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Racconti di Dominazione

Breath Play

By 22 Aprile 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Lui è chino su di lei, serra le dita nodose, inietta sangue a comprimere il palmo, artiglia la sua spalla destra, mentre con l’altra gentilmente carezza la sinistra. Lui è di fronte a lei, la presa è salda, lui spinge la sua testa contro di sé e lei sente l’asciuttezza dura del suo ventre. Lui le trascina le unghie sulla pelle. La graffia. La morsa è uno scavo che non avanza rinuncia, l’ebbrezza sale in un brivido freddo, l’avvampa, finché lei non cede al dolore e sommessa lascia andare un lamento.
Lui lentissimamente la solca, le circonda il fragile collo. Lui le intima una pressione costante, minima, ad allarmarle il battito, ad alterarle il flusso di coscienza. Lui la minaccia. Pura e sola tensione cerebrale. La carotide, lui sa, è sottile come una radice, concede la linfa essenziale, articola invisibili vasi, vitali da estenuare. Senza indecisione. Per un attimo infinito. Senza recedere al cedimento di un timore.
Lui pulsa, risolutezza sadica. Terminale.
Lei è basìta, inizialmente priva di reazione, è nell’inconsapevolezza che tutto consente. Poi, la sensazione attraversa strati di tessuto e lei involontariamente spasima, faticosamente mugola, mentre lui la tiene ferma, sfiorandola appena, simulando un’occlusione decisa che il panico le filtra intensa, rendendola afona, in una sensazione inspiegabile di reale pericolo. Lui la condiziona a impulso.
Lui è in piedi, lei è seduta. Lui le preme la faccia contro il cavallo dei suoi pantaloni. Lei si perde in quell’odore che sa, prepara l’amore, lei gli sente l’eccitazione sessuale. Lei pensa, alla rigogliosità del pelo quando lui è nudo. Quando, nell’oscurità fitta che l’avvolge, fino a soffocare, lei venera quella aureola che gli circonda il sesso come una santità che le appare in voto. Lui le cinge la gola e lei si rivede, mentre l’osanna, mentre dai testicoli gli striscia sino al ventre, mentre in bocca giacula preghiere al dio di quell’altare, con la vocazione ultraterrena di perdere il controllo, regredendo, sino ai perché che postula una bimba quando la meraviglia dell’esplorazione accresce la tenacia.
La stimola, di qualsivoglia cognizione.
Poi rintocca l’ora e il cerchio chiude. Mentre lei strofina il viso contro il sacro marmo cui s’immola volontaria, mentre lei lo sente eretto, lui fa scivolare la sua mano nel punto che la predispone debole, ai lati del suo collo, dove tesi come cavi i tendini le annegano i sensi, tra i muscoli già stanchi, al varco della beatitudine. Lui comprime. Appena. Ma lei è già nel non ritorno. In abbandono. Seppure solo per brevissimi momenti, lei è già al limite. Lui osa e tocca, l’estremo appena un passo oltre la follia.
è lui la via su cui lei rabbrividisce, lui l’asfissia e doma, lei stringe i denti. Lei annaspa dentro una sofferenza che la agita convulsa. Lei oltrepassa il vuoto, e, mentre inacidisce il sangue, lei riconosce l’importanza dell’autocontrollo, le fondamenta del respiro.
Mentre lui la obbliga al silenzio lei è confusa, lei brancola nell’estasi senz’aria. Lei si perde nell’angoscia. S’innerva. è in iperventilazione. Oltre gli agonici lamenti, oltre il piacere che le inghiotte la coscienza, oltre il potere dove lei lo segue. Oltre i gradini di vertigine che la piombano in abisso, quando obnubila la vista, quando attutisce il suono e la nausea monta vorticante, mentre dagli occhi le precipitano lacrime. Il suo smarrimento. La sua paura di abbandono che la naufraga per sempre. Ma, lui la riconduce in superficie, la sostiene e sdraia, con sicurezza rovescia indietro la sua testa, in un atto che li fonde. Lì, dove lei è l’altra, mentalmente ride, è in un’euforia celeste.
E’ il momento in cui la torce seducente il vizio, quando lui la rende misera, annegata dentro il nulla. Sul piedistallo. Dove lui di lei gode. Mentre la strangola. Con un’infinitesimale alterazione psicologica.
Lei si sdraierebbe nel letame per lui, per sentirsi sopraffare ed essere capace di colare tutto il suo essere devoto in concentrazioni ultime. Sino a sublimare. Ripiegando in sé. Espiando. Grumi di rettitudine morale, di ansia riprovevole e di rabbia. Grovigli di virtù frustrate, di disagi viscerali e quotidiani. Così fino all’annientamento. Finché il gemito che la tiene aperta, poi la prende acuto, la scioglie in spasmi, e ogni tormento trattenuto se ne viene contraendosi. Perché lei di lui si fida, molto più che di se stessa.
E così la bestia che è nascosta si rivela, lei la trova. E quello che da fuori si direbbe una violenza, all’interno riproduce l’onore del decoro, perduto dalla carne, che in tal modo si riabìlita, finalmente spoglia del travestimento, e disàbita di colpa l’esistenza.
Così l’anima si ricongiunge al corpo, quando la lussuria è lacerante. Quando il vortice è delle ombre innate.
Mentre indebolisce la ragione onnipresente.

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