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Racconti di Dominazione

I problemi di Stefania

By 29 Ottobre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

I problemi di Stefania erano cominciati quando aveva conosciuto Matteo, il suo futuro marito.
Matteo era un uomo simpatico ed affascinante, ma aveva qualche spiacevole difetto.
Essenzialmente tendeva a spendere più di quanto guadagnasse, e poi nel gestire gli affari era un gran pasticcione.
Per un po’ le cose erano andate bene: i due facevano una bella vita, togliendosi parecchi sfizi, poi, però, quando l’impresa di import export di Matteo aveva avuto le prime battute a vuoto, erano iniziati i guai.
Insomma Matteo era pieno di debiti e, più passava il tempo, e più la situazione si faceva critica.
Stefania in genere non si interessava degli affari del marito, ma quando una sera, disperato, Matteo le aveva detto che, se non trovava 150.000 ‘ nel giro di una settimana erano rovinati, a Stefania era crollato il mondo addosso.
Era una cifra grossa, pensò lei, e non aveva idea di chi potesse prestargliela, poi le era balenata la soluzione.
Il notaio.
Lei lavorava da diversi anni presso il più importante notaio della città, una persona ricca ed influente. Se avesse messo una buona parola, suo marito, avrebbe potuto avere un prestito.
Quando glie ne parlò, lui si mostrò disponibile, e chiese un paio di giorni di tempo per risolvere il problema.
‘Stefania, mi spiace, ma non è così semplice’, le disse quando, passato il tempo che aveva chiesto, la fece accomodare nella sua stanza, ‘se devo essere sincero, suo marito è praticamente rovinato, sull’orlo del fallimento. Ha ipotecato tutto l’ipotecabile e nessuna banca sarebbe disposta a prestargli un centesimo, neanche con il mio intervento.’
La donna si era quasi accasciata sulla sedia, annichilita dalle dure parole del notaio.
‘Però’, e qui Stefania si risollevò speranzosa, ‘una soluzione ci sarebbe: il prestito lo potrei fare io di persona.’
Stefania si profuse in ringraziamenti, ma il notaio la fermò.
‘Stefania, lo faccio solo per lei, perché la conosco da anni, ma le ricordo che, anche se i soldi dovrà tirarli fuori suo marito, l’impegno lo prenderò direttamente con lei.
Le presterò 150.000 ‘, che lei dovrà restituirmi a rate mensili di 5.000 ‘, con un tasso del 10%.
E’ una condizione molto vantaggiosa, specie considerando che l’unica garanzia è la sua persona.
Stefania aveva accettato subito, senza neanche pensarci, e non aveva dato troppo peso alle parole del notaio.
Il marito aveva pagato puntualmente le prime tre rate, poi era successo il patatrac.
Una brutta mattina, all’alba, la finanza aveva fatto irruzione in casa loro.
Se ne erano andati dopo ore di perquisizione, portandosi via una decina di scatolini pieni di documenti e Matteo in manette.

‘Mi dispiace, ma questo mese non so proprio come pagarle la rata.’
‘Stefania, lei ricorderà certamente quali fossero i patti tra di noi. Nel caso di inadempienze, avrei comunque ritenuto lei responsabile.’
‘Sì, certo, lo so, ma non è colpa mia. Potrei pagarla usando il mio stipendio, dilazionando la cifra …’
‘Mia cara Stefania, lei guadagna 1.400 ‘ al mese e tra un po’ dovrà anche pagarsi un affitto, visto che la casa in cui vive finirà all’asta. Più che una dilazione, dovrei farle un mutuo trentennale, e questo non è possibile.
Però una soluzione ci sarebbe. Se alla chiusura dello studio viene con me, le farò una proposta interessante.’

‘Che ne pensa, della casa?’
Si trattava di un appartamento piccolo, composto da un minuscolo soggiorno con angolo cottura e da una stanza da letto, con annesso bagno.
Era arredato in maniera anonima, ad eccezione della stanza da letto, che aveva un’aria vagamente eccessiva e pacchiana.
Non riusciva ad intuire per quale motivo le stesse mostrando quest’appartamento.
‘Lei, signora Stefania, è una donna attraente, particolarmente attraente, e lo resterà ancora per qualche anno, sicuramente il tempo necessario a saldare il debito con me.’
Un campanello d’allarme si era acceso nella mente di Stefania.
‘Lei potrebbe trasferirsi qui, visto anche che dovrà lasciare la casa in cui abita ora e, dopo il lavoro a studio, potrebbe arrotondare, lei mi capisce, vero?’
Era allibita.
‘Cosa? Io ‘ con lei ‘?’
‘Ma no, cosa ha capito, io non sono interessato ad una amante a pagamento. Potrebbe ricevere, dopo l’orario di lavoro, alcuni clienti dello studio. Quanti anni ha, Stefania?’
‘Quarantadue ‘ ma …’
‘Se li porta molto bene, diversi uomini che frequentano lo studio potrebbero essere interessati …’
‘Ma insomma, è impazzito? Ma sta proponendo di prostituirmi …’
Era scappata dall’appartamento in cui il notaio l’aveva condotta, sbattendo la porta.
Era così fuori di sé che, quando era uscita dal portone, non aveva visto i due uomini sul marciapiede e si era scontrata con il più grosso dei due, un nero enorme, con dei bicipiti spropositati, che non si era spostato di un millimetro, quando lei gli era piombata addosso.
Neanche il tempo di respirare e si era trovata in macchina con i due. Il tipo pelato con gli occhi grigi si era messo al volante, mentre il nero si era seduto dietro con lei, e la teneva ferma.
Per tutto il tempo del tragitto si divertì a palpeggiarla, infilando le mani sotto la gonna per carezzarle le cosce.
Quando l’auto si fermò, stava facendo notte. La fecero scendere in una radura, in lontananza si vedevano dei grandi pini.
Il pelato, che dall’aspetto sembrava uno slavo, si piazzò di fronte a lei, mentre il negro si mise alle spalle di Stefania.
‘Inginocchiati e succhiamelo’, le disse come se fosse la cosa più normale del mondo.
Si era aperto i pantaloni e lei vide con orrore il pene che iniziava ad inturgidirsi.
Lei istintivamente gridò e cercò di scappare, ma il negro, alle sue spalle la immobilizzò.
Lo schiaffo la colpì in pieno viso, rapido, improvviso e pesante.
Rimase a bocca aperta, stordita dal dolore, impossibilitata a reagire.
Arrivò il secondo, il terzo ‘
Quando smise di colpirla, Stefania, con gli occhi annebbiati dalle lacrime, intravide a malapena le mani dell’uomo che si avvicinavano. Le sbottonò la giacca del tailleur, poi le prese la camicetta per il colletto.
Quando tirò forte, di colpo, i bottoni saltarono via e lei rimase con indosso solo il reggiseno.
Il negro, da dietro, la teneva per le braccia.
Fece scivolare verso l’alto il reggiseno e le prese i capezzoli stringendoli forte tra pollice ed indice.
Stefania gridò per il dolore e lui, per tutta risposta, strinse più forte.
Dopo qualche secondo, senza allentare la presa, iniziò a torcerle i capezzoli.
Ormai non aveva più neanche il fiato per gridare e, quando la tirò verso il basso, Stefania lo assecondò, sbattendo le ginocchia in terra.
Ora il pene dello slavo era completamente eretto e vicinissimo al viso della donna.
La tirò lentamente, sempre tenendola per i capezzoli, fino a portare la punta a contatto delle labbra di lei.
‘Su da brava, troia, apri la boccuccia.’ Gli bastò aumentare per un attimo la presa sui capezzoli, per farle spalancare le labbra e lei si ritrovò la bocca completamente riempita.
Le sembrò durare un’infinità. Lui le dava gli ordini e lui doveva ubbidire. Ora doveva leccarlo, ora succhiarlo, mentre lo sentiva farsi più grande e più duro.
Quando finalmente terminò, inondandole la bocca di sperma, Stefania si accorse di avere le calze rotte e le ginocchia escoriate dal lungo contatto con il terriccio ed i sassi della pineta.
‘Tirati su troia, che non abbiamo ancora finito.’
La prese nuovamente per i capezzoli e la costrinse a rialzarsi, mentre il negro le ordinava di allargare le gambe.
Sentì le mani enormi dell’uomo che le sollevavano la gonna.
Le abbassò calze e mutandine.
‘Ha un gran bel culo, la troia, che ne dici pelato?’
‘Vaffanculo, bingo bongo, non chiamarmi pelato.’
‘Vaffanculo, te, se mi chiami un’altra volta bingo bongo, ti rompo il culo.’
‘Dai, sta’ buono, pensa piuttosto a romperlo a questa troia.’
Quando Stefania sentì qualcosa di duro che le forzava l’ano, capì cosa avesse intenzione di fare e iniziò a gridare.
‘Sta ferma, stronza, ci ho ficcato solo un dito e fai già tutte ‘ste storie.’
Il dito si mosse a lungo forzando lo sfintere e, quando pensò che potesse bastare, il negro lo sostituì con qualcos’altro.
Andò meno peggio del previsto, certo faceva male, ma sembrava che il suo corpo si stesse abituando e poi l’altro, dopo averle tormentato a lungo i seni, ora sembrava quasi volerglieli carezzare. Con il palmo della mano, che si muoveva in circolo, le stuzzicava dolcemente i capezzoli, gonfi ed irritati dal duro trattamento che le aveva praticato prima.
Il negro, con un ultima spinta, più forte delle altre, le venne dentro, poi lo estrasse di colpo e la mandò per terra, con una ginocchiata sul sedere.
‘Alzati e spogliati, troia, ‘che ti devi cambiare.’
Stefania ubbidì e si tolse i vestiti.
‘Tutto.’
Vennero via anche mutandine e reggiseno. Aveva freddo ed era piena di dolori, ma doveva starsene nuda davanti a due uomini che l’avevano appena violentata.
Cominciarono a toccarla dappertutto.
‘Guarda che bella fichetta,’ disse lo slavo, carezzandole i peli del pube, ‘scommetto che la lava e la stira tutte le mattine.’
‘Mi sa che domani mattina, anche se se la stirerà dieci volte, rimarranno un bel po’ di pieghe’, disse l’altro, e poi presero a sghignazzare tutti e due.
Le diedero degli altri vestiti e Stefania fu costretta ad indossare una maglietta attillatissima e scollata, che mostrava quasi completamente i suoi seni abbondanti, ed una gonna cortissima che le copriva appena il sedere.
Sotto nulla, la biancheria intima non le sarebbe servita, per quello che doveva fare. Per completare, un paio di scarpe dal tacco altissimo, ed una borsa a tracolla, in cui ficcarono una manciata di preservativi.
La strada era lontana un centinaio di metri e, durante il tragitto le spiegarono cosa doveva fare, quanto chiedere, ecc ‘
Superato l’ultimo cespuglio si trovarono davanti la strada asfaltata, dove passavano veloci le macchine.
La via non era illuminata e in lontananza si intravedevano delle figure femminili.
Quella più vicina sembrava una negra alta e grassa, con degli improbabili stivali bianchi che le arrivavano fino a metà coscia.
Improvvisamente si accorse di essere sola, ma sapeva che si trattava solo di una impressione, perché sicuramente erano nascosti nelle vicinanze, per controllarla.
La macchina si fermò ad una passo da lei.
Il conducente dovette ripetere la domanda tre volte, perché Stefania era frastornata.
Il prezzo gli stava bene e la fece salire.
‘Dove andiamo?’
Gli fece cenno di entrare nella pineta. A pochi metri dalla strada c’era una piazzola riparata, che i due le avevano mostrato prima.
Si sistemarono sul divano posteriore e a Stefania bastò allargare le gambe, perché la gonna era così corta che non era necessario sollevarla.
Scopata breve. l’uomo grugniva soddisfatto mentre la sbatteva forte sul sedile dell’auto.
Venne quasi subito dopo averle arrotolato la maglietta per toccarle i seni.
Stefania aveva i capezzoli rossi e gonfi per quello che le aveva fatto lo slavo, ma lui interpretò questa cosa come una sua particolare eccitazione.
Tempo dieci minuti ed era già finito tutto. Lei era sola, nella pineta, con una banconota in mano, appena guadagnata vendendo il suo corpo.
Tornò sulla strada e riguadagnò la sua posizione. Era stanca, indolenzita ed aveva fame, perché non aveva neanche cenato.
Si avvicinò il negro.
‘Allora, hai visto che non è difficile.’
‘Per favore, fatemi tornare a casa.’
‘A casa? Ma stai scherzando? Hai appena cominciato.’
La tennero lì tutta la notte. Lunghe attese in piedi al freddo, e brevi intermezzi al caldo semi sdraiata in una macchina.
Quando dissero che poteva bastare, stava facendo giorno.
La lasciarono davanti a casa sua, dopo averle tolto la borsa a tracolla con l’incasso.
Per fortuna le avevano dato un impermeabile che copriva il suo abbigliamento succinto ed inequivocabile, in mano teneva una busta di plastica con dentro i vestiti con cui era arrivata alla pineta.

Stefania era arrivata tardi al lavoro, ma il notaio non le aveva detto nulla. Era stanca, demoralizzata e piena di dolori, dopo quella notte terribile.
Quando stava per andarsene, l’aveva fatta chiamare.
‘Si metta pure comoda, Stefania.
Ha un’aria affaticata oggi’, e alla donna sembro di sentire una sfumatura beffarda nella voce di lui.
‘Ieri pomeriggio ha reagito male alla mia proposta, eppure, le posso assicurare, era la soluzione più semplice ai suoi problemi.
Le ricordo che lei ha un impegno sottoscritto con me e farò di tutto perché lo rispetti.
Sì, certo, tra di noi non c’è nulla di scritto, però lei sa quanto io sia importante ed influente in città. Se lei non mi verserà 5.000 ‘ al mese, fino al saldo del suo debito, sarò costretto a licenziarla, e non credo che lei possa trovare un altro lavoro in città, in ogni caso, se pure lo trovasse, ma ne dubito, non le darebbero certo una simile cifra.
Quindi, una donna come lei, nelle sue condizioni, per portare a casa 5.000 ‘ al mese, oltre al necessario per mantenersi, deve necessariamente vendere il suo corpo.
Lei è ancora relativamente giovane ed ha anche un bel corpo, se accetta la mia proposta, risolverà in un colpo i suoi guai economici ed il problema della casa, visto che a breve dovrà lasciare quella in cui vive.
Questa è la chiave dell’appartamento. La prenda, è la scelta migliore che lei possa fare.
Non le farò nuovamente una proposta simile, se lei rifiuta, potrebbe trovarsi comunque costretta a pagarmi vendendo il suo corpo, ma a condizioni molto peggiori.’
Stefania osservò il mazzo di chiavi, posato sulla scrivania di radica, a metà strada tra loro due.
Il notaio ora teneva in mano una busta.
Conteneva delle banconote di piccolo taglio.
Le dispose sulla scrivania a ventaglio, come se fossero carte da gioco, disposte per un solitario.
‘Questo è quanto può guadagnare una donna come lei, che vende il suo corpo per strada, detratto il compenso per chi la protegge, o meglio, la sfrutta.
è molto poco, come potrà notare, a fronte, le assicuro, di una fatica, un disagio ed un degrado, che una donna come lei, che ha sempre avuto una vita agiata, non potrebbe immaginare neanche lontanamente.
Se dovesse trovarsi ad imboccare questa strada, per raggranellare 5.000 ‘ al mese, ammesso di riuscirci, dovrebbe lavorare tutte le notti, senza sosta, per anni.
Ci pensi bene, Stefania.’

Il notaio uscì dalla stanza e la lasciò sola.
Stefania rimase a lungo pensierosa, poi, nel momento in cui si materializzava nella sua mente l’immagine dello slavo che le strizzava i capezzoli, mentre il negro la sodomizzava brutalmente, raccolse le chiavi ed uscì.
Si voltò un paio di volte per vedere su il negro e lo slavo la stessero seguendo, ma pensò che aveva accettato, aveva preso le chiavi e non le sarebbe accaduto più nulla del genere.
Mentre camminava per strada squillò il cellulare.
‘Buonasera, signora Stefania. Un amico comune mi ha detto che potrei venirla a trovare.
Va bene alle 19?’
Guardò l’orologio. Aveva bisogno di più tempo per prepararsi.
‘Facciamo le 19 e 30 se non le dispiace.’
‘Va bene. Sarò puntuale. Arrivederci.’

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