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Racconti di Dominazione

Aspettando il padrone… ovvero i pensieri di una schiava prima, durante e dopo una punizione

By 7 Febbraio 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

A settembre fui punita.
Generalmente preferisco che le punizioni mi vengano somministrate a casa del mio padrone. Questo perché non amo legare ricordi delle mie umiliazioni ad ambienti
famigliari, non amo pensare che mia figlia o i miei amici si muovano inconsapevoli nello stesso ambiente che mi ha visto degradata. Ma quella volta non ebbi scelta
poiché il giorno deputato alla punizione era pieno d’impegni inderogabili, così fui io stessa a chiedere, seppur riluttante all’idea, di subire il castigo a casa mia.
Anche se la mattina fu frenetica il mio pensiero ricadeva sempre sulla sculacciata che avrei subito nel pomeriggio, questo fece si che nei miei compiti lavorativi fossi poco presente con la mente e la mia partecipazione nelle discussioni fosse ridotta al minimo.
All’avvicinarsi dell’ora “X”, non ero ancora a casa, così affrettati il passo, con la mente confusa da mille pensieri tutti interrotti da altri a loro volta confusi e senza un capo o una fine.
Arrivata a casa, poiché il mio padrone pose come imperativo inderogabile di trovarmi già in posizione, cercai di calmarmi e organizzare le idee nel poco tempo che mi rimaneva. Non ebbi il tempo di fumarmi la consueta sigaretta per cercare, o meglio illudermi di rilassarmi, ma dovetti concentrarmi nell’essenziale.
Per prima cosa mi premurai di accendere il televisore, una concessione del padrone, che mi permetteva di placare un mio timore, una mia paranoia, ovvero che i vicini intuissero cosa stava succedendo nel mio appartamento.
Quindi spensi il cellulare e staccai la cornetta del telefono, sapevo bene che un imprevisto squillo avrebbe peggiorato la mia già misera situazione.
Tutti qualche volta perdonano, a volte anche il mio padrone, ma non le lancette dell’orologio della cucina, che con brevi scatti, m’indicavano che era tempo di mettermi in posizione. Nel mio rapporto di sottomissione molte cose sono codificate, non hanno bisogno di spiegazioni, e questo in gran parte vale anche per le
punizioni, per le azioni e le posizioni che devo assumere. Questa codifica non &egrave frutto della consuetudine, ma di imposizioni ben precise, alle quali il mio padrone fa
seguire, con dettagliato sadismo, la motivazione del perché le pretende.
Ebbene &egrave proprio il momento. A volte, quasi sempre, la preparazione alla punizione e già punizione, umiliazione e degrado.
Mi sfilo quindi la cintura, con la quale, per altro, verrò colpita, e ben arrotolata la rispondo sul tavolo. Mi tolgo quindi i pantaloni e gli slip con sopra stampigliata una patetica fantasia di personaggi Disney. Premo quindi il pulsante del citofono per aprire il portone del palazzo e mi assicuro che la porta di casa non sia chiusa con la chiave.
Mi trovo ridicola a compiere queste operazioni nuda dalla vita in giù, ma non &egrave la prima volta che mi sento ridicola e probabilmente nemmeno l’ultima. Tolgo lo specchio con la cornice etnica dal muro, non sopporto vedermi in questa situazione.
Mi rimbocco la camicia e il leggero maglioncino, accuratamente, fino a metà schiena, quindi prendo una sedia e dando le spalle all’ingresso mi piego sullo schienale afferrando i bordi della seduta. A questo punto devo divaricare le gambe. Vuole che lo faccia, non solo per essere esposta, e quindi creando una situazione di
ulteriore disagio, ma anche perché, se decidesse di colpirmi anche in mezzo alle gambe, non debba trovare ostacoli di sorta.
Ora sono pronta, anche se pronta non lo sono mai, e i pochi minuti che mancano, crudelmente, mi lasciano il tempo di pensare.
Non &egrave certo la prima volta che il mio padrone mi vedrà nuda, vedrà ogni mia recondita intimità, ma il mio pudore fa si che ogni volta provi la stessa vergogna, come se
fosse, a tutti gli effetti, la prima. O sempre provato pudore, anche con i miei partner, ma questo va oltre. Non saprei come altro definirla se non una vergogna
profonda.
Cerco quindi di evocare il dolore provato altre volte, con la dichiarata intenzione di esorcizzare quello che mi sta aspettando. Ma non ci riesco, e se ci riesco non
sortisce effetto. Cerco di chiedermi cosa prova lui, probabilmente appagamento, forse soddisfazione, non saprei.
Ogni pensiero &egrave spezzato dal rumore dell’ascensore che si ferma al mio piano. Il dubbio su chi sia e chi cerchi &egrave presto risolto dalla porta che si apre. Lo saluto, e
mentre lo faccio mi chiedo quante persone che conosco si sono mai trovate a salutare qualcuno dandogli le spalle a sedere nudo, preoccupandosi di aver assunto la
postura corretta. Probabilmente nessuna.
Il mio padrone &egrave comunque una persona dai toni e dai modi gentili, e quindi risponde al mio saluto. Questa sua pacata gentilezza ha, per me, sempre rappresentato un
contrasto che accentua la mia situazione.
Non commenta e si comporta come si trovasse nella situazione più naturale e ovvia del mondo. Sento che afferra la cintura, con calma quasi compassionevole, mi dice che sta per iniziare a colpirmi, che sentirò male ma come al solito non dovrò ne muovermi ne parlare. Mi chiede quindi se ho qualcosa da dire prima che comincia, e io gli rispondo di no.
So che adesso inizia.
Cono la sequenza delle mie sensazioni quando vengo sculacciata, vergogna-dolore-vergogna.
Nella prima fase, che coincide con la preparazione e i primi colpi, la vergogna fa da padrone. E’ una vergogna intensa che mi fa quasi desiderare venga cancellata dal
dolore. Ma quando il dolore arriva, me ne pento subito di questo desiderio. E’ un dolore molto forte, aumentato dal fatto che non posso sottrarmi, ma anzi devo rimanere nella posizione impostami per permettere che i colpi vadano validamente a segno, una cosa contro natura, contro lo spirito di sopravvivenza. Finito il dolore torna la vergogna, per essermi sottoposta a tutto questo, per dover tornare tra la gente “normale” con la pelle bruciante.
I colpi cominciano, sono acuti, brucianti, ma poi il dolore aumenta. Aumenta a tal punto che dopo un po’ non distinguo quasi più i singoli colpi, ma li avverto come un
insieme di dolore continuo a pungente.
Quando il padrone si ferma rimane in silenzio per qualche secondo, probabilmente per permettermi di riprendere fiato regolarmente o perché immagina che sia al limite.
Sento che appoggia la cinghia fra le gambe e contemporaneamente mi dice che ora mi colpirà li e mi ripete che non dovrò muovermi.
Quando ricomincia i colpi su quella parte sensibile mi causano un dolore sordo, quasi un pugno, e il fiato spesso si spezza. Non so se sto peggio per il dolore o il
debito di ossigeno in cui vado poco dopo.
Quando finisce ho la faccia rigata dalle lacrime ma non credo di aver emesso più di qualche lamento, e conoscendomi, probabilmente trattenuto.
Quando finì di somministrami la punizione mi fece rivestire. Il tessuto che si appoggiava sulle natiche mi sembrava carta vetrata e potevo quasi sentirne le trame.
Mentre la vulva la sentivo gonfia, quasi insensibile, ma non meno dolorante.
In queste condizioni mi avviai agli impegni successivi, con lo stato d’animo che lascio solo immaginare.
Amo confrontarmi e amo discutere con tutti, quindi chi volesse commentare questo mio primo scritto piò farlo contattandomi su 80lidiale@gmail.com
Ho aggiornato il mio blog ( http://lidiaesposta.blogspot.it )

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