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Racconti di DominazioneTrio

IL CIRCOLO DEI ” BASTARD”

By 25 Ottobre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Ricevo spesso commenti su quello che scrivo. Sono un dilettante anche se lo scrivere ha fatto parte della mia professione. Negativi che siano o positivi, mi piace riceverli, cerco di esaminarli spassionatamente e spesso li trovo utili.
Mi ha meravigliato però ricevere da un mittente anonimo un grosso pacco di fogli perchè ‘lo mettessi a posto per metterlo poi su internet’. La cosa mi ha creato qualche problema di coscienza, di tempo e di fatica. Non è lungo quanto Guerra e Pace ma l’autore non scrive proprio come l’Alessandro Manzoni. Dico l’ Autore, ma probabilmente dovrei dire gli Autori e le Autrici. Certamente le mani sono tante ed alcune, delicate mani femminili.
Mi sono però appassionato alle diverse vicende ed ho passato l’estate a decifrare i fogli, dattiloscritti quando non sono persino scritti a penna o a matita.

La lettera d’accompagnamento mi dava qualche indicazione per modificare alcuni nomi, luoghi e fatti che avrebbero potuto, ma è improbabile, far capire di chi si parli. Bastard poi, non è l’aggettivo inglese ma quello lombardo per l’italianissimo ‘bastardo’. Per questo ho cambiato il titolo in Circolo dei Bastardi. Un circolo in cui si incontrano a pranzo uomini e donne soli che hanno incontrato almeno una volta nella vita un ‘bastardo’ e lo raccontano. Talvolta, anzi spesso, raccontano situazioni da cui emerge che pure alcuni di loro, almeno una volta, sono stati dei gran…

La sala in cui stanno finendo di pranzare ha conosciuto tempi migliori. E’ stata pulita ma i tappeti sono logori, tendoni, mobili, il tovagliato andrebbero sostituiti ed il parquet sconnesso ha fatto cadere a terra in quegli anni più di uno degli ospiti. Sono i resti di uno splendore scomparso, come i bei calici in cui ora viene versato del vino dolce.
Siamo pochi ormai, dice uno dei commensali guardandosi intorno, prima o poi dovremo usare la sala piccola. Ma riunirsi nell’altra sala, più piccola, sarebbe stato un gesto di resa al tempo, che voleva, che tutti loro volevano rinviare ancora. Tocca a lei, signora Piera, cominci pure, non sia timida.
Tutti la guardano; la signora Piera si sente imbarazzata non poco ma è da un anno che partecipa ai pranzi del martedì. Per un anno ha solo ascoltato, ora deve parlare. Suvvia, Piera, che sarà mai! La sua vecchia amica le sorride e le sorridono tutti gli altri. Sapeva d’altronde che accettando di entrare a far parte di quell’inusitato Circolo, dopo un anno sarebbe toccato a lei occupare la scena e raccontare di se stessa. Si poteva colorire con la fantasia il racconto, un poco almeno, ma il succo no. Barare è impossibile, si entra solo se almeno tre soci garantiscono per te, conoscendoti bene e da molto tempo. Le batte forte il cuore ed ha la bocca asciutta.
Guarda però con occhio fermo gli astanti che nel frattempo si sono messi comodi, la decisione l’ha presa da tempo, inspira profondamente e comincia.

Immaginate la nostra città molti anni fa, decine di anni fa; immaginate una giovane donna, un appartamento o meglio un salotto ben arredato, elegante, che non depone però a favore del padrone; un bel salotto molto in disordine. Un uomo la riceve in vestaglia e pantofole nonostante siano le undici di mattino ed avessero un appuntamento, ma non se ne scusa. Lei chiaramente ha dedicato del tempo per presentarsi al meglio: un abito adatto all’ora ed alla situazione, il trucco leggero e la pettinatura curata accentuano la sua avvenenza. E’ terribilmente giovane: poco più di una ventina d’anni, troppo pochi per essere sposata e nei guai. Lo guarda allibita ed offesa, sopratutto incredula che questo stia capitando a lei. Mi sta trattando, dice, come una…esita, vorrebbe dire puttana, ma non ha mai pronunciato quella parola se non tra compagne fidate e solo dopo essersi guardata attorno. Mi sta trattando come una donna da strada, mi propone… mi ricatta… Non trova le parole e le manca il fiato per proseguire. No signora. Lei mi chiede una cosa non da poco ed in cambio io ne chiedo un’altra. Ma io…io non ho mai. Tace, impossibile proseguire. Trema per l’ira più che per la vergogna, abbassa il capo per nascondere le lacrime che teme stiano per rigarle le gote. Non ha mai avuto un amante ovviamente ed ora…tutta colpa di suo marito, in quel momento vorrebbe ucciderlo e lei adesso deve metterci una pezza. Non vuole perdere la casa, la rendita che, se pure di molto ridotta, le consente di mantenere una parvenza dell’antico rango. E come vivrebbe? Se lo è chiesto cento volte in quei giorni. La moglie di uno in galera non la prendono neanche per lavare per terra. Chi pagherebbe le costose cure per sua madre, e poi sua sorella, Lucetta, deve finire gli studi ed è solo al ginnasio. Non se ne rende conto ma l’uomo, un giovane di pochi anni più anziano di lei, men che trentenne, è teso come una corda di violino ed imbarazzato quanto lei. Teme, ora che le ha detto cosa vuole, non solo un rifiuto ma anche una reazione violenta, grida ed insulti che nel silenzio del palazzo signorile desterebbero certo molta curiosità. Incrocia le braccia, la guarda…si rende conto che una parola di troppo potrebbe rovinare tutto, ma non riesce a trattenersi. Mi deve dare una risposta, adesso, se vuole che io possa fare quello che mi chiede. La voce è dura, incisiva. Non può vedere gli splendidi lineamenti del viso e gli occhi che tanto lo hanno colpito e fatto fantasticare, ma il corpo perfetto si: caviglie snelle e, se pur celate dalla gonna e dagli abiti, gambe lunghe e tornite, fianchi e vita armoniosi ed il seno proporzionato che tende un poco l’abito sul davanti. Non una di quelle donne prosperose che spopolano negli avanspettacoli dell’epoca ma una donna formosetta nei punti giusti ed al tempo stesso snella, elegante e colta. Volitiva, troppo volitiva forse. Una di quelle donne che si ammirano in silenzio, da lontano, invidiando chi l’ha e chi la avrà. La vestaglia cela il turgore della sua eccitazione. Lui la vuole da quando, qualche anno prima, sono stati presentati. Una presentazione senza seguito tranne un paio di incontri fortuiti e poche parole formalmente ineccepibili, almeno fino a qualche giorno prima. La vuole, la vuole a qualsiasi costo. No, pensa che non accetterà mai, non è possibile che una signora come lei accetti. La donna d’improvviso sembra riprendere vita, lo fissa. E, e quando dovrei…Non sa andare avanti, ma l’uomo esulta incredulo. Quando cosa? Il cuore gli scoppia in petto, accetta, perdio accetta. Non ne è certo del tutto ancora, teme di illudersi, di aver frainteso ma ci spera. Oppure ha proprio frainteso. Non ha frainteso e capisce di poter alzare la posta, certo, può pretendere di più forse molto di più ed allora gioca come il gatto col classico topolino. Se un attimo prima sarebbe stato felice di passare con la desiderabilissima signora Piera un’ora, adesso pensa di poter chiedere di più, si, molto di più. Quando dovrei, quando noi due…Per quanto tempo dovresti dire. Una settimana? si chiede l’uomo, no, un mese è meglio, poi di getto: finché lo vorrò io. Lei tace, non è possibile, risponde poi trasecolata, sono sposata, non posso andare e venire ed io poi… Lui la interrompe brusco. Tuo marito è un fanatico di speleologia, so tutto, Stanno per seppellirsi per sei mesi in un buco, nessun contatto con il mondo esterno, per un esperimento di medicina. Sarai la mia donna per i prossimi sei mesi per cominciare. E bada bene, ho detto la mia donna. Se ti chiamo alle due di notte tu vieni. Per tutto dipenderai da me e farai tutto quello che voglio, altrimenti verrai punita. Lei lo guarda ancor più allibita, quasi non può parlare, bofonchia appena e dopo non ricorda cosa volesse mai dire. Un ceffone la fa barcollare all’indietro. Spogliati voglio guardarti. Ma cosa vuole, una schiava? E’ una idea che per un attimo le traversa la mente ma non ha fiato e coraggio bastanti per dirlo, scuote solo la testa, forse per opporre un rifiuto o solo per snebbiarla. Un altro ceffone seguito da un manrovescio che la rintrona e lei comincia a slacciare gli abiti. Forse piange, di quel momento ha pochi ricordi confusi. Non pensa a nulla. Non c’è nulla cui pensare, non c’è nient’altro che possa salvarla, tutto ma che non si sappia, si dice disperata, persino quello pur di non perdere tutto, per non finire a fare la serva. Forse un attimo di esitazione, forse nel denudarsi non è stata abbastanza femminile come le aveva raccomandato ed un quarto colpo al viso toglie alla signora Piera ogni velleità di sottrarsi. Poi si trattiene persino dal portare le mani a coprire il pube ed i seni come l’istinto la porterebbe a fare. Chiude gli occhi, quelli si. Almeno non vedere, anche se le dà ben poco conforto e sollievo. Viene sospinta, senza durezza ora, fino sentire dietro di lei il cuoio del divano, la fa sedere sull’alto bracciolo. Stenditi all’indietro le dice e la guida. Tiene gli occhi serrati, ma anche così si vede stesa, ignobilmente oscena, nuda, la schiena sul cuoio fastidiosamente freddo, le cosce aperte al suo sguardo ed alle mani che scendendo dai fianchi arrivano al pube scendendo ancora un poco. Stai così. Apre un attimo gli occhi udendo un fruscio. Per quanto abbagliata dal riflesso del sole vede, capisce e trema ancora di più. Lui ha fatto cadere la vestaglia e sta sfilando il pigiama. Adesso no, implora, domani, per piacere, adesso no. Una sciocchezza si dirà qualche tempo dopo. La prima notte di matrimonio, seguendo l’unico consiglio in materia ricevuto dalla madre, aveva usata un po’ di vasellina. La prima penetrazione non era stata piacevole ma neppure troppo dolorosa e già le sere successive aveva visto che una goccia o poco più di unguento aiutava. L’introduzione e per qualche momento l’inizio del coito altrimenti le risultava ancora, due anni dopo il matrimonio, leggermente dolorosa. Vero è che suo marito non era stato troppo assiduo neppure in luna di miele e sempre meno assiduo con gran sollievo di lei, era stato in seguito. Lui, Giulio, l’Avvocato, mai era stato tanto eccitato. Alla fine del liceo, aveva osato proporsi ad una prostituta, per strada, dalla parte opposta della città. Compiuti diciotto anni, sia pur raramente, qualche scappata al casino, poi qualche ‘lavoratrice’: operaie e cameriere, una impiegata. Le compagne d’università o conoscenti o figlie di amici dei genitori? Ma neanche parlarne, scherziamo? Ora le carezza il sesso e sentendola rabbrividire capisce che è sua, che ormai le manca la forza ed il coraggio di opporsi. Si meraviglia anzi della arrendevolezza della sua preda. Dio, la sto violentando! Ma è bella, troppo bella, è bellissima. Lei sente che le schiude di più le gambe e…cosa mi sta facendo? Sente il glande di lui strusciare lungo la fessura, si stende sopra di lei e ne cerca la bocca che per un attimo tiene serrata, poi schiude le labbra, accoglie la lingua disgustosa. Lascia che la frughi a lungo, è sommersa dallo schifo ed è un sollievo sentire che si alza, molto meglio le palpi i seni e titilli od anche stringa di nuovo i capezzoli. E’ una cosa, un giocattolo, si, é un giocattolo. Le pare di essere anestetizzata. Lui ora è più calmo, più sicuro di sé. Questa qua è ancora asciutta. Una puttana al casino gli ha spiegato come fare: un bolo di saliva. Lei non capisce ma teme il dolore, si irrigidisce e lo sente premere, entrare con impeto eccessivo, e si morde il dorso della mano. Aspetta passivamente che lui si ‘accomodi’. Non finisce mai? Non sente però più dolore, appena fastidio, poi neppure fastidio, solo rabbia e paura per quello che saranno le prossime ore, anzi i prossimi mesi. Più tardi il taxi che la riporta a casa costeggia un palazzo che viene ricostruito. Le ferite della guerra stanno ormai scomparendo. Le sue ferite sa che non si rimargineranno mai. Ha ceduto alle insistenze di suo padre sposando appena dopo gli esami di maturità il figlio di un altro imprenditore. La madre non aveva difeso la figlia più di tanto. Era chiaramente un matrimonio di interesse. Quindici anni più della giovanissima moglie, un bell’uomo, laureato, unico erede di una fortuna discreta; inoltre, con l’unione delle famiglie e delle aziende il padre di lei si sarebbe salvato dal disastro imminente. I suoceri e suo padre erano morti in un incidente in macchina. Inetto anche in questo, suo marito si era fatto raggirare, era la rovina di tutto, e sua madre era in ospedale, in America, dove era successo l’incidente, lontana dall’Italia per delle cure che forse, soltanto forse, avrebbero potuto giovarle. Lei doveva salvare se stessa e sua madre e Lucetta. No, a nessun costo avrebbe fatto la serva. Sei mesi, doveva sopportare per sei mesi, evitando che persino si sospettasse di quel che le capitava. Salutò la portinaia, la pipelè come dicevano i vecchi milanesi e salì. Dio! Non aveva usato nessuna precauzione! Si alzò di scatto facendo uscire parecchia acqua dalla vasca ma ora non le interessava, aveva bene una cameriera! Per quanto tempo ancora non lo sapeva. Ma quello aveva fatto tutto senza l’aggeggio in gomma inventato e prodotto dal cavalier Goldoni di Bologna; con le compagne talvolta se ne bisbigliava ridendo. Ora non rideva. Il marito non l’aveva mai usato, normale che una donna sposata resti incinta. Ma se quello continuava così? Lei forse non poteva avere figli. Dopo qualche anno di matrimonio sua madre aveva accennato ad un medico specializzato, ma c’era stato l’incidente e tutto il resto. Prima di partire l’aveva fatta visitare dal solito dottore, e questi aveva dichiarato che lei era a posto. Lui, non voleva neppure per scherzo chiamarlo il suo amante, le aveva chiesto quando sarebbe stata di nuovo ammalata. Ammalata? Non mi sono spiegato bene. E’ chiaramente imbarazzato, quando avrai di nuovo il tuo ciclo insomma? Di questo certo non se ne parlava con estranei. Persino con amiche di vecchia data, al massimo e se necessario, si alludeva a dolori alla schiena od ‘ai soliti fastidi’. Lui però l’aveva appena posseduta, marchiandola quasi e, pur torcendosi per la vergogna, gli aveva spiegato che avrebbe dovuto iniziare tra uno o due giorni. In realtà ora nella vasca ne sentiva già le avvisaglie, qualche doloretto, forse il bagno caldo e prolungato aveva contribuito. Un lieve e normalissimo anticipo. Più tardi indicò alla serva cosa mettere in valigia al marito. Lui aveva già preparato e spedito vestiario ed attrezzatura da quindici giorni.
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Suona al campanello e Lui le apre. Ciao, entra; si è fatto da parte tendendo la mano come normalmente la educazione impone. Il fatto la meraviglia. Entra, accomodati, e le fa cenno con la mano. Oltre l’ingresso, a sinistra c’è il luogo dove una settimana prima la ha, ma si, dove ha fatto di lei la sua amante. La cosa è successa, lei è una donna che ha tradito il marito, troppo tardi per tornare indietro. Nota indifferente che indossa un abito normale e non come la volta precedente…ed il salotto è lindo ed ordinato. Non le importa più di tanto. Di nuovo si sente svuotata. Siede sul divano quando Lui le dice di farlo, accetta un caffè che un poco la ristora. Non ha dormito bene in quelle notti e non ha dormito affatto quella notte. Lui la guarda e non si meraviglia di vederla smunta e titubante. Neppure era certo di vederla tornare, ma non avrebbe parlato con nessuno… Tuo marito è partito? E tua madre e tua sorella, sei riuscita a telefonare, come sta? Mentre sorseggia il caffè Piera risponde a monosillabi. E’ stata ed ormai è, e sarà per molti mesi la sua amante. Si chiede se la prenderà sul divano, spera in un letto, farlo in un letto le sembrerà più normale, meno indecente. Lui invece sia pur brevemente e con tono asciutto le parla. Sono senza cameriera per qualche tempo, terrai in ordine la casa, cucinerai, insomma, le solite cose da donna. Lei non rispose e Lui se ne adombra. Bada, ci tengo molto alla cortesia ed alla forma, quindi rispondi! Si, certo, ho capito. Imparerai a conoscere i miei gusti, per ora ti dirò cosa voglio mangiare. Non era molto esigente, niente stranezze e Lei era una discreta cuoca. Per i lavori pesanti poteva rivolgersi alla portinaia che avrebbe anche lavato, stirato e fatta la spesa. Hai cominciato a prendere quella medicina come ti ho detto? Di nuovo lei annuisce ed ha pure il coraggio di chiedere di cosa si tratti. Serve a non farti fare figli. Un prodotto americano. La sperimentazione è finita ma in America sono lunghi in queste cose e la venderanno solo tra qualche anno. Qui da noi, probabilmente mai. Comunque ne devi prendere una tutti i giorni per ventiquattro giorni. Quando smetti torna tutto normale. Quando smetti il tuo ciclo ricomincia. Non devi saltare un giorno. Lei nota che persino Lui è in imbarazzo affrontando argomenti del genere. Adesso ti faccio vedere la casa, non è grande. Lei lo segue senza mostrare il tumulto che provava dentro. Era venuta con due valigie e se fosse servito altro, sarebbero andati a prenderlo…
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Lo accompagnò alla porta aiutandolo ad indossare il soprabito, si protese e lo baciò appoggiandosi un poco a Lui, come sapeva piacergli. All’una in punto cara. Un mese. Qualcosa più di un mese. Aveva aperta la seconda scatoletta di medicina. Non che le piacesse quella vita, ma aveva temuto fosse peggio. La sua giornata era piena ma certo non massacrante e la portinaia l’aiutava parecchio; sapeva tutto, ovviamente, ma non lo dava a vedere e la chiamava rispettosamente signora. Non c’era molta differenza tra adesso e prima, si disse, era la padrona di casa, no, si corresse, impossibile che la portiera sapesse del ricatto, solo che era la sua amante e che Lui era tanto geloso da chiedere i suoi servizi per non farla uscire di casa. Qualche differenza c’è. La prima settimana era stata un inferno. No, un inferno no ma neppure era stata una vita facile. Il letto era stata la cosa peggiore. Abituata al ‘dovere coniugale’ praticato una volta la settimana e neanche tutte le settimane, aveva pensato di essere caduta nelle mani di un maniaco sessuale. Talvolta la prendeva a mezzogiorno dopo aver mangiato in fretta. La sera era normale, tutte le sere o quasi; qualche sera doveva subirlo due volte e sia pur molto raramente, anche tre; in un paio di occasioni solo ma era successo…. Era ai preliminari che non era assolutamente preparata. Baci e carezze e toccamenti lunghissimi; la toccava tra le gambe, le carezzava i seni suggendone i capezzoli. Sopratutto dei preliminari la infastidivano i baci, l’intrusione della lingua. Aspettava poi, dopo l’atto, di essere certa che Lui dormisse, perchè altrimenti poteva sempre voler ricominciare e si recava in bagno a lavarsi. Tra le sue cose c’era una cannula per le irrigazioni. Non era certa che quelle pastiglie funzionassero ed aveva sempre mal sopportato l’idea di conservare dentro il suo corpo il seme dell’uomo, marito od ora amante che fosse. In pochi giorni la penetrazione non fu più dolorosa come all’inizio, poi neppure fastidiosa anche quando non aveva modo di ‘prepararsi’. Ad un certo punto, dire che provasse piacere era troppo, ma quando si era assentato per lavoro aveva atteso il suo ritorno…con ansia? No, ansia certamente no ma innervosita per essere sola. Avrebbe potuto portarmi con Lui. Mi sto abituando ad essere l’amante di un uomo, si disse. Certamente non se ne era innamorata, ma perchè allora era così tesa quando tardava e ne spiava l’arrivo dalla finestra? Perché dopo qualche tempo arrossiva di gioia ad un complimento e si disperava se, avendo da fare qualche lavoro per l’indomani, Lui badava al lavoro e non a Lei. Mentre Piera si perdeva in questi pensieri, dandosi della pazza, l’avvocato, nel traffico del centro pensava alla sua donna. Aveva notato con piacere la sua trasformazione ed ora ne spiava i progressi con interesse e piacere crescente. All’inizio fredda, fastidiosamente inerte quando facevano l’amore, poi, un poco per volta, partecipe sempre di più. Che cavolo di uomo era mai il marito? Da qualche tempo, e la sera prima la cosa era stata del tutto manifesto, si tratteneva dal mostrare che fare l’amore non le spiacesse del tutto. Quando l’aveva presa si era bagnata, in quello era ancora lenta, ma aveva sollevato il bacino per facilitarlo, per farsi prendere meglio, istintivamente, ne era certo, ma l’aveva fatto. L’idea che l’avesse fatto istintivamente, senza accorgersene anzi, lo soddisfaceva molto. Rispondeva ai baci, aveva anzi imparato abbastanza in fretta a risponder sia pur con una qualche ritrosia ai suoi baci. Non rabbrividiva più alla minima carezza, forse si irrigidiva un poco quando la carezzava tra le gambe per stimolarla, prepararla.
A casa Piera era a sua volta presa dagli avvenimenti di quelle quattro settimane. Possibile si stesse innamorando? Che lui la desiderasse e la amasse era certo. Bé, quasi certo, no, era proprio innamorato, di sicuro. Certe cose, certi segni, erano inequivocabili anche per chi, come lei dell’amore sapeva poco o nulla oltre quel che aveva letto nei romanzetti di Liala di sua madre. C’è il desiderio costante del suo corpo che all’inizio l’aveva sconvolta; spesso accadeva, nel poco tempo che trascorrevano insieme in casa ma fuori dalla camera da letto, che la raggiungesse, in cucina, ovunque lei fosse e stesse a lungo a guardala mentre sfaccendava. Ormai le sorrideva spesso, quasi tutte le volte che si incrociavano in casa e talvolta la stringeva baciandola, un bacio sulle gote, leggerissimo come il batter d’ali di una farfalla od un lungo bacio alla francese, il bacio di un uomo innamorato e delicato od il bacio di un uomo famelico, voglioso, baci che ancora adesso, un poco la infastidiva. Forse non la infastidivano ma certo la turbavano. La sera prima Lui lavorava suoi documenti e Piera agucchiava su un suo reggiseno che si intestardiva a non voler gettare. Alzò gli occhi e nel vederne il profilo aveva sorriso. E non era la prima volta. Era amore quello di Lui o la normale reazione di un uomo giovane ed in salute che dispone di una donna a suo piacimento? Sa di essere bella. La cosa, l’amore di Lui poteva farle gioco? No, in nessun modo poteva trarne qualche vantaggio. Cinque mesi ancora e poi, e poi non lo sapeva. Aver provato a sondarlo era stato inutile. Certo la signora Piera non era innamorata dell’Avvocato che vedeva ancora come il babau dell’infanzia. Come innamorarsi di un uomo che ti ha ricattata per averti, per poi farti spogliare e sospinta su quel divano a schiaffi per violentarti? La prima di molte volte ormai con un uomo diverso dal marito. Non amava neppure quello, ma…era diverso. Il suo amante pur pretendendo tutto e molto spesso, tutto poi? Niente più di quello che gli uomini pretendono sempre dalle loro donne. Forse solo più spesso. Nei rari momenti di confidenza tra donne sposate, tutte più vecchie di lei, aveva ascoltato il racconto, sempre riferito ad assenti, di donne tradite e di donne che ben raramente venivano cercate in quel modo dai mariti. Le commiseravano in genere. Lei aveva un amante assiduo, anche troppo assiduo che era anche divenuto cortese. Spesso uscivano a cena, andando in locali fuori mano ma graziosi, dove era improbabile fare incontri sgraditi. Spesso, dopo aver fatto l’amore, parlavano a lungo, di tutto e di niente. Lui si stava interessando di sua mamma e di Lucetta. Parlava poco, aveva pudore, a parlare della mamma. Le speranze erano poche ma c’erano, le aveva detto il giorno prima. L’importante è che nei momenti di lucidità sia convinta di guarire. Per Lucetta un collegio, chissà. Oppure continuerà la scuola li sulla costa dl Pacifico. In quel momento l’aveva, si un poco l’aveva amato. Non devi innamorartene . Non puoi, non devi, sei una donna sposata. Dall’odio del primo momento era subito passata all’indifferenza e poi. Si, e poi. Non puoi amarlo, si diceva. Hai un marito. Si, ho un marito ma è…e poi ho un amante ed ho dei doveri anche verso di lui, ho preso degli impegni. Sta salvando la mia famiglia. In quel momento, nei suoi pensieri, nella famiglia non c’era molto posto per il coniuge. Forse per la prima volta, la sera precedente, nel sentire l’amante farsi accosto, nel sentire le mani di lui cercare il suo corpo e carezzarne le pieghe più riposte, provò piacere; e piacere, nella mente soltanto però, provò nel sentirlo ansimare mentre la possedeva, ed ancor più gioì nell’ascoltare le frasi di Lui, dopo. Ti amo, le aveva detto. Non ho mai avuto una donna come te. Ti desidero e ti amo. La volle di nuovo, poco dopo, e lei non se ne dispiacque. Mentre lui dormiva e lei era quasi assopita, si diede della donnaccia: aveva lasciato che l’eredità di Eva prendesse il sopravvento sulla educazione che le era stata inculcata ben a fondo. Non succederà più, giurò a se stessa, ma temeva che non sarebbe stato facile mantenere quel giuramento. Si arrese la sera seguente. Ti amo si sentì mormorare piano all’orecchio. E tu? La signora Piera, scomparve e la giovane donna innamorata, pur senza pronunciare le parole che urgevano, si strinse a Lui cercandone la bocca per la prima volta.
Un altro mese è passato. Un mese che ricorderà per tutta la vita, e certamente come il più bello della sua vita. Lo ama e Lui la ama. Questa è l’unica cosa che conta, pensa, almeno per ora, e non vuole guardare avanti. E’ felice, ed è felice nel tenere la sua casa e le cose di Lui sempre linde ed ordinate, di scoprire e preparare sempre nuove ricette di suo gusto. La gioia di esistere, di essere amata e di amarlo si accresce di giorno in giorno. Una sola cosa gli tiene segreta: i lavacri ai quali si sottopone dopo aver fatto l’amore; c’è dell’altro di cui non parla cercando anzi di scacciarlo dai suoi pensieri. Una nube minacciosa, cupa ed orribile che la opprime: suo marito tornerà, cosa succederà, come farà allora? Per il resto non ha più pudori o segreti, solo timidezze, alle cui manifestazioni Lui ride. Continuano a non frequentare nessuno se non una coppia, fratello e sorella che vengono talvolta a cena. Lei è l’amante dell’avvocato ma si sente di nuovo la signora, la padrona di casa e fa bella figura. Di dieci anni più vecchio del suo amante, lui, il dottore, va verso i quaranta, di qualche anno maggiore lei, la sorella, sui quarantacinque. Sono amici di vecchia data del suo amante. Preferisce dire così, piuttosto che uomo od amico. Sai, amore, è stato il dottore a portarmi al casino per la prima volta.
La tavola è pronta, elegante, la casa potrebbe superare il controllo severo, inesorabile anzi, di sua madre. Quel pomeriggio i medici in America dove è mattino, hanno svegliata sua mamma e Lei era a casa, nell’altra casa. Che pasticcio ormai chiama casa questa casa dove vive col suo amante. Era nella vecchia casa per la telefonata. Una lunga conversazione con Lucetta e con il medico che parla un poco l’italiano, poi di nuovo con Lucetta. La voce di sua madre, quando le parlò, era un poco strana, come sempre quando veniva svegliata dal sonno indotto dai farmaci. Aveva rassicurata la figlia. Sto meglio, sto bene. Adesso basta, era la sorella, non deve stancarsi troppo, sembra migliorare almeno un poco per volta. La signora Piera respira a fondo. Ci crede solo fino ad un certo punto, ma vuole crederci. Un nuovo giro in cucina, fa quello che deve fare e torna in sala per poi raggiungere Lui in bagno. Si sta radendo. Le vecchie usanze della buona educazione sono rispettate. Lei bussa e chiede permesso per entrare nel bagno quando sa o solo sospetta possa essere occupato, altrettanto ovviamente fa Lui. Mi farei il bagno. Ma certo cara, un attimo solo.
Sono passati pochi giorni soltanto e la signora Piera siede su una poltroncina in una stanza sconosciuta. Ha i polsi legati da un cordone grosso di fili di seta rossa intrecciati. E’ quasi l’unica cosa che vede sotto gli occhiali da cieca che le hanno fatto indossare. Potrebbe liberarsi del legame, facilmente anche, il nodo è a ciocca, le basterebbe portare i polsi alla bocca e tirare uno degli estremi liberi. Ma cosa allora ci sarei venuta a fare fin qui. Ha paura? Si un poco. No, ha molta paura. Paura di non essere forte abbastanza da superare la prova, da demeritare agli occhi di Lui. Ha paura, dalla sera della cena; dopo l’aperitivo con gli ospiti ed il suo amante, era tornata in cucina; non voleva correre il rischio di rovinare tutta la cena per un momento di disattenzione. La signora Erminia che con suo stupore l’aveva seguita, le aveva spiegato che Lui la amava ma temeva che anche a lui toccasse quanto successo ad altri innamorati di belle donne. L’oggetto del loro amore, poco o molto tempo dopo, li avevano lasciati, distruggendoli e talvolta ridicolizzandoli. Ha chiesto il mio parere ed io lo ho fornito: metterti alla prova. Le aveva imposto un giuramento per il quale, se avesse rifiutata la prova, entrambe avrebbero finto che la signora non avesse parlato. Da un paio di anni girava in certi ambienti un romanzo, anzi un brogliaccio più che un romanzo, non a stampa, ciclostilato soltanto ed in diverse versioni, con titoli diversi anche se spesso simili. A Milano inoltre esisteva un Circolo frequentato da uomini almeno abbienti in cui portavano le loro amanti perchè fossero istruite e divenissero amanti migliori, ubbidienti ed abili. Un circolo piuttosto squallido ed in declino. I Soci avevano deciso di imitare alcune delle idee trovate nel romanzo, mitigandone in parte la durezza. Esservi rinchiuse per qualche tempo però era una prova spaventosa che solo un amore immenso rendeva sopportabile. Ho nascosto la copia del romanzo nel tuo cesto da lavoro. Leggilo, domani mi assenterò, vado via per qualche giorno. Al ritorno ti chiamo a metà mattina e mi dai una risposta, definitiva, o si o no. Lui ovviamente continuerà a provvedere alle cure di tua madre ed agli studi di tua sorella. Farà anche in modo che tuo marito scompaia dalla tua vita, anzi, dall’Italia. Lo può fare e ti terrà per sempre con lui. Ti ama teneramente, ti ama da morire. Se risponderai di no, dirò di non aver osato proportelo e tu non ne parlerai mai, anzi se mai ne parlasse lui, anche in futuro, fingerai di non saperne niente. Aveva ripetuto il giuramento. Il suo amante non era un bevitore pur amando il vino di qualità. Quella sera un bicchiere di troppo l’aveva reso propenso più al sonno che ai piaceri del cuscino, e Piera aveva in tre ore, in bagno, unico luogo sicuro, letto d’un fiato e sempre più inorridita la storia della giovane Ortensia e delle sevizie che aveva sopportato per un amante che la fa frustare e prostituire, per poi darla al fratellastro. Come sempre, dinnanzi ad un problema, Piera cercava di ragionare, ma cosa si poteva dire di una cosa del genere? Certo il suo amante non avrebbe permesso che le accadessero fatti così osceni e terribili, che altri uomini la battessero, per poi possederla. Mai più. I Soci però avevano solo preso degli spunti, mitigandone la durezza. Certo Lui non conosceva i contenuti, le oscenità di quel libello. Avevano fatto colazione al solito insieme e la donna aveva cercato, riuscendoci, di apparire come sempre allegra, affettuosa ed innamorata. Ora era qui, dopo giorni di ansia e dolci effusioni, dopo giorni di ripensamenti di entrambi: a volte era Lui a chiedere se fosse sicura di volerlo fare. Qualche volta era lei ad esternare i suoi timori: sul serio mi amerai ancora dopo che sarò stata ospite li dentro? Non aveva mai osato dire: dopo che altri mi avranno avuta. Ora era qui. Una presenza. La aiuto ad alzarsi signorina. Guidata dallo sconosciuto supera una porta e vien fatta sedere, poi l’uomo lascia la stanza. Continui a tenere gli occhiali, signorina, dice una voce diversa, e lei avvocato si accomodi. Non aveva intuitola sua presenza. La signorina verrà messa a conoscenza di alcune regole del Circolo, comprese le limitazioni ai suoi movimenti e le punizioni alle quali andrà soggetta nel caso… a nostro insindacabile giudizio…per questo periodo, se anche lo chiedesse, non verrebbe liberata, ne, lei stesso avvocato, potrebbe chiedere di liberarla, o meglio non lo otterrebbe. Vorrei che entrambe ne discuteste per qualche minuto liberamente, io mi assento. Al mio ritorno signorina, se accettate entrambe, mi firmerà un documento in cui è riportato quanto testé detto. Possiamo ancora rifiutare? Certo avvocato, ma come sa, perderebbe la somma non piccola che ha già versata. Sono soli ora ed il suo amante le toglie gli occhiali e la fissa, la fissa negli occhi, pallido, una goccia di sudore gli pende dal naso, mai l’ha visto così turbato. Tesa e turbata è pure la signora Piera, le gambe stanno tradendola e per non cadere si appoggia al suo amante, lo stringe, ed è questa forse la sua rovina. Tra le braccia dell’amante, come sempre è al sicuro, protetta da qualsiasi pericolo, nulla la può toccare, farle del male. Puoi fare una cosa del genere? Per te si, risponde la donna, persino questo, se lo desideri. Si baciano quasi con disperazione e Piera intuisce che la decisione è presa. E’ lui a stringerla ed a baciarla teneramente. Per te, prosegue Piera, per avere il tuo amore, la tua fiducia, perchè sono tua, voglio essere tua per sempre. Ed in quei brevi momenti esulta ed è fiera e certa di quel che ha sommessamente dichiarato. Sopporterà tutto, in silenzio, senza una lamentela e senza vergogna. Più tardi, di nuovo resa temporaneamente incapace di vedere, viene condotta via, Porte che vengono aperte e chiuse a chiave, quattro rampe di scale, il secondo piano, altre porte aperte con le chiavi e richiuse alle sue spalle. Non ha visto ancora niente e nessuno. Persino leggendo, attentamente come le è stato chiesto ,o meglio ordinato, come l’uomo ha tenuto a sottolineare, e poi firmando il documento, non ne ha potuto vedere il volto celato da una maschera. Portatela in camera sua. Può togliere gli occhiali. I polsi che erano stati di nuovo legati ora sono liberi, ma Piera aspetta che anche gli occhiale le vengano tolti. Seguici, dice una delle due donne, l’altra aggiunge: in silenzio. Dopo varie svolte sono arrivate. La camera è spaziosa ma un gran letto al centro ne occupa una buona parte. Una petineuse un divanetto con il tavolino basso, qualche sedia ed è tutto, a parte la finestra e tre porte. Una quella di ingresso, la seconda il bagno…Guarda le due donne, il loro abbigliamento. Indossano abiti diversi solo per il colore. Giallo la minore, più giovane forse di lei, rosso l’altra sui trent’anni. Sediamoci dice la più anziana. Qui, in camera possiamo parlare ora che sei appena arrivata e noi non siamo in servizio. Calca un poco la voce sull’ultima parola. Qui non ci sono regole, regole scritte ed una cosa al mattino può passare inosservata ed il pomeriggio farti avere una punizione. E’ la ragazza in giallo che parla. Tu taci sempre se non quando un Socio od un Servo ti fa una domanda. Ubbidisci subito e sempre ai Soci ed anche ai servi, inimicarteli non sarebbe un bene. Basta così cara, lo sai che non dobbiamo dire niente, interloquisce la donna vestita di rosso. Si alza, bisbiglia qualcosa all’altra ed esce. Ora sbrigati, spogliati che devi fare il bagno e prepararti per il pranzo. Non ti abbiamo chiesto come ti chiami e tu non lo chiederai a noi ne a nessuno. Ride. Il nostro nome lo indossiamo. L’altra si chiama Rossa ed io Gialla. Tu almeno per qualche tempo sarai Bianca e vestirai solo di bianco. Nonostante siano tra donne, Piera ha qualche pudore a spogliarsi e poi a lavarsi davanti ad una estranea. Gialla siede sullo sgabello e Piera capisce che attraverso lo spiraglio della porta socchiusa del bagno, tiene d’occhio le altre porte mentre fornisce qualche suggerimento. Non dire mai niente, mai, davanti a Soci, servi e ospiti, sopratutto davanti alle nostre compagne, le ospiti appunto. Tutte brave e buone ma…non si sa mai. In servizio possiamo parlare ma solo per rispondere, ed è ovvio, ai Soci o ai loro amici oppure per rispondere o dire qualcosa inerente al servizio, che so, sbarazza il tavolo, aggiungi legna nel camino, porta il caffè…taci sempre. Imparerai in fretta vedendo noi quando si può parlare e quando è meglio tacere. Il lavoro è più o meno tutto qui. Se ti puniscono, grida, non fare l’eroina. Sarebbero ancora più spietati. Si divertono a piegarti. Resisti però quel che serve a non sembrare vile. Le detestano le donne vili, le umiliano in tutti i modi, e vengono trattate peggio delle altre. Quando fu asciutta e profumata le fece indossare, togliendolo dalla porta che celava un armadio a muro, delle pantofole con poco tacco ed un abito simile al suo ma bianco. Non smette mai di parlare, altro che prudente silenzio pensa Piera. Chi ti ha portato qui, il tuo amante? La giovane non voleva inimicarsi l’altra e rispose assentendo col capo. Anch’io, ed è la seconda volta. Rosa invece qui quasi ci abita. Il marito è geloso e quando si assenta anche per poco la molla qui. La mettono a dieta, le fanno fare moto, ginnastica. Ride. Son poche a venire portate dal marito e per questo in genere si danno un mucchio di arie. Se resti incinta ti fanno abortire, ma è raro. Hanno metodi…zittisce, un attimo dopo la porta si apre in silenzio. L’uomo, vestito come un cameriere indossa sul viso una maschera che lo copre solo un poco. Su, signorine, dovete scendere. Di nuovo porte aperte e chiuse a chiave, corridoi a volte spaziosi e ben illuminati attraverso ampie finestre, a volte angusti passaggi quasi bui e la onnipresente passatoia scura, scale per giungere, al piano più sotto, ad una sala da pranzo. Tre commensali vestiti di nero, imparerà quel giorno stesso che è una specie di divisa, e tre ragazze, Rosa e Bluette, oltre lei. Uomini e donne sono indifferenti, od almeno sembrano indifferenti perchè si accorge che spesso i loro sguardi la seguono. Rabbrividisce imbarazzata e perchè no, impaurita. Verso la fine, già anzi alla frutta, uno dei tre, la indica dicendo qualcosa agli altri due commensali. Parlano di lei che se ne preoccupa. Eppure la…non capisce le altre parole ma teme di intuirle. Le ho detto che non si può e conoscete le regole. Non ha la medaglietta, insiste l’altro, quello che la vuole subito. Non serve con la veste delle novizie. La voce, la riconosce, forse, no è proprio lui, l’uomo del colloquio del mattino, che si alza e convince quello che la voleva, a seguirlo. Restano solo loro, le donne, le educande come ha sentito le chiamavano. Sbarazzano rapidamente, da un cassetto compare un pizzo che viene posto nel centro del tavolo. In un salotto splendidamente arredato serve, assieme alle altre, caffè e qualche liquore ai tre Soci che avevano servito a tavola ed a altri due. Indossano tutti una palandrana lunga fino alle ginocchia e pantaloni neri. Soci. Soci od Ospiti? Non nota nessuna differenza nel loro abbigliamento. Serve una bibita a quello che la voleva e che in pochi sorsi la finisce per poi alzarsi diretto ad una delle porte ampie, a due battenti. Prima però le si fa da presso, si ferma e la guarda fisso. Ci vediamo questa sera, le mormora, poi si allontana ed esce. Uno degli uomini si allontana seguito da Viola, poi, un altro con una ragazza vestita di nero, altera. Venga signorina, mi segua. Un servo la accompagna fino alla porta che si affaccia sulle scale. Le salga e vada in camera sua, sa arrivarci? Lei scuote il capo, temo di no. La faccio accompagnare. Poco dopo, badando a mandare a memoria il percorso, arriva alla camera. Riposi un paio d’ore. Poi verrà svegliata. Cenerà da sola e si preparerà. La chiamano quando si è già preparata . Non cena da sola, cenano in quattro ad un tavolo riccamente imbandito, e le portate, pur non abbondanti, sono variate e saporite. Vedendo le compagne parlare si rivolge alla vicina. Complimenti allo chef ed a chi ha preparato il tavolo. Nessuna risposta se non una strana occhiata da parte del servo che le controlla. Saprà solo l’indomani che quel servo insegna loro ad imbandire la tavola e la relativa etichetta: come disporre piatti, posate, bicchieri, segnaposto e centrotavola o candele. Più tardi, lavata dentro e fuori come una pupina, gli occhi coperti da una benda, percorre, guidata da due donne i corridoi e le scale che cominciano a esserle note. Viene introdotta in una sala, in cui percepisce immediatamente delle presenze. Qualche passo ed una voce maschile, sconosciuta, dice che va bene dov’è. Che ne dite. Bei capelli risponde un altra voce divertita, vorrei però vedere il resto. Piera invece vorrebbe morire, gridare anzi,ma sarebbe inutile e lo sa. Ti chiami Bianca, almeno questa sera poi vedremo. E’ la prima voce, è chiaro che inizia il suo martirio. Il mantello che la copre fin quasi ai piedi viene slacciato, le cade ai piedi. Sotto non indossa nulla o quasi. Una striscia di tulle le sostiene le mammelle, annodata dietro il collo. Viene sciolta e dopo qualche commento sul suo petto viene sciolto il nodo che trattiene la seconda striscia di tulle che vela appena il vello pubico. A parte la benda agli occhi non indossa più nulla. Piera è appena sfiorata dai commenti degli astanti e si meraviglia sentendo che per quanto lascivi sono molto meno volgari di quanto si aspettasse. I polsi sono ora liberi ed attende le venga tolta anche la benda. Scopriti gli occhi, da sola. Ubbidisce e per qualche attimo resta un poco abbacinata. Subito dopo, alzando lo sguardo riconosce una figura: Lui, Il suo amante è li, con lei . Ne è felice quasi significasse la salvezza pur sapendo che non è così. Non importa non è sola e tanto ne gioisce che frena a stento un sorriso. Lui è li con lei e ne condividerà le sofferenze e le pene. Una mezza dozzina di uomini intabarrati e mascherati siedono su poltroncine poste a semicerchio. Alcuni fumano, sui tavolinetti sono posati tazzine, bicchieri e posacenere. Pur ad occhi bassi come le è stato consigliato da Gialla, la giovane donna sente gli sguardi maschili, sconosciuti posati sul suo corpo ed è meno contenta della presenza del suo amante, le rinfaccerà in futuro tutto questo, la sua disponibilità? Hai avuto altri amanti prima dell’Avvocato? No, non credo, ma c’era il marito. E’ Lui che risponde. Caro amico, lasci che sia la sua donna a rispondere. E tu, bada, solo la verità. Al matrimonio sei arrivata vergine? Piera risponde a questa e alle altre domande superando la istintiva ritrosia, il naturale pudore. Questa è una scuola. Insegniamo alle donne ad essere donne due volte. Padrone di casa in grado di ricevere membri della migliore società facendo fare bella figura al loro uomo. Insegniamo loro tutto il possibile ed al meglio. L’arte della conversazione, musica, come vestire nelle diverse occasioni, che gioielli indossare, come essere civette se del caso ed entro che limiti, come essere amanti squisite, di volta in volta vergini e puttane. Necessariamente il sesso è importante, sopratutto al primo gradino, agli inizi, ed è importante imparare in fretta, molto in fretta. Per questo venite punite alla minima distrazione od errore. Le spiegano poi le virtù dello speciale scudiscio che viene normalmente usato. Non deturpa ed i suoi segni scompaiono in pochi giorni pur essendo sufficientemente doloroso. I primi colpi sono appunto sopportabili da chiunque, poi il dolore cresce. Un cenno e due compagne serrano polsi e caviglie con strisce di pelle morbida. Viene fatta arretrare e subito dopo si ritrova con i piedi ben distanti l’uno dall’altro e la braccia stese, appena un poco verso l’alto. Non dovresti gridare ma ti faremo gridare. Piera si era fatta forza per non opporsi e neppure mostrare timore, ora però ha molta paura ma ricorda le raccomandazioni dell’amica. Gli piace far gridare, è una sfida. Resisti, non essere vile. Non si è accorta di chiudere gli occhi ed il primo colpo la coglie di sorpresa. La donna si inarca ed un grido esce dalla sua bocca subito trattenuto. Riesce ad evitar di gridare anche ai colpi successivi, di cui ha perso il conto ma diventa difficile trattenersi. All’inizio sono punture di spillo soltanto, numerose e dolorose ma si può resistere, poi diventano centinaia di aghi roventi ad ogni sibilo di frusta. Poi, poi non resiste più, geme un poco e rantola, infine emettere un grido, un altro, sempre più forte, sempre più disperato. Qualcuno protesta. Non è il suo amante , è l’uomo che la voleva possedere nel pomeriggio, non gli interessa vederla frustare, la vuole subito. Lo accontentano e la giovane donna, in lacrime per il dolore, sciolta dai legami, viene sospinta, apre gli occhi, un batter di ciglia che la priva di ogni capacità di resistenza. No, non le braccia robuste che la stringono determinano la resa ma la vista di Lui, il volto teso e livido dell’amante, le narici dilatate, gli occhi fissi e le mani serrate a pugno. No, la ama, soffre nel vedere la sua donna in lacrime e preda di quei porci, ma non cede, fa forza a se stesso per non rinunciare, per non dire, per non urlare di lasciarla. Sa benissimo l’orrore che sta provando la sua amante ma deve vederle superare la prova. Vorrebbe lanciargli un bacio sulla punta delle dita ma non può. Senza emettere suoni, sperando che possa leggere le sue labbra gli dice che lo ama. Per un attimo, prima di essere trascinata supina su un giaciglio lo vede sgranare gli occhi, ha capito e questo le scalda il cuore e rende più facile la sua resa, accettare un altro uomo. Lo amo ripete e si ripete, mentre uomini sconosciuti posano le mani senza ritegno sul suo corpo, le arano il ventre, prendono il loro piacere. Più tardi, stranamente indifferente a ciò che è avvenuto, solleva il capo. L’amante la sta ancora fissando, forse le sorride mentre sollecitata da uno dei Soci, una ragazza, Verde, scopertogli il ventre, china il capo sul membro di lui…del suo uomo. Il colpo è tremendo, inaspettato e Piera piange mentre viene condotta via. E’ la stessa Verde a svegliarla il giorno dopo. Ha pianto a lungo, offesa, tradita. Venduta. No, venduta no e neppure tradita od offesa. Sapeva a cosa andava incontro. Rivede, immaginandolo, il volto di Lui mentre viene battuta. Mentre timorosa di altre percosse, quasi svenuta dal dolore allarga le gambe e protende il ventre per farsi prendere, allora non poteva vederlo ma più tardi, aiutata a sollevarsi dopo… dopo quanti uomini non sapeva, aveva per prima cosa cercato Lui, il suo viso; temeva di leggere nei suoi occhi schifo, ribrezzo, ed invece le sorride, un sorriso che le scalda il cuore, allontana le tenebre ed ogni timore. Viene accompagnata in camera da Rossa che anzi la sostiene. Per quanto dolorante, le brucia la schiena, il petto, il sesso ripetutamente penetrato, le brucia un seno ed il capezzolo stretto con rudezza dal primo, quello che la voleva dal pomeriggio. L’unico che potrebbe in qualche modo riconoscere. Per loro ha detto Gialla, le regole non valgono. Si erano tolti, alcuni almeno, la maschera ma non li riconoscerebbe, non ricorda il volto degli uomini che la hanno trattata come una puttana, posseduta uno dopo l’altro. Sente ancora il ventre mentre viene profanato. Rossa la fa superare una porta diversa ma vicina a quella della sua camera. Una sartoria si direbbe e della sartoria ha lo specchio a tre luci. Brava, dice Rossa, hai cominciato a gridare solo al dodicesimo colpo, anche al primo, ma è normale, la prima punizione. Piera per un attimo sospetta che la compagna allunghi le mani, la hanno avvertita di questa tendenza di Rossa. Sa inoltre che per l’amore tra donne la punizione è la più dura. Rossa soltanto le carezza il fianco poi dice decisa: andiamo. L’aiuta a lavarsi, ad usare la cannula di cui Piera finge di non conoscere le funzioni, poi la fa stendere su un telo sul letto e cosparge di crema le striature lasciate dalla frusta. Più tardi, sola, piange ancora. Lo ama ed amandolo non può che sentirsi ferita, ferita ed offesa per essere stata data ad altri. Ne dovrà subire ancora e molte di oltraggiose attenzioni ma lo ama tanto da riuscire a capire il sublime sacrificio del suo gelosissimo amante. Lo ama più di quanto mai una donna abbia amato il suo uomo e, se per amore Lui è disposto a tanto, lei deve accettare con gioia quanto avvenuto e quanto avverrà. Pazzia? Forse ne è convinta, forse vuole convincersene. Se all’inizio contava i secondi sempre sperando di essere chiamata e trovare Lui ad attenderla,ora non si illude più, lascia che il tempo scorra senza avvertilo. Ha pure rifiutato il linguaggio scurrile e vietatissimo della maggior parte delle sue compagne. I Soci lo usano a volte, ma loro possono e poi a lei ripugna anche se lentamente, almeno nella testa lo fa suo. Se ne meraviglia all’inizio. E’ però più forte di lei, una sera, ‘chiamata’, dice a se stessa: andiamo a scopare. Le giornate scorrono monotonamente uguali. Tre o quattro ore tutti i giorni di lezione. Lei aveva preso per anni lezioni di piano senza amarlo, ora si applica perchè la sferza è un ottimo incentivo alla attenzione ed alla buona volontà. Strimpellava la chitarra e migliora sensibilmente anche in quella. Fa attenzione a quello che dicono gli istruttori e non ha problemi in nessuna materia, neppure nello scopare. Sissignori, anche in quelle lezioni teoriche, e pure per l’igiene molto attenta. Ogni giorno un uomo molto anziano le ‘controlla’ tutte. Era anche l’istruttore in ‘ars amandi’ e da questo era partito. Ce la hai piuttosto stretta, agli uomini piace così. Le diede un barattolino di crema grigia, da applicare alla parte la sera prima di andare a dormire. Ti resterà elastica e contraendo i muscoli come ti ho cominciato ad insegnare, ti resterà sempre tonica, stretta e piacevole. Alla prima lezione aveva infilato nel sesso di lei due dita, l’indice ed il medio, muovendoli lentamente. Rilassati, non ti faccio male. Dimmi quando senti qualcosa, non dico piacevole, ma…e l’aveva trovato quello che cercava, qualcosa di cui Piera non aveva mai sentito parlare e non avrebbe mai parlato. La seconda volta si era sentita illanguidire e poi aveva sussultato, inorridita. Il vecchio aveva riso. Durante la grande guerra era un ‘vasellina’, un infermiere. Questo gli aveva procurato a guerra finita un lavoro in un casino. Aveva lavorato nei bordelli per tutta la vita, seguendo la maitresse nei suoi spostamenti. Allora era dura per voi ragazze. Una svista e ti trovavi con la pancia piena, ma c’erano già i tamponi per quei clienti che non volevano il guanto. Gli stessi tamponi li usate anche adesso, voi ragazze, qui al Circolo; è cambiato poco in questo. Sono però cambiate le medicine in questi anni. Un aborto è molto meno pericoloso e qui ve lo fa un dottore. Le malattie dell’amore non fanno più paura. La padrona entrava in agitazione se una delle ragazze aveva una febbre al labbro, tremava per una perdita chiara e sveniva per un poco di muco scuro. Lo scolo poteva essere molto pericoloso se non curato subito e se era sifilide non c’era più niente da fare. Se ne accorgeva il dottore alla visita ed eri finita. Adesso anche la sifilide passa in fretta. Sulfamidici ed antibiotici curano tutto. Fu lui ad insegnarle ‘l’arte del pompino’, come lo chiamava e soddisfarlo in questo non era stato semplice. Rossa era sempre chiusa e riservata, Gialla, quando erano sole un mulino di parole. Che fuori ci fosse il sole o piovesse non contava, neppure se ne accorgeva, era, come le altre, sempre impegnata. Lezioni, al mattino sopratutto, la cura del corpo, qualche Socio già al pomeriggio, di più alla sera. Aveva imparato a sorridere ai servi o custodi o guardiani che fossero e sopratutto ai Soci. A sorridere se chiedevano un caffè oppure se era chiamata a soddisfare le loro voglie. In genere i Soci, il pomeriggio potevano chiedere di appartasi per godere con comodo una donna, in una delle camerette del primo piano. Un pomeriggio un giovane la aveva posseduta con molta violenza, quasi con cattiveria, ma era raro che un Socio eccedesse. I più erano sbrigativi, taciturni, mentre altri, i chiacchieroni, dopo aver goduto di lei, raccontavano di mogli, figli e fidanzate. In genere, per essere sicura che non la tacciassero di poca solerzia, di darsi con indiffrenza, il che significava la frusta, era lei ad eccitarli e blandirli, il più delle volte con successo. Concludeva così la questione, ‘ la lezione privata’ con un pompino. Era diventata o meglio stava diventando abile anche in questo e Piera che non aveva sopportato di addormentarsi avendo nel grembo anche solo qualche goccia di sperma del suo uomo ora inghiottiva quello di sconosciuti. All’inizio faticava a non vomitare e le doleva la gola ma poi…Capiva immediatamente quali erano le intenzioni del Maestro di turno e gli serrava il cazzo tra le labbra morbide oppure lasciava che l’organo maschile scivolasse sulla sua lingua e col tempo aveva imparato a lasciarlo entrare e svuotarsi direttamente quasi in gola. Il vasellina tutti i giorni la faceva allenare con un fallo di gomma sempre più grande. Questo no, i Soci ne dovranno fare a meno. Le carezzava le natiche e rideva. Si, il tempo passava senza quasi sfiorarla. Le parve ad un certo punto che i Soci fossero più numerosi o ‘frequentassero’ Di più. C’erano anche due o tre compagne in più. Terminato il periodo di permanenza scomparivano, rimpiazzate da altre, non tutte giovani, non tutte belle… Mi sento una puttana, sono una puttana, tutte noi…Era una nuova a dirlo e sembrava rallegrarsene. Altre delle ragazze assentirono, tutt’altro che allegre. Piera pensò di essere fortunata. Lei aveva una ragione per essere ospite al Club. ‘ Una lezione ‘ signorina. Quel mattino pensò trattarsi di quello che chiamava lo studente. Poco più giovane di lei, ventuno o ventidue anni o poco più, piuttosto bello e gradevole, non solo di aspetto gradevole, era sempre molto gentile. Deve avere parecchi quattrini, pensava. Blu le indicò il corridoio di destra alzando il pugno chiuso tranne due dita. Piera senza esitare ma senza precipitarsi uscì dal saloncino dove Blu stava servendo il caffè ad un terzetto di Soci. Sempre più gente, si disse. Bussò ed entrò senza attendere. Era lo studente ma non era solo. Furono due ore d’inferno. Mentre i due uomini, fatta spogliare lei che aveva ben poco da togliere, si facevano spogliare, la sconosciuta sedeva sulla poltrona d’angolo ed osservava attenta. Piera scrolla le spalle. Che ci fosse una spettatrice la infastidiva e non poco, una donna poi, ma…Con la bocca li portò facilmente ad un soddisfacente grado di erezione dedicandosi un poco all’uno ed un poco all’altro. A volte l’aveva fatto con tre ed anche quatto uomini, la cosa non le creava problemi. La presenza incombente della donna la infastidì per tutto il tempo in cui i due si divertirono con lei, ma il compagno dello studente non ne aveva ancora abbastanza. Voglio incularla Giulio, ma si Giulio lascia che le rompa il sedere, interloquì la donna seduta, cosa c’è di male? Lo studente scosse la testa. IL suo padrone non vuole. E perchè mai? Non vuole e basta. Fu posseduta da entrambe per essere poi costretta a dare piacere alla loro compagna, seduta a gambe aperte, oscena e puzzolente. Era la prima volta e cercò di sottrarsi, ma invano ed anzi, il Direttore, chiamato, la fece battere molto duramente davanti ai tre. Il Direttore del Club ed i suoi aiutanti conoscevano bene le loro ospiti. Nonostante si fosse sempre astenuta da dire molto su quel che provasse a vivere quella vita, probabilmente avevano capito che la frusta fosse la cosa che veramente temeva, ed anche quella solo entro determinati limiti. Andare con altri uomini? Le era indifferente. Sorrideva meccanicamente come il ‘Vasellina’ le aveva insegnato, rovesciava gli occhi e si mordeva il labbro, muoveva i fianchi, batteva persino i talloni talvolta od il palmo della mano sulle coltri per fingere un piacere inesistente. Il tutto con moderazione e commisurando la scena al compagno del momento ed agli eventuali astanti, senza mai esagerare. Lo spettacolo completo lo riservava a pochi eletti, senza spettatori e non sempre. La frusta no, la avviliva, faceva di lei non uno straccio bagnato ma quasi. Quella sera era stata esentata dal servizio. Guardandosi allo specchio in sartoria ne aveva capito la ragione. Non le striature violacee su tutto il corpo ma il viso stravolto, gli occhi pesti, lo sguardo fisso, allucinato la tenevano al terzo piano. Troppo persino per i Soci che spesso si dilettavano nel godersi una donna seviziata, torturata ed ancora gemente. No, non le piaceva essere presa da un vecchio puzzolente, dovendolo fare preferiva un giovane e, a dire il vero di puzzolenti non ne aveva mai dovuto sopportare. Non le era indifferente, comportarsi, fare quello che altre donne facevano nei casini. Lei voleva il suo uomo, il suo Padrone. Si, un Padrone con la P maiuscola, come stava diventando abituale chiamare gli amanti ed i mariti che portavano le mogli o le loro donne a soggiornare al Club. Stava imparando e bene, sarebbe stata la miglior amante della terra e di tutti i tempi. Ti sei sottomessa in fretta, le aveva detto Rossa, la prima Rossa, tornata all’ovile qualche giorno prima. Era vero, ma la sua sottomissione andava al suo amante, solo a Lui. Questi non sono che suoi strumenti e per questo li accetto. La frusta no. La odiava con tutte le sue forze perchè temeva di non esserne all’altezza, di venirne spezzata, di urlare improperi ed insulti, di insultare Lui. Incredibilmente la lontananza le pesava ma ne era confortata. Preferiva non vederlo e sopratutto non essere vista da Lui. La notte tragica in cui fu presentata ai Soci, frustata e posseduta da altri sotto i suoi occhi e con il suo beneplacito, lo vide anche prendere piacere nella bocca di, giusto, di chi ? Non lo ricordava. Lei stessa stava diventando brava ‘nell’arte sovrana di fare pompini’, e voleva migliora. Si meravigliava e stupiva tutti che il suo sedere fosse ‘interdetto’.Forse vuole cogliere la primizia con comodo quando ti verrà a prendere. Era forse così, ma non si spiegava il perchè non avesse voluto godere delle sue labbra prima, ancora acasa…si sarebbe forse rifiutata? Forse ma certamente non gli rifiuterebbe il suo sedere ora. Non aveva rifiutato nulla ai frequentatori del Circolo, tanto meno avrebbe rifiutato qualcosa al suo uomo, amante e Padrone, si Padrone, pure se quella parola non le piaceva. Padrone del mio cuore, padrone della mia anima. Gli interessa la mia anima ed il mio cuore oppure vuole solo una donna da scopare? Quella sera la donna commise una dei mille peccati che venivano puniti con la sferza. Al contrario delle altre numerose volte in passato è molto nervosa, tentata, per quanto conosca la inutilità della cosa, tentata di invocare pietà, di umiliarsi come aveva visto tante umiliarsi, sempre inutilmente. Gridò al primo colpo, si trattenne i successivi. Quanti? Di certo molti, troppi. Di nuovo grido una, due, tre volte. Chi la stava colpendo, purtroppo con abilità, si arrestò ed una voce melliflua le chiese se volesse s’arrestasse, che la punizione finisse. Come volete voi, Signore. Non lo chiama Padrone come era rapidamente venuto in voga, non cerca pietà. Come volete Voi. Ripete con voce roca, quasi rotta.
Nella eternità di silenzio che seguì, bruciante di dolore, supplicava quel Dio cui da anni ben raramente si rivolgeva di risparmiarle altri colpi. Di impedirle di distruggere in un solo istante quello che aveva costruito con dolore fino allora. Non umiliarsi mai se non davanti al suo Amante e Padrone. Penso che basti così! Immdiatamente riconobbe la voce,spalancò di colpo gli occhi e Lo vide. Era li a pochi passi da lei, e le sorrideva, un poco teso, le braccia incrociate al petto, i pugni serrati. Fu liberata, confortata con un liquore, accompagnata fino a Lui che la strinse. Ti amo, ed ora so per certo che anche tu mi ami. Lei si strinse all’amante. Per te, amore, per te tutto, ho accettato tutto per mostrarti, convincerti che ti amo. La tenne abbracciata a lui seduto sulla poltrona, carezzandole il petto ed il ventre, baciandole la bocca dopo un abisso di tempo. Il mondo scomparve, c’era solo,Lui, solo loro. insieme. Domani mattina ti riporto a casa. Piera si sciolse in un pianto liberatorio, in singhiozzi irrefrenabili. Solo poi, pur ancora affranta, scese dalle sue ginocchia e denudatogli il ventre, baciò per la prima volta la verga di carne per poi stringerlo delicatamente nella mano calda. Scoprì il glande livido su cui alitò più volte mentre l’altra mano sosteneva carezzevole lo scroto, il sacchetto sottostante. Lo lambisce più volte e lo prende tra le labbra schiuse titillandolo, quasi giocandoci con la lingua. Deve essere un capolavoro pensa, non un pompino ma il re di tutti i pompini. Lo amo, lo amo, lo amo. Attenta, è un esame importante; segue passo passo quanto appreso. In quel momento ringrazia la signora Erminia per aver suggerito quella via assurda, ringrazia quanti hanno usato del suo corpo, quanti? Non importa, assolutamente non importa. Pur volendo essere attenta si perde e sente il seme di lui, caldo piacevolmente denso, il Seme del suo Uomo colarle il bocca e ne è felice. Parte 2′

La signora Piera, si, è di nuovo la ‘signora’ Piera, la Padrona di casa; ne è enormemente soddisfatta, felice anzi. Lui, l’Avvocato, l’avvocato Giulio, il suo uomo, il suo amore , dorme appallottolato sotto le lenzuola. Lei, la sua amante invece non sente il freddo, ha frequentato la dura scuola del Circolo, ed anzi ora brucia; lo ha fatto godere due volte accogliendolo nel ventre, fiera di accoglierlo, e mai ne ha provato tanto piacere, con la testa soltanto però, come solo sa fare. Di quel piacere di cui le sue compagne al Circolo tanto disquisivano, mai aveva avuto più che un vago sentore, neppure adesso; forse quella mattina, ancora al Circolo… ma non voleva pensarci, neppure solo pensarci. Nonostante fosse stata una giornata faticosissima per entrambi, sopratutto per lei, la signora Piera che non era più abituata all’aria aperta, a girare per negozi, a salire e scendere dai taxi ed a fare tante cose insieme, come quel giorno, concludendolo poi con la cena in un elegante ristorante, Lui, a casa, si era dimostrato più che mai focoso. Non le ha strappati di dosso gli abiti eleganti acquistati qualche ora prima ma quasi. I preliminari che aveva poco tempo prima solo sopportati e che ora tanto desiderava da Lui, erano consistiti in qualche bacio e poche carezze frettolose. Dio se la voleva! Ne era chiaramente affamato e Lei, capendolo, aveva subito e di buon grado divaricate le ginocchia offrendosi. Il glande si era fatto strada nel suo ventre, prepotente, da padrone quale è, mentre lei, Piera, si inarca per meglio riceverlo, da donna innamorata, da amante sottomessa, felice di amarlo, di essere posseduta, di essere sua. Più tardi, dopo una sigaretta ed i consueti ‘ti amo, e tu mi ami, io ti amo di più, non è vero, sono io che amo te di più…’altre carezze, altri baci ed ancora carezze e di nuovo fu sua. Con più dolcezza, lentamente, beandosene entrambe. La dura scuola testé conclusa a qualcosa certo era servita, lui stesso l’aveva detto, ‘ho fatto bene a mandarti al Circolo, sei diventata molto più brava, dolce, flessuosa, mi sento libero di fare l’amore senza problemi…’ Si erano sorriso e baciati teneramente. Ancora più tardi, ma non ancora a mezzanotte, le aveva chiesto di provare a ‘far rinsavire questo qua, sembra decisamente fuori servizio’ e Piera, dentro di se ridendo felice, dopo aver provato con le mani era ricorsa ai grandi mezzi. Aveva scoperto il glande, ne aveva sfiorato con la lingua, mollemente, il delicato piccolo taglietto, e ripetuto, forse in meglio, il ‘bocchino’ magistrale della sera precedente. Linguaggio da bordello e da Circolo, che ora con Lui avrebbe voluto, ma non osava, manifestare ad alta voce. Si un lungo, estenuante per entrambi, ‘lavoro di bocca’ che le diede in premio solo qualche goccia, sempre linguaggio vietato, da Circolo, ‘della superba sborra’ di Lui. Le sarebbe proprio piaciuto parlare in quel modo al suo Uomo; ma non lo avrebbe mai osato. Andò controvoglia in bagno per poi restarvi a lungo in una orgia di acqua calda e sapone. Nulla di questo era lesinato al Circolo, mancava solo il tempo e sopratutto la tranquillità. Nessuno adesso l’avrebbe interrotta per una ‘lezione’ o per qualche altra incombenza. Se il suo amante, svegliandosi l’avesse chiamata per fare l’amore, non se ne sarebbe certo dispiaciuta, anzi, ma aveva imparato a riconoscere i segnali del “fine corsa maschile.” Si pettinò con cura meticolosa prima di tornare in camera da Lui. Dorme come un bambino pensa, un poco delusa. Nella fioca luce del lumino da notte ne vede i lineamenti fini, delicati e sente il cuore pulsarle in gola, un empito d’ amore mai provato prima, immenso, infinito,da morire, pensa. Chissà quando vorrà anche il mio sedere. Alla maggior parte dei Soci quella parte del corpo femminile piaceva, sopratutto il suo, forse perchè vietato. In corpo, non inculare e neppure sodomizzare dicevano le donne che stranamente, pur usando quando erano sicure di non correre rischi, tra loro, un linguaggio da caserma, in quel caso sembravano più pudiche, in corpo te lo mettono una su quattro o cinque volte. I più inoltre se lo fanno succhiare quando non ce la fanno più, per farselo tornare arzillo soltanto. Altri però arrivano fino in fondo, pensa Piera. Alla Bianca che le era succeduta, avevano frustato a sangue le cosce, i seni e le natiche delicate per poi romperle letteralmente il sedere, sfondandoglielo con ferocia. Era successo la prima sera di quella, alla Presentazione, infoiati ed eccitati dalla sua paura, dalle sue suppliche, i Soci avevano infierito oltre ogni misura sulla poveretta. Aveva aiutata la disgraziata a tornare in camera ed a medicarla. Ma tant’è, anzi, acqua passata, il Circolo non esisteva più. Lui, la sera prima, l’aveva presa tra le braccia, portandola al secondo piano, l’aveva fatta sua, ma ricordava poco, frastornata dalle frustate ma sopratutto dalla notizia che l’indomani la riportava a casa. Dopo aveva dormito a lungo, da sola, svegliandosi quando una Bianca, un’altra Bianca, le aveva portata la colazione. Nel bagno aveva cercato di controllare i segni della sferza. Si, quel figlio di cane era bravo. Più sei bravo meno segni lasci, ma procuri anche molto più dolore. Ne aveva ben pochi di segni per quello che riusciva a vedere allo specchio sopra il lavabo. Non aveva fame e lasciò sul vassoio parte dell’unica brioche che aveva sbocconcellata. Oggi torno a casa con Lui, oggi torno a casa, con Lui…La porta fu aperta, era il suo amante con un Socio ed una compagna, la Rossa, sua vecchia conoscenza, subito dopo la altrettanto vecchia amica, Gialla. I Soci raramente salivano al secondo piano ed ancora più raramente, forse mai da quando era tra quelle mura e fino alla sera prima, i mariti od amanti delle donne. Non sapeva neppure se esistessero regole al riguardo e, temendo un cambio di programma stette immobile, tesa, non osando chiedere al suo amante cosa significasse la loro presenza a quell’ora del mattino. Dopo la colazione si era stesa sul letto coprendosi col lenzuolo. Segui le regole, sempre, prenderai meno botte le aveva detto Gialla al suo arrivo, mesi prima. Aveva pensato di botto di comportarsi come fossero nel salone od in una delle camerette dove i Soci impartivano quelle che ‘spiritosamente’ chiamavano lezioni private. Si scoprì per poi alzarsi, lentamente e quasi fiera della sua nudità. Un leggerissimo, impercettibile segno di assenso venne da Gialla e le fece capire di aver fatto la mossa giusta. Allora, incoraggiata, si inginocchiò chinando il capo. Il consueto atto di sottomissione adatto ad ogni evenienza. Riconobbe dalla voce Il Socio, quello che l’aveva accolta e le aveva fatto firmare la carta; cosa esattamente avesse firmato non lo sapeva. Senza una parola Rossa le sfila la fede che Il Socio sostituì con un anello bizzarro, fili d’oro e di un un metallo nero forse smaltato, intrecciati a maglia. Non aveva mai visto nulla del genere. All’anulare destro invece infilò un anello vistoso, una pietra nera quadrata ed un poco troppo grande. Nel centro dell’alta montatura a graffette, verso la nocca, era appesa una goccia d’oro che rendeva l’anello ancora più discutibile ed appariscente, non certo un oggetto che lei avrebbe scelto. Ovviamente Piera non poteva scegliere od opporsi. Non le era dato neppure di commentare. Le strinsero al collo uno strangolino di velluto dal quale pendeva un’altra pietra nera con relativa goccia d’oro e cinque pietre con le relative gocce d’oro erano incastonate equidistanti, in un bracciale che le cinse il polso. Dopo aver guardato l’insieme certamente discutibile, il Socio le dice che qualsiasi abito lei indossi o nuda a letto e sola, in bagno od in mezzo alla gente, a casa od in capo al mondo, sempre, dico sempre, uno almeno di questi gioielli deve essere ben visibile, in qualsiasi stagione. I collari sono di materiali e colori diversi, adatti a qualsiasi abito od occasione. Le gocce sono le lacrime che verserà per il suo Padrone, perché il suo amante è il suo Padrone, ormai lo deve di certo aver capito, Padrone della sua mente, del suo cuore, ripete, il suo Padrone cui per amore deve cieca ubbidienza. Solo i Soci Anziani sanno riconoscere questi monili ed i doveri che comportano, i diritti che danno loro col consenso anticipato del suo Amante e Padrone. Già si dice Piera, il mio di consenso cosa è mai? E se lo dice senza sarcasmo o pena, solo una constatazione. Ascolta comunque attenta come sempre quando un Socio parla. Non sono poi pochi ma sparpagliati per il mondo. Io sono uno di loro. Avranno, avremo il diritto di chiederle qualsiasi cosa come se si trovassi ancora qui. Sono stato chiaro? Piera s’accorse che il suo uomo sorrideva scuotendo un poco il capo e ne fu sollevata. Le solite cose sulla obbedienza, cosa varranno quando poi saranno soli lei e Lui? E’ stato chiaro Padrone, risponde a testa bassa, con la giusta umiltà. Non voleva meritarsi a quel punto, poco prima di andarsene, un’altra punizione o mettere Lui in imbarazzo. Sia pur con disgusto che faticava a mascherare lasciò che Rossa, su ordine del Socio la baciasse in bocca, con la lingua, il suo primo bacio con un’altra donna. Lasciò che percorresse con le mani il suo corpo e che portasse di nuovo la bocca su di lei ma… non sulla bocca. Si era meravigliata della levità delle carezze, carezze che solo una donna sapeva impartire ad una donna, poi sussultò. Un brivido, il calore che le sale dal ventre su, sempre più su, sempre più intenso… Era inorridita giudicando mostruoso raggiungere il famoso orgasmo, famoso li al Club, per mezzo della bocca di una donna, così, davanti a tutti, davanti al suo uomo e cercò, riuscendovi, a far si che non succedesse. Non merito soltanto suo ma dell’ordine che immobilizzò l’altra. Ci era andata comunque vicina ed era incerta tra la contentezza di esservi quasi riuscita, non era anormale, ed il timore di essere una lesbica, di saper godere solo con le donne. Vedendo il Maestro avvicinarsi aveva pensato che l’avrebbe goduta. No! A goderla, davanti a tutti fu Lui e Piera ne gioì. Era la sua donna e Lui il suo uomo il suo Padrone ed ora lo attestavano pubblicamente, Lui possedendola e lei dandosi. Il momento magico era però alle sue spalle, Lui aveva goduto nel sesso di Piera e poi nella bocca di Gialla. Più tardi ancora si era affannato sul ventre di Rossa. Non le importava, non le importava nulla, era una specie di rito, niente altro che un rito.

Il sonno la colse mentre, mentendo a se stessa, diceva che non le importava nulla che il suo amante avesse goduto, avesse dispensato i suoi favori a Gialla e Rossa, una colossale bugia. Una bugia che lentamente, giorno dopo giorno sarebbe divenuta sempre più vera nel suo cervello. Non la batteva, basta frustate e timori. Senza commenti Piera indossa tutti i giorni i monili. Che importa? Lui la ama e lei adora Lui, sempre di più, anche se un leggero nervosismo una insofferenza crescente la pervade. Perché? Tuo marito emerge dalle viscere della terra con un mese di anticipo le dice un sera. E’ tutto pronto, Qualche giorno dopo viene a sapere che il marito era subito partito dall’Europa senza passare neppure dall’Italia e non ci sarebbe più tornato. Certo la rinuncia alla casa in cui era nata era stata dolorosa, in cambio possedeva ed abitava un piccolo delizioso appartamento altrettanto centrale ma di dimensioni umane, non i primi due piani di un palazzo. Sentiva spesso al telefono la sorella e seguiva gli alti e bassi della salute della madre che la figlia minore, sua sorella Lucetta, seguiva amorevolmente nei limiti degli impegni scolastici, lontana, in America, sulla costa del Pacifico. Persino un appuntamento telefonico era difficoltoso. Non era questo a turbarla. Amava inoltre le quiete serate a casa dell’amante, leggendo, ascoltando alla radio una commedia o della buona musica, vicini e consci della presenza l’uno dell’altra, qualche parola poi l’amore ed i lunghi ozi tra le coltri prima del sonno ristoratore. Amava dargli piacere e nel dargli piacere trovava il proprio piacere, sempre e solo a livello cerebrale e forse per questo più grande ed intenso. Era una felicità totalizzante. Amava tenergli ordinatissima la casa o riceverlo nella sua di casa quando decideva di passarvi la notte con lei. Amava cuocergli manicaretti, dedicando giorni alla ricerche di ricette esotiche o nostrane che rientrassero nei suoi gusti che ormai conosceva a menadito. Amava prepararsi meticolosamente per un incontro in programma o solo nella speranza di una poco probabile sua improvvisata. La madre tra la vita e la morte così lontana e Lucetta ed il suo futuro la preoccupavano è vero, ma sempre tornava con la mente al suo uomo, il centro dei suoi pensieri e della sua vita. Gelosa? Si chiese una volta e ne sorrise, non avrebbe mai potuto permettersi di…Lui lo era moltissimo e non mancava di evidenziarlo; non tollerava uscisse di casa senza metterlo prima a conoscenza del dove, del come e del perchè. Quando ancora abitava da lui, temette volesse batterla per questo. Non la schiaffeggiò, di fruste non ne aveva, ma la lunga occhiata di un gelo assoluto bastò a terrorizzarla. Mai più sarebbe stata disattenta alle sue parole, mai più avrebbe fatto qualcosa che potesse spiacergli, avrebbe sempre ubbidito. Lo disse singhiozzando disperata, in ginocchio ai suoi piedi. Che si procurasse una frusta non la spaventava affatto, quel che temeva terrorizzandola appunto era la possibilità che la potesse scacciare. Non l’aveva scacciata ed anzi si era mostrato nelle seguenti settimane, sempre più affettuoso e presente nell’unico modo che conoscesse, circondandola di amore. Arrivò a chiamarla a notte fonda. Bastava un ‘vieni’ e lei si preparava precipitosamente e lo raggiungeva in taxi. Talvolta, più spesso, era Lui ad entrare nella casa di Piera, aveva le chiavi e vi teneva di che cambiarsi ed il necessario per la toletta. Era diventato un poco più esigente e pignolo, questo si, ma non le importava ed anzi la faceva sentire quasi più amata. La pazienza e la ubbidienza erano state instillate in lei prima in famiglia, dalla madre con ferma ed affettuosa pazienza, poi e ben più rudemente e a fondo al Circolo; facevano parte ormai del suo essere.

Preparati, questa sera ti voglio presentare mio cugino, quello di cui ti ho parlato. Le disse inoltre, cosa abituale quando uscivano, cosa indossare. Fatti trovare pronta alle sette.
Preparandosi con attenzione particolare, fu sfiorata da un pensiero. Perché mai, abbracciandola prima di uscire e diretto al lavoro, le aveva chiesto se gli avrebbe ubbidito sempre ed in qualsiasi cosa? Scosse le spalle, non importava, e non era neppure la prima volta che le rivolgeva domande del genere. La signora Piera certo lo amava troppo per pensare di dispiacergli in qualche modo, mai e poi mai, neanche pensarci. Aveva chiesto uno specchio come quello della sartoria al Circolo e l’aveva avuto. Dopo il bagno vi si guarda e ciò che vede le piace. Si chiede se le mammelle si siano un poco gonfiate, ingrandite. Lui le aveva fatto gettare tutto quello che aveva, tutto quello che le era stato comprato od avesse comprato col denaro del marito. Gelosia anche questa. Indossava quindi biancheria nuova, di una marca diversa dalla consueta. Forse i reggiseno che indossava ora erano un poco più stretti? Ma lei era persino un poco dimagrita! Poco male. Le carezze avevano reso i suoi capezzoli più sensibili? Certo che ora non le spiacevano più, al massimo certe carezze, le più intime ancora la imbarazzavano. Indossa il reggiseno, poi il bustino reggicalze, le mutandine di seta e le calze. Sarebbe stata pronta molto prima delle sette, si prendeva sempre una decina di minuti almeno di sicurezza e quella sera questa abitudine si mostra saggia perchè il suo uomo giunge con quasi mezz’ora di anticipo. Le basta affrettarsi e ben prima delle sette sono nella vettura di Lui. Le piace andare in macchina con Lui, le era anzi sempre piaciuto fin da bambina. Anche allora socchiudeva gli occhi, si abbandonava ai giochi della fantasia: stavano viaggiando su un veicolo magico, volando silenziosi. Un clacson, una frenata un poco brusca la riporta al presente ed alla realtà. Non conosce affatto le periferie di Milano ma quella parte si, c’era già passata. Un cartello stradale le conferma che stanno dirigendosi verso il sud. Il cugino stava da quelle parti? Era cresciuta nella convinzione che la gente per bene abitasse, dovesse abitare, all’interno della cerchia dei Navigli. In certi casi, ma solo in certi casi, in alcune vie anche un poco oltre, ma proprio in periferia…e stanno raggiungendo il punto in cui non capisci se sei a Milano od in uno di quegli squallidi paesi che la circondano e cre scono come fungaie. Non vi arrivano. Escono dallo stradone e superano alcune ‘piupere’. Siamo arrivati, pensa. Percorrono una strada stretta che conserva appena le tracce di una copertura di asfalto. Avevano costeggiato per un breve tratto un muro di mattoni anch’esso in cattivo stato, mattoni sbrecciati e coperti di rampicanti fino ad un ingresso per carrozze, di quelli rientranti come due braccia a semicerchio, roba vecchia. Erano poi entrati, dopo aver suonato ad un campanello, ma aprendo il cancello con la chiave che l’amante aveva tratto di tasca. Un tempo forse la palazzina era…ma non aveva avuto il tempo di proseguire nelle sue elucubrazioni che una cameriera aveva aperto la porta della palazzina. Cinquanta anni, forse meno il viso ed il corpo pienotti, sorridente. Ben arrivato, avvocato, signora, accomodatevi. Prende le loro cose e li prece per uno scalone certo degno di un palazzo signorile e non di quella costruzione all’esterno almeno modesta, La prima cosa che colpì la signora Piera fu la assoluta mancanza di rassomiglianza tra i due. Il Dottore poi era di pochi anni soltanto più vecchio del suo amore, dottore ma non medico, aveva immediatamente sottolineato lui. Ho studiato chimica… Non un mostro ma neppure lontanamente bello quanto il suo amante. Le era consueto fare questi paragoni dai quali, sempre, in un modo o nell’altro Lui usciva vincitore in tutto. E’ bello, si giustificava lei e forse lo vedo così, con gli occhi del mio cuore. La cena, ben allestita e ben servita, niente da eccepire, neppure per la allieva di sua madre e di uno dei migliori maggiordomi d’Italia finito chissà come al Circolo. Aveva cercato di seguirne gli insegnamenti, cercando di interloquire con verve, quasi di brillare senza apparire un cane sapiente o mettere in ombra, mai, il loro ospite e dio non volesse, Lui. Dopo una crostata di frutta ancora tiepida, dolce al punto giusto e deliziosamente friabile, passano in salotto per il caffè. Come la sala da pranzo, il salotto è arredato con gusto., Sorseggiando il caffè, Piera, pur badando a non distrarsi e seguendo la conversazione dei due si guarda intorno. Nulla da ridire, una mano esperta, un arredatore forse. No Iolanda, non serve, tu vai a dormire, ci penserà la signorina ai liquori. Piera accende la lampada ad alcool, scalda i due bicchieri e vi versa la giusta quantità del bas Armagnac hors d’age che le è stato indicato. Non è astemia e non è una bevitrice ma sa trattarsi di uno dei liquori più apprezzati, ricercati e costosi al mondo. Lo vendono in pochi. E’ veramente versatile signorina. Piera, per nulla imbarazzata gli sorrise di rimando. E così questa è la tua amante, prosegue il loro ospite. Poi rivolgendosi a lei e sempre sorridendo : non se ne meravigli signorina, come età non c’è la differenza necessaria perchè gli possa essere padre, ma dai suoi dieci anni in su, se non da padre gli ho fatto da fratello maggiore. Ti devo tutto Angelo, lo so e te ne sono grato, Poi si rivolse alla amante spiegandole che senza il cugino che aveva preso in mano le redini, alla morte del padre si sarebbe perso. Si era già perso anzi ed era solo all’inizio delle medie. Avevo ripetuto la quinta elementare e poi la prima media. Mi ha convinto con le buone e con le cattive. Più con le cattive, signorina, più con le cattive, ma Giulio era un bambino e poi un giovanotto intelligente e capace. Lo ha dimostrato recuperando quasi immediatamente i due anni persi. Ha studiato giurisprudenza, si è laureato con ottimi voti… E tu mi hai fatto entrare a fare pratica in uno dei migliori Studi di Milano… Si, ma tu mi hai fatto fare una gran bella figura ed adesso hai aperto uno studio tuo che si sta avviando ottimamente. Quando ho fatto in un anno la prima e la seconda liceo insieme, rimettendomi definitivamente in pari con lo studio, è cambiato tutto. Sai cara eravamo più che fratelli, dividevamo tutto, abbiamo cominciato a dividere veramente tutto, anche le donne. Piera sussulta, poi si dice che è impossibile parlare di certe cose davanti ad una donna. Ascolta comunque più curiosa che perplessa, per nulla intimorita, ma certo non sono discorsi da fare davanti ad una giovane ospite, si ripete. Per questo la hai portata al Circolo. Ora Piera ascolta incredula, attonita. Sei pazzo, tu la ami. Certo che la amo! E vuoi darla a me? Sei pazzo! No, mai stato così sano di mente. Avevi detto allora, la prima volta, dopo gli sculaccioni, che ti avrei ringraziato ed anzi che avrei dovuto farti un dono, il più grande possibile, quando fossi diventato con successo adulto ed uomo. Ora sono uomo, sono adulto e sto avendo successo. Hai diviso con me tutto il possibile, mi hai dato tutto quello che potevi darmi, se sono ormai ben avviato e con un futuro, lo devo a te. Se non sono uno sbandato ignorante che ha già sperperato l’eredità dei mie e vive di espedienti lo devo a te, alla tua pazienza. Se tu amassi i maschi sarei io il tuo amante ma ami le donne e solo le donne. Ma è pazzia Giulio, hai detto e ripetuto che ne sei innamorato. Va bene ma che razza di regalo sarebbe pagarti con una puttana raccattata agli Anelloni del Parco? Amo Piera e voglio fartene dono. Mi ubbidisce e lo accetterà, diventerà tua e solo tua. La discussione in certi momenti è persino accesa e lei ne è l’oggetto. Il suo uomo, il suo amore, il suo tutto la ha desiderata ed avuta. Se prima, di lei era invaghito soltanto, rapidamente se ne è innamorato. La ha condotta al Circolo pensando di lasciarla due o tre settimane. Cara, ci sei rimasta tanto a lungo perchè nel frattempo ho confermata la decisione già maturata, la decisione che dovevo darti a lui. Avrei ottemperato all’impegno preso tanti anni fa. Tu sei il dono più grande e costoso che possa fargli. Costoso perchè ti amo e dio solo sa quanto mi costi privarmi di te. Parla lentamente, staccando le parole e le sillabe, senza distogliere da lei gli occhi stranamente ed innaturalmente fissi. Glie lo devo e se mi ami accetterai. Sprofondata nella grande poltrona Piera ascolta ma non sente, ben poco almeno. Nota che il pizzo che copre il bracciolo cela una bruciatura di sigaretta. Il piede del tavolino deve essere stato restaurato da poco ma non bene. Le voci si fanno lontane, sempre più lontane, una fitta al ventre, un calore liquido le scende tra le gambe, se la sta facendo addosso, ma non può farci nulla. Smettila, non vedi pazzo, chiamo Iolanda, aiutami… il buio…

La cameriera la sta lavando, e Piera lentamente riprende i sensi. Di nuovo l’odore pungente, poi del liquore che la fa tossire. Su, su, signorina. Il cambio di stagione, son cose che capitano. Respira un poco a fatica mentre l’altra la fa stendere su un lettino. Si riposi un poco, la copro e vado ad avvertirli che sta bene, sono molto preoccupati. Domani porto in tintoria la gonna, è meglio, non vorrei rovinarla. Sarebbe meglio dormisse qui. No, un no secco, una voce che quasi rifiuta di riconoscere come sua. Si riposa almeno un poco, poi… Assolutamente no, sto meglio, vorrei salire da loro se mi dà qualcosa per coprirmi. Le ho messo a bagno le mutandine con del marsiglia, poi le lavo e le asciugo col ferro. Per la gonna è meglio la tintoria. La signora Piera sa come trattare la servitù, un cenno di ringraziamento e senza aspettare si avvia nella vestaglia che ora indossa. E’ un bene che la serva sia presente, inciampa e quasi cade ma la mano robusta dell’altra le stringe la spalla sostenendola. E’ certa di non voler riposare un poco? No , andiamo. La vestaglia deve essere del Dottore, troppo elegante, per appartenere a Iolanda; decisamente maschile anche se corta per lui. Non deve salire lo scalone, è già al primo piano, pochi passi, ecco il salotto, ora pieno di fumo. Mentre ascolta le frasi di circostanza nota che hanno finita la bottiglia. Non era però molto il liquore… Davanti a lei due volti pallidi ed i capelli del suo uomo sono madidi di sudore. Intuisce che una qualche decisione è stata presa. Anche Piera ha deciso. Rifiuta un bicchierino di liquore, acquavite di rosa colore dell’ Alchermes che le viene offerto e li guarda. Pure lei, od almeno lei una decisione la ha presa. Ti amo dice rivolta al suo Uomo. Non serve altro secondo Piera per dichiarare che farà quanto Lui desidera. Per amore e solo per amore. Invece la fissano perplessi. Accetti? Ho detto che ti amo, pensa, cos’altro serve dire? Più tardi, ma non sono neppure le undici, aspetta in piedi l’uomo che sarà almeno un poco, solo un poco, il suo amante e padrone. Così alla fine si sono accordati. Sta bene, si è del tutto ripresa. Poco prima ha baciato con foga disperata ed è stata baciata con altrettanta disperazione da…dal suo amante, unico e solo padrone, girando poi il capo nel timore le sfugga una lacrima che lui non deve vedere. Amore, vorrebbe dirgli ma il respiro è mozzo, non vuole tradire la sua disperazione. Lo dice lui, e dice che non può fare diversamente. No, non posso fare diversamente, ma ti amo. Lo ripete con crescente disperazione più volte. Lo guarda scomparire e sale sempre in compagnia della cameriera che la porta all’incubo, il buco nero che la attende al piano di sopra. Il dottore non c’è e lo attende a lungo, in piedi. Deve spogliarsi o aspettare che… Eccolo, un brivido, un poca di paura? No solo freddo, di certo nient’altro che freddo e forse stanchezza, nervoso.. E’ stata di tanti uomini, si dice, uno in più non farà differenza. Di nuovo prova a mentire a se stessa, non è la prima volta. Anche lui ora indossa una vestaglia, e dal lieve rossore delle gotesia immagina che si sia rasato. Un bagno completo anzi. La sta stringendo tra le braccia ed il profumo dell’Acqua di Colonia non nasconde del tutto quello del borotalco. La lascia, le dice di denudarsi e siede sul divano tra le due finestre per godersi lo spettacolo. Non ha molto da togliere per lo spettacolo completo ed è abituata a sentirsi guardata, osservata, spiata da occhi maschili. Mai però così freddi. La osserva in silenzio mentre fuma la sua sigaretta, Mi deve la stessa ubbidienza che deve a mio cugino. Lo so. Mi deve chiamare signore o dottore. Si signore. Giulio, prosegue il dottore, vuole essere amato, a me non interessa che lei signorina mi ami, voglio solo essere ubbidito. Lui, lo ha sentito, ha nei miei confronti un attaccamento che molti giudicherebbero morboso. Non è così. Io ho nei suoi confronti lo stesso attaccamento. Gli faccia del male e sarà a me che ne risponderà. Ho rifiutato fino alla nausea la sua offerta. Voleva che lei fossi mia e soltanto mia, cosa impossibile, la ama al punto che se ne pentirebbe ben presto pentito, forse arriverebbe a detestarmi, ad odiarmi. Questo accomodamento è il migliore possibile, e poi mi piace l’idea, sarà di entrambi. Le fa segno di accostarsi e le dice di schiudere le gambe. Quante volte lo ha fatto nei mesi passati! Troppe volte, ha un attimo di esitazione, solo un attimo, ‘un attimo di troppo’ dice il Dottore. Seguendo le sue istruzioni Piera apre l’anta di un mobile libreria e ne riporta un corto frustino. Ora ha paura, molta paura. Per la prima volta ha trovato un uomo che teme. Le parla, a lungo. Di tanto in tanto la fa spostare,venga qui, oppure, si sdrai, sieda. Accompagna quelli che Piera riconosce ed accetta come ordini, con brevi cenni, a volte solo delle dita. Piera si chiede se sia istintivo in certi maschi quel modo di fare, quella capacità di imporsi senza grida o minacce; lo ha visto anche al Circolo, erano i Soci più temibili, sempre inesorabili. Ha paura. E’ una scoperta improvvisa. E’ una scoperta sconvolgente perchè aveva spesso provata paura mai però come ora. Scopre che la vera paura è totalizzante, annichilisce la volontà e rende vili. Non riesce a trattenere il tremore e teme di manifestare questa sua debolezza. Non vuole, non deve. Le donne deboli sono schiacciate. Le donne deboli e vili vengono battute fino a ridurle a niente. Lei non vuole diventare un niente, perdere la stima del suo uomo, del suo amore. Si inginocchi. Adesso arretri, ancora un poco, basta così. Allarghi le braccia e poggi la testa e le braccia. Ha i piedi e le gambe in parte sotto l’altro divano, a tre sedute. La testa e parzialmente le spalle poggiano sul divano stesso sul quale lui siede. Schiuda le cosce. E’ l’ultimo ordine che le impartisce. La palpeggia a lungo, ne esplora il corpo centimetro per centimetro, ancorché senza inutili durezze. Esplora la piega del sesso schiudendo le labbra esterne, cerca ed ovviamente trova l’orifizio che penetra con un dito. Ma ne esce quasi immediatamente, prosegue fino al puntino che talvolta le si gonfia un poco, non ora però. Prova la consistenza delle mammelle e le fa aprire la bocca. Di nuovo la mano percorre il suo corpo, una bestia al mercato non viene esaminata più a fondo pensa. Resta immobile senza minimamente reagire, senza mostrare il fastidio che prova. Non può, non deve. Reagisce invece e d’istinto, non può controllarsi quando un dito preme sullo sfintere. Si scosta, un poco, un poco solo, immediatamente immobilizzata da lui. Uno sguardo corrucciato. E Piera parla in maniera concitata, mangiandosi quasi le parole che le escono di bocca inarrestabili. Li no, quello no, non si può. Lui sorride appena, si solleva lasciandola libera e va sedere all’altro divano. Abbandonata sul divano a fronte, lei lo osserva tra le ciglia socchiuse. La risparmia. O signore, grazie. Lo vede accendere una sigaretta, l’ennesima, poi la chiama con un cenno cui ubbidisce, inutile fingere di non vederlo, certi trucchetti non funzionano mai con uomini così. Sieda. La fa sedere ai suoi piedi. Parla alla donna pacatamente, con gentilezza quasi. E’ ubbidiente e sottomessa ma non abbastanza. Dovrà imparare ad essere del tutto sottomessa e del tutto ubbidiente. Non può dire no. Non esiste il no nel suo vocabolario, solo il si dottore. Di nuovo la donna freme di paura. Vorrebbe chiudere gli occhi ma lui le ha detto di non farlo. Lei mi appartiene, il suo corpo mi appartiene! Piera scuote il capo, vorrebbe piangere ma dimostrarsi una femminuccia sarebbe il disastro finale. Lei però è una femminuccia. Esita, apre la bocca per iniziare a parlare ma di nuovo si zittisce: Quello è per Lui, solo per Lui, almeno la prima volta, lo pensa ma non riesce a proferire una parola. Un osservatore vedrebbe un salotto, un uomo dignitosamente coperto dalla vestaglia ed una donna giovane e bella completamente nuda tipo ‘colazione sull’erba’. Capisco,Giulio ovviamente non le ha detto nulla, non ne ha avuto il tempo. Bene, cominciamo dall’inizio. Il fratello della signora Erminia che ben conosce lo ha portato per la prima volta in un casino il giorno del suo diciottesimo compleanno. Al mio ritorno a Milano, qualche giorno dopo, Piero ovviamente me lo ha raccontato ed io mi sono molto arrabbiato, perchè era un postaccio laido, da quattro soldi e si diceva che fosse anche poco controllato. Gente di malaffare, di vita. Una coltellata ogni tanto ci scappava e pure le donne erano pericolose. Quando c’era lavoro chiamavano donne di strada, potevi prenderti una malattia. L’ho portato prima da uno specialista e poi in uno dei casini migliori. Gira ancora una poesia su quel posto: Vec San Pedrun, fusina de l’amur, porta coi ciod… eccetera eccetera. Non sono mai riuscito a perdonarlo per il pericolo che gli ha fatto correre. Lei è stata con molti uomini, sa che Giulio non è dotatissimo, ma che compensa le dimensioni sotto la media con…prestazioni…ad alto livello. Scopa come una faina. Mentre a lui piace essenzialmente chiavare se pure senza disdegnare una boccuccia di fata od un bel culetto, io non ho le sue preferenze, ed anzi mi piace, mi eccita, un sederino come il suo; mi piace aprirlo, farlo diventare agevole per le mie misure un poco sopra la media. Piera sgrana gli occhi meravigliata della sfrontatezza dell’uomo. Comunque, scopare come faine è un vizio di famiglia per intenderci, ma lasciamo perdere. Giulio si è privato del suo delizioso sederino conoscendo le mie preferenze ed ha ha vietato che al Circolo il suo culetto fosse messo a disposizione di tutti perchè me lo voleva riservare. Ho fatto notare che facilmente la avrei lacerata ma secondo lui non importava, sarebbe stata lieta di sopportarlo. So come fare e farò di lei l’amante perfetta, una perla rara, rarissima. E già pregusto il piacere che ricaverò nel farlo. La perfezione assoluta sarebbe stata averla vergine, plasmarla dall’inizio. Non ho avuto mai una possibilità del genere, non con una bella ragazza di buona famiglia almeno. Parla ancora un poco poi la prende per mano e la conduce nuda e scalza per il corridoio fino ad una stanza. Il letto a baldacchino è l’unica cosa che Piera vede. Troneggia al centro della camera, un letto monumentale, il suo simbolo. Le dice di prepararsi e Piera ubbidisce e si avvia verso la porta del bagno che lui le indica.. Vorrebbe a questo punto fuggire? Come? Dove? Per un attimo ha veramente odiato il suo uomo e capito i delitti passionali. Ha talvolta letto sui quotidiani titoli del genere senza capirli appieno. Lei, poco prima, ascoltando le rivelazioni del Dottore, avrebbe ucciso l’amante senza esitare. Un coltello a portata di mano sarebbe bastato. Poi avrebbe pianto disperata, forse uccidendosi a sua volta, perchè lo ama nonostante tutto e sopra di tutto, tanto da riconoscergli ogni diritto. Si, persino il diritto di darla al Dottore. Combatte dentro di sé contro questa idea sconvolgente ma lentamente vi si arrende. Non per il denaro per curare la madre e far crescere nel modo giusto Lucetta, sua sorella. Non per quella vita agiata in cui è cresciuta ed in cui ormai non spera più. Ama Giulio. Lo ama senza speranza di potersene esimere, disperatamente, conscia che da questo amore non potrà avere che umiliazioni e dolore, come ora. Si, ha accettato il Circolo e quanto ha comportato per dimostrargli di quanto amore fosse capace. Sperava di averne in cambio altrettanto…Ma sul serio lo sperava? Si lo aveva sul serio sperato. Oppure no e sapeva sin dall’inizio di cullare al massimo una speranza futile, una illusione? Non lo sa. Per certo sente di non potersene liberare, lei no, non ne ha la forza. Quel sentimento che chiama amore l’aveva legata tanto strettamente e la trattiene con forza più invincibile delle catene del Club quando veniva incatenata appunto, per batterla. Se questo è amore allora lo maledice. Eppure cosa può essere d’altro. Sapeva già di amarlo, sapeva già di appartenergli ma non aveva compreso fino a quel momento che l’estensione di quel suo folle sentimento era l’infinito nello spazio, l’eterno nel tempo. Solo una pazza può…ma io sono pazza…Lo accetta e questo le fornisce la forza per affrontare, disperatamente, ma a testa alta il Dottore, uno dei suoi due amanti. No, il dottore non la ama e non cerca il suo amore, ma neppure gli basta il suo corpo…questo lo sa, cosa cerca, cosa vuole allora? Mille e mille pensieri roteano a sprazzi nella sua mente, un gorgo che ruota follemente quasi ottenebrandola. Basta. Se ne strappa a gran fatica. Deve tornare e quella porta socchiusa diventa per un attimo un fossato, una muraglia invalicabili. Eppure deve andare e va. Lei è fatta così. La camera ora è buia se non per una pozza di luce al centro, ed una volta tanto l’uomo non fuma. E’ steso sul fianco, la osserva avanzare, indossa ancora la veste da camera. Un silenzio irreale la circonda, il mondo non esiste più, non c’è nulla se non il letto e quell’uomo che ha su di lei ogni potere. Doveva essere un tempo, quando una giovane e nobile vergine, catturata, schiava, si avviava al letto del padrone. Certo vergine lei non lo era e la esperienza del Circolo…si, fingersi umile e sottomessa. Nondimeno alza il capo e si accosta al letto. Un normalissimo letto con un uomo altrettanto normale che la guarda attento. Cosa devo fare SIR? Non dottore, è chissà perchè passata al ‘signore’ in lingua inglese e lo fissa negli occhi. Si rende conto che lo sta sfidando e che non è bene per lei, una sciocchezza, una pazzia anzi. Il viso di lui mostra prima un lieve sorriso, un accenno appena che immediatamente si spegne e le labbra tumide divengono una sottile linea rossa, minacciosa. Poi l’uomo ride. Stenditi qui. La fa distendere supina nel centro del letto ed i piedi quasi ne toccano il limite opposto alla testata. Di nuovo ne esplora il corpo, minuziosamente. Si attarda sui seni ma a lungo esplora la fessura del sesso. Un dito la penetra, piano, tutto sommato delicatamente, attardandosi anche qui a lungo, ruotandolo, muovendosi un poco e poi su e giù, quasi un coito col dito. Sente la vagina contrarsi un poco, vorrebbe almeno chiudere gli occhi, non osa, ha consumato poco prima tutto il suo coraggio. Può chiudere gli occhi signorina. Piera quasi grata lo fa per poi spalancarli di nuovo. Un ultimo sprazzo di coraggio, velleità di una futile rivolta? Che importa. Il dito viene estratto senza difficoltà, un poco umido degli umori di lei scorre all’interno delle grandi labbra fino al ‘puntino’ come chiama lei il clitoride; è bagnato e non le crea fastidio. Senza fermarsi nella sua odiosa carezza accosta la bocca ai seni, ne morde delicatamente i capezzoli, li morde entrambi. Questa volta la penetra con due dita. Sussulta più per il timore di sentir male che altro ma non prova dolore, il suo corpo ha cominciato a fare il suo dovere e sta emettendo i giusti liquidi vaginali lubrificanti. E’ lenta a bagnarsi ma quando comincia va avanti bene, lo sapevo già, signorina. L’uomo sembra quasi sovra pensiero nel dirlo. Ma perchè mi da del lei, mi chiama signorina mentre mi tratta…Non amo, prosegue, le creme lubrificanti, mai. Mi piace penetrare una donna ‘nature’. Metta le braccia dritte sopra la testa per piacere. Ne corregge la posizione e si pone con le ginocchia in modo che il pene sia nella posizione migliore per entrarle in bocca. Giulia ne riceve il glande tra le labbra socchiuse. Il menbro scorre sulla lingua vellutata, cerca la gola. Quasi tossisce ma si trattiene. Le farà male ma sempre meno che…Adesso lo bagni di saliva. Non facile, ha la bocca asciutta, comunque fa del suo meglio, a lungo. Nonostante la posizione, quasi sempre una mano o l’altra le carezza la fica. Si metta in ginocchio, le ginocchia un poco schiuse. Ha paura, ce lo ha grosso. Ne ha presi tra le gambe di più grossi ma solo pochi ed ora non sarà nella fica… ha detto che, si che probabilmente la avrebbe lacerata. In ginocchio la testa posata sugli avambracci, il sedere ben in mostra, Piera aspetta.

Piera aspetta in ginocchio, la fronte appoggia sugli avambracci. Tiene gli occhi chiusi come bastasse a cancellare tutto. Stanno, quello sta per sodomizzarla, romperle il sedere. Ne ha presi di altrettanto grossi, qualcuno di più grosso anzi, al Circolo, mai però nel sedere. Istintivamente contrae i muscoli. Sa che è inutile ma lo fa, un riflesso istintivo ed inutile. Le mani fredde le schiudono le meline, meline? Le chiappe! Mettono allo scoperto il buchetto del culo vergine, l’unica parte vergine di Piera e non per molto. Una mano, le dita di una mano tengono le chiappe schiuse quel tanto che basta, l’altra si stacca, per guidare al punto giusto il cazzo. E’ tornata al linguaggio da bordello o da Circolo: bocchino, testa del cazzo, figa, culo. Li enumera nella sua mente con ferma determinazione, uno sfogo isterico, lo ha sempre evitato, sentiva di sminuirsi. Ora vi si immerge. Mi sfonda il culo, mi incula e me lo rompe. Il glande percorre lentamente la fessura, si attarda sul buchetto che la donna cerca di rilassare e ci riesce pure, un poco almeno. Via il Socio, a far pipì il suo amante, la Rossa ha ripreso per l’ennesima volta l’argomento. Sintetica perchè non c’era tempo, le ha raccomandato di cercare di mettersi della vasellina le prime volte, ben dentro, mi raccomando, altrimenti se ne può accorgere e rilassati, spingi come per andare di corpo. Ti farà meno male ed al tuo amante piacerai di più. Tutto vero, ma difficile da mettere in atto. Sopratutto il cazzo che stava per aprirla, per inaugurarle il buco del culo, non era quello giusto. Le è quasi impossibile rilassare la ‘parte’, altro che spingere. Non mi incula, cosa…cerca la figa, ce lo strofina e lo spinge, la dilata e la apre senza difficoltà, anzi la apre ed entra facilmente anche se è bello grosso. Ormai ufficialmete la sta chiavando. Respira a fondo ed espira rumorosamente. Ce la ha ben bagnata dai toccamenti, è grosso, ma senza esagerare, tra le gambe ne ha presi di peggio, ed è tanta la soddisfazione per essere scampata alla sodomia che senza volerlo inarca la schiena, scodinzola, dio mio, pensa, se continua così godo. Solo una chiavata, solo una chiavata! E’ abituata a celare soddisfazione e rabbia ma ora non ci riesce, grazie dottore, grazie…
La posizione però non è la più comoda e non vuole far brutta figura, non vuole farlo irritare; cerca una postura più agevole da mantenere ed allarga un poco le ginocchia portando gli avambracci più vicini. Va meglio, corre meno il rischio di scivolare di fianco sotto i colpi rudi che riceve. Lo sente uscire di lei, senza scostarsi però più di tanto, la monta di nuovo, con calma ora. La signora Piera sta chiavando con l’ennesimo Socio, uno dei tanti…Pensa ad altro, le sue mutandine di seta, spera che la serva non le rovini…può prendere un tassì per tornare a casa, no, e la sottana? Senza non può certo uscire…sotto il soprabito però…Il cazzo del dottore la sta eccitando un poco, sente qualcosa? Non le frega un cazzo, si sbrighi, è il primo oltre il suo amante a durare così tanto. Vuol fare bella figura lo stronzo, ma, anche lui alla fine dovrà smetterla, finirla. Ogni tanto, per tirarla in lungo lo tira fuori e lo strofina lungo la riga del sedere, niente pacche sulle natiche come ha visto dare alle compagne molto spesso, meglio, chissà che gusto ci provano gli uomini. Lo strofina lentamente, fermandosi a premere un poco li, e lei le prime volte si tende ha paura. Ma se pur preme sul buchetto non lo fa mai con forza, non le ha mai fatto male, non troppo almeno. Adesso te lo rompo! Cosa? Era sovra pensiero, pensava ancora come fare senza la gonna. Un grido appena trattenuto alza la testa per ripetersi ma riesce ancora a trattenersi, a chiudere la bocca serrando le labbra ed i denti fino a farsi male. Per un attimo cerca di protendere in avanti il corpo per sottrarsi ma…sta entrando, A fatica, scivolando un poco per volta ma…spinge per rilassare il muscolo e spinge all’indietro il corpo per riceverlo più in fretta, per rendere più breve il dolore. Mugola un poco, fa male, si sente tirare, strappare teme la rompa, la laceri. Adesso brucia anche, ma entra. E’ la testa del cazzo il problema, entrato lui il peggio è fatto, sempre che a farti il culo non sia un principiane, le dicevano. Non è un principiante. La tiene saldamente per i fianchi, il glande è ormai tutto dentro e senza giochini ‘dentro e fuori’. Quando sente lo scroto di lui vellicare l’attaccatura delle cosce capisce di averlo tutto dentro o quasi. Ora le grava sopra, le stringe le tette ed anzi, dopo un poco con un dito cerca il clitoride. Lo ha sempre detestato, questa volta però non le spiace, anzi, forse…

Non tornerà a casa quella sera e neppure quella seguente. Il tuo Avvocato non ci sarà per qualche giorno e ti lascia a me. In quei momenti le è indifferente, il dolore è stata l’unica presenza, a lungo, per un’ eternità . Ogni singolo colpo di staffile la morte. I polsi legati ed uniti al muro le permettevano di muoversi, di ruotare, di piegarsi quasi in ginocchio per cercare di sottrarsi. Cercare solo perchè finiva per offrire nuove parti di sé ai colpi feroci. Poteva urlare ma con scarso effetto e minor soddisfazione. Il bavaglio… Ringraziò il cielo pensando di essere sul punto di svenire. I colpi si interruppero. Aceto, spezie e che altro, poi altri colpi. Lo odiò, lo maledì ma non perse i sensi e senza liberarla le forzò ancora più dolorosamente per la seconda volta le reni. Un asciugamano umido passato sul corpo ed un sorso di liquore la fecero riprendere. L’aveva stesa sul letto ancora legata. Non confondo, le dice, l’amore con il piacere ed averti è puro piacere. Puoi amare Giulio, gli piace essere amato, a me no. Per me l’amore è una parola vuota, non ha nessun significato. L’amore di una donna intendo o per una donna. Imparerai a temermi se già non mi temi. Già mi ubbidisci parecchio, di riflesso, perchè ami Giulio. Non confondere le due cose. Ti insegnerò ad ubbidirmi sempre, immediatamente e…minuziosamente. Giulio, Giulio ne conviene e sarai una amante completa, migliore anche per lui. Non bacerò più la tua bocca, la userò però e spesso, come userò spesso il tuo orifizio per ora così stretto, fino a rendermelo agevole. Contribuirò anche alle spese per le cure di tua madre e per gli studi di tua sorella.
Più tardi usò a lungo il sesso di lei ed ancora più tardi, quando ormai Piera, esausta, quasi esanime, pensava la cosa impossibile, la costrinse a cercare di accoglierlo in gola e si riversò nella bocca di lei senza riuscirvi.
La cameretta in cui avrebbe dormito comunicava, attraverso il bagno con la stanza da letto. La finestra era a bocca di lupo, il letto in ferro bianco sembrava un letto da ospedale. Un tavolinetto sgangherato con un catino e la relativa brocca completavano l’arredamento. Lasciata sola guardò sotto il letto dove le aveva detto esserci il pitale anche se chinarsi fu una sofferenza. Vi orinò per poi coricarsi senza altri preparativi per la notte. Era certa di non poter dormire, qualsiasi posizione le era intollerabile ed una ridda di pensieri si accalcavano nella sua mente. Lo odia quanto e più abbia odiato il peggiore dei Soci che poi detestava ma non odiava. LO odia più di quanto odi… chi? Non ha mai odiato nessuno. Ha odiato per un attimo il suo amante, ma non può odiarlo, neppure ora. Ne vede anche ora il volto pallido, livido anzi, mentre le dice che la ama, che non può fare diversamente. Odia il dottore e solo lui. Mi ha trattata come una bestia. Muovendosi con prudenza cerca il buchetto martoriato, in rilevo, tumefatto. E’ una bestia e lo odio, lo farò innamorare di me ed allora… rotolandosi ed avvolgendosi in questo odio, beandosi nelle immaginarie vendette scivola nel sonno.

E’ GRADITO OGNI COMMENTO, MI PUO’ SERVIRE ANCHE IL PARERE PIU’ SPIETATO.

Sbrochea@yahoo.it Bene signorina, si stenda. Un bagno caldo e profumato di aromi, erbe, spezi, non so quali, non mi interessa. Sto imparando a vestire come gli piace, quando mi è concesso ed anzi imposto di indossare un abito, a tenere un portamento più ‘sciolto’, a conversare con disinvoltura, dovrei anche e sopratutto imparare a darmi al Dottore, a soddisfarlo come se mi piacesse, ed anzi come fosse la mia unica ambizione. Questo ultimo punto non rientra nei suoi ordini, non è un suo desiderio. E’ la via per liberarmi del Dottore od almeno lo spero. C’è però una difficoltà, e non da poco: non ci riesco proprio. Al Circolo era facile, stavo costruendomi un futuro, con Lui, con l’uomo che ormai amavo disperatamente con tutta me stessa. Per qualche ragione che mi era celata, incomprensibile, mi è tutt’ora celata ed incomprensibile, voleva mi sottoponessi a quella prova, che gli dimostrassi quanto grande fosse il mio di amore, che fossi disposta a dimenticare una rigida educazione borghese, la morale corrente, l’istinto femminile, tutto. E tutto avevo dimenticato od almeno messo da parte per Lui e per il suo amore. Si, solo per questo. Mia madre? Lucetta? Esistevano ancora, certamente, ma lontane, infinitamente lontane, in un recesso della mia mente. Mi ama? Questo è il tarlo che tutti i giorni scavava nel mio cervello, lasciandosi appresso una bava di dubbi velenosi. Non mi abbandona mai. E’ presente in ogni momento, e cresce, si ingigantisce la sera e la notte che spesso trascorro insonne. Per favore signorina, si alzi, la devo sciacquare. Il bagno, il massaggio, la cura dei capelli e dei miei orifizi, sono la quotidianità quasi maniacale, cui sovrintende con cortese fermezza Iolanda, la cameriera. Il massaggio, la ricerca di ogni più minuscolo peluzzo su qualsiasi parte del corpo che non siano ciglia, sopracciglia e capigliatura, portano via ore insieme alla eliminazione di foruncoli e punti neri. L’insorgere di un foruncolo è quasi una tragedia che spesso contempla lunghe discussioni sulle cause e sul trattamento più adeguato. Oggi poi è un giorno speciale, questa sera usciamo a cena ed il Dottore, assente dal primo mattino, rincaserà in tempo per accertarsi che io sia ‘pronta’ al grande evento.

Rinserrata nella mia cella, rinserrata non da catenacci ma solo dall’ordine del Dottore trasmesso da Iolanda: devo riposare tutto il giorno, poco da bere, un clistere prima di uscire. Che non capiti che la signorina debba alzarsi dal tavolo ed assentarsi durante la cena. I capelli sono stati lavati ma la ‘piega’ verrà fatta prima di uscire. La sera prima il Dottore l’ha chiamata come sempre a dargli piacere, come si esprime Iolanda, a darli il sedere come dico a me stessa e solo a me stessa . E Lui, Giulio, il mio unico vero amante ci sarà? Sono ospite del Dottore da settimane e non l’ho più visto e neppure sentito. Di Lui parla talvolta, anzi spesso, il Dottore, per raccontare solo vecchie storie, aneddoti curiosi. Ma mi ama ancora? Non vuole neppure pensare, ipotizzare qualcosa di diverso. Disperatamente devio il corso di questi pensieri, comincio a riuscirci, almeno un poco. Si stenda, porti le ginocchia al petto, signorina. Ma perchè cazzo mi chiama signorina, poi mi tratta come una troia. La guarda quasi disinteressato, in viso, a lungo, ne cerca gli occhi che vuole tenuti ben aperti, si china a carezzarle i seni e poi giù lungo i fianchi sino alla fessura del sesso di cui schiude le grandi labbra, la esamina attento od indifferente, a lungo oppure per qualche istante solo, per poi ritrarsi un poco e slacciarsi la vestaglia estraendo il pene floscio. Lo carezza da solo, lei non deve toccarlo con le mani, mai, anche se talvolta le viene chiesto di usare la bocca per farlo inturgidire. Quella volta l’aveva osservata a lungo, carezzandola di tanto in tanto. Sembra stia decidendo tra un bignè ed una frolla, aveva pensato Piera ormai stanca in quella incomoda posizione. Si è deciso! Si, aveva deciso, spingendole il cazzo nella fica già un poco umida a piccoli colpi. Ma ne era uscito poco dopo per porsi a gambe aperte all’altezza della sua testa. Non era la prima volta e Piera aveva portato verso l’alto le braccia facendo posto alle ginocchia di lui. Il cazzo era stato guidato tra le labbra nella bocca pronta ad accogliere l’intruso. Non un intruso a dire il vero,l’avente diritto, uno dei due aventi diritto che ora anziché il cuscino morbido della lingua mirava alla gola. All’inizio aveva resistito sia al male che ai crescenti conati di vomito, all’inizio solo. Lasciandole qualche momento per riprendersi le aveva detto che ormai si stava allargando ed un poco entrava. Prona, aveva ricevuto il consueto omaggio nel sedere che ormai si avviava a dilatarsi convenientemente per le dimensioni del suo attrezzo e per le sue preferenze: niente creme, al massimo un veloce passaggio nell’altro orifizio. Anche il sedere le si sta allargando, signorina, bene. Perché cazzo mi chiama signorina! Se lo era chiesta tutte le volte, aveva deciso di porgli la domanda anche più spesso ma non aveva mai osato farlo.

E Lui ci sarà? E fu certa di essersi cullata in una vana speranza, quasi ne pianse poi per l’intima delusione. Pochi minuti più tardi di nuovo lo pensò possibile, stavano dirigendosi verso un ristorante, un ottimo ristorante vicino alla nuova casa di lei che talvolta, raramente, avevano frequentato. Ma svoltarono a sinistra. Il Dottore parcheggiò nella piazzetta vicino a casa, alla sua casa. Scesero e si incamminò verso l’appartamento di lei, si arrestarono davanti al suo portone, salirono al suo piano e fu tra le braccia di LUI. Il tavolo era preparato per tre, per un attimo aveva sperato… Non importa. Lui spiega che un ristorante aveva provveduto a tutto. A te, cara solo il compito di servire. Un menù intelligente, pensa la Signora, in quel momento è la Padrona di Casa la Signora. Mentre gli uomini, i miei due uomini stappano qualche bottiglia io controllo i contenitori, mi do tempi e metodi, decido l’ordine delle portate. Poi ceniamo. Mi accorgo di essere controllata dal Dottore e spiata da…spiata? Cosa dico, guardata dal mio amante, dal mio amore. Certo,una nuova prova e l’ho superata…La cena è terminata, qualche minuto e vasellame ed avanzi finiscono negli appositi contenitori e questi in ingresso. Spogliati Piera. E’ quasi una sferzata, forse più dolorosa. No, Non può essere…e perchè no. Sembrano due statue, identiche e diverse ma in attesa: Il bicchiere nella sinistra ed una sigaretta tra le dita dell’altra mano. Mi ami? Neppure gli rispondo, certo gli basta il mio sorriso perchè di rimando, sorride anche Lui. Ma certo ami anche mio cugino, chi ami di più? Tu appartieni ad entrambi. Terrore puro poi la migliore risposta della terra: la verità. Ti amo, tu mi permetti di amarti. Lui, il Dottore, vuole essere ubbidito e gli ubbidisco. Silenzio per qualche momento poi il Dottore alza il calice in un muto brindisi. Lo alzo anche io. Siamo di nuovo a quando discussero su di me, quando voleva darmi a lui e solo a lui, il Dottore. Questa volta è peggio. Mentre discutono animatamente mi denudo. Dentro di me piango.

BENVENUTI SONO COMMENTI E SUGGERIMENTI. RISPOMDERO’ A TUTTI.

sbrochea@yahoo.it

Una stanza ben arredata. Vi si accede attraverso la porta di un ingresso lungo ed un poco stretto, quasi più un corridoio molto largo, tanto da poter contenere i due divani contrapposti e tra questi un tavolino basso dal ripiano di marmo. La stanza è quadrata, una sola finestra che affaccia sul cortiletto antico, settecentesco. Nel centro della parete di destra un grande camino di pietra rosa. A sinistra dell’ingresso oltre la finestra ma nella parete opposta al camino, un’altra porta aperta, li c’è la camera da letto, anch’essa ampia, ma non quanto la prima camera. La parete in faccia alla porta del corridoio ha due porte simmetriche, quella di destra immette in una piccola cucina, l’altra nel bagno, ampio, cui si può accedere anche dalla camera da letto. Un tappeto occupa una larga parte della stanza ed al tavolo nel centro, sotto un lampadario a cinque bracci, siedono due uomini, silenziosi, attenti. Uno, il meno giovane, un poco florido, non è grasso, ma certo massiccio. L’altro, di poco più giovane, snello, certo un bell’uomo, tiene le mani strette a pugno sul bordo del tavolo. Osservano attenti, non scostano gli occhi da lei.

Una giovane donna, una giovanissima e bella signora; ha appena dimostrato di aver appreso la non facile arte di denudarsi in pubblico senza mostrare emozioni di sorta. Non come un’artista dello spogliarello, senza sorridere, senza movenze erotiche od allusive, quasi fosse sola, nella sua intimità, eppure conscia degli occhi che la scrutano. Neppure i due uomini, che pure la conoscono intimamente, hanno intuito pochi momenti prima quanto fosse vicina ad abbandonarsi ad un pianto disperato, a rifiutarsi. Si sente una marionetta, ma quale dei due suoi amanti tira i fili che la fanno muovere? Giulio che certamente la ama e ne è riamato, o si , lo amo da morire , od il Dottore che non desidera amore ma solo ubbidienza. L’ha ottenuta in pochi giorni la sua ubbidienza, o quasi ottenuta del tutto…e lei è appunto una marionetta, un oggetto, un dono del suo amante al cugino in pagamento di un debito di riconoscenza di molti anni prima. Un dono, nient’altro che un dono, anche se il più costoso, perchè a Lui molto caro, perchè la ama. Deve amarla, deve amarmi. Deve. Abbassa gli occhi, non vuole, non deve vederli, non ora, non così. Si giri, signorina. La giovane ruota su se stessa con la naturale eleganza appresa alla dura scuola del Circolo, alzando appena il viso. Non si può proprio girarsi, roteare, a testa bassa. Si, lo inculcano a tutte sin dai primissimi giorni. Vedi, è bellissima e sta imparando ad ubbidirmi, in tutto. Sul serio? E’ il suo amante ad interloquire incredulo. Non era così facile da convincere all’inizio, anche al Circolo si è mostrata ostinata. Di nuovo Piera, la giovane donna ha chinato il capo. Non può evitare di sentire, ma distogliere almeno gli occhi si. Le sembra di essere meno nuda, meno sconcia, meno puttana. Al Circolo non giravano libri di nessun genere ma non servivano, bastava la tradizione orale. Una ragazza, innamorata di un bel ganimede conosciuto in una balera, si era data a lui pur conoscendone la fama. Dopo qualche tempo la prostituiva agli amici, una specie di corso di iniziazione, per finire poi, tutte le domeniche, all’insaputa dei genitori, a cercare uomini che la pagassero, nei locali di periferia od in qualche appartamentino assieme ad una donna più vecchia ed esperta. Era stata notata da un magnaccia intraprendente che l’aveva comprata, si comprata e lei se ne vantava, era fiera di aquanto fosse stata pagata, di quanto valesse. Sgrossata un poco, non aveva alle spalle come studi che qualche anno di avviamento al lavoro prima dell’assunzione in fabbrica, era stata messa al Circolo ad imparare …Le era sto raccomandato il silenzio ed invece nei due giorni soltanto tra il suo arrivo e l’uscita di scena di Piera, aveva avuto modo di raccontarle tutto. A quest’ora l’avevano di certo massacrata a frustate ed indotta alla discrezione. ‘ perchè mai pensava a quella poveraccia? Torna al presente… ed ha un sederino delizioso, elastico al punto giusto, come piace a me. Non te ne sarò mai grato abbastanza. Potevo solo sperarlo. Ridono. Devi provarlo anche tu…certo, anche se…lo so, non è la tua passione, preferisci scopare o fartelo succhiare. Appunto, e comunque resta tua. No, di entrambi. Di entrambi questa sera, poi vedremo. Ed i due cugini e suoi suoi amanti decidono di godersela insieme. Senza interrompere i loro discorsi si spogliano ed abbandonano abiti e biancheria sulle seggiole in sala. Lui le si fa accosto per primo e le fa sollevare il capo guardandola negli occhi, a lungo, molto a lungo. Basta questo a farle dimenticare il passato, il futuro ed anche il presente. Gli porge la bocca stringendosi contro quel corpo vigoroso che ama e desidera. Sono solo sua, pensa e non esiste altro. La prendono per mano e la guidano al letto, seguendo le indicazioni si stende bocconi. Vuoi che vi lasci soli? Chiede il Dottore, ma no, resta, abbiamo detto insieme, risponde il suo amante.
Sarà la prima volta che Lui le penetra l’orifizio più stretto,ed il secondo uomo in assoluto. Piera ne è quasi emozionata, in ginocchio sul letto attende sia pronto ma non lo è. Credo, signorina che mio cugino sia emozionato. Non vedo altra spiegazione. Lo succhi un poco, come sa fare. Lei è quasi offesa, sente come un affronto che il suo amore non sia pronto per lei. Nondimeno è bellissimo sentire la virilità di Lui risvegliarsi quasi miracolosamente al solo contatto con le sue labbra e subito dopo averlo stretto appena un poco, crescere vigoroso. Dipendesse da lei non si fermerebbe; da tempo non si abbevera a quella fonte che la manda in estasi, lo vuole ma la ubbidienza fa parte di lei. Hanno cambiato idea, Lui si sdraia sul bordo del letto con i piedi posati a terra e le ginocchia unite.A lei viene chiesto di impalarsi sul membro dell’amante. Non lo ha mai fatto così con Lui, ma a gambe aperte si cala verso il pene inturgidito che le viene guidato e strofinato sulla vulva. Il Dottore, in piedi dietro di lei, le porta le mani ai seni stringendoli poco men che dolorosamente. Un seno è liberato e la mano scende tra le gambe, lentamente la fruga, si inumidisce ne cerca il clitoride che sfiora ripetutamente. Piera è dapprima infastidita ma non potrebbe, neppure se l’osasse, opporsi al Dottore, lo teme troppo. Comunque non deve e non può. Per quanto poggi ancora i piedi sul pavimento, le cosce del suo uomo le impediscono di chiudere le sue e poi la consueta carezza di quell’uomo esperto comincia a non spiacerle, mentre il membro del suo uomo, caldo, preme e fruga, trova la giusta posizione. Nonostante ciò attende un attimo, poi lo vuole, è troppo che attende, piega le ginocchia quel che serve accogliendolo dentro di lei: dolore! Si,un poco troppo in fretta. Si ritrae, non importa, il tempo di un sospiro e di nuovo scende, ancora, di più fino a sentirlo premere li in fondo. Fa forza sulle gambe per poi farsi penetrare ancora, e ancora. Ora è stesa sopra di lui felice di averlo dentro di sè. Vuole dargli piacere, farlo godere, è il suo uomo e…Questo no. Il Dottore le schiude le natiche e trova l’altro suo orifizio. Piera ne è paralizzata, più per la sorpresa che altro, fa in tempo a capire ma non a prepararsi ed il colpo di reni la colpisce ancora indifesa. Inarca la schiene e grida per il dolore, così, a freddo… Per quanto avvezza a trattamenti rudi emette un secondo grido soffocato, si morde il labbro, di nuovo si inarca e si immobilizza, spinge dilatandosi, diminuendo così il dolore, è questo che importa, finché il nuovo amante…, il suo grosso pene non è completamente entro le sue viscere. E’ la prima volta in quel modo con due uomini e non sapeva, non poteva sapere. Di nuovo grida mentre i due suoi uomini a turno le infliggono colpi di ariete, indifferenti della sua sofferenza. Le sembra si tocchino dentro di lei, possibile? Pazzia. Ora ne gode però. Dolore e piacere si alternano e si mescolano e la donna geme e sussulta per poi abbattersi quando, quasi contemporaneamente sussultando a loro volta, si svuotano dentro di lei. I suoi amanti… Geme di dolore e di piacere quando, si scambiano di posto, quando a turno si svuotano nella sua bocca. Piera ne è fiera, sa in quegli attimi di essere bellissima, di avere una bocca bellissima ed una fica bellissima oltre ad un sedere bellissimo. Sono così apprezzati dall’uomo che ama e dall’altro che teme. Si sveglia che è quasi mattina. Il suo Giulio dorme occupando buona parte del letto. Non cerca le pantofole e nonostante il freddo non si copre. Degli avanzi messi in frigorifero, del pane ed una tazza di caffè placano le sue principali esigenze. Poi i lunghi e consueti ‘lavacri’, un quarto d’ora e più nell’acqua calda piacevolmente profumata. Sa, ricorda di aver gridato, di dolore. No, sei una gran bugiarda, godevi anche, ti piaceva. Meglio ti piaccia il mio cazzo, molto meglio per te che ti piaccia, le aveva detto il Dottore. Non lo ammetterò mai e poi mai, cascasse il mondo. Non deve saperlo, solo…no neanche Lui, glie lo direbbe subito. Sazia di cibo e di acqua calda La donna si abbandona al sonno rincantucciata accanto al suo uomo. E’ Lui a destarla più tardi, quanto non sa. Mi sveglio di soprassalto, mi sta carezzando e mi piacciono le sue carezze. Fingo di dormire e Lui si fa sempre più pressante, mi devo ‘svegliare’. Ha la barba lunga e sa di amore, di me anzi. Mi vuole. Lo bacio e lo carezzo, gli succhio il pene già pronto a possedermi e non voglio altro. Ti amo. Lui allora mi bacia, inizialmente con infinita dolcezza, poi meno, sempre meno, voglioso ormai e prepotente. Come vuoi che mi metta? Allargo allora le gambe e protendo il ventre che tanto gli piace. Piace anche a me così. Non gli basta. E’ già chiaro e vuole la mia bocca, la mia gola e vi si riversa. Non ho voglia di alzarmi, ho inghiottito il seme del mio uomo e di nuovo mi addormento di fianco a Lui.

Il biglietto che mi ha lasciato dice: Rimetti tutto in ordine. ‘ meglio vuotare il frigorifero, non so se e quando, Angelo ti permetterà di tornare. Passerà a prenderti verso le quattro. Ricordati che sei soprattutto sua.

Il Dottore passa a prenderla più tardi del previsto. Solo una mezz’ora che basta però a metterla in subbuglio. Perché poi? Per tutta la vita ha dovuto essere meticolosamente puntuale e sopportare la mancanza di puntualità altrui. E’ abituata, ma questa volta freme, guarda in continuazione l’orologio per poi essere presa da un altri timori: il portone è chiuso, il campanello guasto. Poi, finalmente Lui. Buonasera Dottore. Ha aperto la porta ancora scossa, arretra un poco per fargli spazio e gli sorride nel tendere la mano per addossarsi il peso della grossa borsa. E’ veramente pesante, quasi le sfugge di mano e la guarda meravigliata. La porti di la, in camera da letto, e la segue. Non vorrei che la cameriera la vedesse, ha un posto per chiuderla a chiave? Poco dopo sono in macchina diretti a casa, a casa di lui. Le era sembrato più lungo il percorso la prima volta ed al ritorno non ci aveva badato, tutta presa dalla speranza di vedere il suo Giulio. Sono arrivati salutati da Iolanda. Cenano ed il suo Padrone parla di tutto e di niente, futilità. Ieri ho visto la sua felicità nell’incontrare mio cugino . Basta poco a farla contenta. Mi faccio ancora più attenta. Andrà a vivere a casa sua, così potrà venire a trovarla quando vuole. Badi, alla minima sciocchezza è a me che ne risponderai, sarò io a punirla. Lo ha voluto lui, è stato irremovibile. In quella borsa c’è quanto serve per educarla anche a casa sua. Manette, catene. Fruste no, sono in villa, le porterò nei prossimi giorni. Adesso si spogli. Non me lo aspettavo, o meglio non me lo aspettavo prima che Iolanda finisse di sbarazzare. Una minima esitazione può essere pericolosamente dolorosa e rapidamente mi sbarazzo di tutto. Mi fa posare la nuca sul divano e porta le ginocchia ai lati della testa. Non cerca il morbido anello delle labbra e neppure scivola sulla lingua. Me lo punta in gola e spinge a piccoli colpi fastidiosi all’inizio poi sempre più dolorosi. Smette solo quando tossisco e quasi vomito. Sta imparando, bene. Poi, riversa sul bracciolo, mi entra nel sesso ma pure qui si arresta prima di giungere al termine, ed esce di me. E’ ubbidiente, veramente ubbidiente. Mi punta sul buchino del sedere ed io cerco di prepararmi. Scusate dottore , il caffè. Si, aspetta un attimo. Mi sono contratta mi agito, non so neppure il perchè, ma davanti alla cameriera, davanti a Iolanda…Si accorge della mia piccola rivolta e mi blocca gravandomi con la mano all’altezza delle reni. Mi forza, brutalmente, tanto da farmi gridare per il dolore e la sorpresa, grido ancora quando, appena uscito dal retto, senza attendere neppure un attimo, di nuovo ne forza l’ingresso ancora dolorante, se mai, più brutalmente di prima. Si solleva un poco e solleva me prendendomi per i fianchi. Sono ancora infilzata dal suo pene. Beve il caffè che Iolanda gli porge e restituisce la chicchera ringraziando la serva. Si beve il caffè e ringrazia la serva tenendomi il cazzo nel sedere. Chiudo gli occhi, il Dottore non può vedermi ed io non voglio vederla mentre finisce di riordinare il tavolo senza smettere di fissarmi. Sono stesa sotto il mio nuovo Padrone che mi incula lentamente per prolungare il suo piacere. Per me dolore e vergogna. Spesso non riesco a trattenermi, mi torco, mi lamento. Capire la ragione di tanta ferocia non mi aiuta. Dolore ed umiliazione sono la punizione per essermi istintivamente ritratta, per non aver soggiaciuto alla sua volontà E’ una serata lunga, dolorosa ed umiliante. Sono giorni dolorosi ed umilianti. Nuda e sempre a sua disposizione. Quando la signora Iolanda esce per la spesa od altro, rispondo anche al telefono, ma non è questa la mia mansione principale, bensì stargli vicino perchè possa usare gli orifizi del mio corpo: il sedere che predilige ed in secondo luogo la bocca, anzi la gola. Solo talvolta mi usa come donna. Credevo di piegarti con facilità ma sento in te ancora un fondo di indipendenza, un fuoco di rivolta, una brace appena che devo spegnere e spegnerò. Passo da Lui a volte più giorni senza neppure uscire in giardino, a volte manda con brevissimo preavviso Iolanda a prendermi a casa con la macchina. In genere però passo da Lui alcune ore tutti i giorni, quasi un orario d’ufficio. Iolanda ripone i miei indumenti man mano che mi spoglia e li ritrovo dopo qualche ora perfettamente ‘ripassati’. Se non fosse che amo punirla personalmente, mi ha detto una volta, Iolanda sarebbe felicissima di usare lei lo scudiscio. Ed usa lo scudiscio ad ogni occasione, vera o presunta. La minima distrazione, un attimo di ritardo nell’eseguire un ordine, non pormi esattamente come gli piace, non muovermi come dovrei mentre usa il mio corpo, un gemito, una occhiata od un cenno che non approva. Non solo a casa sua. Talvolta compare a casa mia, ne ha le chiavi fornitegli dal mio amante, ma chi è ormai il mio amante? Vedo Giulio raramente e quasi sempre a casa mia in compagnia del Dottore. Giulio non ama battermi ma vi assiste volentieri, talvolta anzi denuncia mie mancanze, vere o presunte, chiedendone ‘la giusta punizione’. Ama tenermi i polsi stretti nelle mani mentre Il dottore usa il corto bastone sulle mie natiche che poi penetra sempre senza curarsi del dolore che mi provoca. Subito dopo Giulio usa il mio ventre. A casa mia, nel caso purtroppo frequente di punizioni, vengo imbavagliata, qui ci sono dei vicini. Nondimeno lo amo. Lo amo persino quando mi fa battere. Temo il Dottore. Come prima? Quanto lo temevo i primi giorni? Forse no. Sento o mi illudo di sentir crescere una qualche forma di stima nei miei confronti. Ma certamente mi illudo perchè mi batte sempre più spesso e sempre più ferocemente, tanto che per non deturparmi ricorre a metodi diversi dallo scudiscio. Più dolorosi, come battermi sotto i talloni o farmi tenere da Iolanda con la testa sott’acqua fin quasi a farmi svenire. So che non mi vuole uccidere ma il mio corpo non lo sa e quando ci si sente soffocare… E’ orribile. Talvolta usciamo a pranzo, più spesso a cena. Allora è di una cortesia squisita, un perfetto gentiluomo, poi, al ritorno, spesso mi spiega in cosa sia venuta meno ai miei doveri e perchè debba punirmi. Perché non rifiuto tutto questo, perchè non fuggo? Perché non dico basta? Me lo continuo a chiedere ma non ne trovo una spiegazione plausibile; paga anzi pagano le cure di mia mamma, la retta scolastica ed il resto per Lucetta…ma certo non è solo questo, C’è dell’altro, ma non so cosa. Qualche giorno fa, su una rivista dal parrucchiere, ho leggiucchiato poche righe in cui si giustificava un uomo che aveva due case e due mogli. Le amava entrambi. Amo Giulio ma temo il Dottore. E’ il timore tenermi legata a Lui? Non posso avere l’amore di Giulio senza vivere nel terrore appartenendo anche all’altro. Sopratutto all’altro. Soltanto all’altro anzi, questa è almeno la tesi convinta del mio amante. Sono stata iscritta ad un corso di lingua inglese solo perchè lo frequentava una bella ragazza che interessava loro. Dovevo farne la mia amante e deporla poi nel letto dell’uno o dell’altro, forse di entrambi. Ho ubbidito e ho tentato di riuscirci, senza successo, con mio gran dispiacere. Sono stata sollecitata ad essere ‘gentile e disponibile’ con un possibile cliente del Dottore. Con questo ho avuto successo e successo ho avuto con un altro soggetto, pure suo potenziale cliente, una donna. Ne ho ricavata molta soddisfazione, orgoglio anzi. Amo Giulio e temo il Dottore, ma non è anche questo timore una forma di amore? Continuare a cercar di ottenere il suo di amore mi sembra sempre più mera utopia anche se, qualcosa sto ottenendo: una specie di stima, credo. Non voglio resistergli ma talvolta non riesco ad essere del tutto sottomessa, non quanto vorrebbe e vorrei. Non è che tu opponga mai qualche rifiuto ai suoi ordini, ci mancherebbe, gli sarebbe poi facile anzi piegarti, raddrizzarti, mi dice Lui, Giulio, un mattino, dopo che il Dottore se ne era andato. Lo urta la tua indifferenza a tutto. Naturale che quella sera, quando lo hai conosciuto, nell’accettarlo come tuo Padrone, avessi qualche riserva sotto la apparente sottomissione totale. Doveva scomparire col tempo. Sei stata più di due mesi al Circolo, ora sei la sua donna da sei, ti pieghi un poco ma poi tutto torna come prima, sei testarda, troppo testarda. Ti ama, tieni presente che ti ama. Da tempo il mio Amante lo va ripetendo del mio Padrone. Amante l’uno Padrone l’altro. Li potrò mai amare entrambe ed esserne riamata? Non credo proprio. Potrei innamorarmi del Padrone oltre che temerlo? Forse. Lo ammiro, lo temo e gli ubbidisco come posso, certo. Ma amarlo? Non sarebbe poi la soluzione di nessuno dei miei problemi. Mi torco di piacere tra le braccia di Lui. Non riesco a ragionare più di tanto mentre l’uomo che amo si affanna sopra di me alla ricerca del suo di piacere. Ne godo pure io, a modo mio però. Godo all’idea di dargli piacere, nella mia testa di coccio duro. Non ho mai raggiunto l’orgasmo di cui le compagne al Circolo cianciavano senza posa, oltre che nella testa, qualche volta provo qualche sensazione di piacere li in basso e nel ventre. Non potevo sapere che il giorno stesso…

Lui se ne è andato di primo mattino e con l’aiuto della cameriera la casa è stata riordinata. Uno spuntino con gli avanzi della sera prima sottratti alle brame avide della serva, poi per le due e mezza sono pronta, da tempo, come sempre in anticipo. Attraversiamo la città, ed un’ora più tardi, fuori dalla nebbia, accosta ad un muro. Questa è la villetta della signora Erminia che già conosci. Per qualche tempo, per tutto il tempo necessario resterai qui e le ubbidirai. Non dice altro e rimette in moto.
La villa è piccola, pianterreno e primo piano. Vecchiotta ma molto ben tenuta e splendidamente arredata. Ci apre una donna di mezza età, un poco arcigna, poco dopo entriamo in un salotto all’altezza del resto già visto ed accolti dalla signora Erminia più elegante che mai. Resto in piedi in attesa, un poco sconcertata; per quanto mi abbia certo riconosciuta, a me neanche un cenno mentre nei confronti del dottore si dimostra un poco scostante ma cordiale. Gli propone un caffè che Lui accetta. Lei ha ottemperato alle mie richieste, soldi, penso, ed io farò quanto mi chiede. Se servirà più tempo, deciderà a suo giudizio signora. Bene cara, riprende lei, togliti la camicetta, anzi spogliati del tutto. Non devi neanche esitare mi ero detta, qualsiasi cosa vogliano. Mi spoglio di tutto. Mi fa aprire la bocca e con una piccola pila mi controlla la gola, Controlla la consistenza dei seni, stringe con forza controllata i capezzoli, cioè facendomi male ma non tanto da farmi gridare. Indossa un guanto di gomma e mentre lo indossa mi fa inginocchiare su un largo e robusto tavolino decisamente fuori luogo tra il resto dell’arredamento. Immagino già…e non sbaglio. Esamina l’interno della vagina e poi del retto, vi rigira il dito. Tutto più che a posto direi, un po’ irritata dietro ma normale conoscendo le sue preferenze, Dottore….esigenze signora, esigenze. Lei sorride, va bene, esigenze e consuetudini. Alzati. Guardo incerta gli abiti tra le mani della cameriera e la signora che vede scuote il capo. Verrà tutto riposto e li riavrai lavati e puliti alla fine, poi, senza soluzione di continuità e rivolta al Padrone: sa cosa aspettarsi? Assolutamente no. Le ubbidirà in tutto ed in silenzio. So che lei sa farsi rispettare, signora. La signora ignora questa frase adulatrice. Se la vuol salutare, vi lascio soli, comunque dottore, ha ragione, ma altre volte ho tolto un vizietto analogo, radicato di più o di meno è presto per dirlo, ma alla fine l’ho tolto. Qualche attimo e nella stanza siamo Lui ed io. Non farmi fare brutte figure. Puoi dire tutto di te, di mio cugino e di me. Non hai nulla da nascondere, anzi devi rispondere sinceramente a qualsiasi domanda. Mi vede esitante. Che c’è? Spigo quale sia il mio dubbio e conferma i suoi ordini. Uscirai di qui un poco più ubbidiente e certo più bella. Ho la netta sensazione che voglia baciare la mia bocca. Non lo fa mai da quando la usa per i suoi piaceri. Non bacia in bocca, mi ha detto fin dal primo giorno, una che fa pompini alla merda. Volgare ma icastico. Dovrò per qualche tempo privarmi di te, dice dopo un attimo, forse desidera, no, non vuole godermi, una carezza leggera al volto, qualche passo e scompare. Avrei voluto supplicarlo di non abbandonarmi in questo posto che mi terrorizza, alla signora che già temo quanto ed anzi più di Lui. Non ho osato, non ho trovato l’occasione…e sarebbe stato del tutto inutile. Falso, è tutto falso. Sul retro della Villetta c’è un piccolo parco quadrato con giardino. Un angolo, è privo di alberi e coperto dall’erba di un prato e da alcuni cespugli. Al vertice opposto una boscaglia, artisticamente folta e disordinata. Tra il bosco ed il prato, altri due spazi, alberati come parchi in miniatura meno folti ed anzi quasi ben ordinati. Sono attraversati da sentieri studiatamente sinuosi che spesso si intersecano scavalcandosi su ponticelli. Alcuni ruscelli zigzagano tra gli alberi. Ormai La Signora Piera sa che l’erba, le siepi e gli alberi sono finti, di una di quelle sostanze inventate da poco, e finti sono i ruscelli e le cascatelle. L’acqua è costantemente riciclata da qualche pompa nascosta che da un minuscolo laghetto di lato al prato la riporta in alto a riprendere il ciclo. Persino il cielo è una menzogna, falso nella sua luminosità poco credibile, soltanto una copertura ben studiata…Loda la Signora per quel capolavoro ovviamente, ha imparato da tempo a mentire in maniera credibile ed a solleticare nel modo più appropriato chi deve ingraziarsi. Non è viltà, solo una forma di autodifesa per sopravvivere. La signora Piera qui sarà per tutto il tempo solo Piera perchè il titolo di signora, La Signora anzi, con nella intonazione quella nota di rispetto dovuto, spetta solo alla padrona di casa, la Signora Erminia. Signora poi, basta ed avanza ad identificarla, è l’unica Signora. La giovane donna si è persa per un attimo in quel groviglio di pensieri a prima vista futili e sciocchi ma sa benissimo quanto invece possa essere utile riuscire a districarli per risparmiarsi qualche battitura. E’ certa che la frusta ed altri strumenti dolorosi del genere siano di uso frequente in quel posto. La Signora Erminia poi la aveva turbata ed intimidita fin dal loro primo incontro, mesi addietro. Ti unirai alla coppia, quelle due in fondo. Vieni, e lascia gli zoccoli assieme agli altri. Piera era conscia di avere gli occhi di tutte le ragazze su di sé. E’ nuda ma la cosa non la infastidisce minimamente, è abituata da tempo ad essere vista nuda, sa inoltre di essere molto bella. Anche quelle sono tutte assolutamente nude, ed a quel che vede, come lei, tutte col pube accuratamente rasato, e per il poco che resta, truccate e pettinate con molta cura. Passando tra loro nota che anche le unghie dei piedi oltre che quelle delle mani, sono accuratamente coperte di smalto, un colore diverso per ciascun gruppo di tre donne. Sono undici paia di occhi a fissarla attenti. Le ragazze avevano smesso di fare quello cui si dedicavano al loro arrivo. Niente di strano vede subito, sedute o stese sul prato giocavano, chi a dama, chi a monopoli od a carte mentre altre si dedicavano a svaghi meno sedentari. Bandiera ed altri giochi che implicavano qualche corsa o poco più. Non tutte erano belle e neppure erano tutte giovani anche se alcune di loro, ma poche, erano di certo decisamente troppo giovani. Salve ragazze, buon giorno Signora. Un coro, mentre quasi simultaneamente si alzavano e le altre, tutte, smessi i loro svaghi si avvicinavano. Con lei, Piera, erano in dodici. La vostra nuova compagna si chiama Piera. Sono certa che saprete indicarle come comportarsi, adesso sbrigatevi a finire, la cucina non tollererà più ritardi. Non serve essere dei geni per percepire la tensione allentarsi mentre la Signora, senza un cenno, si allontana e scompare nella palazzina. Si allenta, pensa Piera, ma non del tutto. Troppo spesso l’una o l’altra delle giovani donne alza gli occhi per poi tornare a concentrarsi su quello che sta facendo, il gioco. Spiano le finestre dalle quali, una sopratutto, qualcuno potrebbe controllarle. La lampada o qualsiasi cosa stia a simulare il sole diventa sempre più luminosa e la temperatura cresce, ormai fa quasi troppo caldo, tanto che imitando le compagne, Piera va più volte a bere ad una ‘sorgente’ da cui zampilla acqua fresca…Spero, si dice, non sia la stessa del ruscello. Va anche ad orinare e nota la assoluta pulizia di quel locale. Bene, si mangia, le dice una compagna quando esce, vieni. Seguendo le compagne, si chiamano così tra loro e lei le imita, vorrebbe anzi mimetizzarsi e sparire tra loro, si guarda intorno e cerca di immaginare quanto sia costata quella messa in scena e quanto costi mantenerla, ma al limite non le interessa. Sa che il suo Padrone ha versato alla Signora una cifra notevole ma non ne conosce l’entità.

Non ho mai visto un self service se non al cinema e ne sono incuriosita e divertita, è inusuale per me. Tre delle nuove compagne, tutte un poco in carne non seguono la fila ma si servono a parte, a dieta, penso. Male non gli farà. Una fa parte delle ‘troppo giovani’ e noto i segni di una recente battitura, scudiscio, vedo subito, forte purtroppo della mia notevole esperienza in materia, non pochi colpi ed inferti con precisione dove fanno più male. La maggior parte delle altre mostra segni analoghi, su tutte loro hanno usato lo scudiscio e le verghe, forse qualche altro maledetto strumento che non so riconoscere dai segni che lascia. Colpi di battiture più o meno recenti. Cerco di evitare di pensarci, ma capisco che l’uso di quegli strumenti è usuale e frequente, tutte sono segnate. Preferisco pensare al cibo, anch’esso vitale, ma me ne preoccupa meno, non vedo scheletri in giro. Mi servo con moderazione, anche a me perdere un chiletto non farà male. Riso bollito con poco olio e parmigiano, una fetta di roastbeef con insalata ed un frutto. Non morirò di fame. Io non ho fatto domande e loro non mi hanno detto niente. Questo mi preoccupa un poco, ma la tensione delle ultime ore, placandosi un poco mi permette di addormentarmi. Mezz’ora, un’ora od anche di più, non so, non ho ancora imparato a valutare il tempo basandomi su questo sole fasullo. Sono svegliata da una compagna. Vieni è ora. Ora di cosa, mi chiedo. Lo capisco in fretta, anzi mi viene spiegato quasi subito. Ciascun membro di ogni squadra ha gareggiato con le compagne della sua squadra. Lo fanno tutte le mattine. Le perdenti di ciacuna squadra, quelle che hanno totalizzato meno punti, hanno gareggiato tra loro. La classifica stilata per queste quatto serve da base per decidere chi subirà ‘l’incentivo’. Lo spiega la Signora a mio uso e consumo, concludendo che per oggi e per tutta la settimana io verrò ‘incentivata’ fuori gara, è la norma. Cominciavo già a sperare di cavarmela ed invece no. Per il resto seguiremo la regola, dice piena di sussiego. Ci sono dei sacchetti colorati in maniera diversa da cui estrae delle tessere che decidono quante, da nessuna a quattro, verranno frustate, anzi no, devo usare i loro modi di dire, ‘incentivate’, Che parte del loro corpo riceverà i colpi e con che strumento, per quanto tempo resterà aperta, qualsiasi cosa voglia dire, chi le batterà ed altro ancora. Non bara la Signora, ma qualche volta infrange le regole come oggi nel mio caso. Ma non era la consuetudine che l’ultima arrivata… Vengo legata a braccia tese verso l’alto e gambe aperte su un piccolo palco un poco sopraelevato. Ci sono quattro colonnine che si congiungono sopra la mia testa. Civettuolo se visto da una angolazione diversa. Inizia anche una vera asta su chi debba impugnare la ‘frustella’ e lo scudiscio. Giocando mi dice la signora, la mattina, puntano colpi da dare e ricevere…sono troppo spaventata per capire.

I primi colpi sui capezzoli mi fanno quasi ucire di senno, non pensavo esistesse niente che potesse causare tanto dolore. Grido, anche se avevo deciso di resistere a qualsiasi costo. Non subito, dopo il quarto o quinto colpo. Comincio subito invece a scuotermi come se fosse possibile liberarmi o sottrarmi ai colpi, ognuno dei quali bacia bruciante uno o l’altro dei capezzoli con il cimino poco più grande di un’unghia. Il dolore, il bruciore si diffonde, ora a bruciare sono entrambe le mammelle. Brucia il colpo e brucia l’anima, persino respirare e pensare brucia. Colpi lenti, distanziati, feroci nella loro precisione. Una dozzina di colpi che a me sembrano mille. Ho i capezzoli tumefatti, impossibile solo sfiorarli senza provare un dolore immenso, ma la Signora li sugge e li morde. Perché, chiedo. Ora, sciolta, giacio priva di energie a terra tra le sue braccia al centro del palco. Perché posso, e perchè mi piace, risponde sorridendo. Un sorriso bonario quasi, ma solo per un attimo. I tuoi due uomini pagano perchè ti sottometta, ti ripulisca l’anima e lo faccio ben volentieri. Mi piace farlo, sempre, con tutte, ma nel tuo caso, esita, volge il capo attenta. Nessuna può sentirla. Nel tuo caso ho desiderato averti per me fin dalla prima volta che ti ho vista e quando l’Avvocato ha chiesto qualche suggerimento ho sperato di averti qui. Una pia illusione, temevo, ero quasi certa fosse impossibile, ed invece sei qui, mia, soltanto mia, completamente mia. A parte qualche piccola limitazione che pure mi irrita termina poi, dopo un attimo di esitazione. Ma vedremo se sarà possibile andare oltre, fino in fondo, chissà. La fisso incredula, distolgo gli occhi e di colpo le credo anche se non capiso “fino in fondo” cosa vorrà dire per me. Perchè no, e poi che differenza fa saperlo ora? Per un breve folle istante immagino di doverle essere in qualche modo persino grata. Forse, senza di lei, il mio amante…Non hai ancora finito mia cara. Sono tra le sue braccia e mi bacia, a lungo, quasi avida. Mi spinge la lingua fin quasi in gola per poi risucchiare la mia nella sua bocca. Sono abituata ad ubbidire, a fare tutto ciò che i miei Padroni o chi altro, col loro consenso, mi chieda. Non trovo quindi strano rispondere ai suoi baci e soggiacere alle sue dolorose carezze. Mi strappa gemiti di dolore torcendomi i seni ed incredibilmente scatena brividi di piacere carezzandomi sapientemente la fessura del sesso che mi accorgo essere già fradicio dei miei umori. Mai ho avvertito tanto calore addensarsi ed urgere nel ventre. Mai è stata così dolce e pressante la presenza del clitoride solo sfiorato leggermente ma con sapienza, mai è stato così sensibile, mai mi sono bagnata così alle prime carezze, toccamenti di una donna poi. Mi muovo seguendo i suoi ordini sommessi, indifferente alla presenza delle altre, ai loro commenti a bassa voce. Un ordine che non capisco ma che eseguo. Poi capisco cosa voglia e lo faccio rabbrividendo per ciò che ora so mi aspetti. Poso le labbra e la lingua ancorchè asciutte sul corpo della Signora in corrispondenza dei punti dove son stata colpita e dove sarò colpita più tardi, sui seni, tra le cosce, sul sesso, sull’altro orifizio…Vengo rifocillata con un sorso di un liquore molto dolce poi legata di nuovo. Ora sono stesa sul palchetto, sulla schiena ed ho le braccia tese ed i polsi uniti a due montanti. Sotto la vita, verso i fianchi il ripiano del palchetto finisce ma usano una specie di imbragatura e sono posta e legata a gambe molto divaricate, tanto che solo questo già mi causa una notevole sofferenza. Le caviglie vengono portate all’indietro verso l’alto ed è ancora peggio. Al mio gemito di nuovo sorride ordinando con un cenno alle compagne che stanno legandomi di proseguire. Che sarà mai, imparerai a stare così per ore. Nel dirlo una ulteriore carezza sfiora la fessura per scendere tra le natiche poco più sotto, lieve, sull’altro mio orifizio. ma senza forzarlo. Un sospiro, vedremo, dice. La mia femminilità, i due orifizi anzi, sono completamente esposti alla vista delle astanti ed ai colpi delle carnefici. La frusta di seta guarnita di piccolissimi pallini di piombo mi colpisce in alto tra le gambe, da sopra le ginocchia fin oltre il basso ventre ed una o l’altra compagna spia ogni mio gemito, ogni eventuale parola, inginocchiata vicina a me. E’ l’orrenda frustella che imparo a conoscere. Punture di spillo all’inizio, per questo la tortura può essere protratta fino all’orrore. Non arriva a tanto, non oggi. Resto poi ‘aperta’ per ore, sdraiata sulla schiena e la posizione a gambe tanto divaricate mi crea ulteriore tormento.

Una settimana così non riuscirò a sopportarla penso quella sera nel mio giaciglio, il polso sinistro incatenato al muro. Invece giorno dopo giorno imparo a soffrire in silenzio, maledicendo la Signora e le mie compagne, col sorriso sulle labbra, sempre cortese con l’una e le altre. I giorni passano senza lasciare traccia, il tempo scivola via. Una volta poi sempre più spesso, la Signora mi chiama nel suo letto. Il pomeriggio nel tempo dedicato al riposo, poi, più spesso il giorno o la notte ed infine quasi tutte le notti. Le piace scuotermi quando si sveglia verso l’alba ed usare la mia bocca per farsi suggere i seni, lentamente, con molta delicatezza, guai altrimenti. Nel contempo devo carezzarle il sesso fino a farla bagnare. L’ultimo piacere è per lei battermi a lungo fino a strapparmi quelle grida che tanto apprezza, per poi farmi portare, in lacrime ed ansante di dolore, la bocca al suo inguine e stancarla del tutto. Mi chiama cagnolina, apprezza i miei baci e le mie carezze. Apprezza il modo con cui mi torco a lungo, ostinatamente in silenzio. Apprezza come alla fine chieda, invochi gridando, pietà. Apprezza al massimo la volta che disperata le chiedo di tenermi per sé, che mi compri se necessario, che mi permetta di fuggire ai miei padroni per raggiungerla. Sono pazza di terrore, temo scopra la mia bugia, ma sono ben certa sia solo una bugia? Godo intensamente poco dopo, quella stessa notte, quando per la prima volta è lei a dare piacere a me carezzandomi tra le cosce, su fino alla mia femminilità che osserva a lungo, attenta, e poi lambisce ostinatamente ancora più lungo, senza arrestarsi per una pausa neppure quando raggiungo per la prima volta un orgasmo squassante, e neppure la seconda volta e neppure le infinite volte successive in quella incredibile alba…Sei solo una sciocchina, una tremenda sciocchina, mi dice, ma io ti…ma non finisce la frase, qualsiasi cosa volesse dire. Da allora, pur senza divenire meno esigente o meno feroce nel punire la minima esitazione od il minimo errore, senza minimamaente rinunciare al soddisfacimento dei suoi desideri, mi guarda con occhi diversi quando sono nel suo letto. Sai, cagnolina, poche, forse nessuna, è mai stata tanto ostinata nel rifiutarmi la dovuta obbedienza, la totale sottomissione. Esulto quel mattino, mentre il primo chiarore allontana le ombre della notte ed i suoi fantasmi. Esamina attenta il mio corpo che percorre con i polpastrelli esperti. Esamina gli occhielli dorati che ornano ed abbelliscono secondo lei la mia vulva, le labbra interne. Esamina il marchio che indica a chiunque mi penetri il sedere, a chi questo sedere appartenga, a chi io appartenga e questo non è giusto, non appartengo solo al Dottore.

E’ stata la Signora a bucarmi le piccole labbra, a inserirvi gli occhielli, a farvi passare la catenella d’oro. E’ stata la Signora a marchiarmi col ferro rovente l’interno della fessura del sedere, alla presenza del Dottore, il mio Padrone. Dov’è il mio amante, dov’è Lui? Perché non è qui? Tutto questo è successo a metà della mia permanenza alla Villetta; ormai non sono più una recluta ed anzi quasi nessuna, forse due sole delle compagne hanno più ‘anzianità’ di me. Due sue schiave, sospetto. Infilerei un dildo bello grosso in questo tuo culetto e dopo qualche giorno te lo cambierei con un altro più grosso ancora, di quelli a molla. Impareresti a fare splendidi pompini col tuo bel sederino, ma il Dottore non vuole. Sospira. Non raccontare mai al Dottore, a nessuno anzi, quello che mi hai detto, che mi volevi come tua Padrona. Ti ucciderebbe di botte, finiresti in un bordello per soldati in Africa a far marchette per sette lire e mezza. Mi carezza nel dirmelo giocando con il mio cinto di castità dorato, cercando la D nella fessura del sedere e poi il clitoride già eretto. Il mio amante mi difenderebbe ribatto con veemenza. Mi bacia la bocca. Sciocca, ancora più sciocca di quanto pensassi, ma già, sei solo una schiava. Il tuo amante, si, gli piaci, è vero, ma è sempre stato un farfallone. Se non ti ha ancora dimenticata ha già di certo altre amanti. Sussulto, piango, non voglio crederle e non le credo. Fingo soltanto. Come tutto qui, anch’io sono una illusione, falsa quanto i giardini e le piante attorno a noi.

Per un attimo le due donne si sono fronteggiate. Un attimo solo ma più che sufficiente ad entrambe per definire i reciproci ruoli. L’una, la Signora, Madame come poi imporrà all’altra di chiamarla, è una donna sui cinquanta anni e li dimostra, ama la comodità nel vestire ed in ogni sua manifestazione. Indulge a colorarsi i capelli che fa curare da una delle sue donne ed appare dolce e comprensiva. Lo è fintanto che non la si contrasti. All’interno delle mura del giardino i suoi desideri espressi sempre con cortesia sono legge. Qui è la Padrona, la Signora, è Madame. Alta ma non altissima, quasi androgina se non fosse per un seno normale, ha un volto liscio, certo non giovanile, quasi senza età. L’altra dimostra vent’anni al massimo. I capelli neri ondulati naturalmente le donano dandole un aspetto giovanile, inutile al momento ma che potrà esser molto di giovamento al suo aspetto in futuro. Bella, decisamente bella, quasi perfetta, e non può barare visto che le calzature ai piedi sono l’unica cosa che indossi. E’ la norma in Villa, serve a mettere in soggezione le donne che le vengono affidate, non tipi difficili in genere, ma soggetti ai quali verrà chiesto molto per soddisfare i loro esigenti padroni. E questa, Piera, della quale non aveva pensato nulla di buono sin dal primo momento ora la sfidava. Questa era stata almeno la prima sensazione di Madame. Aveva sostenuto il suo sguardo sia pure solo per un attimo la dove le altre ragazze, nude, in un ambiente sconosciuto, tremavano sempre ad occhi bassi.

Vieni cara, qui fa freddo, e si avviarono lungo un corridoio oltre il quale sbucarono all’apero in estate. Questa almeno fu per un momento la sensazione di Piera, prima di avvedersi che si trattava di una ampia serra in cui persino si simulava la luminosità del cielo. Piera, pur avvezza alla nudità si sentiva a disagio. Capì solo quando Madame sedette invitandola a fare altrettanto che ad infastidirla era la falsità. Li tutto era falso, un inganno e questo la infastidiva parecchio. Quelle sono le tue compagne, almeno per qualche tempo. Non le aveva viste prima, celate da alcuni cespugli. Vivrai con loro, e…non dovrai accompagnarti a clienti o soci od altri uomini. Qui non c’è nulla di vietato, se mai ci si annoia un poco e per questo potrai anche studiare, inventare qualcosa, di tua scelta. Adesso dimmi, il tuo padrone come preferisce goderti? Alludo al dottore, non al tuo precedente amante. Quasi scoppiò in lacrime vedendo ufficializzata questa verità. Lei era, apparteneva al Dottore ed il Dottore aveva detto…un ordine! Piera ubbidiva sempre agli ordini. Controvoglia ma ubbidiva. Talvolta con una quasi impercettibile esitazione ma ubbidiva. Era questo che il padrone di questa bella ragazza aveva comunicato a Madame e Madame, a sua volta, già dal primo momento aveva percepito. Non era sfrontata, non si era ribellata apertamente ma neppure aveva supinamente ed immediatamente accettato la sua posizione di schiava nelle mani della sua ‘tutrice’. Una sfida per Madame, non la prima ma forse la più impegnativa tra quante avesse già affrontate e vinte. Per prima cosa aveva troncato il cordone ombelicale che l’aveva così a lungo legata a Giulio, il suo primo amante. La piccola se ne era resa conto? Probabilmente si, non era sciocca, ma quella assurda speranza d’amore le dava forza, ed ora quella forza non c’era più. Aveva superate le regole piuttosto dure del Circolo, uscendone a testa alta, aveva ceduto alle pressioni non lievi del nuovo amante, ma non del tutto. E questa era la differenza tra una schiava, una brava schiava ma pur sempre una delle tante ed una schiava perfetta. C’era il materiale eccellente e la sua mano capace per portarla alla perfezione. In una ventina d’anni solo poche volte era riuscita raggiungere tale risultato…Da allora poi erano state introdotte molte nuove sostanze che moltiplicavano la sensibilità dei soggetti rendendo un buffetto doloroso quanto un colpo violento, ed una sola carezza capace di portare una donna all’orgasmo, quelle che preferiva, pur usandole con parsimonia e raramente, solo su soggetti meritevoli di tali attenzioni, Questa giovane schiava pervicace, ad esempio.

Quella era La Serra, così la chiamavano e loro ne erano i fiori. Nessun divieto, quasi nessuna regola, anzi nessuna, se non essere pulite, profumate, allegre, felici anzi. Potevano cantare e giocare a qualsiasi gioco, passeggiare, dilettarsi con la lettura od ascoltando della musica, qualsiasi musica. Abiti, questi no, solo sandali con di volta in volta il tacco basso oppure altissimo. Non venivano mai punite. Mai. Dovevano però giocare, magari solo per passare il tempo, ed era così facile restare senza gettoni. Potevano farsene prestare da una compagna più abile o fortunata, ma c’erano interessi da pagare. In pochi giorni fu chiara una verità. Non era mai stata battuta tanto spesso e neppure così duramente. Ebbe uno scatto, non di rivolta, solo di stizza o di paura e quella sera urlò per il dolore come non mai. Si dedicò a mascherare il suo carattere e vi riuscì così bene che le divenne naturale, istintivo ed infine congeniale. Le divenne congeniale assecondare le voglie della compagna di turno sorteggiata tutti i giorni, durante il ‘riposino’ pomeridiano, come costringeva un’altra compagna scelta dal caso a soddisfare le sue. Quando doveva, colpiva con indifferenza e con forza la compagna preferita o ne accettava i colpi. Si osservava allo specchio e ciò che vedeva le piaceva sempre più. Il pube appena paffuto e glabro grazie ad un lungo, meticoloso e costante lavoro con le pinzette. Doloroso anche e molto. Le forme più armoniose i seni più colmi. Come era mai possibile? Bastava a spiegare tutto questo la alimentazione curata e l’attività giornaliera? Ma anche questo non importava. E neppure le importavano gli ochielli dorati che adornavano entrambe le grandi labbra. Vi si poteva far passare una catenella che diventava una specie di cintura di castità. A cosa d’altro potesse servire non sapeva immaginarselo. Questi erano stati dolorosissimi da collocare in diverse sedute distanziate di giorni. Venne anche infibulata. Non quella orrenda mutilazione tribale di cui si sente sui giornali ma un inserimento al clitoride che la faceva essere più celermente pronta e bagnata per il Padrone.

Fin dai primi giorni o meglio dalle prime notti dormiva nella camera di Madame. Anche Piera doveva giocare e spesso perdeva. Talvolta spiava il volto della donna stravolto dal piacere mentre veniva montata da uno, spesso due giovani maschi, vigorosi e sempre diversi. Altre volte, ‘per conciliare il sonno’, chiamava una delle compagne di Piera, tutte loro avevano grossi debiti di gioco che Madame rilevava. Quasi tutte le notti, verso mattina, si faceva raggiungere dalla giovane strattonandola per la catena che univa il collare alla testata del letto ed era Piera che doveva ‘stancarla’ per farla riaddormentare. Le divenne consueto, normale, come sdraiarsi sulla schiena a gambe divaricate e le ginocchia allargate all’altezza del petto per offrire allo scudiscio di fili di seta appesantiti da piombini entrambe gli orifizi. Talvolta Madam lambiva i segni rossastri fino a darle piacere. Anche questo divenne usuale. Infine le tatuarono il pube. Era pronta.

Era pronta,ma non doma quanto poteva sembrare.

Il Dottore e Lui, il mio amore sono venuti a prendermi. Mi sorprendo quando scopro quanto poco tempo abbia passato qui, mi era sembrata una eternità. Qualche raccomandazione stranamente imbarazzata della Signora dopo qualche ora di follia nel suo letto.
Sono un poco dimagrita ma secondo il mio amante sono diventata ancor più flessuosa, desiderabile e bella. Il Dottore non è uomo da perdersi in complimenti ma l’occhiata in cui mi avvolge, da sola vale più di qualsiasi discorso. Possibile che sia loro mancata così tanto? Forse si, Lui mi ‘frequenta’ molto meno per ribadire che il mio primo Padrone, anzi l’unico mio Padrone sia il dottore. Se mi ama, la cosa deve costargli pur qualcosa e mi ama, si vede, lo sento anche adesso. Sono felice, vorrei cantare tanta è la felicità che mi assale solo a guardali parlare, poco distanti, con la Signora. Immagino cosa succederà questa sera, e mi sento donna, completamente donna, infinitamente donna perchè festeggeremo il mio ritorno dal Dottore, noi tre, ha detto il mio amore. Mi ama, mi ama ancora. Non so allontanare questo ritornello dalla mente, e ne sono felice, l’idea di essere amata da Lui mi fa perdere il contatto col mondo. Che importa, mi dico, aver sofferto, essere stata battuta ferocemente così spesso, talvolta più volte in un solo giorno. Che importa avere sulle mie carni inciso per sempre quella D, esser marchiata come un capo di bestiame dei film americani sul far west. Ero svenuta più volte quando la Signora mi aveva inserito i quattro occhielli, dorati, simili ma più piccoli di quelli per i lacci delle scarpe. Ero legata e provavo dolori indicibili, ma non vedevo quello che mi succedeva e questo era terrorizzante. Un dolore moltiplicato dalla sorpresa e dal non sapere, non poter vedere, ancora dolore, più volte, molte, troppe volte . Ero appunto svenuta ripetutamente ad ogni fase della operazione effettuata in giorni diversi per permettere le cicatrizzazioni necessarie alle fasi successive. Ho passato tutti quei giorni nel letto della Signora, un catetere per orinare senza infettarmi, senza poter vedere quello che mi stesse facendo. Poi il ferro rovente. Sono felicemente marchiata col la D del Dottore il mio Padrone, marchiata per sempre e ne sono felice, quasi fiera perchè il mio amante ne è contento. Soltanto quasi fiera perche vorrei portare due iniziali incise nelle mie carni. Possibile che tutto questo mi porti ad essere felice? Sei un po’ puttana mi dico, anzi una gran puttana. Che loro questa sera usino il mio corpo mi esalta. Che Lui mi prenda con dolce fermezza, che il Dottore mi faccia soffrire mi fa accapponare la pelle, mi illanguidisce, mi fa illudere. Mi sono mancati, entrambi. Entrambi ed in egual misura? Non so e mi risento per non sapermi rispondere, ma non ne capisco il perchè. Per loro, ho accettato quello che una signora neppure immagina. Sono una signora? Lo sono stata ma ora sono una puttana, la donna di due uomini perchè ne ama uno da morire, tanto da permettergli tutto, una schiava, no, schiava no, posso andarmene quando voglio, ma certamente non vorrò mai. Un groppo alla gola, una lacrima anche, autocommiserazione. Hanno finito di discutere, qualcosa passa di mano, salutano la Signora, partiamo. Ci fermiamo in una trattoria che non è niente di speciale. Solecitata ho raccontato in macchina quasi tutto della vita alla Villetta. Qualcosa lo celo, anche una schiava deve pensare a difendersi, ma mi costa. Abbiamo un tavolo sul retro, un poco appartato. Guardo il mio amore e guardo il mio Padrone che si dirigono ai gabinetti. Amo l’uno ed ubbidisco incondizionatamente all’altro. Ubbidisco però incondizionatamente anche al primo, ed è per questo che sono soggetta al Dottore. Ubbidisco quindi solo a Lui, no non Lui, così chiamo dentro di me il mio dolce amante, l’altro, il Dottore. Lo chiamo Padrone. La testa mi scoppia, ho voglia di piangere ed invece scoppio a ridere, poi avrei voglia di ridere e due lacrimoni mi scendono dalle gote, eppure posso essere solo ebbra di felicità. Faccio appena a tempo e mi ricompongo quando tornano dai servizi. E’ discretamente pulito, vai pure.

La sera vengo preparata dalla signora Iolanda. Sono orgogliosa del marchio, orgogliosa del gioiello che ora sigilla il mio sesso. Anzi non è più il mio. Non è più sotto il mio controllo, è controllato da chi ne possiede una delle chiavi, i miei due uomini, persino la signora iolanda, io no. La Cameriera controlla che il minuscolo lucchetto funzioni senza intoppi e ne è soddisfatta. Esamina la D che mi ‘adorna’ l’interno della fessura delle natiche. Bisogna schiuderele per poterla vedere. Il suo commento è che sarebbe stato meglio metterne due di D, una per lato. Nel suo feroce attaccamento al Dottore sragiona. Io penso che ci sia spazio per un’altra lettera, la G del mio amore. Mi guardo bene dall’esternare questo mio pensiero. Quando la hanno frustata l’ultima volta e con cosa? Ma suona il campanello, insistentemente. Pulita come un soldino appena uscita dalla zecca, ansiosa, raggiungiamo la saletta che conosco fin troppo bene. I due uomini siedono sul divano, eleganti, il Dottore è il meno bello, ha un aspetto certo più autorevole, sorseggiano un aperitivo e mi osservano direi compiaciuti. Ne sono compiaciuta anch’io, fiera della mia bellezza, dei loro sguardi ammirati, del desiderio che vi traspare. Per me, solo per me e ne esulto persino quando la cameriera mi fa stendere sul tavolo e mostra la famosa G. Non mi infastidisce essere oservata e palpata come una bestia rara, loro possono, loro ne hanno il diritto e la signora Iolanda è solo un loro strumento…E non sono una bestia rara da come si esprimono, ma un oggetto raro e prezioso, e ne sono ancora più fiera. A turno vi passano le dita, se ne compiacciono ripetutamente. Girati. Il mio amante si china a baciare la fessura sigillata, è sempre goloso di questa mia parte che il Dottore quasi gli riserva, per gusto più che per riconoscenza di avermi donata a lui. Il mio amante invece riserva al cugino il mio sedere, anche lui sopratutto per gusto, ma anche per riconoscenza e ringraziamento di antichi benefici ricevuti. Non è una regola assoluta, vi sono trasgressioni, insignificanti per l’uno e per l’altro. Carezzandomi tra le gambe e poi palpandomi tutta, particolarmente i seni ed i capezzoli ancora un poco dolenti per le ultime ore passate nel letto della Signora, sugge la mia bocca ed io ben presto spasimo vogliosa, in attesa. Lo voglio dentro di me, lo voglio, li voglio entrambi. Appartengo a due uomini e due uomini mi appartengono. Sono la loro donna, vorrei essere, non so, non voglio neppure sperare. Pazzia, è pazzia la mia Pazzia, si, ma cos’altro mi resta? E’ ancora tumefatta ma poco, puoi usarla fin d’ora come ti pare e senza rischi, dice il mio amante e me ne adombro. Parla anche del mio sesso ed è quasi una rinuncia al suo diritto su di me, sulla parte di me almeno che pure sembrava apprezzare oltremodo solo un attimo fa. Se non gli appartengo cosa sono? Non sei niente, mi dico, ma lo amo e Lui mi ama, anzi quante donne amano e sono amate come me? Per quanto persa e confusa in queste idee ascolto attenta le loro parole, i commenti. Parlano di me in assoluta liberà, quasi non ci fossi, come sempre. Passano le mani sul tutto il mio corpo. I seni ed i capezzoli si inturgidiscono più in fretta ed altrettanto il clitoride che sembra cresciuto di dimensioni, sostiene l’uno, l’altro assente col capo, non del tutto convinto. Quello che li manda in visiblio, giudicandolo un capolavoro, è il piccolo lucchetto che rende impraticabile il mio sesso senza il loro benestare. Sono stesa a gambe e braccia divaricate, aspetto le loro decisioni ad occhi chiusi, non penso ed accetterò qualsiasi cosa. Io purtroppo devo andare via di qui a poco, ma forse torno. Guardo incredula il mio amore, poi abbasso il capo frenando solo in parte un singhiozzo. In questo momento lo odio. Un bacio distratto e se ne va accompagnato dalla serva che ritorna poco dopo. Ho fatto fare alcuni lavori alla casa in previsione del suo ritorno all’ovile dice il Padrone, ma vedrà tutto dopo, ora la voglio, mi è molto mancata. Io sono pronta ovviamente, se mi vuole come donna deve però aprirmi. Penso di non averlo mai visto così famelico, freneticamente famelico. Forse per questo, parlandomi, contrariamente al solito “lei”, talvolta si confonde passando al più logico “tu”. Perchè poi “lei”, non ha senso visto come mi tratta, cosa pretende da me. In ginocchio attendo si liberi degli abiti, carezzo il pene già teso e turgido che lambisco prima di schiudere le labbra per accoglierlo come piace a lui. Come ormai sento piacere anche a me. Ne godo intimamente, nel profondo. Sono con uno dei miei uomini anche se vorrei averli qui entrambi. Pazienza, forse è meglio così, me lo auguro almeno. Non cerca l’elastico anello delle mie labbra, non vuole far scivolare il cazzo sul morbido cuscino caldo ed umido della lingua. Desidera chiavarmi in gola, la raggiunge e riesce a penetrarvi un poco, forse più di quanto riuscisse in passato ed insiste, si accanisce. Parte del glande è nella mia gola. Resisto fin che posso ai conati crescenti di vomito ed al dolore che non è poi poco. Temendo ciò che pensava sarebbe successo se avesse ulteriormente insistito rinuncia. La Signora in realtà mi ha abituata a ben altro spingendomi in gola quasi tutti i giorni aggeggi più grossi ed allargandomi un poco per volta ma con risultati per me ben visibili. Meglio non se ne accorga e non sappia. Sono contento che tu non abbia perso questa tua abilità, mi dice. Non sorride, non mi sorride mai ma ora passa il fazzoletto di batista sugli angoli della mia bocca e raccoglie il poco di saliva che vi era finita. Più tardi in ginocchio sulla poltrona acquistata apposta per me, con la seduta molto profonda e della giusta altezza per i suoi fini, aspetto paziente e timorosa, volgendogli le spalle, la testa appoggiata allo schienale. Le ginocchia schiuse. Paziente e timorosa ma desiderosa di essere posseduta, montata, chiavata dal maschio. Sono pazza, non ho mai desiderato quest’uomo, non ho mai desiderato prima sottomettermi come sto sottomettendomi al Dottore. So che mi farà male. Non mi ha goduto in bocca, mi entra con qualche veemenza nel sesso che aveva schiuso con la minuscola chiave ed io ne soffro ma ne gioisco oltre il logico. Mi piace essere posseduta da un uomo, sentire godendone la virilità viva e calda che ben conosco, ben diversa dagli strumenti amorfi e freddi ai quali ho dovuto sottostare alla Villetta. Poi il momento che temo. Schiude le meline ed esamina a lungo quella lettera incisa a fuoco che mi indica come sua proprietà. Per un attimo ne sono orgogliosa. Non l’ho mai vista mormoro. Ci faremo allora una fotografia, so dove poterla far sviluppare e stampare. Vi struscia a lungo i polpastrelli, mi piace, dice e sento l’orgoglio nella sua voce. Ma il desiderio urge ed il glande di nuovo penetra nel sesso, ci gioca qualche tempo poi cerca l’altro orifizio su cui preme con forza, penetra un poco dilatandomi dolorosamente. Mi devo essere dibattuta troppo e si arresta e temo voglia battermi. Siede accanto a me, mi abbraccia e baciandomi in bocca mi carezza tra le gambe. Mai aveva baciato la mia bocca dopo avermi presa nel modo che preferisce, nel sedere, la prima volta, la prima sera. Mi aveva poi costretta, come spesso in seguito, a succhiarglielo, è da allora che non bacia più la mia bocca. Mi piace moltissimo essere trattata finalmente come la donna che sono, da un uomo esperto, dal mio Padrone, sto bene tra le sue braccia, mi sento e sono una cosa sua. Mi osserva curioso, perplesso, quando un milione di anni più tardi mi pongo a pancia in giu sul bracciolo del divano. Una tacita offerta che anticipa solo le cose. Mi carezza lieve le natiche, le schiude cercando ancora quel segno indelebile che tanto gli piace guardare, sono più sua, penso. Mi inarco appena quando il dito mi penetra. Hai un culetto delizioso. Ti sei persino ristretta, è come avere davanti di nuovo un culetto vergine, marchiato. Ride sodisfatto, te lo svergino di nuovo anzi. Si apre di nuovo la via nel sesso, vi resta a lungo e mi piace, quasi…ma solo quasi purtroppo poi torna al buchetto che questa volta cede rovinosamente di colpo sotto il suo impeto. Urlo ripetutamente senza commuoverlo…Un dolore folle, insopportabilee disperato anche perchè sono certa mi abbia lacerata. Brucia, tira troppo, è impossibile che gli abbia gia dato piacere in quel modo tante volte, sento un esercito di spilli che mi pungono senza pietà. Inutile implorare che si fermi. Nondimeno lo imploro almeno di essere imbavagliata. Non è un grande aiuto, non limita le mie sofferenze ma almeno mi sfogo con urla che non lo infastidiscono. Che gli faccia persino piacere? Ma no! Uno sfogo che dura a lungo, mentre ripetutamente entra ed esce dal mio corpo, talvolta torna alla fica accogliente ma è un momento una illusione. Continua ed ogni volta spinge fin a farmi sentire lo scroto, troppe volte. Esce di me, mi porta tra le braccia, dolorante e distrutta fino ad una cameretta quadrata mai vista. E’ per te, cara. Vengo appesa, senza più bavaglio ed usa lo scudiscio, senza pità. Poi sul divano di nuovo mi incula entra ed esce dal miol corpo fino a svuotarsi. Di nuovo lo scudiscio, sto impazzendo ed urlo, sono di nuovo imbavagliata. Ora la signora Iolanda ti darà il benvenuto.
Urlo ma di rabbia oltre che per il dolore perchè come benvenuto mi fa frustare…è il compleanno della signora e questo è il suo regalo alla serva. Devo ammmetterlo, è una maestra in quest’arte, seconda solo e solo forse, alla Signora. Per fortuna sono imbavagliata perchè se anche mi trattengo col Padrone, insulterei certo la serva. Più tardi, ancora appesa al patibolo fatto costruire per me, entra il mio amante. E’ venuto per quella scopatina, mi spiega il Dottore con una strana smorfia divertita. Io non esisto, sono assente, sono altrove, per il dolore ripetutamente sofferto mentre il Padrone usava il mio corpo, per i numerosi colpi ricevuti dalla serva, ma soprattutto per la delusione inflittami dal mio amante. Mi riportano sul divano ed il mio amante gode del mio corpo, nel ventre come gli piace, ma io sono altrove, la mia anima è trasmigrata. Ricorderò da allora il mio amante sempre con distacco. Lo vedrò mentre si agita su una bambola di pezza che ne gode quanto può godere una bambola di pezza.
Ritorno in me molte ore più tardi, incapace di ricordare se non in parte ed ancor meno di capire. Non amo più Lui, amo il Padrone. No, impossibile. Non è così, non posso amarlo. Ma Lui, il mio Amante, come può essere che non lo ami più? Assurdo, li amo entrambi.

Per quanto indignata dell’indifferenza del vecchio amante la donna decide che lo ama ancora, che deve amarlo ancora. Ed il suo Padrone? Deve amarlo, per forza deve amarlo, sente di amarlo, ma cosa sente? Non voglio più disubbidirgli, mai più, si dice con fermezza e trema per questa sua decisione che sente salda come una roccia, irrevocabile. Non è certa che questo significhe amore, ma qualcosa sta almeno cambiando in lei. Se non è amore cosa mai è? Stima? Riconosce in lui qualcosa, una dirittura che all’altro manca? Non può essere che amore. Deve amare qualcuno, uno dei due almeno, altrimenti la sua vita perderebbe ogni significato. Ma amarlo significherà sofferenza e dolore, Lui, il Padrone non la amerà mai e lei ha fame d’amore, che altro c’è nella vita?! Perché poi non potrebbe innamorarsi di lei, vale dunque così poco, è una donna così insignificante? Torna poi un barlume di speranza, di luce. Perchè poi il suo amante non dovrebbe amarla più? Forse nel frattempo la ha tradita, ha avuto altre donne come ha detto la Signora, ma non sarà la prima donna a sopportare ed a superare questo. Deve anzi far finta di nulla. Evitare liti sterili, incomprensioni, ritorsioni e puntigli, guai. Lei si è però sacrificata oltre ogni limite per lui che è uno dei suoi due Padroni e pertanto ha tutti i diritti e nessun dovere. Lei ha solo doveri e nessun diritto. No, ho il diritto di essere amata, deve, devono amarmi, riuscirò a farmi amare.

Un paio di settimane più tardi telefona al suo amante. Assente per qualche tempo il Padrone può rivolgersi solo a lui. In realtà è una scusa per vederlo od almeno per sentirlo. Ho incontrato Daniela, siamo in un bar del centro… ma si, Daniela, quella che studia inglese e che…si, quella. Non sa dove andare a dormire, che faccio, la invito da me? Però adesso non posso mica provare a portarmela a letto…daccordo, va bene, ma non posso garantire niente.

Uno dei suoi due uomini od entrambe volevano quella ragazza certamente molto bella. La signora Piera veva dovuto iscriversi al corso di inglese che quella frequentava, l’aveva conosciuta, circuita, ma senza successo. Istruita dal Dottore le aveva raccontato qualcosa di sé, poco per non spaventarla ma abbastanza per farle capire in che mondo Piera vivesse. Daniela a sua volta le aveva raccontato qualcosa. La sua stessa età, vent’anni, pochi studi regolari, poi il lavoro in un ufficio e la speranza di sfondare nel mondo delle fotomodelle. Qualche servizio, qualche fotoromanzo, solo parti di secondo piano. Un amante quando si trovava davanti al classico ricatto.
Lo stesso pomeriggio traslocò le sue cose, non moltissime. Fu Daniela, nel coricarsi, a chiedere se fosse certa che nessuno dei suoi due uomini potesse giungere di sorpresa. Poi si lasciò abbraccire. Una rapida occhiata allo specchio mentre si lava le mani e Piera, la signora Piera come ancora si sente dentro e non la donna già poseduta da uno stuolo di uomini , si rassetta l’abito. Soddisfatta si avvia veso la cucina per preparare il te che le hanno chiesto. Nessun problema, niente è cambiato in quei mesi, anzi, nel periodo trascorso da quando era la sua cucina, nella casa del suo amante, l’impronta che ha dato è rimasta intatta, sembra che il tempo non sia passato. Tende le orecchie, ovviamente è curiosa di quanto si dicono i due, l’Amante ed il Padrone, come ormai da tempo pensa ai suoi due uomini. Non è difficile sentire ciò che dicono. Anche di fronte a lei parlano senza remore di tutto, anche della loro donna e dei fatti normalmente più riservati dell’alcova. Prima di andare in bagno a cambiare l’assorbente, una comodità recente questi assorbenti già pronti e da gettare una volta usati anziché lavare le pezzuole quasi di nascosto come un tempo, i suoi due uomini le hanno posto altre domande su lei e Daniela, la sua conquista, sviscerandone i particolari più intimi. E’ subito apparso chiaro che l’interesse del suo Amante non sia affatto condiviso dal Dottore, il Padrone, e lei ne è stata, sia pur moderatamente, soddisfatta nel profondo. Che il suo Amante trovi Daniela così desiderabile la urta un poco, ma solo un poco. Giorno dopo giorno, nei suoi pensieri, l’Amante ha sempre meno parte, l’immagine è sempre più sfocata. Domina nella sua mente la figura, il volto e la personalità del Dottore, il suo Padrone. Non fare la scema, si dice. Appartieni ad entrambi. Sente però che non è così, non del tutto almeno e questo la turba. Quando, la prima sera nella nuova casa di lei, l’Amante le chiese, e fu una carognata, chi dei due amasse di più, aveva risposto, profetica, sentendo su di sé gli occhi attenti di entrambi che sapeva lì per possederla, per usarne per il loro piacere e pronti a batterla se mai l’avessero ritenuto giusto o solo per capriccio, di amare lui che desiderava essere amato e di ubbidire al Dottore che voleva ubbidienza e non amore. La presenza di spirito l’aveva salvata quella volta. Sospira ancora impaurita al ricordo, quale sarebbe stata la rezione del Dottore nel caso non avesse trovato quella risposta? Scuote le spalle, cose passate. Sono le prime mestruazioni dopo il ritorno, dopo il soggiorno alla Villetta. Le batte il cuore ancora adesso solo a pensarci, a pensare alla Signora Erminia, la Signora, Madame. Alfa ed omega della sua felicità ma pure di tutte le sue sofferenze. Poco gas, l’acqua ancora non bolle, manca poco però. Temendo un rimbrotto ne avverte i due rientrando poi in cucina. Si sente strana, mai è stata ‘aperta’ a lungo, almeno così a lungo se non nella casa del Padrone, nel letto del Padrone od almeno su suo ordine, quasi sempre davanti a Lui, per Lui. Si sente protetta quando gira per Milano ‘chiusa’, non ci aveva mai fatto mente locale prima di questo momento. Le sottili catenelle dorate vietano l’accesso al suo sesso, all’orifizio almeno, di qualsiasi oggetto più grande del mignolo di un neonato. Ne fanno una vestale intoccabile, soddisfatta di essere tale. Ma in questi giorni deve potersi cambiare e tenersi pulita.
Si sente vulnerabile così aperta, quasi oscena , non ora, certo, non con il Padrone così vicino..

Vai avanti. Sorseggiano il te con calma senza staccare gli occhi da lei. Ci devi dire tutto, cosa hai pensato e cosa immagini che lei abbia pensato. Se le sia piaciuto e quanto, fare l’amore con te o solo vi abbia accondisceso per avere un tetto. Cosa ha detto dei suoi amanti, come si è espressa. Cosa diavolo vogliono, pensa perplessa, è giovane, bella anche, ma…Non può attendere oltre e ripete con dovizie di particolari la descrizione delle ore trascorse insieme a Daniela. La prima mossa l’ha fatta lei, appena ci siamo coricate. Poi, dopo una breve esitazione. Mi ha abbracciata e baciata ma prima aveva chiesto se fossi certa che non sareste arrivati. Gli occhi quasi chiusi per concentrarsi e ricordare meglio, descrive la mano di Daniela che… no no, sono stata io a carezzarla per prima là, in basso. Un attimo solo di silenzio. E l’ho aiutata a sfilarsi la camicia da notte e lei ha aiutato me. Ci siamo baciate, ho ricominciato a carezzarla e non ha minimamente accennato a ripulse, mai. Forse però era proprio la prima volta con una donna. Più che altro passiva, direi che si lasciava fare. Poi mi ha toccata ed ha trovata la catenella. Si è scandalizzata o cos’altro? Meravigliata, certo, scandalizzata no e forse…Forse, su, vai avanti! Incuriosita di certo ed eccitata forse, ma questa potrebbe essere solo una idea mia, di adesso. Certo che le volte successive la cercava per prima cosa e mi ha fatto un mucchio di domande. Se mi fa male indossarle e se è stato doloroso essere preparata, se vengo chiusa spesso, se dà fastidio camminando. Cose del genere. Oggi abbiamo mangiato insieme a mezzogiorno e non ha parlato d’altro, anzi ha chiesto se mi fa sentire più vostra. Ha detto: se si potesse indossare senza doversi far bucare, solo una prova, solo per curiosità, io…poi non ha terminato la frase, ha cambiato argomento, ha parlato anzi per un momento di voi. Come siete, se siete…cortesi con me o meno. E tu? Non sapevo cosa dire. Avevo ancora dei segni che aveva ben visto senza però commentarli. E allora? Ho detto che l’uno è gentile e passionale e l’altro autoritario…e meno gentile. Vuole quello che vuole. Sono arrivati degli altri suoi amici e chiaramente si è parlato d’altro.

Consegno alla signora Iolanda gli abiti e mi dispongo ad aspettare come mi ha detto di fare. Invece l’attesa è di pochi momenti, minuti. Se ne è andato in fretta per fortuna, dice il Padrone. Lavora sempre con indosso solo una vestaglia ma dovendo ricevere una persona si è vestito di tutto punto. Mi meraviglio sempre nel vederlo vestito normalmente, almeno qui, nello studio oppure in salotto. Sembra persino più snello. Mi piace.
Lo seguo con gli occhi, è una abitudine ormai, una abitudine acquistata rapidamente per evitare di irritarlo, dio non voglia, ubbidendo con ritardo alle sue richieste: cercare o chiedere al centralino un numero, prendere dallo schedario una pratica e le altre poche cose che posso fare per Lui come rispondere al telefono o chiamare qualcuno, annunciarlo passandogli poi la cornetta. Sopratutto sarebbe grave tardare nel soddisfare le altre sue esigenze. Sono le dieci passate quando finisce di leggere una serie di documenti appuntando qualche nota. Suona per il caffè per piacere. Non serve che controlli il foglietto, per il caffè sono due squilli lunghi ed uno corto. Un cenno, penso voglia la mia bocca e mi avvicino ma lui non si scosta, non posso andare sotto la scrivania come di solito vuole e lo guardo perplessa. No, aiutami, anzi vammi a prendere la vestaglia, è in camera.
Quella stessa sera mi porta ad uno spettacolo che sapeva interessarmi. E’ la prima volta e ne sono meravigliata e lieta anche se non è poi granchè come spettacolo e Lui si è addormentato quasi subito. Per ovvie ragioni provo un fastidio notevole a sedere su queste vecchie e scomode poltroncine di legno, ma non c’erano altri posti liberi. Non seguo molto ciò che avviene in scena. Daniela sta ottenendo qualche particina migliore, forse con l’aiuto del suo nuovo amante, chi? Forse il mio di Amante? Mi rode ma non poi tanto. Mi meraviglia invece che il Padrone mi chiami più di frequente con lui la sera e sopratutto che sempre più spesso, dopo il suo piacere, mi faccia dormire nel suo letto. L’ho colto poi più di una volta a fissarmi, mi guarda, si mi guarda in una certa maniera, non capisco neppure io come, non so, in modo diverso forse. Forse, chissà. Però mi batte per un nonnulla, Lui, non mi ha più fatta battere dalla signora Iolanda per fortuna. Usa quasi solo il frustino leggero ma troppo spesso, per delle sciocchezze e vivo nella paura. E questa uscita a teatro, cosa vuol dire, se vuol dire qualcosa? I giorni passano monotoni ed eccitanti, dire così sembra pura idiozia ma è la verità. Oggi mi sono sentita avvampare di rabbia quando la signora Iolanda ha portato il caffè. Aveva finito di indossare la vestaglia e mi aveva indicato il tavolo contro il muro su cui tiene alcuni raccoglitori. Lo chiama e lo chiamo pure io ormai, dentro di me almeno, il montatoio. E’ dell’altezza giusta e della giusta lunghezza, robusto. Non ha chiesto di essere portato al giusto punto di eccitazione dalla mia bocca, e mi sono stesa sull’asciugamani che tengo lì apposta. Sono aperta ovviamente, sono a casa del mio Padrone e con il mio Padrone ed essere aperta non mi infastidisce. Non mi infastidisce poggiare il busto sull’asciugamani per offrirgli il mio corpo, certamente il sedere. Mi piace premere i seni, schiacciarli più che posso, mi procura un certo non so che, un sottile e perverso leggero dolore che sopporto con piacere mentre posa le mani sui miei fianchi per pormi nella miglior posizione per penetrare, guardare anzi, l’uno e l’altro dei due orifizi. Già, guardare, perchè uno, il mio sesso inutilmente aperto, è quasi costantemente snobbato ed umiliato. Perché mai vuole una donna per poi usarne come fosse un maschietto? La signora entra, sono certa che Lui scelga di farla venire ad assistere per umiliarmi. Mi fissa mentre lui si apre la strada nelle mie reni, dolorosamente asciutto, come sempre prepotente. Lei cerca il mio viso, i miei occhi. Maledetta, maledetta, maledetta! Solo io sento queste parole neppure mormorate, la odio ma la temo troppo ed ancor più temo il Padrone per far trapelare questo odio e questa paura. Le sorrido anzi, spesso, certo non ora. Sussulto, per un attimo solo ma ho provato molto dolore. Non apprezza queste mie manifestazioni ed in genere le punisce. Oggi no. Meglio, certo, ma perchè? Di nuovo mi inarco per il dolore, gemo persino un poco. Verrò punita domani per questo? In genere le punizioni sono immediate. Mi distrugge questa incertezza, non sapere è la cosa peggiore. Non so nulla neppure ora, in macchina verso casa. Scendo per aprire e poi richiudere il cancello, lo seguo oltre la porta che chiude con anche il catenaccio. Lei si è alzata dalla seggiola su cui dormiva attendendoci. No, attendendolo, io, amante e succube non merito tali attenzioni e quelle che mi riserva sono solo un riflesso, sono rivolte in pratica a Lui attraverso me.
Ci corichiamo in silenzio. Una carezza distratta ed è tutto, dorme e, stanca, quasi distrutta, dalle emozioni di questa giornata pazza, mi addormento pure io. Più tardi, nella notte, come spesso accade quando non usa il mio corpo prima di addormentarsi, dico usa perchè mi sento veramente solo usata, mi sveglia. Sono subito attenta, spero voglia solo la mia bocca e così è. Lui è intontito dal sonno. Lo vedo in maniera indistinta nella fioca luce del lumino notturno, credo sia con gli occhi chiusi, supino, immobile dopo avermi indicato come soddisfarlo. Il pene è, il cazzo anzi è addormentato quanto e più di lui ma non sarà una gran fatica, non servirà molto tempo. E’ più grosso di quello del mio Amante, parecchio più grosso ed anche più lungo ma altrettanto valido nel protrarre e concludere le sue prestazioni. Se Lui fosse diverso potrebbe dare la felicità a qualsiasi donna. Lo carezzo, finchè non comincia a ergersi un poco, poi è tutto facile. Uso la lingua, poi le labbra finchè non è abbastanza duro ed eretto, finchè non serve più sostenerlo con la mano che scende a carezzare lo scroto ed a sfiorare, solo sfiorare l’ano. Ora è più teso e posso muovermi meglio. Se lo tengo nel pugno è per stringerlo e menarlo un poco, sempre più in fretta ma con la delicatezza che so piacergli. Infine arriva all’acme ed eiacula nella mia bocca. Qualche attimo e dorme. Capita spesso di dovergli somministrare il ‘tranquillante’ in questa forma. In genere si addormenta quasi immediatamente ed io dormo subito dopo. Non questa notte però. Non ho voglia di alzarmi per andare in bagno, il vago sentore del suo sperma in bocca svanirà in poco tempo e non mi disturba. Non riesco a dormire. Mi frusta sempre più spesso, del mio corpo per godere usa la bocca ed il sedere ormai abbastanza abituato ad accoglierlo e dargli piacere, spesso li usa entrambi. Quasi mai si dedica alla via naturale, il mio sesso che invece…lo preferirei. Almeno ogni tanto. Non che ne goda ma così è umiliante, disonorevole. Ma perchè mi frusta sempre…mi fa male, tanto, e lui…sembra soffrire, l’ultima volta era terreo. Di rabbia?

Dieci giorni più tardi, solo dieci giorni più tardi è l’inferno, e sono felice. Non ha ceduto, impensabile, ma ora so che mi ama. Io lo so, ne sono certa. Vorrei mi prendesse come gli piace, ma ha detto che nel mio stato dovrà per forza avere qualche giorno di pazienza. Vorrei cantare di gioia ed invece piango per la felicità. Sono cetamente pazza, si pazza d’amore.
MI batta, usi il mio corpo come gli aggrada, non importa, mi ama. Mi prostituisca per piacere o per interesse non mi importa. Lo amo. Niente altro importa. E’ il mio Padrone e lo amo. Sono, sono cosa? Sono e sarò tutto quello che vuole e vorrà perchè mi ama ed io lo amo. Sono perduta lo so, lo sono da tempo e non volevo ammetterlo. Mi ama, mi ama. Sarà quel che sarà ma sono immensamente felice, insensatamente felice. Mi ama, mi ama, mi ama. Me lo ripeto in continuazione mentre mi batte come ora. Lenti colpi di scudiscio brucianti che mi strappano grida che a stento il bavaglio imbevuto di saliva trattiene. Me lo ripeto poco dopo mentre attendo mi usi per il suo piacere, indifferente a tutto il resto. Me lo ripeto mentre dorme di fianco a me, e sono ancora lorda dei suoi umori. Una cosa amata ? Una cosa sua? Una cosa soltanto?
Sono tornata reduce dal soggiorno nel Giardino della Signora ed è cominciato il mio calvario. Un mese, due mesi quasi, due mesi di sofferenza e dolore, umiliazioni e speranza, senza certezze di essere amata. Se non mi ama… Mi deve amare. Mi ama di certo. In altri momenti ne dubito, sono certa del contrario. Se mi ama perchè mai usa sempre più spesso lo scudiscio e lo fa usare dalla signora Iolanda? Non lo amo, no di certo. Voglio però essere amata da lui, amata e desiderata come donna, come amante come…conto così poco per Lui da ostentarmi nuda e possedermi come fossi una puttana davanti a semplici suoi conoscenti? Piango disperata mentre mi preparo. I seni, le natiche ed il davanti delle cosce portano i segni evidenti delle ultime battiture e questa sera mi darà per la prima volta ad altri uomini.
Non è la prima volta che vengo messa a disposizione di altri uomini. Al Circolo qualsiasi Socio poteva…se e quando voleva…e ne avevano fruito in tanti di questa possibiità…Da quando il suo amante l’aveva in pratica donata al Dottore mai era stata di altri. Solo il suo amante ed il suo Padrone. Solo loro due. Poi…adesso…Ma è Lui a volerlo…per Lui…

Non bada al percorso, tiene gli occhi aperti ma non vede o meglio non vi bada, non le interessa, nè le interessa il luogo, una trattoria di campagna dalla insegna spenta, in cui la fanno entrare. A testa alta, cretina, tieni la testa alta e sorridi, si ripete mentre entra in una sala in cui si affollano in almeno una ventina. Uomini ovviamente. No, ci sono altre due donne, puttane di professione dall’aspetto. Puttane come me, solo vestite da puttane al contrario di me. Perché mai ha voluto mettessi tanta cura nel vestirmi con elegante semplicità? Noi saremo il dolce mi dice la meno giovane delle due. Non ho nessun dubbio su questo. Ci dicono di mettere tutto quello che indossiamo su una sedia in angolo e subito la ‘festa’ ha inizio. Scarsi e superficiali ricordi di sconosciuti che si accaniscono sul mio corpo. Cazzi piccoli, grandi, uno persino enorme che bontà sua attende abbastanza perchè sia dilatata al massimo da chi lo ha preceduto. Mi lacera, urlo di dolore, sanguino, perdo i sensi.

Una piccola clinica da qualche parte in montagna. Un intervento chirugico giudicato da un medico ciarliero, come di routine, dice, riuscito con pieno successo. La parte peggiore è sedermi sulla tazza la prima volta…ancora peggio cominciare ad usare i tutori per rendere la parte funzionale all’uso preferito dal Dottore, il mio Padrone. Perché mai voglio un Padrone? Non lo so, non posso farci niente, è così. Mi ci dedico con rabbiosa determinazione nonostante tutto il mio corpo e la mia mente lo rifiuti. Sono io a volerlo anche se li odio. Uno per conservare tonica la muscolatura del sesso, l’altro, ovviamente diverso, per allenare i muscoli del sedere e tenerli in forma. Mi piaci stretta, non voglio che tu abbia il sedere sfondato. Per il resto so di piacere a tutti quelli cui devo dare piacere per il suo piacere. Se gli piace cosi’, se gli piace farmi scopare, inculare, sborare in bocca da chiunque, così sia. Lo amo e Lui lo sa. Lo amo? No non è vero, cosa provo per lui? Sono io a dire a me stessa la verità, ad avere dei dubbi su questo mio amore. Lo amo davvero? Pechè mai altrimenti mi sarebbe impossibile solo pensare di venir meno ai suoi ordini? Che dico? A quelli che potrebbero essere i suoi desideri, mi sforzo anzi di prevenirli. Quando ci riesco ne sono tanto fiera da sentirmi sollevata ad un palmo da terra. Mi inorgoglisco sentendo il suo seme colare nella mia bocca un poco più abbondante del solito, come ora e fremo di piacere, provo quasi quell’orgasmo di cui ho solo sentito parlare, perchè mi sfiora il capo dicendomi: ‘brava’. Mi sento la sua cagna, sono la sua cagna. Voglio essere la sua cagna.
Mi allenerò di più con i tutori, lo devo fare. Perché mai? Solo perchè sento di doverlo fare. Non posso evitarlo…Li indosso per ore, in tutte le situazioni possibili, finchè le fitte ed i muscoli brucianti mi obbligano a desistere. Per Lui? Perché lo amo? Ma non lo amo, gli appartengo soltanto! Mia madre, in un letto lontano, moribonda, mia sorella Lucetta. Paga o pagano di entrambe le rette, dell’ospedale e della scuola. Mi sento un verme accorgendomi di pensare a loro sempre più raramente e scaccio lontana questa idea molesta. So che non vivo questa mia vita per loro, non cambierebbe niente se loro non esistessero. Solo Lui esiste. A lui, a lui solo penso, solo per lui esisto. Lui esiste e fa esistere me. Mi dò della pazza per queste follie, so che sono follie, eppure… Cosa c’è mai di meglio che vederlo raggiante per un complimento che un suo amico pronuncia dopo avermi goduta. Ha il culo prensile dice ed il Dottore sorride, poi ride del nostro segreto, i tutori. Si gonfia di orgoglio quando una donna offre cifre notevoli per avermi per qualche ora…rifiuta, gentilmente ma rifiuta. Mi gonfio come un tacchino per questo rifiuto, non sono una puttana, ho il mio orgoglio.

Orgoglio? Un mezzogiorno, una trattoria ormai semivuota. Ti amo sempre di più. Averti mi rende felice oltre misura. Vedere che sei mia, sempre più mia. Eppure, anche se ti piego oltre l’immaginabile non ti spezzi, torni subito dritta, orgogliosa. Torni la signora Piera di cui così spesso Giulio mi parlava e mi parla. Sai, nonostante la troietta con cui se la fa attualmente è ancora innamorato di te…poi. Dopo aver pagato e sul punto di uscire due parole fortuite con l’altro avventore rimasto. Sono al tavolo, loro alla cassa, poi al bancone del bar per un amaro. Ridono , guardano verso di me. Vai con lui, mi dice secco, fai quello che ti dice e non farmi perdere la scommessa. Il bagno non è molto pulito. Il tuo uomo sostiene che mi sai fare un pompino col culo, che mi fai sborare senza che mi muova. L’ho già fatto, ma solo a lui, è come infrangere un nostro segreto, e poi in una toilette puzzolente… La gonna è ampia, fatta apposta per situazioni analoghe e così la cintura con la quale fermo la gonna in modo da scoprire il sedere su fin quasi alla vita. Un cazzo normale mi dico dopo averlo sbirciato, nessun problema, ed è già teso. China sul lavabo lascio mi penetri meravigliandomi lo faccia con una certa delicatezza. Si immobilizza quando è tutto dentro di me e comincio a contrarre i muscoli e rilasciarli. Lo stesso che avere il tutore. Però non gode subito, temo anzi sia uno ‘lento’. La mano mi fruga davanti e trova gli anelli, sussulta, qualche attimo dopo, ansimando un poco, si svuota. Dio, sei una troia fenomenale. Ci ripuliamo un poco per poi raggiungere sotto l’occhio malevolo della padrona il Dottore che sta prendendo un secondo caffè. Va bene, dice lo sconosciuto, pago l’amaro ed anche il suo caffè.
Più tardi mi rendo conto di non ricordare neppure la sua faccia. Mi chiedo perchè non abbia schifo di me stessa. Schifo? Perché? Però…ma ho fatto vincere al Padrone una scommessa. Per avere un servizio del genere quello sarebbe stato disposto a pagare molti soldi ma al Dottore i soldi non interessano più di tanto, credo. Ed è contento di me e solo questo conta. Mentre la macchina percorre la strada, ma dove stiamo andando non so, un poco intontita dal cibo e dal bicchiere di vino per me inusuale, penso alla giovane sposa di qualche anno prima. Qualche anno? Mesi solo! Non sopportavo, le rarissime volte che mio marito faceva l’amore, di tenere il suo seme dentro di me. Aspettavo dormisse per andare a lavarmi. Il tocco della sua mano e sono attenta, pronta. Mi fa portare la mano al suo inguine, una carezza, tengo il palmo aperto, poggiato con forza contenuta e questo basta. Poco dopo, nello slargo di una strada appena un poco appartata slaccio i bottoni dei pantaloni a lui e scopro le tette. Facile, i miei abiti sono fatti apposta anche per questo. La lingua lo carezza mentre mi carezza i seni. Si inturgidisce. Sono fiera di avere questo potere su di lui. Pochi momenti ed è pronto, teso, eccitato. La mia fortuna è l’incontro per la scommessa, poco prima, nel gabinetto del ristorante. Dietro non sono pulita abbastanza e mi chiava. Ne sono felice.

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Cara lettrice, scrivendo, mi è sempre difficile esprimere, quando la situazione lo richiede, quelle che possano essere le pulsioni ed i pensieri di una di voi. Cosa possa pensare e sentire cioè una donna, magari sposa fedele e madre affettuosa nel sentirsi corteggiata con garbo da un uomo non spregevole? Cosa può pensare nelle mille situazioni in cui una donna può venirsi a trovare? Per questo ho abbozzato questo spunto. Per far capire con un semplice esempio questa mia difficoltà.
Vorrei entrare in contatto con una donna, che non vedrò mai, con la quale dividere alla pari onori ed oneri per la composizione di qualche lavoro. Ne decideremmo insieme la trama e collaboreremmo alla sua redazione. Alla pari, senza conoscerci se non via internet. Se la cosa apparisse troppo impegnativa potremmo discutere e trovare forme di collaborazione accettabili ad entrambi.
Posso essere contattato tramite Milu e conservereste il vostro completo anonimato. Sempre su Milu sono presenti una quindicina di miei scritti per eventualmente farvene una idea.
Speranzoso
Chiodino.

Perché sopporti tutto questo, ben più di quanto ti impose mio cugino? Mi ami fino a questo punto? Sarebbe facile rispondere di si, ma non vi amo, Padrone, lo pensavo, ne ero anzi certa, ma…credo di…sono certa… posso solo… devo ubbidirvi anche se non vi amo, non so dirvi il perchè, so solo che non posso farne a meno. Nel balbettare questa sciocca risposta sono solo quasi certa sia vera. Mi ama ed io ne sono fiera ed anche infinitamente felice. Perché mai? Mi ubbidisci perchè te lo ha imposto Giulio? Non rispondo subito. Poso lo sguardo sui mobili dozzinali, sulla tovaglia e le stoviglie, sul suo volto teso. No, dico poi, non più. Ed allora, perchè? Non lo so ma devo farlo, ubbidirvi, non posso farne a meno. Che sia anche questa una forma di amore? Non lo so e neppure lo credo. Quella stessa sera, legata strettamente ed imbavagliata, vengo battuta a lungo, quasi a sangue e ne sono fiera. Un segno del suo amore. Io ti amo, ha detto prima di andarsene, ma so amare solo così.

E’ tutto passato, mi ama? Che importa se di nuovo, come al Circolo, vengo data a chiunque mi voglia e sappia chiederglielo nel modo giusto. Quale sia il modo giusto non so. Dipende dal suo umore, come la sera all’osteria di campagna. Con due battone sono stata presa da qualsiasi maschio presente volesse scoparmi. Non solo scoparmi ovviamente. Mi ama. Non lo ripete spesso, anzi. Però ogni cazzo che succhio, che mi forza il sedere sempre più ‘vergine’ dice ridendo del nostro piccolo segreto, quegli aggeggi che chiama tutori, ogni cazzo che mi si svuota nel ventre od in gola, gli rende omaggio. Al Padrone intendo. Sono fiero di te, fiero di averti come schiava, di poter disporre di te come e quando voglio. Con noncuranza mi ordina di preparare Daniela per il piacere del mio primo amante. E’ bella Daniela, antipatica però. Posa, si dà arie da gran dama e mi tratta da donnaccia, denunciando al suo amante, che lo dice al mio Padrone, qualsiasi mia mancanza, spesso inventandole anche. Ora, dopo la cena, la lavo accuratamente deponendola poi tra le lenzuola di bucato. Il tempo è quasi trascorso e mi sollecita, dai leccamela e poi un goccio di profumo, voglio essere pronta a bagnarmi quando mi carezzerà. La porto molto avanti senza rovinarle il trucco o far apparire troppo manifesta la mia opera. Non ne avrebbe bisogno se lo amasse.

Lucetta sa di me ed il Padrone. Lo ha capito quando siamo venuti in America a sistemare alcuni problemi legali ed a salutare mia mamma. Per l’ultima volta temo. E’ inutile persino per Lucetta stare qui ed il prossimo anno frequenterà una nostra scuola. Nelle settimane che il dottore, Giulio ed io trascorriamo qui, ed anche quando Daniela, la ganza del mio primo amante ci raggiunge, finite le lezioni viene, nella villetta che abitiamo, un poco appartata ma comodamente vicina all’ospedale. Poi, la ganza e padron Piero partono per un giro per il paese. Non è scema Lucetta ed in questo anno e mezzo è cresciuta, è una giovane donna. Un giorno, finito di studiare, mi propone di fare un tuffo nella piccola piscina annessa alla villa. Al mio rifiuto tace, esita poi, prende infine la decisione di affrontare la cosa. Ti ha frustata? Non vuoi che veda i segni? Lo so che sei la sua amante. Poi abbassa il capo vergognandosi di quel che sta per dire. Sei l’amante di tutti e due? Il mio silenzio non la ferma. Ma l’avvocato, Giulio, non ha la sua amica? Io non so cosa dire, raggelata dalla vergogna, saluto con un sospiro di sollievo i passi del Padrone e la voce che ci chiama. è tornato. Non che questo migliori di molto le cose. Non cambia niente. Lo alleggerisco della borsa, e continuando a tacere con mia sorella, lo seguo in camera. Non serve neppure parlare con lui. Che c’è? Ha capito da sola o le hai raccontato tutto tu? Il tempo di riporre nella cesta la biancheria e a sua volta sa quello che Lucetta ha detto. Comunque non fa nessuna differenza, dice senza scomporsi, prima o poi doveva pur saperlo. Dopo la doccia mi riposo un poco, voi fate il bagno e le racconti tutto. Proprio tutto? Tutto quel che conta. Per i particolari c’è tempo. Ed il bagno lo fai e lo fai fare anche a lei senza costume. La devi abituare a mostrarsi, sai che la voglio.
Abbiamo nuotato senza costume un’ altra volta, quando eravamo sole in casa ma adesso c’ è Lui. Lui era già sotto la doccia e non è abituato ad obiezioni, mai, di nessun genere. Mi spoglio e neppure mi guardo allo specchio. So che i segni ci sono e si vedono. Due strisce livide sui seni, altre sulle cosce e sulle natiche. Appena arrivata, subito quella stronza di Daniela racconta una cattiveria sul mio conto. Una balla come sempre credibile e creduta. In realtà le è seccato che il suo amante, invitato dal Dottore, abbia condiviso qualche ora di piacere con me ed il mio nuovo Padrone, il Dottore. A Giulio in realtà piaccio ancora, ne sono sicura. Solo non vuole entrare in competizione con Il Dottore. Tu vai a dormire ha detto mellifluo alla mia cara amica che a questo punto mordeva le catene e fumava di rabbia. Deve aver trascorso tutto il tempo a pensare come vendicarsi e di tempo ne ha avuto abbastanza. Anche se sono stata data al Dottore da Giulio, il mio primo ed unico amore che mi ha portata ad essere quel che sono, una specie moderna di schiava, legata ai padroni non da leggi e neppure sorvegliata perchè non fugga, nonostante che alla fine delle discussioni il Dottore abbia fatto accettare la sua tesi e cioè che io appartenga anche al cugino, ormai lui mi avvicina, mi chiava insomma, solo quando è invitato, sospinto dal dottore; il caso di questa sera. Ne sono contenta.

Come spesso succede, all’inizio si fanno spogliare da me e quando arrivo alla biancheria devo succhiarli senza però arrivare alla conclusione. Conosco benissimo i loro cazzi. Giulio non è dotatissimo, lo guardo pendergli mezzo moscio tra le gambe, non minuscolo ma…Il periodo passato al Circolo mi consente di dire spassionatamente che sia medio piccolo. Supplisce alla dimensione un po’ carente con una notevolissima resistenza, e con una capacità di ripresa fuori del comune. Doti, queste due, di famiglia, dice il Dottore che le condivide in pieno e che ha un cazzo non immenso, direi, sempre sulla base delle esperienze fatte al Circolo, medio grande. Senza che me lo chiedano preparo loro un caffè che bevono chiacchierando dei fatti loro. Io aspetto. E’ parecchio che non ce la godiamo insieme, dice Giulio. Vuol dire che ci rifaremo, cominciando da adesso, risponde Padron Angelo A me la idea non spiace affatto. Lo penso soltanto però. Quale donna così fortunata da essere amata dai due uomini che hanno su di lei ogni diritto sarebbe in angustie in questa situazione? So già come andrà a finire. Padron Giulio siede sul bordo del letto, io mi accosto a gambe sufficientemente allargate e piego le ginocchia fino ad avere il glande ben posizionata sul mio sesso già umido, mi impalo lentamente con un sospiro di piacere un poco simulato. Dopo qualche momento, da dietro, interviene il dottore, secondo la sua preferenza, il mio sedere. Spingo con forza, il più delle volte il dottore non è molto paziente e supera le difficoltà con prepotenza. Cerco che non ci siano difficoltà. Il glande mi deve allargare ovviamente e non è mai rose e fiori, ma subito dopo me lo spinge dentro senza crearmi troppi problemi. Ci sanno fare, mi chiavano e mi inculano alla grande ed io ne godo, sopratutto quando sento che quasi si toccano, uno dentro il mio sesso, l’altro nel mio sfintere. Godo come una troia per questo e devo faticare a non darlo a vedere eccessivamente. Mi dimostrerei troppo troia anche se troia mi vogliono loro. E’ una delle rare volte che ciascuno usa entrambi i miei orifizi, quasi grido e loro, vedendomi agitare ne ridono contenti, orgogliosi della loro prodezza. Va a lavarti troietta. Quando torno ci sono ancora tutti e due, prima vogliono un caffè, poi andiamo a nuotare, mangiamo un boccone ed è piacevole. Li conosco troppo bene, non è ancora finita. Giulio vuole un pompino, di quelli che sai fare tu quando ti metti di buzzo buono. Poi saluta e raggiunge l’altra. Mi sa che quella per questa sera resta a bocca asciutta, commento tutta contenta. Il Dottore ride soddisfatto. E tu non crederai di aver finito, spero.
Penso voglia un pompino anche lui, invece me lo punta sul buchetto più stretto e spinge alla brutta Eva. Grido quasi, fa male, brucia, quasi mi rompe. Poi mi monta e sembra non finisca mai. Entra esce si ferma e ricomincia. Lo maledico per mezz’ora almeno, col culo a mollo. Niente bidet in questa casa, solo impacchi d’acqua e ghiaccio. Devi continuare ad allenarti con il tutore, dice sostenuto. Lo so benissimo. Il giorno dopo, a pranzo la sparata della stronza. Riporta una frase pronunciata da me pensando di essere sola, quasi vera ma stravolta completamente. Inutile difendermi, dopo le notti come l’ultima, capita talvolta che il dottore voglia finire la festa a quel modo. E’ ben contenta la troia mentre vengo legata e frustata. Sogno di poterlo fare a mia volta. Le ficcherei anche…ma legata a sbavare dentro un bavaglio di tela ci sono io.

Ciabatte e vestaglia, un asciugamano di spugna e cerco mia sorella. Non è in piscina, non è in sala od in cucina. La trovo in camera sua, immobile a guardare fuori dalla finestra. Non sei ancora pronta? Sbrigati che poi mi aiuti a preparar qualcosa per cena. Si gira verso di me senza dire una parola, mi guarda un attimo e vede quel che voglio farle vedere attraverso i lembi schiusi della vestaglia. Si spoglia senza una parola. Diventerai forse un poco più alta di me, dico per rompere il silenzio che mi pesa, ma siamo molto simili. Il petto, le tette di certo diventeranno più grosse delle mie. Su, metti le ciabatte e la vestaglia, andiamo. C’è lui, dice piano, ma si è già arresa. Scuoto le spalle. Dorme e poi…Sembra esitare di nuovo. Vinco la sua esitazione giocando la briscola… Non vuoi che ti racconti di loro e me?

Invece non ne parlammo. Non subito almeno. Stranamente dopo qualche bracciata, le piccole dimensioni della piscina impedivano di fare di più, ci trovammo a folleggiare, schizzandoci, inseguendoci…finché non arriva Lui. Me ne accorgo dal sussulto con cui Lucetta cerca di coprirsi. Senza neppur far caso a mia sorella spiega che doveva andare, sarebbe rincasato l’indomani, poi, noncurante di bagnarsi mi strinse baciandomi fin a farmi mancare il fiato mentre mi tocca tra le gambe. Con solo un cenno di saluto ad entrambi prende la valigetta avviandosi al cancello. Si gira solo prima di montare in macchina e ci fissa entrambe a lungo, poi le sorrise, a lei sola.
Avevamo cenato con un risotto allo zafferano, truffaldinamente portato oltre le severe maglie della loro occhiuta dogana. La salsiccia no, quella non avevo osato e ne avevamo comprata da un pizzicagnolo. Emanava cuocendo un odore strano, vagamente sgradevole, non ce ne fidammo e la buttai via. Scappammo letteralmente andando a rifugiarci nella camera di lei, calda ma meno del resto della casa. Un’ altra doccia e mi stendo sul letto coperto da un telo. Il vento, girando portava un caldo umido al quale, a stento, il grosso ventilatore poneva qualche rimedio. Non indosso nulla, non ci penso neppure, è la mia abituale ‘mise’ notturna le spiego vedendo i suoi occhi perplessi mentre arrivava a sua volta dal bagno. Forse hai ragione, ma io…tu? Non ci sono abituata, non so se riuscirei ad addormentarmi. Fai come vuoi. Ci provo, con questo caldo e questa umidità…E’ veramente bella, diventerà…non lo so ed in questo momento non mi interessa anche se mi fa tenerezza. Si accende una sigaretta, me ne offre una che rifiuto. Una volta, almeno in casa, fumavi. Lui non vuole. Un subitaneo attimo di rivolta, di desiderio di libertà, ma sono tanto scema che mi autoaccuserei subito, farò anzi fatica a non dirgli di aver desiderato disobbedire ad un suo ordine preciso. I suoi, e questo lo dico, non lo penso soltanto, i suoi sono sempre ordini precisi. E se disubbidisci ti punisce, ti frusta anche. Un ‘si’ inutile il mio, ne porto evidenti i segni. Ubbidisci sempre? Quasi sempre e quasi a tutto. Perché lo ami. Perché lo amo. Non saprei, non provo neppure a spiegare il legame che ci unisce. Lui ama me e per questo mi prostituisce e mi batte. Io non lo amo eppure gli ubbidisco, devo, voglio sottostare alla sua volontà. Le sue domande, timide inizialmente si fanno sempre più pressanti. Io rispondo senza scendere in particolar ma lei non desiste. E’ notte fonda quando ci addormentiamo e se pur non sono arrivata ai particolari scabrosi che pure mi urgono in gola, a questo punto sono io a volermene scaricare, come una confessione dal prete, le dico tutto. Mi sento più leggera ora. La morsa del caldo si è molto allentata e ci abbracciamo come da bambine.
Non siamo però due bambine, neppure lei lo è più. Giovane, certo, ma non più bambina, a diciotto anni, li ha compiuti poco prima del nostro arrivo, si è donne. Da donna la tratto, ne sono anzi gelosa perchè Lui la vuole. Sussulto, nel dormiveglia devo averglielo detto.

Non ho la patente, la scarico a scuola e con il taxi raggiungo l’ospedale, poi, a fine mattinata, tornata vicino a casa, faccio la spesa in un drugstore. Pulisco e rassetto, faccio il sugo per la pasta, Sto per cominciare a battere la carne per farne cotolette quando vengo avvertita con una telefonata che Lui non rientra che lunedì. Tu datti da fare dice prima di troncare la comunicazione e cosa intenda è chiaro. Lucetta, quando torna a casa non sembra minimamente contrariata ed a me non spiace stare sola con lei, come da bambine, quando i miei erano via. Certo non giochiamo più, ma è bello avere qualcuno con cui confidarsi. Dimmi…dimmi…raccontami…Io dico, dico e racconto. Non tutto, non di essere stata praticamente violentata dal mio primo amante, ma che questi mi abbia regalata al Padrone si. Che questi sostenesse di non voler essere amato ma temuto ed ubbidito, che abbiano discusso su chi e come ciascuno di loro potesse vantare diritti su di me…E’ esterrefatta ma non incredula, ha visto a sufficienza. Ma si può amare contemporaneamente due uomini, chiede perplessa. E dalla Signora e prima in quel Circolo, cosa facevate? Si, ho capito, serviva a farti diventare una amante migliore…spiegati, non capisco bene. Ed allora racconto tutto, nei particolari, anche perchè a dare la stura alle sue domande è un mio errore. Mi è sfuggito il particolare del mio sesso chiuso, sigillato. Mi sveglio tardi. Lucetta sta studiando. Non è immusonita ma certo attonita, forse schifata. Non dice una parola sull’argomento, non parla del tutto in pratica. Il pomeriggio andiamo da mamma, contro ogni previsione è quasi del tutto presente. Parla di me, di Lucetta. Tu sei grande, dice, devi fare in modo che studi devi…Il momento di lucidità dura qualche decina di minuti, lentamente poi sprofonda nella nebbia dei farmaci. Nel taxi non parliamo. Tu hai fatto tutto per mamma e me. Sono i tuoi amanti a pagare tutto, l’ospedale e le mie spese. La retta, gli abiti ed il mangiare, tutto. In quel modo. Ma come hai potuto farlo? E’ esplosa prima ancora che il taxi girasse l’angolo. Sto per reagire a quelle che giudico critiche ingiuste, ma Lucetta si avvinghia a me. Io non posso accettare tutto questo, vivere come se…Non mi sta criticando ma tutto sommato ringraziando. Ringraziamenti pieni di se e di ma, eppure ringraziamenti. Ci abbracciamo, ci consoliamo a vicenda.
Più tardi, al buio, pretende di esplorare la mia catenella, con i polpastrelli esplora il marchio tra le natiche…io mi vergogno, ma non resto insensibile, lui la vuole, ma è la mia sorellina. Accetto la lieve carezza al petto ma scatto, la scaccio frenandomi, facendomi forza per non reagire con veemenza quando cerca di posare la bocca sulla mia. Mi vuole, sai, credi non lo capisca. Se lo ordinerà, di fare l’amore con me come lo fai con l’altra…ubbidirai, non è vero? Piange. Non è giusto che solo tu ti sacrifichi, non è giusto.

Ovviamente gli dico tutto. Dalla mia quasi ribellione, delle frasi di Lucetta sul fatto che lui la voglia e lei possa accettare. Mi sento vile, ho tradito Lucetta senza esitare.
Siamo ancora soli, Il mio primo amante e la sua nuova donna che detesto anche a distanza si attardano nel loro viaggio. Il primo ordine dal Padrone, la piccola lo riceve tramite me. Come sempre arriva con il mezzo della scuola nel tardo pomeriggio. In pochi secondi è pronta per il bagno in piscina ma la fermo. Il Padrone ha detto che devi, e pur senza volerlo sottolineo con la voce quel devi, toglierti il costume, fare il bagno senza. Poi, dopo un attimo. Sempre. Sempre? E se viene gente? Vedremo, rispondo non sapendo cosa dire. In casa poi indosserai solo le ciabatte, e questa volta aggiungo e non di mia iniziativa, sempre. é rossa come un pomodoro maturo. In pratica prende il mio posto a tavola, lei cioè serve, senza niente addosso e noi mangiamo. Passano i giorni, non pochi. Giulio avverte che ci precederà di un paio di giorni in Italia. Ormai mi sono abituata, dice Lucetta riferendosi alla sua perpetua nudità. Si è abituata ad essere chiamata nella nostra camera da letto per portarci una bibita, un bicchiere di latte od un caffè. Non si scompone certo il Padrone del suo arrivo e se sta facendo questo o quello con me, lei aspetta abbia finito e guarda qualsiasi cosa sia. Direi che Lui faccia in modo di farla assistere mentre mi batte o mi gode in tutti i modi. Ora sto cominciando a dargli piacere con la bocca, lo ha già un poco teso, non faccio molto caso a Lucetta che entrata con una bibita, non è la prima volta che mi vede. Aspetta vicino al letto. Lui mi tira i capelli e mi immobilizzo. Impiego ben poco a capire quel che vuole. Togliti, voglio continui lei, e Lucetta continua, la vedo chinarsi sulle ginocchia senza smettere di fissarlo negli occhi, poi abbassare il viso, guardando il membro ormai quasi eretto, alza di nuovo il viso. Ha deciso, porta lentamente la mano sul cazzo, lo sfiora, solo dopo qualche momento, lo stringe. Un attimo e stringe le labbra attorno alla verga e piega il collo nel movimento che ha visto fare a me tante volte. Lui sorride, non ci sa molto fare ma imparerà. Tu non devi insegnarle nulla, mi dice serio, quasi feroce. Sarò il suo maestro. Mi torna in mente un discorso fattomi a suo tempo, pochi mesi fa a dire il vero. Vuole una giovane donna, di buona famiglia, bella colta per modellarla secondo i suoi desideri. Ora ce l’ ha. Tanta è la eccitazione del trionfo che ne gode quasi subito e per la prima volta posso vedere il suo volto tendersi quasi in un rictus di piacere mentre reclina all’indietro il capo. Mai mi è stato dato di vederne il viso mentre godeva del piacere che gli davo in quel modo, con la mia bocca, mentre mi scopava in bocca, usava la morbida passatoia della mia lingua o mi entrava in gola. Ora lo vedo, e forse ne sono felice. Vederlo felice mi fa felice. Non la toccherai e non ti farai toccare, mai senza un mio ordine preciso. Ti terrò forse vergine fino al ritorno a casa, a Milano.
Io ne dubito. Non ho mai visto i suoi occhi così famelici e quasi amorosi. Ne dubito proprio.

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Cara lettrice, scrivendo, mi è sempre difficile esprimere, quando la situazione lo richieda, quelle che possono essere le pulsioni ed i pensieri di una di voi. Cosa possa pensare e sentire cioè una donna, magari sposa fedele e madre affettuosa nel sentirsi corteggiata con garbo da un uomo non spregevole. Cosa può pensare e provare una donna nelle mille situazioni in cui può venirsi a trovare. Per questo ho abbozzato questo spunto. Per far capire con un semplice esempio questa mia difficoltà.
Vorrei entrare in contatto con una donna, che non vedrò mai, con la quale dividere alla pari onori ed oneri per la composizione di qualche lavoro. Ne decideremmo insieme la trama e collaboreremmo alla sua redazione. Alla pari, senza conoscerci se non via internet. Se la cosa apparisse troppo impegnativa potremmo discutere e trovare forme di collaborazione accettabili ad entrambi.
Posso essere contattato tramite Milu e conservereste il vostro completo anonimato. Sempre su Milu sono presenti una quindicina di miei scritti per eventualmente farvene una idea.
Speranzosamente vostro

Chiodino.

I RACCONTI DI ‘CHIODINO’ SU: I RACCONTI DI MILU
Padrone di schiave per forza?
Io, gigolò a settant’anni
E’ giovane… ma grande abbastanza.
Farsi scopare da uno schiavo, mai!
Gallina vecchia.
I sogni muoiono all’alba.
Il Circolo dei ‘Bastard’.
Incubo?
La bella estate quando divenni uomo.
La mia cagna da riporto.
Lei e Lui, Lei e Lei, Lui e Loro.
Mi piacciono i culi, tutti i culi, rigorosamente femminili.
Quattro uomini per una signora (Gli Dei vogliono risorgere).
Schiava o puttana? Schiava e puttana.
Tutto per i miei bambini.
Sedotto.
Le mie bambine ed io, rapite, addestrate per… Mi vuole, ha sempre fame di me ed io non so resistergli, negargli nulla.

Diventa una abitudine. Quando mi vuole basta un cenno e Lucetta mi ‘prepara’. Un collare al quale attacca un guinzaglio. I polsi sono uniti dietro la schiena o avvinti insieme ed uniti al collare da qualche anello di catena all’altezza del petto. Tutta scena. Mi accompagna da Lui che di volta in volta dice di farmi stendere, inginocchiare o comunque porre secondo le fantasie del momento e l’uso che vuol fare di me. Talvolta mi batte e ad impugnare lo scudiscio è sempre e solo Lui. Come adesso. Vai a prendere il sacchetto nero nell’armadio, cara. So già di cosa si tratta e mi odio per avergli raccontato di questo gioco di Madame al castello. Estrae dal sacchetto altri sacchetti più piccoli di colore diverso e voilà il gioco comincia. La sorte, ma madame barava, decide se si viene frustate, con che strumento, quante volte. Può adattarsi a strumenti diversi e situazioni diverse, secondo la fantasia di chi lo conduce. O sono molto sfortunata od anche il dottor Angelo ha barato. Verrà usato lo sverzino pesante, verranno dati venti colpi, quando la prima vittima griderà, i restanti colpi verranno inferti all’altra. Io sono la prima. Lucetta è visibilmente impaurita, io sono terrorizzata. Non griderò, lo giuro, non devo, ma questo sverzino così pesante, feroce…

Non devo gridare, non devo. Pur mugolando fin dal primo colpo bruciante riesco a trattenermi, gemo, mugolo più forte, mi torco ma non grido. Quindici, sedici, diciassette…la vista si annebbia, le forze mi vengono meno, svengo. Dove sono? Lentamente mi riprendo ma non capisco. Un parlottare inintelligibile, è Lui, fatico a respirare, ogni respiro comporta mille aghi roventi ed un rantolo che fatico a contenere. Non apro gli occhi. Temo abbia in serbo per me…altro. Temo mi voglia e come sempre dopo la frusta mi prenderebbe con la foga feroce e la durezza che ama e che ora sarebbe troppo…come posso amarlo? Ora sentirò il cazzo penetrarmi, rompermi il sedere come piace a lui, entrare in un colpo solo, un colpo di ariete che mi romperà. Griderò, non so mai trattenermi e Lui si incattivisce e me lo caccia in gola o, peggio, di nuovo nel sedere. Come si può amare un uomo così cattivo? Sento le lacrime rigarmi il volto, sprofondo nelle mie miserie, sempre più in fondo. Basta, non voglio più, mai più. E’ in questi momenti però che mi è più facile leggere la mia anima. Sono un libro aperto, lo amo, sono, mi sento sua fino in fondo, incapace di pensare ad una vita diversa. Solo con Giulio, forse, con tutti e due…pazzia, pazzia pura…sprofondo nel sonno e credo di sognare di due braccia robuste che mi sollevano per poi depormi tra coltri fresche…un mormorio lontano. Sai, la amo e amo pure te. Mi batterete…batterete anche me in questo modo…io…non so se resisterei…

E’ Lucetta che mi sveglia, è sera. Alle mie ripulse, non ce la faccio, non riesco a mandare giù niente, le dico, lei risponde che Lui le ha ordinato di farmi bere quella tazza di brodo con un rosso d’ uovo…cosa posso fare. Quasi vomito ma lo mando giù. Ho capito…si forse… è così. Mi ricatta tramite mia sorella. Si vendicherà su Lucetta se continuerò anche solo raramente come adesso ad indulgere non in vere ribellioni ma nella mia ostinata…la chiama resistenza passiva.

Parlano la lingua del posto. Lucetta mi ha preparata, cioè mi ha lavata e profumata. Servizio completo mi dice ed ormai sa bene come fare. I segni dopo solo un giorno sono ancora evidentissimi e lo specchio alla fine rimanda l’ immagine di me e di cosa io sia. Una puttana che accetta qualsiasi cosa dico a bassa voce. Lucetta non ribatte. Mi ha già infilato nell’ ano il tutore ed in ginocchio fa penetrare nel sesso l’ altro. Provali, dice senza quelle esitazioni che in questi casi le sono consuete, me lo devo metterlo anch’ io. Per ora solo quello dietro…fin quando…ora è arrossita un poco. Mi ha così comunicato che durante queste ore non è successo quanto pensavo. E’ agli inizi e farlo schioccare è per lei ancora difficile. Un collare ciascuno e siamo pronte. Pronte per cosa? Non ottengo risposta. Ci aspetta in giardino, vieni Piera, non facciamoli aspettare. Li? Più di uno? Chi c’ è mai con il Dottore? Di nuovo resta muta. La picchierei ma la seguo in silenzio.

Sono due sconosciuti ovviamente e bevono col Dottore del vino bianco. Per qualche momento ci fissano in silenzio. Qualche manciata di secondi che mi sembrano una autentica eternità. A sconvolgermi, so che la vergogna sta imporporando tutto il mio corpo, non è la nudità ma i segni dello sverzino e gli orpelli che indosso e che il padrone descrive minuziosamente. Come ti ho detto sono sorelle. Si vede benissimo, replica il più vecchio che risponde al nome di Peter. Vi amano fino a questo punto? Aggiunge l’ altro. La piccola mi amerà. Si chiama Lucilla ed ha poco più di diciotto anni. La sto tenendo vergine. Non sono andato oltre ai baci e qualche carezza, al massimo, quando godo del culetto della sorella maggiore, dopo avermelo lavato accuratamente, per…ridarmi slancio, me lo succhia un poco, ma senza arrivare mai in fondo. Sta imparando, interloquisce Peter…a fare pompini, conclude l’ altro, di cui non so il nome. Questa è la mia intenzione, la voglio plasmare secondo i miei gusti. Ne voglio fare una amante perfetta, sottomessa. Come la sorella, amico mio. No, mister Flanegan, la sorella mi è stata regalata da un mio parente,
il pagamento di un vecchio debito in un certo senso. E’ ubbidiente, certo, ma non mi ama. Mi teme ma resta con me sopratutto perché ubbidisce ancora al vecchio amante che la ha fatta addestrare dai migliori sulla piazza. E’ una cagna comunque. Mi mangia sulla mano ma saprebbe anche mordermela la mano. Ubbidisce non per amore ma solo perché non può fare diversamente. In un certo senso non può fare a meno di me ed io ne approfitto. Un cenno e mi inginocchio voltando loro le spalle. Il Dottore spiega cosa porto nel sedere ed a cosa serva. Davanti, nel sesso ne porta un altro, diverso però. Invitati a farlo ci palpano senza ritegno e vedo che mia sorella si irrigidisce soltanto, non protesta. E’ quasi pronta ad aprire le gambe la scema, anzi è già pronta, forse lo desidera di già. Una trafittura di pena ed anche di gelosia. Fatico a mantenere la serena indifferenza che Lui vuole. Comportamento da Circolo ha detto Lucetta ma sorridere no, non devo. Sussulto, una mano ha trovato gli anelli del ‘Guardiano’. La catenella, il sigillo che mi chiude. Sono la sua bestia, la bestia per il suo piacere. Sa benissimo che mai offrirei il mio sesso ad altri ma gli piace dire loro che mi tiene chiusa per farmi sentire una cosa, non una donna od una schiava. Solo un gingillo, una cosa appunto. Una cosa sua ovviante.

Come ho spiegato, la piccola è vergine, ma se volete, potete godervi la maggiore, Piera si chiama. Farà tutto quello che volete, qui o nella sua camera. Anche se sono stata di una quantità di uomini è peggio che essere frustata. Mai, da quando il mio Amante, Giulio, mi ha data a Lui, mai, dopo, sono stata di altri uomini. Mai. Piango, ma solo dentro di me. Subito dopo sono stranamente serena, indifferente. Mi frulla in testa soltanto una curiosità. Mi chiedo soltanto dove vorranno farsi servire, cosa vorranno da me e chi sarà il primo.
Cazzate insomma. Possono poi godermi insieme…invece no, sta rifiutando. Mister Flanegan rifiuta e rifiuta anche a nome dell’ altro, Peter. Questa sera, continua il più vecchio, saremo ospiti ad una festicciola. Si allontana un momento e quando torna propone al Dottore di venire anche Lui. Con noi ovviamente. Veniamo coinvolte (con potere solo consultivo) su come vestirci e truccarci. Non oso, non osiamo dire niente. Decidono loro ed in fretta. Lei, io cioè, completamente nuda farà furore. Non verrà messa a disposizione di tutti, la massacrerebbero, le salterebbero addosso in cinquanta. Non dico nulla. Nuda. Mostrata a un centinaio di maschi e femmine con la puzza al naso. Portata a guinzaglio da Lucilla pure nuda. Una maschera, decidono, non per noi due ma per proteggere il Dottore.
La cosa potrebbe, anzi certamente farà rumore ed è meglio evitare la possibilità che siamo riconosciute. La città non è poi così grande…

Cara lettrice, scrivendo, mi è sempre difficile esprimere, quando la situazione lo richieda, quelle che possono essere le pulsioni ed i pensieri di una di voi. Cosa possa pensare e sentire cioè una donna, magari sposa fedele e madre affettuosa nel sentirsi corteggiata con garbo da un uomo non spregevole. Cosa può pensare e provare una donna nelle mille situazioni in cui può venirsi a trovare, magari critiche. Per questo ho abbozzato questo spunto. Per far capire con un semplice esempio questa mia difficoltà.
Vorrei entrare in contatto con una donna, che non vedrò mai, con la quale dividere alla pari onori ed oneri per la composizione di qualche lavoro. Ne decideremmo insieme la trama e collaboreremmo alla sua redazione. Alla pari, senza conoscerci se non via internet. Se la cosa apparisse troppo impegnativa potremmo discutere e trovare forme di collaborazione accettabili ad entrambi.
Posso essere contattato tramite Milu e conservereste il vostro completo anonimato. Sempre su Milu sono presenti una quindicina di miei scritti per eventualmente farvene una idea.
Speranzosamente vostro

Chiodino.

I RACCONTI DI ‘CHIODINO’ SU: I RACCONTI DI MILU
Padrone di schiave per forza?
Io, gigolò a settant’anni
E’ giovane… ma grande abbastanza.
Farsi scopare da uno schiavo, mai!
Gallina vecchia.
I sogni muoiono all’alba.
Il Circolo dei ‘Bastard’.
Incubo?
La bella estate quando divenni uomo.
La mia cagna da riporto.
Lei e Lui, Lei e Lei, Lui e Loro.
Mi piacciono i culi, tutti i culi, rigorosamente femminili.
Quattro uomini per una signora (Gli Dei vogliono risorgere).
Schiava o puttana? Schiava e puttana.
Tutto per i miei bambini.
Sedotto.
Le mie bambine ed io, rapite, addestrate per…
Ed altro ancora.

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