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Racconti Erotici

L’idrovora

By 25 Febbraio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Erano giorni d’inverno. L’idrovora grande giaceva addormentata in mezzo alle canne palustri inaridite. Essa era tutta assopita nel fuoco dei tramonti, in cui volavano i rami spogli degli olmi, delle betulle silenti, degli aceri rossi, come morti.
Un aratro di legno giaceva dimenticato presso quelle antiche mura decrepite, che altre stagioni avevano ricoperto d’edera. Vi era anche un erpice.
Il popolo raccontava che all’interno dell’idrovora vi fossero delle macchine a vapore, costruite un secolo prima e, quando venivano azionate, dalla ciminiera grande si levava un fumo nerastro, che pareva di pece e spiccava alquanto tra le nuvole bianche e rossastre, tra le quali svolazzavano i tordi e le cesene.
Si diceva, altresì, che entro quelle mura vetuste, oltre quelle finestre dai vetri anticati, che d’inverno parevano illuminati da una luce che assomigliava ai chiarori delle lanterne, si celassero delle braccia robuste, tutte di ferro e d’acciaio, pronte a svolgere il lavoro di cento uomini, a sollevare il peso di centomila macigni, a portare a termine in una giornata le opere che avrebbero richiesto la fatica di cento buoi per cento giorni.
– Ho freddo, ti prego, ho freddo, non lasciarmi! ‘ gridava al vento la giovane donna dai capelli di paglia, inginocchiata sull’argine grande, stringendo fra le mani un mazzo di fiori secchi, che sembravano stelle d’inverno. – Non lasciarmi, o stagione dai cieli di fuoco e dagli stormi di germani che migrano di landa in landa!
In quel mentre, nel cielo turchino e freddo, si discernevano le anitre selvatiche, sì, le anitre selvatiche, che si alzavano in volo e migravano’ Quali versi secchi e vaghi esse disperdevano tutt’intorno! Che voci selvagge, che narravano le leggende della campagna, le vicissitudini ed i volti di mille vite passate ed oramai dimenticate! In mezzo ad esse, rivedo la scuola abbandonata dietro ai faggi, la fattoria decrepita, al termine del viale fiancheggiato dagli alberi, le contadine dai grembiuli bianchi!
Io sento la malinconia dell’idrovora, mentre la rivedo, la riscopro dinanzi a me, oltre gli sguardi del sogno, tutta avvolta in una sorta di fuoco d’inverno e di melograni, fatto delle fronde languide dei platani e delle canne palustri, avvizzite dalla stagione triste! Che figura fantastica e cupa!
Di quando in quando, lungo una strada sassosa e serpeggiante, passava un’automobile nerastra, forse, una Lancia, no, una Lamborghini, non ricordo’
L’idrovora grande appariva sovente all’improvviso; accadeva quando passeggiavate lungo l’argine maestro, che cingeva il fiume della bonifica, il quale, solcando i campi arati vi si mostrava in tutta la sua maestà. Talvolta, qualcuno accendeva un fuoco, che bruciava solitario in mezzo alla campagna, per poi svanire nel tramonto.
All’imbocco della strada sterrata e serpeggiante che conduceva all’idrovora, presso la quale dimorava soltanto il guardiano, avevano messo un cartello, tutto di legno, onde ammonirvi che la strada era chiusa e non vi avrebbe condotti in nessun luogo. Non era vero, no, ma le betulle, le canne palustri e le zolle arate sapevano di mistero!
Il guardiano dell’idrovora grande era un uomo solitario. Gli avevano costruito la casa proprio lì vicino, era una sorta di dimora fatta di mattoni verdastri e dal tetto rosso, ma dove lui non si recava che di rado, in quanto si era trasferito nei pressi del paese da tanti anni.
Di quando in quando, nelle notti di gennaio e di febbraio, qualcuna delle finestre della sua casa si illuminava ed appariva il suo volto. L’uscio era sempre decorato con un mazzo di spighe secche, che simboleggiavano il giugno e le mietiture, nonché i frutti meravigliosi della bonifica.
Nei pressi dell’idrovora grande avevano costruito un abbeveratoio. Durante la stagione del sole e del frumento, potevate imbattervi in una gentile fanciulla che vi conduceva il suo gregge’ Era una pastorella.
L’abbeveratoio era fatto di pietre grigie e l’acqua vi gorgogliava sempre, continuamente, senza sosta e come senza tempo.
A tratti, perduto nelle brume di dicembre o confuso nei crepuscoli di febbraio, il mio sguardo si imbatteva in qualche passero campestre, che saltava poeticamente da un ramo all’altro, onde cercare di nascondersi tra le fronde di qualche albero spoglio, che il nonno del nonno del guardiano dell’idrovora grande doveva aver piantato in quei paraggi.
Il giovane dell’argine – così lo chiameremo – passeggiava d’inverno con un mazzo di spighe secche tra le mani e con la vanga sottobraccio.
La bella donna dai capelli di paglia, della quale vi ho narrato or ora, s’imbatté, in un giorno di febbraio, in quel ragazzone dall’aspetto avvenente.
Accadde nell’ora del crepuscolo, in cui le fronde spoglie scosse dal vento della bonifica mostravano la piccola fattoria, bianca e lontana, dal tetto scarlatto, illuminata soltanto da una luce che svaniva nella bruma.
– O giovane dai capelli di paglia! ‘ le disse appassionatamente il giovane dell’argine, che in quell’occasione portava una fascina sulle spalle. ‘ Io vengo per narrarti della Volpe e della Martora, che, dopo il lavoro nei campi, andarono a riposare nella locanda del Cane Lupo.
– Ma davvero? ‘ gli rispose la bella dai capelli di paglia. ‘ Mio bel signore, ditemi, vi prego, come andò a finire quella vicenda, affinché anche io sappia quali furono le gesta dei protagonisti dei quali mi andate ora narrando!
– La Martora era una bestia infida, ma aveva dei punti deboli, poiché le piaceva il buon vino ed ella era oltremodo rattristata, perché sapeva che, come accade a tutte le martore, un giorno la morte avrebbe bussato all’uscio suo, per sgozzarla. O mia bella giovane dai capelli di paglia, voi dovete sapere che la Martora, oltre che paurosa, era altresì molto ricca e doviziosa. La Volpe sapeva dei punti deboli della sua amica, nonché dei suoi lati oscuri e mentre pensava a come approfittarne, si lisciava i baffi, seduta com’era davanti al focolare grande, in cui bruciava un fuoco di quercia, mentre il Cane Lupo, con il grembiule indosso, si preparava a servire lei e la sua compagna. Le graticole erano fumanti, le braci, ardenti’ Ah! La Volpe e la Martora avevano lavorato insieme tutto il giorno ed erano entrate nella locanda con i badili sulle spalle.
– Ma ditemi, messere, il Cane Lupo cercò di conciliarle?
– No, non ve n’era alcun bisogno! La Volpe disse alla Martora di aver parlato con il guardiano dell’idrovora, il quale le aveva detto che la morte avrebbe fatto capolino presso la locanda del Cane Lupo, quella notte’ A quel punto, la Martora si disperò, divenne improvvisamente folle, si mise a balbettare e a piagnucolare’ La Volpe, allora, si lisciò ancor più i lunghi baffi e fece finta di consolare la compagna, offrendole un fiasco di vino ed una pacca sulla spalla, oltre a tutti i suoi conforti. Ma la Volpe sghignazzava, dentro di sé. Allorché ella vide la sua compagna alquanto ubriaca, le disse che era in suo potere farla sopravvivere alla morte, purché la Martora le desse tutto il suo patrimonio, fatto di monete d’oro. Serviva per corrompere la perfida mietitrice’
– E poi? Che cosa accadde?
– La Martora, inebriata, sussurrò in uno degli orecchi della Volpe dove si trovava il dolce luogo in cui aveva nascosto il suo forziere e tutte le sue monete d’oro. Mentre udiva quelle parole, la Volpe agitava la coda, per il piacere. Quella notte, dopo aver fatto finta di andare a coricarsi insieme alla sua compagna, la Volpe si mise la vanga sulla spalla e andò a scavare, onde impossessarsi della ricchezza della Martora. Se ne impadronì e, subito dopo, fece ritorno alla locanda. Era l’alba, trovò il Cane Lupo sulla soglia e, messagli in mano una moneta d’oro, gli raccomandò di liberarla della sua compagna, prima che costei s’accorgesse del suo inganno e la uccidesse. Il Cane Lupo le rispose, sogghignando, di non essere nuovo a quel mestiere; si mise sul capo un gran cappuccio nero, che gli lasciava scoperte soltanto le fauci, entrò nella camera ove russava la Martora e, trovandola ancora addormentata ed assai ubriaca, la sbranò.
– Perbacco! ‘ esclamò la giovane dai capelli di paglia.
– Il Cane Lupo, dopo aver assaggiato il sangue, ne desiderava ancora. Fu allora che cercò la Volpe, per divorarla, ma quella signora astuta era già fuggita, portando per sempre via con sé le ricchezze della Martora.
Dopo che ebbe udito tanto, la bella dai capelli di paglia si scoprì il seno carnoso e si concedette carnalmente al giovane dell’argine. Fu un accoppiamento animalesco, ma il vento della bonifica stormiva e bruiva sempre in mezzo ai rami secchi dei faggi e delle querce, mentre le gallinelle d’acqua pascolavano allegramente sull’argine grande ed i germani risalivano il canneto e passavano in fila indiana lungo il sentiero che conduceva all’idrovora.

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