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Racconti Erotici

Solitudine – Un racconto di Mirta D.

By 18 Dicembre 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

In questa notte di tempesta vi voglio raccontare una storia, anche se ci sono storie che non dovrebbero mai essere raccontate, come ci sono notti che non dovrebbero mai essere vissute, e vite che non dovrebbero essere chiamate tali’
Questa è la storia di Raven di come le nostre vite si siano incrociate, di come le nostre anime si siano intrecciate e di come una notte ci siamo perduti, e io abbia perso una cosa preziosa, la mia solitudine.

La nebbia novembrina è fredda sul mio viso, mi fa pensare a quanto soffrirei nel ritrovarmela appiccicata addosso se fossi ancora viva. Invece ora non è che un velo fresco sulle mie gote ancora arrossate dal nutrimento.
Mi muovo lenta nella foschia che ovatta i suoni, attraverso le viuzze strette che sembrano volermi inghiottire, o celare. Quasi facessi parte di queste antiche mura. Non è vita la mia ma soltanto l’esistenza di un essere dannato.
Vedo un movimento in lontananza, non capisco bene se si tratta dell’ombra di un nemico o di una semplice preda.
Mi apposto valutando la situazione.
I miei occhi lentamente mettono a fuoco fra la fitta nebbia una figura dal passo quasi strafottente, un incedere sicuro, che si avvicina baldanzosa a un’altra.
E’ un attimo e poi per un momento le loro ombre si fondono e un tonfo conclude la loro unione. Solo la figura che si era avvicinata quasi scherzosamente resta in piedi, guardando in alto.
Apre le braccia con un movimento fluido come se restasse in attesa di una punizione divina.
Il morto giace a terra e l’assalitore continua a fissare il cielo. O la nebbia che lo cela.
Ne ho viste di stranezze nella mia lunga vita mia ma questa le batte tutte, sta a vedere che abbiamo il Redentore fra di noi. Anche i vampiri come me altro non sono che creature dannate che una volta erano uomini, erano mortali. E fra i mortali ci sono dei tipi strani, figurarsi quanto talune stranezze possano risultare ancora più balzane, se amplificate dai sensi di vampiro. La vita fa impazzire la gente… figurarsi la vita eterna.
Tuttavia sono curiosa. Vorrei strisciare accanto al muro per avere una visuale migliore e ponderare il comportamento da tenere, ma in fondo mi sto annoiando, perciò opto per avvicinarmi con un’andatura rilassata e menefreghista.
Quella figura spettrale che sembra pregare che i cieli la inghiottano è davvero inquietante, eppure stuzzica in un modo perverso la mia curiosità. Mentre mi avvicino al mio obiettivo, sento una violenta emozione pervadermi. Quando sono nel suo raggio d’azione si volta, ci guardiamo.
è un vampiro, indubbiamente. Deve esserlo diventato quando era all’incirca sulla trentina.I suoi occhi sono verdi come la giada. Sembrano quasi opachi nella loro smisurata grandezza. E i lineamenti del viso sembrano cesellati.
Ci fissiamo per un attimo e il mio primo pensiero è di mettere mano alla spada, sento che le mie dita, seppur involontariamente hanno un guizzo, ma porto la mano alla cintura invece che dietro alla schiena per afferrare l’impugnatura di onice, e vedo in nella figura, la mia stessa identica movenza. Quasi fosse uno specchio.
Per un istante sono spiazzata. Mi aspetto che dica qualcosa come ‘chi sei’ e già sto formulando nella mente una risposta di tutto rispetto quando improvvisamente la sua espressione strafottente, spiazzandomi, cede il posto a un moto di dolore, cade in ginocchio e mormora piano: ‘Aiutami’.

Mi avvicino e, seppure per un attimo io creda che potrebbe essere una trappola, le mie gambe non esitano.
Noto che la sagoma dell’uomo morto accanto a lui stringe fra le dita un paletto e quando i miei occhi si posano nuovamente sul vampiro non posso non notare che del sangue scuro fuoriesce dal suo petto. Gli ha macchiato gli abiti, fino alla gambe di’. Morte. Quel sangue viene dal suo cuore.
Mi domando come abbia fatto a sopravvivere se la ferita è cardiaca, ma mi avvicino a lui
La notte sembra spostarsi fuori dal tempo.
Sei ferito al cuore come è possibile?’ chiedo titubante. Sarebbe dovuto diventare polvere e abiti polverosi.
Lui in silenzio mi porge una pergamena, prendendola da una sacca appesa alla cintura, con movimenti resi pesanti dalla sofferenza.
Mi affretto a leggerla e capisco che devo riportarlo nel luogo indicato dallo scritto che mi ha consegnato, chiedendomi se servirà salvarlo. Non so nemmeno perché dovrei salvarlo in effetti, tuttavia me lo carico in spalla, come spinta da uno strano istinto.
Non è pesante e comunque il potere che il dono oscuro mi ha concesso mi permetterebbe di sollevare pesi anche superiori senza alcuno sforzo. Sento che sta perdendo i sensi.
Dopo avere camminato per quasi tutto il resto della notte, arriviamo in una piccola radura, lui ancora è svenuto. Vedo la grotta indicata nella mappa abbozzata che ho fra le mani. Entro senza esitazione.
Il giorno sta giungendo.
All’interno ci sono suppellettili, pezzi d’arredamento in contrasto l’uno con l’altro, recuperati chissà dove. Sul fondo c’è una specie di altare in pietra. è lì che deposito il corpo del vampiro che ho -contro ogni logica o ragione- portato con me.
Non è nella mia natura aiutare quelli come me. Non lo era nemmeno quando ero viva. Eppure qualcosa in quell’essere mi ha spinta a compiere questo inconsulto gesto altruistico. Suppongo che sia un’eco della mia umana debolezza nei confronti della bellezza maschile. Forse non smettiamo mai di essere quello che siamo.
Ma se c’è una cosa che ho imparato è che se inizi qualcosa, la devi portare a termine, altrimenti non la dovresti nemmeno iniziare.
Mi provoco un taglio sul polso con lo stiletto e appoggio la mia ferita sulle sue labbra.
I suoi occhi si aprono e si inchiodano nei miei mentre beve e beve, con un’energia che non credevo più possedesse, è come un bacio sensuale e so che mentre si nutre da me può abbeverarsi di stralci dei miei ricordi, di piccoli pezzetti della mia anima.
è come arrendersi all’ineluttabilità degli eventi: bellissimo e terribile al tempo stesso.
‘Bevi da me e vivrai per sempre’, mi aveva detto il vampiro che mi aveva trasformata. E ricordo come mi ero sentita nel vivere brandelli della sua vita, la musica, gli amori, le amanti, il sesso, il dolore, la sete… tutto quasi come un piccolo riassunto. Pezzetti di un puzzle incredibilmente complesso che avrei impiegato anni a ricostruire. Tuttavia quei momenti erano una traccia, era stato come sfogliare un libro leggendone solo qualche pagina. Chissà se il vampiro che avevo tentato di salvare, spinta dalla mia vergognosa natura ancora troppo umana, aveva provato la stessa cosa?
Ero curiosa. Cosa aveva capito di me? Che idea si era fatto delle mie paure più recondite, dei miei ricordi peggiori, delle mie notti solitarie e sanguinarie, delle mie fasi di folle spensieratezza?
Sono sempre stata solitaria per scelta, introversa per natura, diffidente per necessita.
Restiamo nella grotta per parecchi giorni e altrettante notti.
Io esco a cacciare e lui sembra riprendersi giorno dopo giorno, notti di storie raccontate e di omicidi sussurrati alle pallide luci di candele tremolanti.
La nostra amicizia è idilliaca, possiamo dirci tutto, cosi simili cosi diversi.
Sì ha capito tanto di me, forse troppo.
Eppure gli istanti creano momenti e le parole diventano una storia, la storia romanzo e la carta leggenda. Così come l’illusione di essere parte di qualcosa si fa via via più intensa.
I ricordi di quei giorni trascorsi con lui resteranno sempre vivi dentro di me, come una luce in una notte buia, rischiarano il mio cammino ogni notte, permettendomi di compiere un passo dopo l’altro.
Le parole sono solo parole ma lentamente si fanno importanti e mi illudo si tramutino nella mia realtà. Immagino che forse potremmo restare insieme per sempre se solo smettesse di sanguinare. Alcuni giorni va meglio, altri peggio, la ferita al cuore non si risana mai completamente.
Raven mi spiega che la sua compagna una potente strega fece un incantesimo per proteggere il suo cuore dalla morte, così che se anche fosse stato colpito al cuore non sarebbe perito. Ma quando gli chiedo di spiegarmi meglio l’incantesimo si rifiuta e i suoi occhi si velano. Mi sento come se avessi toccato un nervo scoperto.
Tutto ciò mi fa riflettere, è come se la sua non-vita fosse solo l’immagine di un’illusione. Un vampiro che non può mai morire, ma non può nemmeno vivere. Il regalo di una vita ancora più eterna dell’eternità che però trasforma l’eterno tormento in un tormento infinito.
Spesso l’amore costringe a compiere gesti incredibili che alla fine altro non sono che lo specchio della nostra egoistica voglia di non essere abbandonati.
Questa notte Raven è in forze, pare stare meglio. Mi accoccolo accanto a lui e sento il suo fiato freddo sul collo.
Un sospiro e un brivido. Mi volto e i suoi occhi agganciano i miei.
Desidero quegli occhi, mi abbevero del suo sguardo verde, come mi sono nutrita della sua presenza, delle sue parole, delle nostre risate. Come un’assetata che ha ancora sete.
Si alza e mi trascina in piedi con lui, un breve cenno, finché non mi sfiora le labbra con la lingua, accarezzandone lentamente il contorno. Mi sento strana, un’eco di quando ero… viva, ma viva per davvero.
Poi morsica piano il mio labbro inferiore e il sangue prende a sgorgare, lo beviamo entrambi baciandoci profondamente, le lingue intrecciate le nostre mani che febbrilmente ci spogliano. Caracolliamo all’indietro, fino a distenderci sull’altare. Non è un sacrificio però, forse un rito.
Il sangue cola dalla mia bocca lungo il collo fino ai seni. Raven mi mordicchia i capezzoli e io ansimo.
Suona come il lamento di un animale.
Scendo ad accarezzargli il petto, bacio la ferita che oggi ha smesso di sanguinare e poi gli metto le mani in vita, leccando la pelle fra le mie dista dischiuse. Le carni fredde e compatte, i muscoli che paiono scolpiti nel marmo, le mie mani pallide su quella carne morta eppure allo stesso tempo cosi viva, così pulsante. Arrivai al suo sesso, con la mia bocca, e quando lo accolgo fra le mie labbra sento un gemito sfuggire dalla sua bocca: ‘Si ti prego.’
Lo bacio con tutta la passione che sento facendomi scivolare la serica asta fra le labbra e massaggiandola con la lingua fino a che Raven mi solleva il volto con le mani.
I suoi occhi ora sembrava quasi d’ambra. Scivola lento sopra di me, mentre immagino che i nostri corpi, nudi e pallidi, visti dall’esterno sembrino due statue animate.
Un po’ come gli angeli dei cimiteri che ho sempre creduto prendessero vita, quando nessuno li guarda.
Poi ho sentito il suo membro entrare dentro di me con un violento affondo, le sue braccia attorno al mio corpo, mentre la mia carne morta diventava viva con la sua.
‘Raven, io”
‘Taci questa notte non ha tempo, questa notte è soltanto una goccia di amore in un mare di sangue.’
E io taccio, lo sento percorrere ogni fibra del mio corpo. Siamo una cosa sola e quella cosa è viva. Il suo cazzo mi scava dentro e io lo accolgo andando incontro ai suoi movimenti inarcandomi per sentirlo sempre più in fondo.
Ci muoviamo sinuosi, e poi rapidi, come solo dei vampiri possono fare. Con forza e poi con dolcezza, dosando ogni singola movenza fino quasi ad esasperarla.
Ansima come ansimerebbe un uomo vivo, mentre io sento il mio corpo farsi liquido, e l’onda dell’orgasmo travolgermi con una violenza che quasi avevo dimenticato. Resta a lungo dentro di me affondando nella mia carne, strappandomi gemiti di piacere e qualche volta di dolore. Poi mi morde la gola mentre giaccio appositamente inerme sotto di lui, sottomettendomi alla passione, in qualsiasi modo essa voglia esprimersi.
La notte seguente tornando dalla caccia trovo Raven in delirante. C’è una pozza di sangue sotto di lui e so che la ferita si è riaperta.
E quella che mi sembrava una cosa idilliaca improvvisamente mi appare per quello che è: un’immane sofferenza per un vampiro che non può morire, ma solo continuare a soffrire.
La ferita non guarisce mai. Alterna giorni migliori ad altri peggiori. Non è un incantesimo di protezione, è un legamento d’amore e di dolore.
Se fossi più forte non avrei avuto paura del buio, non del buio della notte bensì di quello che vive in me e che mi spinge a non amare e a non farmi amare e di rifugiarmi in lui per sempre.
Ma ho amato ciò che ai mortali non parrebbe amore ma una parodia, una messinscena forse una parola, una sensazione, una frase e forse tutto di lui, dal sangue che gli sporcava gli abiti all’odore di nebbia dei suoi capelli.
So, dentro di me, che gli dovrei dare la Morte, perché una morte sola è preferibile a cento morti, a giorni interi di morte, ma la sua similvita mi riempie il cuore ogni giorno e di morte ogni notte.
So che Sappiamo.
So che Sentiamo.
Il nostro tempo sta per scadere.
Ci guardiamo e non sono necessarie le parole, i suoi occhi parlano per lui. Tenerlo ulteriormente in vita sarebbe come tradire ogni frase che ci siamo scambiati, ogni ragionamento che abbiamo condiviso, e anche la nostra notte di passione.
Fuori c’è un temporale, quasi una tempesta.
Anche dentro di me.
Lo porto dove il bosco non è fitto, lo sostengo ma lui stesso vuole camminare, seppure non lasci la mia mano nemmeno per un attimo.
‘Sai la strega che mi ha… fatto l’incantesimo, mi amava’ dice con l’ombra di un sorriso, sotto alla luce azzurrognola della luna. ‘Ma immagino che non mi amasse abbastanza da lasciarmi andare.’
Sorrido. ‘Non si ama mai abbastanza, si ama come meglio si può.’
Lui annuisce mentre una ciocca di capelli neri gli ricade dinanzi agli occhi. ‘Io l’ho abbandonata, credo sia morta ormai, eppure ancora non riesco a capire se questa sia una maledizione, oppure…’
‘Oppure.’ Aussurro mentendo, osservando il suo volto rilassarsi.
Poi si inginocchia e solleva lo sguardo verso di me.
‘Non dimenticarmi mai, forse è questo l’unico modo per vivere per sempre.’
Scuoto la testa. ‘Mai’.
I capelli ci si incollano al viso, e l’acqua lava via le mia lacrime di sangue.
è come se fosse un’altra me stessa quella che solleva la spada e la cala con tutta la forza della disperazione sul quel collo che ho desiderato, toccato, baciato, amato. Come se fosse un’altra me stessa quella che vede il suo corpo diventare cenere, finalmente e nel vento e nella pioggia scrosciante mi sembra di udire il suo spensierato sorriso come una carezza.
Non lo dimentico. Lo ricordo. Lo ricordo ogni volta che penso a qualcosa di bello e quanto sinistro sia l’amore. O quello che crediamo lo sia. I suoi confini sono senza confini, nemmeno io che ho vissuto così tante vite, riesco a capirlo. Forse non è da capire, ma solo da vivere.
Alcune volte come in questa notte, mi sento sola. Mi manca qualcosa. E non è Raven e nemmeno l’amore o la vita. No, mi manca la mia solitudine. L’ho amata a lungo e ora qualcosa fra me e lei si è spezzato e mi chiedo se le cose torneranno mai come prima. è un legame strano quello con la solitudine, deve essere coltivato, un po’ come l’amore. Il brutto è che quando tieni davvero qualcosa, hai qualcosa da perdere. è così umana questa sensazione che la odio.

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