Skip to main content
Racconti di Dominazione

Il creditore di mio marito

By 8 Maggio 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Era entrato nell’ufficio senza che lei se ne accorgesse, perché Rita stava sistemando dei documenti nei classificatori e voltava le spalle alla porta.
Si era trattenuta fino a tardi perché suo marito era fuori per lavoro e quindi non doveva preparare la cena per nessuno.
Lui era entrato senza far rumore, nonostante fosse un uomo alto e robusto.
Il suo ‘buonasera’ l’aveva fatta trasalire ed ora si trovava faccia a faccia con il nuovo arrivato.
Sarà stato sulla quarantina ed indossava un abito blu elegante e di buon taglio, ma era proprio questo l’elemento stonato: nonostante il vestito e l’aspetto generale molto curato, le dava un’idea di volgarità e di violenza.
‘Mi spiace ma è tardi, l’ufficio è chiuso, forse cercava mio marito, ma oggi è fuori per lavoro.’
‘No, veramente sono venuto proprio per lei.’
Il tono di voce era cortese, educato, ma nella testa di Rita, il campanello d’allarme che si era acceso quando lo aveva visto, continuava a suonare.
Guardò verso la porta e si accorse che la chiave che lei aveva infilato dall’interno poco prima era scomparsa.
Stava per chiudere da dentro perché era tardi, ma poi aveva dovuto rispondere al telefono e se ne era dimenticata.
‘Mi manda …’
Aveva fatto il nome di un cliente della società di import export che teneva con suo marito e i motivi di preoccupazione erano aumentati.
Navigavano in cattive acque e suo marito si era fatto prestare molti soldi proprio da quel cliente.
‘Cercavi questa?’, le disse estraendo dalla tasca la chiave dell’ufficio.
Ecco, ora la voce era cambiata di tono e appariva perfettamente in sintonia con la cattiva impressione che aveva avuto inizialmente, e poi era passato anche al tu.
Rita, istintivamente, cercò di raggiungere il telefono sulla scrivania, ma l’uomo la prevenne.
Era robusto e le bastò una mano per bloccarle entrambi i polsi, mentre con l’altra frugava nella tasca della giacca.
Quando lei vide che estraeva dalla tasca un paio di manette si mise a gridare, anche se sapeva che era perfettamente inutile perché a quell’ora l’edificio era deserto.
Cercò di divincolarsi ma la lotta tra una signora quarantenne piccola di statura ed un uomo alto e robusto, con il fisico da lottatore, era assolutamente impari, così dopo un minuto, lei uscì dall’ufficio a testa bassa, con la giacca blu sulle spalle, che le copriva la braccia dietro la schiena con i polsi ammanettati, tenuta saldamente per un braccio dal tizio con il vestito blu.
Proprio davanti al portone c’era una grossa berlina scura, l’uomo aprì il bagagliaio e le disse ‘dentro’.
‘Cosa? Non voglio en…’
Come per magia, nella sua mano destra era comparsa una grossa automatica e a Rita non restò altro da fare che infilarsi nel bagagliaio.
Lui l’aiutò pure a superare il dislivello, poi le legò insieme le caviglie con un pezzo di corda e la costrinse a sdraiarsi dentro.
Il cofano che si richiuse con un leggero scatto metallico, le diede quasi l’idea che l’avessero seppellita viva.
Il tragitto durò solo pochi minuti ma furono sufficienti a far crescere le angosce nella mente di Rita.
Un leggero scatto metallico le fece capire che il viaggio era terminato, osservò il cofano di lamiera che si sollevava fluido, trattenuto dall’ammortizzatore idraulico, poi comparve di nuovo il viso dell’uomo con il vestito blu. Teneva in mano un lungo coltello e a Rita scappò un grido soffocato, ma lui si limitò a tagliare la corda che le teneva imprigionate le caviglie.
La prese sotto le ascelle e la tirò fuori di peso indugiando, almeno lei ebbe questa impressione, con le dita sui suoi seni.
Percorsero solo pochi metri prima di attraversare un portoncino in ferro arrugginito.
I polsi ammanettati le davano fastidio e poi lui la costringeva a camminare troppo veloce.
Accidenti ai tacchi alti pensò Rita, mentre inciampava nel lastricato sconnesso di quello che sembrava un vecchio magazzino in disuso.
Passarono attraverso una porta di legno scorticata poi lui accese la luce e richiuse la porta alle loro spalle.
Lei impiegò qualche secondo ad abituarsi all’illuminazione al neon, forte e fredda, mentre l’uomo le sfilava la giacca dalle spalle.
Clic, clic, ora non aveva più le manette. Si massaggiò i polsi indolenziti e guardò l’uomo, cercando di indovinare la sua prossima mossa.
‘Spogliati.’
Solo una parola, dura e secca come uno schiaffo.
‘Oh ‘ nooo …’, fece lei spaventata e irritata allo stesso tempo.
Lui tirò fuori di nuovo la pistola.
‘Posso iniziare a spararti ad un ginocchio’, le disse puntando la canna dell’arma contro la rotula di Rita.
‘Un colpo di questa a bruciapelo, te lo passa da parte a parte, sbriciolando tutte le ossa che incontra e ti posso assicurare che come prima non ci tornano più. Che peccato, una bella signora come te, zoppa e costretta per il resto dei suoi giorni a trascinare una gamba.’
Rita cominciò a tremare.
‘Oppure preferisci il coltello? Posso aprirti il tuo bel musetto in mille maniere e quando avrò finito, se ti guarderai allo specchio neanche ti riconoscerai.
Allora, ti decidi?’
Rita sempre più spaventata, iniziò a sbottonarsi la camicetta bianca sotto lo sguardo interessato dell’uomo, che alla fine prese in consegna l’indumento.
Aprì la lampo laterale della gonna blu e la fece scendere.
Il pavimento era pieno di polvere e quando toccò terra si sporcò.
Rimase davanti a lui in mutandine e reggiseno.
‘Beh, continua.’
Rita si tolse le scarpe con il tacco alto ed iniziò ad abbassarsi il collant, ormai completamente terrorizzata.
Non dovette dirle più nulla, bastò uno sguardo per capire che doveva continuare.
Alla fine rimase completamente nuda, a parte il giro di perle bianche intorno al collo. Con l’uomo dal vestito blu che ora la stava osservando in ogni dettaglio.
Le girò intorno ed a lei sembrò che gli occhi dell’uomo quasi le bruciassero la pelle nuda.
Sembrava soddisfatto quando le si avvicinò.
Le sue mani si posarono sulle spalle di Rita, che sussultò.
Con le dita le carezzò la parte posteriore del collo, giocando con i capelli di lei, ricci e rossicci. Quand’era più giovane li portavo molto più lunghi, ma ora che sono prossima alla quarantina, è molto meglio questo caschetto che mi sono fatta fare dal parrucchiere, pensò Rita.
Le mani scesero lungo schiena, poi le passarono sotto le braccia e, all’improvviso, le afferrarono i seni.
Gridò, ma lui la strinse forte da dietro, togliendole quasi il respiro, mentre le sue dita affondavano nella carne.
Ho sempre avuto dei bei seni, grandi e sodi, pensò, poi realizzò che in quel frangente non era buona cosa aver incontrato un estimatore delle sue tette.
La mani di lui scesero più in basso continuando la loro esplorazione: i fianchi, il sedere, le cosce.
Le sfiorò più volte il piccolo cespuglio di peli pubici, dello stesso colore dei capelli. E lei era sempre più nervosa, al punto da non riuscire a star ferma.
I suoi piedi nudi cambiavano di continuo posizione, mentre lui continuava a palpeggiarla, come se volesse accertarsi fino in fondo della buona qualità della preda.
Va bene, ho capito, mi violenterà per vendicarsi del debito di mio marito, ormai sono quasi rassegnata, ma che lo facesse subito, non ne posso più di questa attesa, di questo tormento.
All’improvviso smise di toccarla e la prese per un braccio e Rita si lasciò trascinare verso l’angolo opposto della stanza dove c’era una scrivania ricoperta di polvere.
Scostò da sotto la scrivania una sedia con i braccioli montata su ruote e la piazzò davanti a lei.
‘Su! Sali qua sopra!’
Rita lo guardò perplessa, allora l’uomo la sollevò di peso e la mise in ginocchio sopra la sedia, con il viso rivolto verso lo schienale.
‘Così, brava, ora allarga le gambe, perfetto.’
Le passò due pezzi di corda intorno alle caviglie e li fissò ai supporti di metallo dei braccioli, poi girò intorno alla sedia e le prese le mani.
Clic, le manette scattarono intorno al polso sinistro di Rita, fece passare il bracciale libero tra lo schienale imbottito e l’asta che lo sosteneva, poi ancora un altro clic, sull’altro polso, e lei era letteralmente inchiodata alla sedia.
‘Perfetto’, le disse mentre spingeva la sedia per accostarla alla scrivania, ‘ora che sei sistemata possiamo telefonare al tuo maritino’.
Prese un apparecchio telefonico, lo avvicinò e compose il numero, lasciando poi la cornetta staccata.
‘Ho messo il viva voce, così non ti perderai neanche una parola.’
Rita riconobbe subito la voce calda e piacevole del marito.
‘Buonasera, noi non ci conosciamo di persona, ma abbiamo una conoscenza in comune molto interessante, si tratta di sua moglie.’
‘Mia moglie?’
‘Certo, sua moglie, in questo momento sono in sua compagnia e devo farle i miei complimenti per la scelta, è una donna molto interessante, ed anche molto attraente.
Devo dire che in genere le preferisco più giovani, la sua signora avrà almeno una quarantina d’anni, ma è molto ben conservata, diciamo una donna rigogliosa, con due belle tettone sode …’
‘Ma come si permette …’
Il marito di Rita appariva infuriato, ma l’altro continuò: ‘Ha anche un gran bel culo …’
‘Ma che dice, che ne sa lei …’
‘Eh no, le assicuro che parlo a ragion veduta, in questo momento sua moglie è di fronte a me, completamente nuda e …’
Allungò una mano e si mise a palpeggiare i seni di Rita, che a quel punto si mise a gridare.
‘Rita, sei tu? Ma che cazzo succede?’
‘Tranquillo, vuol sapere il motivo della mia chiamata?
Un mio amico, che lei conosce bene, me ne ha indicati cinquantamila. Mi sono spiegato?
Ora lei restituisce i soldi avuti in prestito e rivedrà la sua dolce mogliettina.’
‘Va bene, ma non si azzardi a far del male a mia moglie, pagherò, prometto che pagherò …’
‘Ed io le prometto che libererò sua moglie quando al mio amico arriverà il bonifico, ma intanto lei resterà con me.’
‘Ma sono molti soldi, ci vorranno dei giorni …’
‘Questo non è affar mio, le restituirò sua moglie quando pagherà, stia tranquillo, non ci annoieremo certo insieme. Resti il linea, si potrà godere la scena come se si trovasse qui, dal racconto di sua moglie.’
Poi, rivolto a Rita: ‘su, spiega a tuo marito come stai messa.’
‘Mi ha fatta spogliare completamente, ora sono in ginocchio su una sedia con rotelle, con le gambe legate ai braccioli ed i polsi ammanettati, ti prego, aiutami, ho paura.’
‘Bene, ora viene il bello’, disse prendendo un barattolo dal cassetto della scrivania.
‘Su, spiega al maritino cosa è questo.’
‘Un ‘ barattolo …’
‘Certo, lo vedo da me che è un barattolo, ma cosa contiene?’
‘Non lo so.’
‘Guarda bene dentro.’
‘Grasso?’
‘Vasellina, per l’esattezza. Prima dicevo che sua moglie ha un bel culo. Penso stia iniziando a capire, vero?’
‘Brutto bastardo, non ti azzardare a toccare mia moglie …’
‘No, sei tu che non capisci, non sai dove siamo, non puoi raggiungerci ed io mi ripasserò la tua dolce mogliettina finché non scuci i cinquantamila che devi.’ L’uomo con l’abito blu, tenendo in mano il barattolo aperto, era passato alla spalle di Rita ed ora lei non era in grado di sapere cosa facesse, anche se ormai le sue intenzioni apparivano evidenti.
‘Allora, io inizio a lubrificare il buchetto della sua signora, mi dovrebbe ringraziare per questo, perché glie la restituirò in perfette condizioni, diciamo come nuova, ma perfettamente rodata.’
Rita si sentì allargare le chiappe con due dita e si mise a gridare, a quel punto il marito, che era rimasto in linea, in preda ad una crisi di rabbia impotente, prese ad insultare l’altro.
‘Ma è proprio un buchino delizioso, roseo e stretto stretto. Come ti chiami bella signora?’, disse con voce tranquilla, ignorando le urla del marito furibondo.
‘Rita’, rispose lei piangendo, con un filo di voce.
‘Per prima cosa mettiamo un po’ di vasellina in mezzo alle tue belle chiappette così, quando te lo ficcherò dentro, scorrerà meglio.’
Rita si agitava, cercando di sfuggire alla mano che continuava a toccarla in mezzo alle natiche ma, essendo legata, poteva solo fare dei piccoli movimenti.
Il tocco delle sue dita, mentre la spalmava, era stranamente piacevole e delicato, ma le bastava pensare al fine di tutti questi preparativi per sentirsi sprofondare nell’angoscia più totale.
‘No, no, per favore …’
Ora un dito le stava massaggiando leggermente lo sfintere serrato. Ne sentiva il movimento circolare che aumentava gradualmente di intensità, poi, all’improvviso, la pressione aumentò di colpo e sentì i tessuti cedere.
‘Ahhh! No ‘ fermo ‘!’
‘Rita, che ti sta facendo?’
‘Tranquillo, non l’ho ancora inculata, la sto solo preparando.’
‘Su spiega al tuo maritino cosa ti sto facendo, così lo tranquillizzi!’
‘Per favore …’
‘Allora lo faccio io. Ho iniziato ad allargarle il buchino. Dalla resistenza che fa sembra che lì sia quasi vergine. Possibile? Non mi dire che non glie lo ficchi mai in culo. Ah, scommetto che è lei che non vuole, vero?’
‘Ahi!’
‘Non mi dire che ti fa già male, guarda che il mio zufolo è un bel po’ più largo delle due dita che ti ho infilato dentro.’
Ora era entrato in profondità, sentiva le dita che si spingevano dentro e le allargavano i tessuti continuando ad inserire nuova vasellina.
Quando alla fine pensò che potesse bastare, Rita ormai avvertiva una strana e fastidiosa sensazione di dilatato e bagnato, come se lo sfintere, a lungo sollecitato, fosse rimasto aperto, lasciando gradualmente fuoriuscire un po’ di vasellina.
‘Ti prego, lasciala stare, Ti prometto che restituirò tutto al più presto ma …’
‘Mi dispiace, ma dopo tutta questa fatica fatta a lubrificarle il buchino …’
Rita capì che questa volta non si trattava di dita, il corpo estraneo che le stava spingendo in mezzo alle natiche era troppo largo.
La vasellina che aveva spalmato in gran quantità, rese facile la manovra di avvicinamento. Lo sentì allargarle facilmente la carne ed incunearsi, avvicinandosi al bersaglio finale. era tesa, le sue mani ammanettate erano strette a pugno, aveva una paura matta di soffrire, poi lo sentì entrare.
Gridò forte ed il marito, dall’altra parte della linea telefonica, gridò anche lui.
La vasellina aveva facilitato l’inserimento, ma non aveva eliminato il dolore.
Lui lo tirò fuori ed il dolore un po’ si placò.
‘Ehi, devi stare tranquilla, sennò ti fai male e basta. Lo hai capito che comunque, te lo ficcherò dentro, vero?’
Lo infilò di nuovo e questa volta arrivò più in profondità.
Poi ancora ed ancora.
Rita continuava a gridare, ma ogni nuovo inserimento, sentiva i tessuti cedere ed il pene dell’uomo le entrava di più.
Alla fine, con un leggero colpo di reni, lo inserì fino in fondo.
Rita intanto aveva smesso di gridare e piangeva sommessamente.
‘Ehi, sei ancora in linea?’
‘Siiiì, brutto bastardo …’
‘Non devi essere arrabbiato con me, ti ho fatto un favore, perché quando te la restituirò, potrai inculartela a piacimento.
Le ho dato una allargatina niente male, sai?
Sempre che non ci metti troppo a trovare i soldi, perché i ragazzi che giocheranno con lei dopo di me, ci sanno fare e non vorrei che la finissero di sfondare.’
Rita aveva sentito bene e l’idea che, dopo quell’uomo, lei potesse finire nelle mani di un gruppo di persone non la riempiva certo di gioia.
Ma non le lasciò troppo tempo per ragionare, perché, dopo averla penetrata profondamente, cominciò a muoversi.
Rita continuava a lamentarsi mentre l’uomo si eccitava sempre più. Ormai suo marito taceva, non sapeva neanche se fosse ancora in linea, poi, improvvisamente, si sentì toccare.
Una mano la stava carezzando nell’incavo tra la cosca e l’inguine, sentì le dita che le solleticavano i peli del pube, poi si spostarono più in giù.
Rita gridò, ma lui continuò a toccarla mentre dietro continuava ad entrare ed uscire ma senza mai abbandonare completamente il suo ano dilatato.
Prese a toccarla più profondamente ed a lei scappò un sospiro, poi un altro, sentiva che la sua vagina, ormai umida, si stava aprendo.
Cominciò a gemere ed il telefono era lì vicino.
‘Rita, che succede?’
Allora serrò le labbra per non farsi sentire.
Le dita stavano esplorando il suo sesso ormai bagnato fradicio e quando la toccò sul clitoride non riuscì a resistere e riprese a gemere più forte di prima.
‘Rita ”
‘Tranquillo, la tua mogliettina si sta scaldando.’
‘Noo… non è ‘ ahhhhh ‘ non voglio ‘ ohhh !’
Il dito ora aveva preso a girare leggermente intorno al suo clitoride gonfio e duro, mentre lei non era più in grado di controllarsi.
Ormai non era più in grado di parlare, gemeva e gridava, travolta da un’ondata di piacere, forse non voluto, finché non raggiunse l’orgasmo, gridando ancora più forte, praticamente nel microfono del telefono, che era lì vicino, a beneficio di suo marito.
E proprio in quel momento sentì che l’altro si muoveva con più energia, evidentemente eccitato dall’orgasmo di lei.
Rita rimase immobile, mentre l’uomo si svuotava dentro di lei, stordita dall’orgasmo appena provato e piena di vergogna per come era andata.
‘Ha veramente un gran temperamento la tua bella mogliettina. Ehi, ci sei ancora?’
Nessuna risposta, il marito di Rita, infuriato per quanto aveva sentito, doveva aver messo giù.
Le uscì da dietro e lei sentì il suo povero ano che si richiudeva solo in parte mentre lo sperma colava lentamente fuori.
Era stanca morta, anche per la posizione scomodissima e si augurò che la liberasse, invece diede un colpo alla sedia facendola ruotare di 180 gradi.
Il suo pene, ora non più eretto, gli ciondolava minaccioso in mezzo ai pantaloni aperti.
‘Ehi, con te ho appena cominciato, ora cerca di darti da fare con la bocca.’
Il coltello che lui brandiva minaccioso, la convinse a non fare storie.
Ci volle poco a farlo tornare in erezione, a quel punto si staccò da lei, lasciandola con bocca spalancata e si diresse di nuovo verso il telefono.
‘Sono sempre io. è stata un’inculata favolosa, tua moglie è stata molto partecipativa …’
‘Fottiti, bastardo …’
‘Veramente sono io che fotto lei. Ma ora abbiamo ricominciato, senti nulla?’
L’altro non rispose.
‘Già, non puoi sentire nulla, perché ha la bocca occupata.
Indovina come?’
Gli rispose un urlo disumano.
‘Ora avvicino un po’ il telefono, dovresti sentire, è veramente brava a succhiare.’
Rita si fermò e aprì la bocca.
‘Aiuto …’
Sentì la lama del coltello sfiorarle la guancia ed ebbe la sensazione che una goccia di sangue le scendesse lungo il viso.
Prese di nuovo in bocca il pene dell’uomo e non avvertì più la pressione del coltello.
Ogni tanto si staccava per prendere fiato, ma lui la costringeva subito a ricominciare.
Faccio rumore? Mio marito mi sta sentendo? Si chiedeva mentre il pene dell’uomo si faceva più gonfio e più duro.
Ecco, manca poco, pensava, mentre l’uomo si eccitava sempre più.
Da un lato temeva quel momento, ma dall’altro era troppo tempo che se ne stava rannicchiata su quella sedia e non ne poteva più.
Accadde tutto all’improvviso, lui le bloccò la testa con una mano dietro la nuca e si svuotò nella sua bocca.
Rita sentiva lo sperma tiepido che continuava a zampillare, avrebbe voluto sputare invece gran parte di quella roba le stava finendo in gola e per non soffocare fu costretta a deglutire, una volta, poi ancora ed ancora.
Alla fine lo tirò fuori e le lasciò libera la nuca.
Rita rimase immobile, con la bocca semi aperta ed il mento poggiato sullo schienale della sedia, mentre quello che non aveva inghiottito le colava sul collo.
‘Ti passo di nuovo la tua cara mogliettina.’
Le accostò la cornetta del telefono all’orecchio.
‘Rita, stai bene?’
Non riusciva a parlare perché aveva la bocca e la lingua impastate di sperma.
‘Rispondi, che ti ha fatto?’
‘Mi ha fatto ‘ lo sai, accidenti. Trova questi maledetti soldi.
Portami via, ti prego!’
Lui le staccò la cornetta e mise giù.
‘Adesso devo andare, ma più tardi passano i ragazzi per farti divertire.’
Le tolse le manette e mise nell’armadio i vestiti di Rita insieme al telefono.
‘Questi, finché sei qui, non ti servono’, disse mentre chiudeva l’armadio e si metteva la chiave in tasca, poi uscì e l’ultima cosa che Rita sentì, fu la serratura chiusa rumorosamente da fuori.
Ora era sola, nuda e sola, in attesa che altri venissero ad abusare di lei. Rita, con le mani finalmente libere, cercò di sciogliere i nodi che le bloccavano le caviglie ai braccioli della sedia, ma non era facile perché all’inizio si era dibattuta parecchio, nel tentativo di sfuggire alla penetrazione, ed ora la corda si era stretta.
Era stanca morta, avvilita, indolenzita ed aveva necessità di andare al più presto in bagno.
Alla fine, dopo essersi spezzata diverse unghie, riuscì a liberarsi e scendere da quella dannata sedia.
Corse subito in bagno.
Doveva essere stato abbandonato, come pure il resto dell’ufficio, da parecchio tempo e in più, al momento della chiusura, nessuno doveva essersi preso la briga di dargli una pulita. Insomma, l’odore che emanava il water sporco ed incrostato, non era per niente invitante.
Una volta finito scoprì che lo sciacquone non funzionava, o meglio, mancava proprio l’acqua, visto che anche dai rubinetti non usciva nulla, e questo era un guaio, perché aveva sete ed avrebbe anche desiderato darsi una bella lavata.
Così non le restò altro da fare che sistemarsi di nuovo sulla sedia, allungando le gambe sulla scrivania impolverata e cercare di dormire.
Il suo stato d’animo non era certo dei migliori, visto che si trovava rinchiusa in un posto sudicio e abbandonato, era completamente nuda ed era appena stata violentata, con in più la poco allettante prospettiva che questo si sarebbe ripetuto tra breve.
Eppure, quando ormai intravedeva le prime luci dell’alba, riuscì a prendere sonno, un sonno agitato e nervoso, che cessò di colpo quando la porta fu aperta di nuovo in maniera molto rumorosa.
Non era il tizio che l’aveva rapita.
Aprì lentamente gli occhi, ancora stordita e si trovò davanti tre brutte facce, della serie se incontrassi uno così nel portone di casa, di notte, me la farei sotto.
Poi pensò che erano in tre, che lei era completamente nuda e che sicuramente si trovava in un posto isolato, dove nessuno sarebbe mai venuto in suo soccorso.
Non le dissero nulla, ma dalle espressioni dei loro volti, sembravano contenti dell’incontro.
Si sentì sollevare di peso e poi sbattere sulla scrivania e, prima ancora di riuscire a dire una parola, il più lesto dei tre già lo aveva tirato fuori.
Rita, istintivamente chiuse le gambe e quello, per tutta risposta, tirò fuori un coltello a serramanico e lo piantò sul piano della scrivania in mezzo alle sue cosce. La lama, nel conficcarsi nel legno della scrivania, fece un rumore secco e sinistro e lei rimase per qualche secondo ad osservare, come incantata, il manico che continuava ad oscillare, rendendosi conto che, nella situazione in cui si trovava, c’era molto poco da scherzare
‘Allarga le cosce’, ordinò lui, Rita si scosse e lentamente aprì le gambe.
Lui si riprese il coltello, lo chiuse e lo rimise via, poi la tirò per i piedi, finché non lei non arrivò con l’inguine a contatto con il bordo della scrivania.
Cose se avesse paura che Rita si potesse tirare indietro, le afferrò con una mano il ciuffo di peli pubici ricci e rossicci.
Rimase un attimo ad osservare la sua vagina stretta e secca, poi lo spinse dentro.
Rita gridò per la sorpresa, per la rabbia ed anche per il dolore di quella penetrazione improvvisa, ma ormai era fatta.
Cercò di rimettersi seduta sulla scrivania, ma l’uomo la spinse indietro, costringendola a tornare sdraiata, poi, per impedirle di muoversi, le afferrò i seni con le mani.
Questo fu solo l’inizio, perché, una volta che il primo ebbe finito, fu la volta degli altri due.
Si erano portati una cassetta di birra e, quando non erano occupati con lei bevevano.
Ne offrirono anche a Rita che, avendo ormai una sete terribile, non rifiutò, nonostante non amasse particolarmente la birra, specie a digiuno.
La girarono a pancia in giù, lei sentì qualcosa di freddo in mezzo alle natiche e capì che le avevano ficcato dietro il collo di una delle bottiglie.
La bottiglia ci restò per poco e fu rimpiazzata da qualcosa di decisamente più largo.
Nonostante le facesse discretamente male, Rita non protestò, perché la birra che aveva ingurgitato stava iniziando a fare effetto e si sentiva completamente stordita.
Loro, mentre si davano il cambio, continuavano a bere ed a ridere, facendo commenti su di lei.
‘Quando avremo finito con lei avrà una fica ed un culo più larghi di quelli di una mucca’, disse uno, e gli altri scoppiarono a ridere.
‘Glie lo voglio ficcare in mezzo alle tette’, aggiunse un altro.
Si sentì girare di nuovo sulla schiena ed uno di loro le salì a cavalcioni.
‘Sembrano proprio fatte apposta, queste belle tettone.’
Rita che aveva chiuso gli occhi, li riaprì, e si trovò davanti alla faccia il pene eretto dell’uomo, piazzato in mezzo ai suoi seni.
Con le mani le strinse i seni uno contro l’altro e cominciò a muoversi avanti e indietro.
Quando dall’apertura del pene uscirono zampilli di sperma, Rita, impossibilitata a muoversi, si prese tutto in faccia, tra le grida di giubilo degli altri due.
Le passarono le mani sul viso, spalmandole bene lo sperma e poi decisero come finire in bellezza.
Dopo averle fatto tracannare un’altra birra, la fecero scendere dal tavolo, lei non si reggeva in piedi e finì subito in ginocchio.
‘Perfetto, non ti muovere, su, apri la bocca.’
Rita, ormai completamente ubriaca ubbidì e cominciò a succhiarlo al primo dei tre, ma dopo un po’ un altro la costrinse a continuare con lui, poi toccò al terzo.
La costringevano a spostarsi di continuo da uno all’altro e lei, sempre più stordita, si girava, restando sempre in ginocchio, e riprendeva a succhiarlo al nuovo arrivato.
La lasciarono stare solo dopo che tutti e tre si furono svuotati nella sua bocca, sentì il loro passi che si allontanavano e la porta che veniva chiusa da fuori.
Solo allora, cessata la tensione, Rita si accasciò a terra.
Il tizio che l’aveva portata lì si presentò in tarda mattinata, non indossava più il vestito blu ma una felpa ed un paio di jeans.
La fece alzare in piedi e le girò intorno, sembrava stesse valutando il lavoro fatto dai ragazzi.
‘Bene, come prima ripassata non è stata male, vero?’
Rita non rispose.
‘Adesso richiamiamo tuo marito e sentiamo a che punto sta con i soldi.’
Riprese il telefono dall’armadio e lo riattaccò alla spina.
‘Allora, arrivano questi soldi?’
‘Accidenti, sono tanti, cinquantamila non si trovano in un giorno.’
‘Per me ci puoi mettere pure un mese, ma non vorrei che tua moglie si divertisse troppo nel frattempo, ora te la passo così ti racconta come è andata con i ragazzi.’
‘Rita, stai bene, che ti hanno fatto?’
‘Sto bene ‘ benissimo ”
‘Hai una voce strana, che ti succede?’
Rita scoppiò a ridere.
‘Ma sei ubriaca?’
‘Siii ‘ sbronza fradicia, abbiamo fatto una festa stanotte ‘ anzi, mi hanno fatto la festa. Erano in tre ‘ tutto ho fatto ‘ davanti e dietro …’
‘Rita …’
‘Ah, sì, anche il pompino ‘ a tutti e tre …’
‘Maledetto bastardo, non puoi fare questo a mia moglie …’
‘E tu trova i soldi. Oggi i ragazzi tornano e continueranno a scoparsela finché non paghi, ma stai tranquillo, si sta abituando. Anzi ora le do qualcosa da mangiare, perché si deve mantenere in forze.’
Chiuse il telefono e posò sul tavolo una busta di plastica con una bottiglia di acqua minerale ed un sacchetto di carta oleata.
Rita si attaccò, a garganella alla bottiglia, poi si divorò la pizza ed i supplì contenuti nel sacchetto sotto lo sguardo divertito di lui.
‘Avevi fame, a quanto pare. Certe attività mettono appetito.
Certo che avresti bisogno di una bella doccia, sei impiastrata da fare schifo, ma i ragazzi non si faranno certo problemi …’
‘Per favore, non li mandi di nuovo qui …’
‘Ho l’impressione che tuo marito non riuscirà a trovare i soldi, allora ti dovrai abituare.
Intanto dovresti cominciare a fare un po’ di riscaldamento.’
‘Cosa?’
Lui le prese una mano e glie la fece avvicinare alla vagina.
‘Devi un po’ strofinarti la fichetta, così te lo ficcheranno meglio.’
Rita, che per mangiare si era seduta sulla sedia, istintivamente tolse la mano e strinse le gambe.
‘Va bene, allora comincio io.’
Lei cercò di ribellarsi, ma era troppo scombussolata e, dopo qualche fiacco tentativo, si rilassò, allargò le cosce e lasciò entrare liberamente le sue dita.
Dopo qualche minuto gemeva e si contorceva sulla sedia, allora lui tolse la mano e ci rimise quella di Rita, che continuò fino all’orgasmo.
‘Brava, hai visto quanto è facile? Dai ora lo rifai di nuovo.’
‘No, basta, sono stanca.’
‘Stanca? E che gli dici ai ragazzi che stanno per arrivare?’
Rita ricominciò mentre lui riprendeva il telefono.
‘Sono di nuovo io, la senti tua moglie come gode?’
‘Bastardo, che le stai facendo?
‘Io niente, è lei che fa esercizi di riscaldamento, in attesa che arrivino i ragazzi, cerca di darti da fare con i soldi’, aggiunse mentre metteva giù il telefono.
‘Ne ho trovati ventimila, intanto, arrivano domani, ti prego, lasciala andare.’
In quel momento bussarono alla porta.
‘Devono essere i ragazzi.’
Rita interruppe la masturbazione e si voltò verso la porta.
Non erano gli stessi dell’altra volta e dall’aspetto dovevano essere tunisini o comunque nord africani.
Richiusero la porta alle loro spalle ed iniziarono immediatamente a spogliarsi.
‘Ti piacciono questi? Sono ansiosissimi di sfondarti il culo e la fica, tutti e cinque:’
Non si era resa conto di quanti fossero e le passò un brivido per la schiena, poi osservò il più vicino dei nuovi arrivati: si era appena liberato dei pantaloni e si stava massaggiando il pene per farselo venire duro.
‘Bell’uccello vero? E anche gli altri hanno un arnese simile.
Aspetta che ora lo spiego a tuo marito, se è ancora in linea.
Ho trovato per la tua mogliettina cinque bei ragazzi del nord Africa, hanno delle mazze che lei non deve aver mai visto, a giudicare da come se le sta guardando.’
‘Bastardo …’
‘Tu pensa a trovare i soldi. Ora devo andare, come è andata te lo racconterà dopo tua moglie.’
Poi, rivolto a lei, ‘Ciao, Rita, ripasso più tardi.’
Chiuse il telefono e se ne andò, mentre i cinque, ormai completamente nudi, si avvicinavano a lei. Era spaventata, preoccupata, ma avvertiva anche una strana eccitazione, che non riusciva a giustificare in alcun modo, se non con la sbronza di birra, che non le era ancora passata.
Si sentì sollevare da dietro, da un paio di mani sudate e robuste e si guardò intorno.
Uno di loro, completamente nudo, si era sdraiato sulla scrivania e si teneva il pene, enorme e dritto, con entrambe le mani.
Lei era sospesa a mezz’aria, trattenuta per le braccia e per le gambe e si stava lentamente avvicinando alla scrivania ed all’uomo sdraiato sopra.
Provò a divincolarsi debolmente ma loro strinsero la presa e la calarono sul loro compagno.
Rita avvertì il contatto della schiena con il petto muscoloso dell’uomo, poi lui la tenne stretta piazzandole un mano sui seni, mentre con l’altra cercava di indirizzare il pene in mezzo alle sue chiappe.
Fece subito breccia nel suo povero ano indolenzito e Rita gridò mentre lui, muovendosi, cercava di farlo penetrare più a fondo.
Solo quando si fu sistemato bene, si fece avanti un altro che glie lo ficcò davanti.
Ora Rita era serrata tra i due corpi, si sentiva come una fetta di prosciutto schiacciata tra due fette di pane, il dolore dietro era intenso e sordo, mentre quello che le era salito sopra aveva iniziato a palpeggiarle i seni.
Cominciavano a muoversi, sembravano andare a tempo ed i loro arnesi, grandi e duri, entravano ed uscivano nel corpo di Rita, che intanto stringeva i denti per non gridare.
Lentamente il dolore diminuì e lei si lasciò quasi cullare dal movimento che i due stavano imprimendo al suo corpo.
Chiuse gli occhi, mentre quello sopra di lei continuava a stringerle e toccarle i seni.
Le uscì un sospiro dalle labbra, poi un altro più profondo del primo, mentre aveva l’impressione che stessero aumentando il ritmo.
Fino ad ora aveva tenuto le braccia distese lungo il corpo, ora invece ne staccò uno e se lo avvicinò al ventre.
Il pene enorme e scuro dell’uomo entrava ed usciva nella sua vagina dilatata, fece in modo che arrivasse a sfiorare la punta delle sue dita, poi premette con il palmo della mano contro il ventre, in modo che il clitoride venisse a contatto con il pene.
Fu allora che iniziò a gemere sempre più forte e questo innescò una specie di reazione a catena: i due accelerarono ancora, poi vennero dentro di lei, uno dopo l’altro, mentre anche Rita raggiungeva l’orgasmo.
Si rese conto di quanto accaduto quando la sollevarono di peso. Sentì il pene, non più duro ma ancora gonfio sfilarsi dalle sue chiappe, seguito da un fiotto di sperma, poi vide l’uomo che agilmente scendeva dal tavolo.
Un altro prese il suo posto e Rita fu fatta scendere di nuovo. Si sentì allargare le chiappe a forza, poi avvertì la penetrazione, che questa volta fu repentina e molto meno dolorosa.
Prima di cominciare le fecero bere una bella sorsata di birra ghiacciata, che finì di stordirla, e poi ricominciarono, uno sopra ed uno sotto, o meglio, uno davanti ed uno di dietro.
Lo fecero tante di quelle volte che Rita non fu in grado di contarle e quando, alla fine, la lasciarono sola, lei rimase sdraiata sulla scrivania, incapace di muoversi.
Era indolenzita, ammaccata ma allo stesso tempo sentiva ogni centimetro della pelle sensibilizzato ed eccitato.
Praticamente giaceva in una pozza fatta di sperma, di sudore e dei suoi umori, che avevano completamente imbevuto il legno del ripiano della scrivania.
Finalmente riuscì a mettersi seduta sulla scrivania, le girava la testa e le formicolavano i piedi.
Si calò cautamente a terra. Il pavimento le sembrò più freddo e più sporco di come lo aveva trovato finora.
Dalla sua vagina arrossata e dilatata, ad ogni passo usciva un piccolo fiotto di sperma, mentre procedeva faticosamente a gambe larghe verso il bagno.
Il tizio che l’aveva condotta lì, si rifece vivo verso sera. Le portò da mangiare e da bere e Rita, affamata, si gettò a capofitto sul cibo.
‘Fai bene a mangiare, perché ti devi tenere in forze per questa notte.’
‘Oh no, ancora? Per favore …’
‘Guarda che i ragazzi mi hanno riferito che ti è piaciuto, e molto.
Comunque, ti do una buona notizia, tuo marito ha trovato i primi ventimila, anzi adesso lo chiamiamo.’
Il marito di Rita, al telefono, sembrò più tranquillo, almeno all’inizio.
Quando seppe che il bonifico dei primi soldi era arrivato, fece un tentativo.
‘Hai visto che sono stato di parola. Ti prego, libera mia moglie, ti giuro che entro pochi giorni troverò anche il resto.’
‘Spero che siano pochi giorni, perché non so quanto reggerà ancora tua moglie.
Oggi ha assaggiato cinque cazzi africani, regolarmente due per volta, e la vedo un po’ provata.
Ehi, vieni qui, racconta al tuo maritino quanto ti è piaciuto.
Avrei dovuto registrarti sai, mi hanno detto che miagolavi come una gatta in calore.’
Costrinse Rita ad avvicinarsi.
Non voleva che suo marito pensasse che avesse goduto a farsi scopare da uomini sconosciuti e la vergogna stava prendendo il sopravvento su ogni altro sentimento.
Le avvicinò la cornetta all’orecchio.
‘Ti prego ‘ fai presto …’
A quel punto l’altro cominciò a toccarla, prima prese a palpeggiarle i seni, poi le mani scesero in mezzo alle sue cosce e Rita gemette.
‘Rita …’
La toccò più profondamente e lei gemette più forte.
Non riusciva a controllarsi, la sua pelle era talmente sensibilizzata che le era impossibile resistere.
‘La senti la tua mogliettina, non vede l’ora di farsi finire di sfondare da quei bei cazzoni neri.’
Rita gridò.
‘Che succede?’
‘Tranquillo, le ho solo ficcato un bottiglia di birra dietro.’
Il grido di Rita si trasformò in un lungo gemito di piacere.
‘Glie la sto girando e infilando nel culo e non sembra molto contrariata.’
‘Va all’inferno, bastardo!’
Rita sentì distinto il clic della comunicazione interrotta, allora l’altro le sfilò la bottiglia.
‘Il tuo maritino si è un po’ incazzato, ma vedrai che i soldi, prima o poi, li troverà. Tu che preferisci: prima o poi?’
Posò la bottiglia sulla scrivania e se ne andò.
Più tardi tornarono i tre della prima volta, la fecero inginocchiare e Rita, ormai docile ed ubbidiente, aprì i pantaloni al primo di loro ed iniziò a succhiarglielo.
Quando ormai era completamente assorbita nel suo lavoro, si aprì di nuovo la porta e comparvero i cinque nordafricani.
Per Rita fu una notte lunga e faticosissima, passata a soddisfare i desideri di otto uomini.
Quando lei, sfinita, tendeva ad assopirsi, la toccavano per risvegliarla, sentiva le dita di qualcuno che le stuzzicavano i capezzoli, mentre intanto un altro le toccava la vagina e subito tornava in sé.
Ormai era in preda ad una eccitazione incontrollabile, era come se il suo corpo rispondesse soltanto a questi stimoli esterni, senza che lei potesse impedirlo.
Così si risvegliava e afferrava con le labbra il primo pene a portata di mano, mentre un altro, da dietro, la penetrava.
E loro continuavano, a volte le venivano dentro e sentiva lo sperma che le riempiva la vagina, l’ano o la bocca, altre volte lo estraevano all’ultimo, indirizzando gli schizzi sul suo corpo o sul suo viso.
Se ne andarono verso l’alba, ma Rita quasi non se ne accorse, e rimase a dormire sdraiata sul pavimento, finché non tornò il suo rapitore con la colazione.
‘Madonna sei conciata da fare schifo, ti ci vorrebbe una bella doccia.’
‘Sì ‘ una doccia’, sussurrò Rita.
‘Quando tuo marito avrà trovato i soldi, ti farai tutte le docce di questo mondo, ora mangia, fra un po’ tornano i ragazzi e devi essere pronta.’
Rita sentì la porta che si chiudeva e rimase sola, in attesa che quelli tornassero.
Verranno i tre, oppure gli altri cinque? Oppure tutti insieme?
Le passò per la mente che forse suo marito non avrebbe mai trovato il resto dei soldi e lei sarebbe rimasta lì per sempre.
Per sempre? Quanto avrebbe resistito a quel terribile tour de force?
Rimase sdraiata sul pavimento sudicio ad aspettarli e, ad un certo punto, la mano le scivolò in mezzo alle cosce e cominciò a toccarsi.
Sto diventando una lurida troia, disse a sé stessa mentre il suo sesso, sotto il tocco delicato, si apriva lentamente.
Continuò a lungo e neanche si accorse che erano arrivati.
Percepì la loro presenza quando si sentì sollevare di peso.
Erano i nordafricani ma ora erano diventati sei, perché si era aggiunto un altro uomo, nerissimo ed enorme.
‘Abbiamo portato un amico.’
La sistemarono sulla scrivania e la tennero ferma, a gambe larghe.
Il nuovo arrivato si aprì i pantaloni e tirò fuori un arnese enorme che stava iniziando ad indurirsi.
Rita gridò e loro scoppiarono a ridere, mentre lui se lo massaggiava vigorosamente per farlo diventare duro, poi fece scostare gli altri, le allargò completamente le cosce e glie lo ficcò dentro.
Per fortuna che mi sono toccata prima che arrivassero, sennò questo qui, se ero completamente secca, mi sfondava.
Le venne dentro quasi subito, ma non era ancora soddisfatto, così lo tirò fuori, se lo massaggiò nuovamente e ricominciò e a questo punto Rita si lasciò andare completamente.
Si sentiva riempita da quel pene nero ed enorme, che entrava ed usciva dentro di lei, con un movimento lento e possente.
Cominciò prima a gemere, poi cercò di assecondare il movimento di lui mentre un altro le carezzava e le strizzava i seni.
Rita raggiunse l’orgasmo proprio mentre quelle che le stava toccando i seni con una mano, ma con l’altra si stava masturbando, le riempì il viso di sperma.
Questo fu solo l’inizio, perché continuarono per ore.
Non si limitavano a penetrarla avanti e dietro, ma la toccavano per farla eccitare e lei, no poteva far altro che rispondere con gemiti e grida, finché non veniva travolta da un nuovo orgasmo.
Alla fine la lasciarono in terra, sfinita e dolorante e se ne andarono.
Il pomeriggio vennero gli altri, e ricominciarono, Rita si sentiva come in un sogno, sballottata, toccata ed in preda ad una eccitazione che non si poteva controllare.
Si rese conto che, se al principio aveva subito le loro azioni, ora lei partecipava pienamente, cercando di procurarsi il massimo del piacere.
La notte la lasciarono tranquilla, ma ricominciò tutto come prima il giorno successivo.
Il tizio che l’aveva portata lì non si vedeva più ed erano gli stessi ‘ragazzi’ che le portavano da mangiare e da bere.
Nei momenti di lucidità veniva presa dallo sconforto e pensava che sarebbe morta in quella sudicia prigione, sfondata da questi uomini, poi loro tornavano e ricominciava tutto da capo. In tutto Rita rimase rinchiusa lì per una settimana.
I due gruppi di uomini si erano alternati regolarmente e negli ultimi giorni si erano aggiunte alla congrega altre persone.
A volte si chiedeva come non riuscissero a trovare repellente una donna ridotta in quelle condizioni.
La mancanza di acqua corrente, unita alla sporcizia dell’ambiente che si impastava regolarmente con lo sperma che ormai quasi la ricopriva avrebbero dovuto tener lontano chiunque, si diceva Rita, eppure continuavano a scoparla sistematicamente.
Quando sentiva aprirsi quella porta, sperava che finalmente fosse finita la sua prigionia, e invece erano loro che tornavano e ogni volta sembravano più affamati.
L’ultima sera, ma lei ancora non sapeva che sarebbe stata l’ultima, quando sentì la chiave girare nella serratura pensò: ‘oh no, sono tornati di nuovo, non ce la faccio più!’
Invece era comparso il tizio che l’aveva portata lì, vestito elegante come il primo giorno.
Aprì l’armadio dove aveva messo i suoi vestiti e glie li lanciò.
‘Hai finito, torni, a casa. Tuo marito ha pagato tutto.’
Rita guardò prima lui, poi i vestiti ammucchiati in terra, sembrava come inebetita.
‘Beh, che c’è? Non mi dire che ti dispiace andartene? Se preferisci, ti lascio qui, i ragazzi saranno contenti.’
Rita si alzò a fatica e raccolse i vestiti.
Provava una sensazione strana a toccare la stoffa leggera della camicetta. Pensò che non poteva vestirsi con la pelle sporca in quella maniera, ma non aveva alternative, se non uscire di lì nuda.
Ci impiegò parecchio a vestirsi perché era stanca e la stoffa non scorreva facilmente sulla sua pelle.
Si infilò per primo il minuscolo slip, come per voler nascondere, dopo giorni e giorni, la vista del suo sesso.
La stoffa trasparente e ricamata si incuneò tra le labbra aperte della sua vagina che, dopo una settimana di super lavoro non riusciva più a riprendere il suo aspetto originario.
Cercò con le dita di tirarla fuori ma lui, spazientito, le intimò di sbrigarsi, così passò al reggiseno.
Le calze rappresentarono il problema maggiore, perché le tremavano le mani mentre, dopo averle arrotolate, cercava di infilarle.
Le sue cosce, sporche ed impiastrate di sperma, opponevano una accanita resistenza e quando alla fine riusci a sistemarle più o meno dritte, si accorse che il tessuto sottile e velato si era smagliato in più punti.
Quell’uomo continuava a guardarla.
Era stato il primo, ricordava benissimo l’umiliazione della sua sodomizzazione, legata sulla sedia, con il marito costretto ad ascoltare per telefono.
Ora questo era l’ultimo atto, in cui lei ripeteva a rovescio l’inizio dell’esperienza: mentre prima era stata costretta a spogliarsi completamente in presenza di uno sconosciuto, ora si doveva rivestire, sempre sotto il suo sguardo attento.
Uscirono insieme, lei barcollante a causa dei tacchi alti con l’uomo che la teneva per un braccio, costringendola a camminare veloce.
Una folata di vento la investì e Rita si fermò un attimo, appoggiandosi a lui.
‘Stai lontana, sei lurida da fare schifo’, le disse scostandola, mentre la costringeva a riprendere il cammino.
Il viaggio di ritorno non lo fece chiusa e legata nel bagagliaio ma seduta in macchina a fianco a lui.
Stava facendo buio e si fermarono in una strada deserta in periferia.
‘Potrei lasciarti qui, che dici sei capace di procurarti un passaggio.’
Rita vide a pochi metri una prostituta, seduta su una sedia di plastica bianca, a cosce aperte.
‘No, per favore, basta, mi riporti a casa, mio marito ha pagato.’
‘Tranquilla, sei ridotta troppo male anche per i clienti delle puttane di strada.
Sai che facciamo, passiamo a casa mia, ti dai una ripulita e poi ti riporto qui.’
Rita, che pensava di essere ormai alla fine della sua disavventura, fu presa dal panico e cominciò a singhiozzare ed a supplicarlo.’
Per tutto il tragitto temette che lui mettesse in atto la minaccia, non conosceva le strade che stavano percorrendo e quindi non aveva idea se la stesse riportando a casa o meno.
Solo alla fine, quando riconobbe il suo quartiere, si tranquillizzò.
La lasciò a due isolati da casa sua e Rita, lentamente, si mise in cammino, sperando di non incontrare nessuno che conoscesse.
Si rilassò solo quando fu al sicuro, nel suo appartamento.
Suo marito non c’era, così mise il paletto alla porta di casa.
Andò subito in bagno, si liberò dei vestiti e si passò e ripassò l’acqua calda della doccia, finché non le sembrò che la pelle avesse ripreso il suo aspetto solito.
Solo allora riempì la vasca da bagno e ci si immerse.
Si assopì lentamente, pensando a suo marito, alle esperienze sconvolgenti di quella settimana, mentre l’acqua lentamente si freddava.

7
3

Leave a Reply