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OrgiaRacconti di Dominazione

05 – Sabina e la prova

By 20 Dicembre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

“Pronto? Sono Augusto. Spero tu sia pronta”.
Sabina deglutì. Aspettava l’arrivo della chiamata, ma ora che era al telefono con Augusto si sentì improvvisamente arsa.
“Sì, sono pronta”, rispose comunque.
“Bene. Non devi preoccuparti, quello che ti chiedo di fare ti porterà via poco tempo. Anche la prova di Cristina è stata rapida, in fin dei conti”.
“Sì”, rispose, non sapendo cos’altro dire.
“Tu l’avresti fatta?”, chiese Augusto.
“Non saprei. Sicuramente non è stata facile”.
“No, non credo proprio. Dopo tutto, neppure quello che sarete chiamate a fare sarà facile; è per quello che dobbiamo verificare prima se siete pronte”.
Sabina sospirò.
“Vogliamo iniziare, cara?”, domandò l’uomo al telefono.
“Sì, sono pronta”, disse lei con voce risoluta, anche se dentro di sè si sentiva tutt’altro che pronta.
“Bene. Allora, per prima cosa spostati in camera da letto”.
Sabina fece come le era stato detto.
“Ora sciogliti i capelli”.
Portò la mano all’elastico che le chiudeva la chioma, poi si bloccò.
“Come sai che ho i capelli legati?”, chiese.
“Io so tutto, non lo sapevi?”, rispose Augusto ridendo.
Sabina sbirciò fuori dalla finestra, ma non vide nessuno.
“Come fai a vedermi?”, chiese.
“Non devi farmi delle domande, devi fare quello che ti dico. Vuoi fare sta prova o lasciamo stare?”, rispose Augusto con tono perentorio.
Sabina si sentì immediatamente avvampare.
“No, la faccio. Scusa”.
“Scuse accettare. Ora spogliati”.
Sabina esitò un attimo.
“Dai, muoviti!”.
Trasse un sospiro e si liberò della polo e dei pantaloni della tuta con cui soleva stare in casa.
Si guardò nello specchio. Non era così male, forse non avrebbe dovuto svendersi in quella maniera.
“Non è il momento di ammirarsi – la rimproverò Augusto – Togliti anche la biancheria!”.
Sabina eseguì automaticamente, cercando con lo sguardo di capire come facesse Augusto a vederla. Forse una telecamera?
Si liberò di tutti i vestiti e si sedette sul letto.
“Brava. Ora apri il secondo cassetto del comodino”.
Esitò un attimo, perplessa, poi fece come richiesto.
Trovò un sacchetto di nylon.
“Sei stato in casa mia?”, disse Sabina.
“Aprilo, dai!”, le ordinò Augusto, ignorando la domanda.
Vi infilò una mano e vi estrasse quattro manette.
Si guardò intorno.
“Ora ti illustro il programma della serata. E’ molto facile. Per prima cosa dovrai fissare le manette ai quattro angoli del letto, dopodichè dovrai ammanettartici. Metti il telefono in viva voce, posalo sul comodino ed esegui quello che ti ho detto”.
Sabina era preoccupata. Cosa sarebbe successo una volta ammanettata?
“Sabina, non abbiamo tempo da perdere – la rimproverò Augusto – O sei dentro o sei fuori, deciditi!”.
Sentì come una scossa a quelle parole. Premette il tasto del viva voce e posò il telefono.
“Prima le caviglie, mi raccomando, se no sono casini”, le raccomandò Augusto.
La ragazza si ancorò le caviglie ai due angoli inferiori del letto.
“Ora come faccio?”, chiese.
“Dai un colpo secco, si chiuderanno da sole”, disse Augusto.
Accostò il polso destro alla manetta e vi diede un colpo: l’occhiello le si chiuse attorno; poi fece lo stesso anche con il sinistro.
Ora il dado era tratto.
Era completamente nuda, legata in casa sua in una maniera da cui non avrebbe potuto uscire, se non con l’aiuto di qualcun altro. Cosa sarebbe successo ora?
Si sentiva estremamente vulnerabile.
“Brava – commentò Augusto da telefono – Ora posso dirti che questa mattina il tuo portinaio ha trovato un biglietto, apparentemente da parte tua, che gli chiedeva di fare un salto nell’appartamento tra una decina di minuti”.
Sabina ebbe un sussulto e provò ad alzarsi dal letto, rimanendo immobilizzata.
“No, dai! E’ un uomo di merda, fa schifo!”, protestò.
“Benvenuta nel mondo reale, Sabina. Imparerai che in questo mondo ci sono molte persone di merda che fanno schifo”.
Lei si abbandonò sul materasso, rinunciando a lottare, anche perchè non avrebbe avuto speranza contro delle manette di acciaio.
“Lui ha una copia delle chiavi di casa, per cui entrerà senza problemi. Suppongo, però, che trovandoti così ti chieda cosa è successo. Dovrai rispondergli che sei stata tu, che ti piace legarti”.
Sabina sentì lo stomaco ribollire.
“Dai, come faccio a dirgli una cosa del genere! – protestò – Per chi mi prenderà?”.
“Per quello che sei, niente di diverso”.
Sabina deglutì amaro.
“E poi come esco dalle manette? Dove sono le chiavi?”.
“Le chiavi sono nel mobile del tinello, nella zuccheriera. Quando il portinaio avrà finito di fare quello che vorrà, magari ti libererà”.
Sabina trasse un sospiro. Non si sentiva pronta per una cosa del genere, ma d’altra parte non poteva neppure tirarsi indietro.
“Ciao, signorina – disse Augusto dal telefonino – Buona fortuna. Ah, un’ultima cosa: se ti sentirai in difficoltà, chiamami. Io ti potrò vedere e sentire, se avrai bisogno potrò intervenire. Anche se, ovviamente, questo ti taglierà fuori da ogni futura partecipazione. Ora divertiti!”.
Sabina sentì la comunicazione interrompersi.
Ora cosa avrebbe potuto fare?
Nulla, ovviamente: il suo destino era segnato.
In ogni caso il portinaio l’avrebbe trovata in quello stato; e anche se non le avesse fatto nulla, la sua reputazione sarebbe stata compromessa.
Non che gliene importasse molto, però in quel palazzo ci viveva da qualche anno e non aveva intenzione di trasferirsi.
Non avrebbe neppure potuto permetterselo.
Sentì il rumore metallico di chiavi che entravano nella serratura e trattenne il fiato.
Ci fu rumore di ingranaggi che girano, poi la porta si aprì, rivelando la sagoma del portinaio.
Era un uomo di circa cinquant’anni, molto grosso e molto rozzo.
Non si accorse di lei fino a quando non accese la luce; a quel punto la guardò con occhi sgranati.
“Cosa è successo, qui?”, domandò. “E’ entrato qualcuno?”.
Sabina si trattenne dal rispondere di sì, come invece avrebbe voluto.
“No….non è stato nessuno”, disse con un filo di voce.
“E allora cosa sta succedendo?”, chiese l’uomo.
Sabina chiuse gli occhi.
“Sono stata io. Mi piace legarmi”, disse tutto di un fiato.
Sospirò.
ll portinaio la guardò con un sorriso.
“Ti piace legarti? E cos’altro ti piace?”, le chiese passandole un dito sul torso.
Sabina sentì un brivido.
Lui le sedette accanto e le coprì i seni con le mani.
“E brava la nostra professoressa….le piacciono le cose zozze!”.
Le prese i capezzoli tra le dita e glieli torse, pur senza farle male.
“Ma ti è andata bene, anche a me piacciono le cose zozze!”.
Le diede una pacca sul sesso, ridendo.
“Vedi qui giù, hai anche la fica depilata. Ci avrei scommesso!”.
Senza nessuna grazia le infilò un dito dentro, facendole un po’ male.
“Siamo un po’ freddine, ancora – commentò – Ma non preoccuparti, ci penso io a scaldarti”.
Prese a togliersi le scarpe.
Lei avrebbe voluto dirgli di non spogliarsi, di andarsene, ma non poteva.
Distolse lo sguardo, fino a quando l’uomo non fu completamente nudo.
Le montò sopra.
“Scusa se non mi perdo in preliminari, ma devo tornare in portineria”, disse.
La penetrò subito, scorrendo fino in fondo.
Sabina non se lo aspettava, rimase quasi sorpresa da quella veemenza.
Il portinaio prese subito ad ansimare, mentre lei non riusciva a sentire lo stesso trasporto.
“Piano, fai piano!”, gli raccomandò, mentre malediceva le manette che non le permettevano di assumere una posizione più comoda.
Lui la afferrò per i capezzoli e continuò ad entrare e ad uscire da lei, mentre anche Sabina riusciva finalmente a sentire un po’ di eccitazione dentro di lei.
Lui si accostò con la faccia alla sua e le infilò la lingua in bocca.
Lei lo odiava, gli faceva schifo, ma ricambiò il bacio e strinse il bacino per sentirlo meglio dentro di lei.
Quando lui venne le strinse i seni, poi si abbandonò contro di lei.
Ansimò per un paio di minuti, poi uscì da lei e si rivestì.
“Non  stato male, bravo – disse Sabina – Ora liberami, le chiavi sono nella zuccheriera di là”.
Lui la guardò di sottecchi, poi si alzò, visibilmente controvoglia.
Lo sentì armeggiare per qualche minuto, poi tornò nella stanza da letto scuotendo la testa.
“Guarda che qui non c’è nessuna chiave”, disse.
Sabina si sentì mancare il cuore.
“Come sarebbe? Nella zuccheriera, ho detto”.
“Ho guardato proprio lì – rispose lui seccato – Ti ho detto che non ci sono”.
“E come facciamo, ora?”, chiese lei, quasi urlando.
“Che ne so? E che cazzo vuoi da me? Sei tu che ti sei messa in questa situazione!”.
Sabina si abbandonò sul materasso, quasi piangnedo.
E ora che sarebbe successo? Sarebbe rimasta lì per ore?
“Bisogna trovare un fabbro”, disse il portinaio.
“Ma sei matto! Mica mi faccio vedere da altra gente in questo stato!”.
“Non abbiamo scelta. Se hai un’idea migliore dimmela”.
Sabina inghiottì amaro. Non c’era scelta neppure questa volta.
“Ok, vada per il fabbro. Magari non proprio uno della zona, se è possibile”, disse.
“Oggi è domenica, troverò quello che troverò”, disse, e uscì dall’appartamento.
Sabina si abbandonò sul materasso, chiudendo gli occhi.
Guarda in che situazione si era cacciata!
Ammesso che trovasse un fabbro non particolarmente stronzo, cosa avrebbe pensato tutte le volte che avrebbe incontrato il portinaio nel futuro? E cosa avrebbe pensato lui, soprattutto?
Bastava solo che la voce non si spargesse nel condominio…
Si rilassò, cercando di non pensarci.

Si risvegliò bruscamente, sentendo ancora le chiavi nella toppa.
Guardò subito l’orologio alla parete: aveva dormito circa due ore.
Provò a muovere le gambe e le braccia, ma ebbe subito conferma che era ancora legata.
La porta si spalancò di nuovo, e entrò il portinaio, seguito da due ragazzi.
Entrarono nella stanza da letto e accesero la luce, fermandosi di colpo non appena la videro.
“Avete visto che non dicevo stupidaggini?”, disse il portinaio.
“No, avevi ragione”, dissero.
Si sedettero subito sul letto, uno a destra e uno a sinistra, e allungarono le mani sul suo corpo.
“Ehy, fermi con le mani!”, disse Sabina. “Potete liberarmi? Siete dei fabbri?”.
“Certo, siamo qui apposta”, disse quello a sinistra, senza smettere di toccarla.
“Allora fatelo, e tenete a posto le mani!”.
“Lo faremo subito. Però prima dobbiamo metterci d’accordo sul prezzo”, disse.
“Quanto volete?”, chiese lei, mentre una mano le accarezzava l’inguine.
“Ventimila euro”, disse il ragazzo.
“Ma siete matti! Che tariffe sono?”, protestò.
“Chiamata domenicale….servizio celere…discrezione….”, elencò lui.
“E’ un’esagerazione, oltre al fatto che non li ho. Via le mani da lì”, disse lei, sentendo delle dita insinuarsi tra le sue grandi labbra.
“Business is business, baby. Oppure ci mettiamo d’accordo in altra maniera”, rispose allusivo.
Sabina sospirò.
Non era nella situazione di contrattare, sicuramente. Non avrebbe potuto farli andare via, erano già più di due ore che era legata in quella maniera. E poi, così facendo, avrebbe perso il lavoro con Augusto.
“Fate quello che volete”, disse semplicemente.

Un’ora dopo era ancora distesa sul letto, questa volta senza manette.
Era distrutta, esausta dall’essere stata costretta a lungo in quella posizione e da quello che aveva dovuto subire.
Aveva ancora in bocca il sapore dei peni dei due ragazzi, che avevano voluto essere spompinati contemporaneamente mentre il portinaio fotografava l’esibizione.
Più volte aveva rischiato il vomito e altrettante volte aveva ricacciato il rigurgito dentro di sè, benedicendo il momento in cui entrambi erano venuti.
Ci avevano poi messo due minuti a tagliare le catene delle manette e l’avevano salutata, senza astenersi dall’ironizzare su un loro prossimo intervento.
Il telefono le segnalò l’arrivo di un messaggio.
Era di Augusto.
“Brava, sei dei nostri!”, diceva semplicemente.

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