, di come era, del perché quel giorno decise di scappare e forse, l’omertà che non le diede alcun indizio, le permise di immaginarlo a suo piacimento, paradossalmente affatto crudele, addirittura tenero e gentile, arrivando con gli anni a volergli anche un pizzico di bene nonostante tutto.
Quando l’uomo lasciò uscire il cazzo pieno di saliva dalla sua bocca, riprese finalmente fiato, mostrandosi a lui con un delicato sorriso, come se volesse discolparlo dalla condizione di apnea forzata in cui l’aveva tenuta, e lasciandogli intendere, che sarebbe stata pronta a farlo di nuovo se solo lui avesse voluto.
La cappella sanguigna oscillava davanti al suo viso, quasi del tutto libera dal prepuzio, e
senza che lui se l’aspettasse, impugnò nuovamente quel nerbo pulsante e lo spostò leggermente verso l’alto, per guardarne il frenulo, infatti, quando apparve ai suoi occhi bello come se lo aspettava, avvicinò le labbra ed iniziò a succhiarlo con tutta la sua passione.
Non era un vero e proprio rapporto orale.
Le labbra aderirono solo in quei pochi centimetri quadrati, dove concentrarono tutti gli sforzi necessari per succhiare e stuzzicare i recettori del piacere e null’altro, alternando baci e delicati morsi, a passaggi di lingua vellutati e stimolanti.
Non gli pareva vero a quell’uomo che una così bella ragazza, anzi, che proprio quella così bella ragazza, stesse li a fare ciò che lui le avrebbe voluto far fare, se l’avesse vista per strada o dentro ad un bar.
Per paura di sciupare tutto e di schizzarle in faccia, decise di sedersi accanto a lei, quasi come a chiedere un attimo di pausa, e spostandosi leggermente da un lato del grande letto, fece spazio e lo lasciò accomodare.
Istintivamente, le mani dei due si incrociarono in una morbida traiettoria, scivolandosi addosso senza ostacolarsi e fermandosi rispettivamente su un seno e sopra il cazzo.
La magia di quel momento e di quella situazione, si manifestava in tanti piccolissimi modi.
Proprio come in una favola, i due, iniziarono a toccarsi all’unisono, accarezzandosi e strusciandosi come se quel momento, non fosse la conseguenza di un gioco studiato e totalmente sconosciuto, ma un incontro avvenuto dopo mille peripezie che ne avevano impedito lo svolgimento.
I loro occhi apparivano desiderosi, addirittura languidi e i loro cuori, battevano così forte da risuonare come tamburi di antiche civiltà ormai perse nella storia, ma questo non importava a nessuno, la cosa importante era stare li e non perdere tempo, la cosa più giusta da fare, era mescolarsi in un unico corpo, in un unica anima, perché entrambi, sentivano di appartenersi ed ognuno, voleva dell’altro il pezzo che gli spettava.
Toccandosi teneramente i loro visi si avvicinarono sempre di più, come in quei ridicoli film adolescenziali in cui i protagonisti si dividono un gelato ed alla fine si baciano, ma questa volta era tutto vero, la mano sulla morbida mammella, il cazzo stretto tra le dita, tutto era sentimentalmente erotico ed infatti, ad un certo punto, le labbra si ritrovarono sulle labbra e gli occhi si chiusero come se quello che stesse accadendo, fosse uno splendido incantesimo.
Il viso segnato e abbrutito del vecchio, si congiungeva con quello angelico della ragazza attraverso il contatto della soffice lingua femminile, che appena fuori dalle labbra, cercava la sua compagna e si insinuava tra le labbra, superando il ribrezzo che provò la prima volta quando vide quei denti rovinati dal tempo e dalla scarsa igiene, sui quali scivolò con una grazia indicibile, come se stesse perdonando una mancanza di civiltà e volesse dimostrarglielo attraverso l’unico vero gesto intimo che esiste in un rapporto tra due persone.
Il bacio.
Due ragazzi di quindici anni, non avrebbero avuto più fervore di loro, e lei in particolare, dimostrava passione e sensualità facendo entrare la lingua nei meandri più oscuri di quella bocca, scovandone i punti più reconditi, dando l’impressione di cercare attraverso le insenature dei denti, il segreto del loro sapore.
Le grosse mani, strizzavano i capezzoli e palpavano i seni come a massaggiarli, causando la fuoriuscita del latte materno, e la misura della sua abilità, erano delle piccole goccioline bianche che avvolte zampillavano ed altre cadevano giù, bagnando il vestito e il lenzuolo del letto.
Scostandosi appena, scivolò in basso, proprio davanti a lui, sotto di lui, insinuandosi tra le sue gambe, sorrise maliziosamente ed ricominciò nuovamente a baciare il grande cazzone, agitando la testa e succhiandolo fin dove possibile, poi, con grazia, lo prese per le caviglie e fece pressione perché l’uomo le alzasse in su.
Non credo che arrivò immediatamente a capire quali fossero le intenzione della docile ragazza, ma si lasciò guidare ed assecondò il desiderio della sua piccola, chinandosi all’indietro e sdraiandosi sul letto, tenendo le gambe alzate e larghe difronte a lei, mostrandole senza alcun pudore, tutto quello che di un corpo come il suo, rappresenta la parte peggiore.
Il viso danti ai coglioni, a quel cazzo, a quello sfintere marrone scuro, appariva ancora più bello di prima, forse proprio per il contrasto con la carne, che a tratti mostrava il prolasso dell’età, e ad un certo punto, quando il piccolo naso si spostò per per sentire quegli odori, sembrò ancora più piccolo ed ingenuo.
Annusò il buco del culo, le palle, il cazzo e poi di nuovo tutto lo scroto fino all’attaccatura tra palle ed uccello, cogliendo per ogni centimetro quadrato di pelle, l’essenza dell’uomo che come non mai, sapeva di natura e di sesso, sapeva di sporco, di laido, di indicibile e mentre si riempiva i polmoni, spingeva addirittura il suo naso all’interno dell’orifizio che con le dita tentava di allargare.
Pensava che mai e poi mai avrebbe potuto raccontare quella cosa alle sue amiche, mai avrebbero capito, mai avrebbero potuto giustificare una cosa del genere, ma più l’odore raggiungeva il cervello, più le veniva da sorridere pensando a quanto, le amiche, si sarebbero perse se non avessero provato a farlo.
La lingua, si infilò diritta tra le grinze stellate e marroni del buco del culo, sentendo tutto l’amaro del quale sembrasse condito, poi, cercò il varco e lo sfondò, entrando dentro fin dove le rimase possibile.
Sotto i colpi della lingua che gli era entrata nel culo sodomizzandolo, l’uomo sentiva un piacere che nonostante l’età, sapeva di non aver mai conosciuto, implorandola per continuare e per spingere ancora di più.
Lei leccava per istinto.
Non era solo un discorso di sesso e di piacere, o di cortesia e gratitudine, lei leccava, succhiava, penetrava quello sfintere, perché sembra volesse mangiarlo, non pensava che da li, l’uomo espelleva escrementi, emetteva flatulenze, questi dettagli non la riguardavano minimamente, l’unica cosa che pensava era quanto fosse bello leccargli il buco del culo.
In tutta la sua vita, non aveva mai sentito un desiderio così forte e così oltraggioso, mai le era capitato di dover leccare e meno che mai di essere costretta a farlo.
Con un paio di uomini le era capitato di agire sull’ano e stimolare il massaggio alla prostata, ma lo aveva fatto solo ed esclusivamente perché le avevano chiesto di farlo, mentre adesso no.
Pensava ogni tanto allo strano feeling che aveva con questo uomo, al fatto che i suoi sentimenti, mutarono in un cambio netto e radicale di pensieri e di desideri, pensava che appena visto, lo schifo e lo sdegno provato, divennero come per magia affetto e gratitudine, per poi divenire passione e assurda possessione, che si stava rivelando con l’esigenza mai provata di volere qualsiasi parte del suo corpo, dal cazzo alla bocca, dal buco del culo ai coglioni, addirittura i suoi intestini sembravano essere una speciale parte da dover a tutti i costi ottenere.
Gli infilò due dita dentro, cercando qualcosa che per tutta la sua vita, le aveva fatto ribrezzo solo a pensarla, eppure in quel frangente, se l’uomo le avesse detto di sdraiarsi atterra e di lasciarsi cagare in bocca, lei si sarebbe sdraiata ed avrebbe vissuto quel momento istante dopo istante, dall’attimo in cui si sarebbe allargato lo sfintere, a quello in cui sarebbe emerso un grosso tocco di merda, fino a quello in cui le sarebbe caduto dentro la bocca come fosse cioccolato.
Il bisogno di sentirsi scopata la sovrastò all’istante.
Salì carponi sul letto e scostando il perizoma, puntò l’enorme bestia sulla sua fica gonfia e depilata, e facendolo scivolare tra le grandi labbra, lo piantò tutto dentro emettendo un suono che descrisse perfettamente il miscuglio di dolore e piacere che contemporaneamente stava provando, regalandogli un emozione che nessun altro sarebbe in grado di provare.
Puntando sulle ginocchia, iniziò a salire e a scendere chiedendo a lui con lo sguardo di fare altrettanto.
Un senso di soddisfazione sembrava averle fatto cambiare i connotati del viso.
Le mani di lui, aggrappate ai grandi capezzoli come due arpioni, accentuavano la sensibilità ed il desiderio della sua piccola amica, che impalata, sembrava rappresentare la più bella ed incantevole femmina mai passata sulla terra.
Con estrema fatica cercava di controllare la sensibilità del suo cazzo.
La piccola fica stringeva quel corpo estraneo stuzzicandolo in più parti, e per evitare la spiacevole sorpresa di un orgasmo che avrebbe interrotto i giochi troppo presto, abbracciandola e tirandola a se, la fermò e la capovolse, ricominciando a fottere con una resistenza bruta e giovanile.
Nella posizione del missionario, sembrava di vedere una coppia di innamorati che finalmente prendevano atto della loro attrazione.
Ogni spinta che permetteva al cazzo di affondare giù, era enfatizzata dal rumore delle secrezioni di entrambi, ed ogni colpo, chiamava un altro colpo, e ancora un altro fino a farla impazzire di gioia.
Raggiunse l’orgasmo sotto le possenti spinte del suo uomo.
Si, in quel momento come mai in tutta la sua vita, aveva la certezza di avere sopra di se il suo uomo, l’uomo che da sempre aveva aspettato, l’uomo che ogni donna desidera e che non sempre ha la possibilità di incontrare, l’uomo che per chissà quale ragione, sembra nato per farti impazzire e tormentarti sotto le spinte del suo cazzo e non solo.
Aiutato dalla posizione che gli dava un forte autocontrollo, non smise di spingere nemmeno un secondo e baciandola e sussurrandole qualcosa all’orecchio, le riuscì a farle avere un secondo immediato orgasmo di piacere.
Le parole che la sconvolsero furono due, piccole e semplici.
Ti amo.
Non era la rima volta che si sentiva dire questa cosa, la maggior parte degli uomini con cui scopava, occasionali e non, le dichiaravano un amore unico ed irripetibile, ma questa volta qualcosa sembrava che andasse oltre.
La voce calda della sua età, l’orgasmo appena avuto e il piacere nel sentire che il corpo ne reclamava già un altro, le spinte possenti e vigorose, insomma tutto le sembrava amore, e sentirselo dire, aveva evidentemente dato al suo io, quello che voleva in quel momento, un amore vero, un amore che sembrava addirittura andare oltre lo stesso amore.
Quando finì di godere, portò le braccia sulle spalle di lui e lo lasciò scendere per abbracciarlo calorosamente.
Per qualche istante l’amore aveva trionfato sui corpi nudi e sudati che si erano incontrati quel giorno, ma il senso di libidine e il piacere di tenerle dentro il proprio cazzo, smossero l’uomo che accarezzandola sul viso, riprese a muoversi leggermente.
Sotto di lui, con ancora l’ingombrante corpo estraneo dentro, si sentiva contemporaneamente madre, moglie, amante e figlia, ma anche puttana e ninfomane, sfilò il grosso uccello e si mise a carponi sul letto, lasciando scendere definitivamente le sottili mutandine, e regalando a lui, la più bella visione della sua vita.
Un piccolo buchino di culo rosa chiaro iniziava e finiva a pochi centimetri dalle grandi labbra morbide e soffici, che tirate, mostravano ancora i segni del passaggio dell’enorme fusto di carne che le aveva dilatate qualche secondo prima.
Quando l’uomo portò la sua cappella in prossimità del clitoride, lasciandola scivolare e puntando nuovamente nella deliziosa vagina, lei lo fermò un istante e sorridendo maliziosamente, gli fece capire che avrebbe voluto un altro tipo di penetrazione.
Pochissime volte in vita sua, aveva permesso a qualcuno di incularla.
Era accaduto quasi sempre durante qualche serata in cui l’alcolemia era arrivata a livelli ragionevolmente alti, o perché il partner di quel momento, amava offrirle soldi per avere quello che agli altri, gratuitamente, lei non avrebbe mai dato, ma questa volta la voglia di farsi inculare era più che un desiderio, più che una cortesia, un vero e proprio bisogno.
Come se seguisse degli schemi mentali indefiniti, intervallava momenti di passione a momenti di gratitudine incondizionata, e quello era uno dei due passaggi che forse nemmeno lei riusciva a giustificare.
Dopo aver leccato ogni millimetro di quel morbido culetto, il cazzo venne puntato direttamente sul piccolo forellino della dolce neo mamma ed infine, venne spinto con il giusto intento di penetrarlo in un solo colpo.
L’ingresso deliberatamente aperto dalle sue voglie, non riuscì a trattenere il dolore, e per un attimo, rimase col fiato letteralmente spezzato.
L’enorme cappella fece largo al resto del cazzo, che prepotentemente, non esitò ad infilarsi, dilatando a dismisura l’anellino, che anche Dio in persona aveva sicuramente accuratamente penetrato con un dito, quando disegnò la sua travolgente bellezza.
Quando vide che nessuna obiezione e nessun grido di dolore gli impediva di continuare, affondò nuovamente e lo lasciò sparire dentro come se dovesse nasconderlo ad occhi indiscreti.
Avanti e indietro, una volta, poi due, poi tre.
Diede inizio a una danza che vedeva una bellissima ragazza disponibile, farsi inculare come cagna da un vecchio che oltre a non meritarla, aveva tra le gambe un cazzo così enorme, da lasciarle aperto il buco del culo anche dopo averlo tolto, come un film pornografico, ma mille volte meglio.
Ogni volta che lo tirava fuori, un risucchio d’aria entrava nell’intestino, causando un rumore che somigliava ad una specie di muggito, poi matematicamente, quando entrava, la compressione della stessa aria, causava un altro rumore simile a quello che poco prima, emetteva la sua piccola fica mentre giaceva sotto i colpi dell’enorme uccello che la stava facendo godere.
Andò avanti per qualche minuto poi decise che in quella posizione, sarebbe stato bello anche prendere il suo docile fiore.
Per qualche minuto si divertì ad alternare i colpi tra sopra e sotto, entrando ed uscendo indistintamente da culo e fica senza nessuna difficoltà, poi, arrivato al momento dell’orgasmo, la fece girare nuovamente e si adagiò sul piccolo corpo penetrandolo da davanti.
Le gambe larghe accoglievano quell’uomo con grande grazia, e vederlo adagiato li dentro, era piacevole quasi come quando le stava dietro e la inculava.
Piccoli colpi, delicati, morbidi, poi più forti sempre più forti, l’abbracciò la strinse a se, cominciò a fotterla e poi ancora a fotterla, ma i suoi occhi non erano quelli di un maschio che si prende la sua femmina, erano più quelli di un innamorato che si prende la sua innamorata, ed infatti, spingendole dentro il suo enorme uccello le chiese di dirglielo, di faglielo sentire, e lei, come se non le paresse vero, arrivò ad avere il terzo orgasmo mentre con passione gli gridava ‘Ti amo’ ripetutamente, abbracciandolo e stringendolo a se.
Lo schizzo penetrò la fica fecondandola del suo sperma, quell’orgasmo sembrava rappresentasse un unione nel vero senso della parola, sembrava che stessero avverando il desiderio di concepire un bambino, che poco a poco somiglierà a tutti e non somiglierà a nessuno.
Dalle labbra della fica colava liquido seminale che le spinte post orgasmo, avevano sparso per bene dentro tutta la pancia.
Quando lei se ne accorse guardò l’uomo e gli sorrise amorevolmente, perché quell’evento durasse in eterno e non si fermasse dopo aver strillato per il piacere.
Sapeva di prendere la pillola, ma non si era mai fatta schizzare nel ventre, non lo faceva fare a chi conosceva, figuriamoci ad un estraneo, però quella volta lasciò stare, anzi, si portò una mano tra le cosce e bagnandosi i polpastrelli, assaggiò lo sperma spargendoselo sulle labbra morbide come fosse burro di cacao, poi, quando lui si tolse, si portò nuovamente seduta e abbracciandolo lo strinse a se e lo fece sdraiare sulle sue gambe.
Si chinò leggermente avanti, e con la bravura di chi sembrava non avesse smesso nemmeno un secondo, raccolse un seno e lo portò sulle labbra del suo piccolo grande uomo, che incantato, iniziò a succhiare il latte materno che la dolce mamma portava con se.
Quel gesto così forte e allo stesso tempo eterno, fu l’ultimo momento in cui condivisero qualcosa, ma, rimase impresso a tutti e due come fosse l’unica cosa fatta assieme quel giorno.
Aveva spazzato via tutto quello che c’era stato fino a quel momento, ed aveva occupato lo spazio della memoria con qualcosa che fosse fuori da tutto quello che c’era stato in quel momento, qualcosa di tenero ed unico.
Una giovane donna che allatta un uomo anziano, un giro di boa, un inversione della natura, un sopruso che allo stesso tempo, dava a quel gesto ragione di esistere più di quanto l’avrebbe avuto, se a suggere ci fosse stato il piccolo cucciolo.
Una giovane madre con il suo vecchio bambino ed un vecchio bambino con la sua giovane madre.
Stavo suonando Blackbird di Paul Mc Cartney al nostro piccolo bambino, quando mia moglie entrò in casa.
Aveva il viso stanco ed il vestito un po’ stropicciato, ma appariva ai miei occhi bella come il sole.
Quando nostro figlio la vide, non trattenne il suo solito sorriso a due denti e allargò le braccia come per farsi prendere.
Con lui in braccio, mi avvicinai e la baciai sulle labbra.
Il sapore del cazzo che aveva appena succhiato, si sentiva così forte da farmi venire voglia di baciarla di nuovo.
Avrei dato qualsiasi cosa per poterla leccare tutta, per poterle leccare la lingua, la bocca, la fica, il buco del culo, avrei voluto pulirle personalmente la fica succhiandola, e avrei voluto sborrarle nuovamente dentro anche io, ma non fu possibile, aveva troppe cose da fare, troppi ricordi da sistemare, così, lasciai stare e cenammo come al solito.
Sapeva che per noi quello era solo un gioco, un gioco che avevamo deciso assieme e al quale lei, aveva voluto partecipare senza impegno, come quando ci accordavamo e facevamo venire degli amici per farli scopare, ma non tutto &egrave mai come appare.
Secondo lei, io non ero a conoscenza di nulla, se non del fatto che sarebbe andata a scopare con un estraneo in un luogo imprecisato, invece le cose stavano diversamente, perché io sapevo dov’era, perché io ero lì, perché sapevo chi era quell’uomo e perché lo conoscevo bene, ed infine, perché di li a poco avrei dovuto incontrarlo di nuovo.
Infatti così fu, e cinque giorni dopo, mi trovai nuovamente davanti a lui per l’ultima volta.
Quel tizio mi aveva contattato sei mesi prima, e quando mi raccontò chi fosse e cosa fosse stato, iniziai a sentirlo spesso e a conoscerlo meglio.
Gli raccontai di me, di mia moglie di nostro figlio, di tutto quello che riguardava la mia vita e quella di Valeria, ma soprattutto, gli dissi che l’avrebbe potuta conoscere solo in quella determinata occasione ed in quella determinata maniera.
Quando ci incontrammo mi salutò senza nascondere l’emozione, e mi abbracciò come fossi un amico che non vedeva da una vita, poi prendendo un respiro, cominciò a parlare.

‘Non immagini cosa sia significato per me, cosa ho potuto provare quando me la sono trovata davanti, così bella, indifesa, impaurita, con quella pelle morbida e vellutata.
Quando l’ho accarezzata ho sentito la freschezza dei suoi anni, la bellezza armoniosa di una ragazza che sta giorno dopo giorno, diventando una donna e poi, i suoi seni sono una meraviglia.
Toccandoli ho sentito il bimbo, il piccolo bimbo che avete.
Ho sentito in quei capezzoli l’amore di una mamma, e credo che abbia capito, credo che in qualche maniera ha sentito che anche io per lei provavo lo stesso tipo di amore.
Vedi, in tutta la mia vita, ho sempre pensato che avrei portato con me il dolore e la disperazione della solitudine, di quello che ho lasciato, di quello che mi sono portato dietro, e sogni di questo genere, non avrei mai immaginato che si sarebbero potuti realizzare.
Forse hai ragione tu, forse &egrave stata l’unica vera maniera con la quale avrei potuto sentirla mia, senza subire complicazioni che lasciano strascichi infiniti e indissolubili.
Avrei voluto dirglielo, avrei voluto chiamarla per nome, dirle almeno una volta ti voglio bene senza mascherare il mio sentimento, ma ho resistito, ce l’ho fatta, sono riuscito a trattenere le lacrime e finalmente, sono riuscito ad amarla come ama un vero padre.
Grazie a te, ho amato mia figlia come nessun altro essere umano &egrave in grado di amare la sua, l’ho amata col cuore, col corpo, l’ho amata con ogni molecola e la cosa più bella, &egrave che ho sentito lo stesso identico amore ricambiato all’unisono.
Mi ha voluto, mi ha chiesto, mi ha cercato, ha sentito il richiamo del sangue ed ha iniziato ad amarmi come sotto ad un incantesimo, come se ad un certo punto, le avessero detto la verità, le avessero spiegato che l’uomo davanti a lei, era il padre, un padre che non ha mai visto, ma che ha pensato per tutta la sua vita, e che adesso, materializzato davanti a lei, voleva recuperare il tempo perduto, voleva sentirlo dentro, dentro al corpo, dentro al ventre, dentro la bocca.
Ha preso il mio sesso con amore, ha carezzato il mio corpo con amore, ha voluto il mio odore, il mio sapore, perché era suo, le apparteneva, doveva appropriarsene dal momento che fino a quel giorno, ne aveva sempre dovuto fare a meno.
Mi ha baciato, ha cercato dentro quel gesto la sua infanzia, i suoi sogni, e li ha trovati.
Mentre mi toccava, sentiva la forza di un padre, di quel padre che non l’ha mai portata alle giostre, e che se l’avesse fatto, le avrebbe trasmesso lo stesso senso di sicurezza che cercava mentre sul letto, stringeva la mia carne dura tra le mani.
Ha amato fisicamente, ciò che da piccola non ha potuto amare con l’inconscio, perché le &egrave mancato, perché non le &egrave stato vicino.
Posso morire ormai.
Ho sempre creduto di non poterla riabbracciare, ma grazie a te, sono riuscito addirittura a farci l’amore, a baciarla…… Grazie!’

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