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Racconti di Dominazione

il diario di Arianna

By 3 Aprile 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Ciao a tutti. Mi chiamo Arianna ed ho trent’anni.
Ho deciso di pubblicare un mio diario dove racconterò certe mie avventure non proprio liete.
Prima di iniziare la narrazione, vi parlerò un po’ di me per spiegarvi che tipo di persona io sia.
Allora, come ho appena detto ho trent’anni, sono sposata da diversi anni ed ho un bambino piccolo che, quando lavoro (a da qui sono venuti tutti miei problemi), affido a mia suocera.
Vivo in un paese della Puglia (non posso essere più precisa e il perché lo capirete quando inizierò a raccontare) e mio marito fa il camionista.
Spesso si dice che i camionisti sono tutti cornuti perché non stanno mai a casa. Beh, io non sono quel tipo di donna, anche perché sono innamorata di lui e non tradirei (o dovrei dire non avrei mai voluto tradire) mio marito.
Ora vorreste sapere com’è il mio aspetto, vero?
Sono una ragazza normale, magra ma non troppo, specialmente per i seni, che sono abbastanza pronunciati, della serie non mi occorre il reggiseno imbottito, tanto per capirci. Ho i capelli castani, non troppo scuri, portati lunghi e lisci e tutti mi dicono che mostro un po’ meno della mia età, forse anche perché non mi piace vestire da signora, ma preferisco le cose più giovanili, tipo jeans e minigonne (ma non troppo mini, perché sono comunque una donna sposata che vive nel sud), magari mettendo, quando è il caso, scarpe con il tacco alto.
Ma torniamo ai miei guai, iniziati più o meno due anni fa.
Un giorno viene mio marito e mi dice che il titolare della ditta dove lavora, cerca una nuova segretaria.
‘Potresti farlo tu’, mi dice.
Ed io obbietto che ho il bambino da guardare.
‘Se ne potrebbe occupare mia madre, glie lo accennato e le farebbe piacere.’
Poi ha cominciato con la faccenda della crisi, che sarebbe meglio lavorare tutti e due, che sarebbe un peccato sprecare il mio diploma, insomma alla fine mi ha strappato un sì e, il giorno dopo, mi sono presentata da Vito, il suo principale.
Non mi è mai piaciuto troppo, è un tipo sui 55 anni e, nonostante abbia parecchi soldi, perché la ditta di trasporti gli rende bene, ha un brutto aspetto, anche perché mangia sempre e con gli anni è diventato grasso.
Beh, mi sono detta, non ci devo mica uscire, devo solo andare a lavorare da lui.
Me lo ricordo ancora quel primo incontro, io ero arrivata in anticipo, avevano messo dei jeans strappati che mi piacevano tanto (meglio evitare la minigonna) ed una maglietta un po’ scollata.
Lui è stato gentile, mi ha spiegato di cosa si trattava e mi ha detto l’orario che dovevo fare e la paga, bassina, perché qui nel sud fanno metà e metà (cioè metà regolare e metà in nero), ma tutto sommato poteva rappresentare un discreto incremento per il bilancio della nostra famiglia.
Per tutto il tempo ho avuto l’impressione che cercasse di sbirciare nella scollatura della maglietta ed ho pensato: meno male che non ho messo la minigonna.

Il giorno dopo ho iniziato a lavorare.
Ordini, bolle, fatture, non era una cosa difficile per me che ho studiato ragioneria, anzi lo trovavo vario e quasi divertente.
Certo ero l’unica donna in un ambiente maschile, composto da autisti e clienti del signor Vito.
Siccome sapevano che ero la moglie di Cosimo, gli altri autisti si comportavano bene, ma sono sicura che altrimenti battutine e commenti volgari non sarebbero mancati, e magari qualcuno si sarebbe anche spinto oltre.
Devo dire che, approfittando di questa mia immunità, avrei potuto anche esibire minigonne e scollature, ma in genere ho evitato, anche perché il principale mi sembrava sensibile a queste cose.
E’ andato tutto liscio fino al giorno del maledetto pasticcio.
Erano quattro mesi che lavoravo lì, quando ho confuso due ordini.
Non riesco ancora oggi a capacitarmi di come possa essere accaduto, ma ho spedito due carichi scambiandone le destinazioni.
Me ne sono accorta quando il secondo camion stava per partire, ma il primo era andato da un pezzo, e, ironia della sorte, l’autista aveva il cellulare rotto e non era possibile farlo tornare indietro.
Insomma, per farla breve, ho spedito in Sicilia quattro bancali di pezzi di ricambio per macchinari diretti in Veneto, che il cliente aspettava con urgenza, perché aveva le linee di produzione bloccate.
Naturalmente si è incazzato di brutto, ma ormai il danno era fatto, l’unica era aspettare che il carico tornasse indietro dalla Sicilia per poi rispedirlo su di corsa.
Ma peggio ancora si è incazzato il signor Vito. Non lo avevo mai visto così furioso. Era tardi ed eravamo rimasti solo noi due, mi ha detto delle cose terribili e alla fine mi ha anche messo le mani addosso.
No, non intendo per picchiarmi, che forse, per il casino che avevo combinato, un po’ me lo meritavo, ma in quell’altro senso.
Insomma, io mi ero alzata e me ne stavo per andare, perché non ne potevo più di essere insultata, quando mi ha afferrata da dietro per i capelli.
Mi urlava nelle orecchie che ero una stronza, una troia e che mi avrebbe dato una lezione e quando ho sentito le sue manacce che mi tiravano su la gonna ho avuto veramente paura.
Ho cercato di divincolarmi ma lui mi ha stretto i polsi insieme con una mano e con l’altra continuava a toccarmi.
Per fortuna aveva le mani sudate e sono riuscita a liberare una mano.
Sì, lo so, è stato un gesto istintivo, e da lì sono partite tutte le mie disgrazie, perché gli ho rifilato un manrovescio bello forte che mi sono pure fatta male alla mano.
E la situazione è cambiata all’improvviso. Il signor Vito si immobilizzato, è rimasto fermo come una statua. Era stupefatto della mia reazione, proprio non se l’aspettava, così io, approfittando del momento di tregua, ho preso la borsa al volo e sono scappata via, inseguita dalle sue urla.
‘Brutta troia, sei licenziata, non presentarti qui mai più, ‘ché ti spezzo le braccia.’
Mio marito è venuto a saperlo solo due giorni dopo, perché era fuori con il camion, e non volevo raccontargli per telefono che mi ero fatta licenziare.
Naturalmente gli ho detto del mio errore e del relativo licenziamento, ma non del resto, perché volevo evitare che Cosimo si mettesse nei guai.
Che razza di figlio di puttana fosse il signor Vito l’ho capito quando, dopo una settimana, Cosimo è tornato a casa mogio mogio, dicendomi che era stato licenziato anche lui.
E qui sono cominciati i guai, perché non è facile trovare un buon lavoro in un paese del sud, anzi, veramente, è difficile già trovarne uno cattivo, di questi tempi.
Insomma, ci siamo trovati in gravi difficoltà economiche e non sapevamo proprio come andare avanti, quando ‘
‘ e qui comincia il mio diario.
Oggi, dopo sei mesi bruttissimi, pieni di angoscia, è successa una cosa buona, almeno lo spero.
Io e Cosimo, mio marito, abbiamo perso contemporaneamente il lavoro, appunto sei mesi fa. Lui e veramente depresso, si è dato molto da fare ma ha trovato ben poco e sempre roba saltuaria e regolarmente in nero, anzi qualche volta neanche l’hanno pagato.
Questa mattina ero andata alla posta per pagare la bolletta della luce e, mentre stavo in fila, pensavo che quei soldi mi sarebbero serviti per fare la spesa, ma ero già in ritardo e se non pagavo ci avrebbero staccato la corrente.
‘Arianna.’
Mi giro e chi mi trovo davanti? Proprio il signor Vito, l’ex principale di mio marito e anche mio.
Sembra di buon umore e gentile, come se non fosse accaduto nulla, come se la nostra rovina economica non fosse causa sua e, soprattutto per me, non mi avesse messo le mani addosso nel mio ultimo disgraziato giorno di lavoro.
Mi sembra di risentire le sue manacce sudate che frugano sotto la mia gonna, ma cerco di restare calma, per capire cosa possa volere da me.
‘So che stai cercando lavoro.’
Già penso io, ho chiesto a tutti in paese, lo sanno anche le pietre.
‘Se vuoi puoi tornare da me, anzi, se fai la brava, riprendo anche tuo marito.’
Quella frase, fai la brava, non mi piace molto, ma poi penso alla bolletta della luce, alla spesa che non potrò fare e rispondo.
‘Stia tranquillo, non confonderò più le spedizioni.’
L’ho detto per cercare di evitare equivoci sul come potrei essere brava, ma lui non raccoglie lo spunto, mi regala un brutto sorriso e prosegue.
‘Puoi cominciare da domani mattina, e dillo pure a tuo marito.’
‘Se per lei fa lo stesso, ho bisogno di qualche giorno di tempo.’
‘Come preferisci, quando hai deciso, passa da me.’
Che faccio, lascio cadere la proposta e continuiamo questa vita di stenti, oppure accetto, con il rischio che lui ci riprovi?

Questa mattina Cosimo è uscito presto, ha trovato un lavoro solo per un giorno, deve sostituire un autista malato. è partito con un furgone frigorifero pieno di mozzarelle e burrate e tornerà solo questa sera.
Ci vado o non ci vado?
Alla fine mi sono vestita, ho lasciato il bambino a mia suocera e sono uscita.
Non mi mangerà mica, pensavo, mentre mi dirigevo verso la ditta del signor Vito.
Per evitare guai ho deciso per un paio di jeans, attillati ma non troppo, ed una maglietta che non mette troppo in evidenza i seni.
Per raggiungere il suo ufficio bisogna attraversare tutto il magazzino e poi salire la scala in ferro che porta ad un box vetrato dove appunto sta lui, il signor Vito.
Ho incontrato il magazziniere ed un autista romeno che mi hanno salutata. Sembrano contenti di rivedermi.
Mi arrampico sulla scaletta di ferro e penso che ho fatto bene a non mettere la gonna, tanto volte qualcuno da sotto, volesse guardarmi le gambe.
Anche il principale sembra contento di vedermi e mi dice subito che è disposto a riprendermi alle stesse condizioni di prima.
Parliamo anche di mio marito.
‘Gli puoi dire tranquillamente che lo riassumo.’
So quanto è orgoglioso Cosimo, se dovesse pensare che sono andata dal signor Vito a supplicarlo di riprenderlo rifiuterebbe senz’altro.
‘No, aspetti, è meglio che glie lo dica direttamente lei a mio marito.’
‘Come preferisci, guarda, lo chiamo subito.’
Lo ha chiamato sul cellulare davanti a me.
La sera, quando è tornato, Cosimo era felice.
Mi ha abbracciato e poi:
‘Arianna, è successa una cosa che non ti aspetteresti mai. Indovina chi mi ha telefonato?’
‘Mah… non so.’
‘Vito, quello della ditta di trasporti, ha detto che mi riprende a lavorare, e riassume anche te. Abbiamo finito di tribolare, capisci?’
Io ho ricambiato il suo abbraccio ed ho cercato di fingere la più grande sorpresa, ma sotto sotto sono un po’ preoccupata per il mio ritorno al lavoro.

Ho contato con trepidazione, ma anche con un po’ di angoscia, i giorni che mi separano dal mio rientro al lavoro.
Certo, sono contenta, ma quelle parole ‘se fai la brava’, mi continuano a girare per la testa. Si riferisce al non combinare casini con le spedizioni, oppure intende che, se lo vorrà, dovrò sottostare alle sue attenzioni?
Il ricordo delle sue manacce, grasse e sudate, che mi carezzavano le cosce sotto la gonna, è ancora vivo, e non mi fa per niente stare tranquilla.
Devo cercare di non rimanere sola con lui, ma non è facile, perché gli autisti sono quasi sempre in giro, e il magazziniere, lo dice la parola, sta quasi sempre giù, in magazzino.
Io sono l’impiegata e sto su, nel soppalco, in ufficio, dove in genere sta anche lui.
Il soppalco è composto da due ambienti, uno più grande, dove il capo riceve a volte i clienti, e l’altro più piccolo, dove c’è la mia scrivania, ma siamo separati soltanto da una porta, mentre tutte le altre attività si svolgono giù, nel magazzino.
Insomma, se nessuno sale la scala in ferro, e in genere non ci sono molti motivi per farlo, io ed il signor Vito, siamo praticamente isolati.
Chi mi garantisce che non ci riproverà e, soprattutto, che faccio, se accade?
Non voglio farmi toccare ancora da lui, ma non voglio passare un nuovo periodo come quello che sto per lasciarmi alle spalle.
L’unica è non dargli motivo per mettermi le mani addosso, quindi, la massima attenzione sul lavoro, evitare di scoprire troppo il mio corpo e, soprattutto, girare alla larga da lui, per quanto possibile.

Ecco, è arrivato il giorno fatidico.
Mio marito non c’è, è andato presto, quasi all’alba ed ora sarà in giro da qualche parte con il camion, mentre io mi preparo per il primo giorno di lavoro.
Ho messo i jeans meno attillati che possiedo, scarpe basse ed una maglietta larga ed anonima. Mi guardo allo specchio ed apro la scatola del trucco.
No, niente trucco, non devo attirare assolutamente la sua attenzione.
Sono una ragazza come tante, né bella né brutta, non succederà niente, l’altra volta è stato solo un incidente, e poi oggi ho i pantaloni, non può toccarmi le gambe.
Lungo la strada continuo a ripetermi che andrà tutto bene ‘
‘ se faccio la brava. Le sue parole mi tornano come un rigurgito di qualcosa non digerita.
Finalmente sono arrivata. Il magazziniere mi saluta cordialmente, si vede che è contento di rivedermi, è una brava persona, lui ‘ e il signor Vito?
Si comporta come se non fosse successo nulla, né il mio errore delle spedizioni, né quello che ha provato a farmi dopo.
Mi ha dato da svolgere un mucchio di lavoro ed io mi sono ritirata nella mia stanzetta, contenta di avere una porta che ci separi.
è già qualche ora che vado avanti tra bolle di consegna e fatture e non mi sono neanche accorta che è ora di pranzo.
‘Arianna, vieni qui.’
La sua voce, anche se mi arriva attutita, attraverso la porta chiusa, mi fa comunque sobbalzare.
Ed ora che vuole? Beh, io ho quasi finito, sarà contento che ho fatto un bel lavoro.
Quando apro la porta lo vedo subito: se ne sta spaparanzato sulla poltrona girevole, a gambe larghe, e mi guarda fisso.
‘Vieni qui’, ripete, ed io mi avvicino ancora.
Quando sono abbastanza vicina, mi prende per un polso, me lo torce e mi tira a lui.
La stretta è dolorosa e sono costretta ad assecondarlo per non farmi male, finché non mi trovo seduta sulle sue ginocchia.
I miei piedi toccano terra solo con le punte, mentre con un braccio mi prende forte la spalla immobilizzandomi.
La sua bocca è a pochi centimetri dalla mia, riesco a sentire il suo alito puzzolente, vorrei fuggire, ma lui mi tiene stretta, poi allarga le gambe ed il mio sedere magro scivola tra le sue cosce e si poggia sulla seduta della poltrona.
Ora in miei piedi non toccano più terra, sto per gridare, ma non lo faccio, penso al lavoro, mio e di mio marito, mentre la sua bocca si posa sulla mia.
La sua lingua è come un grimaldello che cerca di forzare le mie labbra ad aprirsi, cerco di resistere, la sento che batte sui miei denti serrati, mentre la presa della sua mano sulla spalla si fa più forte. Mi fa male.
Lentamente le mie labbra si aprono e lasciano entrare la sua lingua, che inizia ad esplorarmi la bocca.
Passano dei secondi lunghi un’eternità. Sento che lui è eccitato mentre a me, lo schifo iniziale si tramuta in qualcosa che penso di classificare come indifferenza.
Respingilo, Arianna, respingilo. Grida, prendilo a schiaffi ‘ già, e poi ‘?
Finora ho tenuto la mia lingua il più indietro possibile, appiattendola contro la parete del palato, per impedire che incontri la sua, poi, all’improvviso, come se fosse diventata autonoma, si muove ed il tanto temuto contatto, si verifica.
Mi fa un effetto strano, sono molti anni che non bacio un uomo che non sia mio marito, ho meglio, da quando sto con mio marito, non ho mai baciato altri uomini.
Il bacio dura tanti interminabili secondi e quando lui si stacca capisco che la mia volontà di respingerlo è stata annullata, e deve averlo capito anche lui.
‘Chiudi la porta!’
Deve ripetere l’ordine due volte, perché io guardo come imbambolata la sua mano grassoccia e sudata che stringe la chiave.
Arianna, mi dico, questa è la tua ultima possibilità: ti dirigi alla porta, l’apri, scendi le scale e te ne vai e non torni più.
Invece, una volta lì, rimango ferma, con la chiave tra le dita.
Questa volta non si fermerà, non potrò sfuggirgli.
Mi trema la mano e fatico ad infilare la chiave nel buco della serratura, ma alla fine ci riesco e sento il rumore dello scatto metallico, che sancisce la mia capitolazione.
Quando mi volto capisco subito quale sarà il mio destino: mentre chiudevo la porta, si è aperto i pantaloni, con una mano si tiene il pene già parzialmente eretto e con l’altra mi fa cenno di avvicinarmi.
Mi prende il panico perché non sto prendendo precauzioni con mio marito, ultimamente. E se restassi incinta di lui?
Ma il signor Vito manifesta altri propositi.
‘Fammi un pompino’, mi dice con la tranquillità di chi ti sta chiedendo di portargli un caffè.
Io sono rimasta a metà strada, tra la porta e lui, come paralizzata, mentre due lacrime mi scendono sulle guance.
‘Devo venire a prenderti?’
No, meglio di no, e allora riprendo a muovermi verso di lui.
Quando sono vicina alla poltrona girevole lui si sporge in avanti, mi posa le manacce sulle spalle e mi costringe ad abbassarmi.
Sono atterrata di colpo, sbattendo le ginocchia, che hanno prodotto un piccolo tonfo sul pavimento e lui non ha perso neanche un attimo, mentre con una mano se lo regge, con l’altra mi ha preso dietro la nuca costringendomi ad avvicinarmi.
Quando lo faccio a mio marito, lo mando sempre in bagno a lavarselo, prima, ma il signor Vito non sembra avere questa intenzione e l’odore forte e sgradevole che emana mi da il voltastomaco.
Arianna, basta non respirare con il naso per non sentirlo.
è quello che faccio e, visto che ho aperto la bocca, lui mi spinge ancora avanti, poggiandomelo sulla lingua.
‘Beh, ti devo spiegare come si fa?’
A questo punto ho chiuso gli occhi, mentre le mie labbra si serravano sul suo pene.
Semplicissimo, basta pensare che sia quello di tuo marito.
All’inizio mi ha tenuto la mano dietro la nuca, perché aveva paura che mi rifiutassi, ma poi, quando si è reso conto che non c’erano problemi, mi ha lasciata libera e si è goduto il pompino.
L’ho sentito farsi sempre più duro dentro la mia bocca, ad un certo punto ho aperto gli occhi e, invece che il corpo giovane di mio marito, mi sono trovata davanti la sua pancia schifosa e sudata, con quel ciuffo di peli grigi che mi faceva il solletico nelle narici.
Allora ho richiuso subito gli occhi ed ho continuato, sperando che durasse ancora poco.
Li ho riaperti solo quando ho capito che stava per venire, perché non volevo trovarmi la bocca piena del suo sperma.
Ho temuto che mi afferrasse di nuovo la nuca, costringendomi ad inghiottire tutto, ma era troppo preso dall’orgasmo imminente, così, quando ho capito che stava per succedere, mi è bastato aprire la bocca e scansarmi.
Il primo schizzo mi è arrivato tra la guancia ed il naso, il secondo mi ha colpito il mento, poi mi sono riparata con le mani.
Non ha detto o fatto niente, così io mi sono alzata dalla poltrona e sono scappata nella mia stanza, piena di vergogna.
Una volta sola mi sono ripulita alla meglio il viso bagnando un fazzolettino con la bottiglietta di acqua minerale che avevo preso prima.
Lo sperma mi era colato sulle labbra e quando ho aperto la bocca una goccia mi è entrata dentro, così ho sputato per terra con rabbia e mi sono messa a strofinare il collo della maglietta che si era macchiato.
Ecco, questa è la cronaca esatta del mio primo giorno. Sono tornata a casa piena di vergogna. Mi sembrava ancora di sentire la sua bocca sulla mia, la sua lingua che mi penetrava tra le labbra e poi ‘ il sapore cattivo del suo pene non lavato, che cresceva e si faceva duro mentre lo succhiavo.
Più duro, più duro e poi lo sperma che mi schizzava la faccia.
Per fortuna mio marito ancora non era tornato. Sono andata in bagno e mi sono fatta una doccia, come per levarmi di dosso lo schifo di quell’uomo vecchio e grasso, mi sono sciacquata la bocca più volte con un collutorio e per finire mi sono lavata furiosamente i denti più volte, ma mi sembrava sempre di sentire la sua puzza. Ecco, mio marito torna, mi bacia e scopre tutto.
Me lo immagino, che mi dice: ‘brutta troia, sei stata con un altro, gli hai fatto un pompino, vero?’
E’ assurdo, non c’è nessun odore, se non glie lo dico io, Cosimo non lo scoprirà mai.
E proprio per questo che ho deciso di tornare lì, il giorno dopo.
Che scusa potrei trovare con mio marito per abbandonare il lavoro? Nessuna, così mi sono vestita e sono ritornata al magazzino, piena di paure, perché so già che ci riproverà.
Invece il signor Vito non c’è, il magazziniere, quando arrivo, mi dice che verrà più tardi.
Meglio, penso mentre mi inerpico per la scala di ferro che porta all’ufficio.
Sulla tastiera del computer trovo un foglietto con sopra un pen drive usb.
Riconosco subito la scrittura incerta e grossolana del signor Vito, tipica di chi a scuola c’è andato poco e con scarso profitto.
Il breve messaggio mi informa che sulla pennetta c’è qualcosa che mi interesserà.
Contiene un solo file, lo clicco e mi si apre un video a pieno schermo.
Capisco subito di che si tratta e inizio a tremare. Non è possibile, accidenti, questo no!
Sapevo che nel magazzino c’erano diverse telecamere di sorveglianza, installate dopo un furto subito anni fa, ma negli uffici no.
Ha documentato tutto ed aveva spostato di proposito la poltrona, proprio per inquadrarmi meglio.
Si vede tutto nitidissimo, le mie prime resistenze quando mi bacia, ma poi io lo lascio fare e la telecamera non riesce a documentare il mio schifo.
E il pompino? Non mi ha costretto con la forza. Non ero certo legata, lui mi ha solo un po’ spinto fino a finire in ginocchio, ma la bocca l’ho aperta di mia iniziativa e si vede bene che glie lo succhio spontaneamente.
Insomma, se mio marito vedesse quel filmato, direbbe che sono una troia.
Non sono una stupida, ora mi tiene in pugno e potrà fare di me quello che vuole.
Ci ho messo un po’ a riprendermi, poi alla fine, per cercare di non pensarci, mi sono buttata sul lavoro.
Il tempo è volato e, quando sento i suoi passi pesanti che salgono la scaletta di ferro, è più o meno la stessa ora del giorno prima.
Ora mi chiama e mi ordina di fargli un altro pompino. Per favore no, non sono pronta.
Invece si è messo a lavorare alla sua scrivania come se io neanche ci fossi.
Quando ho finito il lavoro e sono dovuta passargli davanti per andar via, mi ha salutato distrattamente, come se non provasse alcun interesse per me.
Sono tornata a casa ancora più angosciata, peggio che se fosse successo di nuovo. Ora dovrò andare al lavoro tutti i giorni sapendo che in qualsiasi momento lui potrebbe aprirsi i pantaloni e pretendere da me un altro pompino o ‘ peggio.
Perché lo so che succederà di nuovo, magari oggi non gli andava, ma domani o dopodomani sì, ed io non ho alcuna possibilità di sfuggirgli.
Mi sono cambiata, la maglietta che avevo messo i primi due giorni è sporca, l’ho annusata sotto le ascelle e non è il caso di portarla ancora, e poi è rimasta macchiata sul collo. La macchia si vede poco, ma io so bene da cosa è stata provocata.
La maglietta di oggi è scollata e lascia intravedere un po’ i seni, ma non avevo niente di meglio da mettere.
Il signor Vito è già lì, oggi è arrivato presto.
Mi trattiene un po’ nella sua stanza per spiegarmi delle faccende di lavoro e il suo sguardo, fisso sulla crocetta di oro bianco che mi pende dal collo, poggiata nella spaccatura dei miei seni mi fa intuire che oggi non andrà liscia.
Accidenti a me, non ho fatto la lavatrice e così ‘
Arianna, mi dico, l’altro giorno non ti ha salvato una maglia accollata e lenta, che nascondeva le tue forme, figurati. A questo non glie ne frega niente, se vuole che gli fai un pompino, te lo fa fare anche vestita da monaca.
Ho lavorato tutta la mattina con l’angoscia addosso, le ore passavano, ogni tanto veniva su qualcuno, ma lui sembrava avermi dimenticato.
Avevo appena finito di mangiare il panino che mi ero portata per pranzo, quando ho sentito la sua voce che mi ordinava di venire da lui.
Questa volta non ha messo la poltrona nella stessa posizione dell’altra volta, l’ha lasciata dietro la scrivania e se ne sta in piedi, in mezzo alla stanza, ad aspettarmi.
Non si è aperto i pantaloni, chissà forse ‘
‘Vieni qui’, mi dice indicando appunto i pantaloni.
Io mi avvicino, mi tremano le gambe ed ho la bocca impastata.
‘Beh, ti si sono paralizzate le mani.’
Così gli ho prima aperto la cintura e poi ho iniziato a sbottonargli i pantaloni.
Per un attimo penso che se registra questa sono messa anche peggio. Gli sto aprendo i pantaloni come farebbe una puttana. Le puttane fanno così? Non ho mai avuto occasione di frequentarle.
Alla fine glie li tiro giù, poi gli abbasso anche le mutande.
è mezzo moscio. Meglio, penso io, forse non se ne fa nulla.
Invece mi fa alzare e mi costringe a girarmi, le sue manacce mi afferrano da dietro e mi tirano su la maglietta.
Sento le sue dita che mi tastano seni, poi si infilano sotto le coppe e fanno salire il reggiseno, mentre mi comincia a baciare sul collo.
Sono sempre stata molto sensibile sui capezzoli e sul collo, mio marito lo sa bene, così ad un certo punto mi abbandono e mi sembra di sentire qualcosa che mi spinge proprio in mezzo alle chiappe.
Quando mi fa girare di nuovo il suo arnese è bello dritto e pronto all’uso, non mi resta altro da fare che abbassarmi e prenderlo in bocca.
La seconda volta è andata meglio della prima, forse anche perché, lo devo ammettere, tutto quel maneggiamento di capezzoli mi ha eccitata.
Alla fine mi è anche venuto in bocca.
Quando ho capito che era il momento, mi stavo preparando a fare come l’altra volta, ma lui mi ha bloccato la testa, premendomi con le mani sulle guance, mentre si muoveva avanti e indietro.
Sentivo la sua cappella gonfia che entrava ed usciva dalle mie labbra, poi, dopo un attimo di pausa, è arrivata la prima contrazione, seguita da un’altra più profonda, poi ancora, ancora, sempre più leggere.
Con mio marito l’ho fatto diverse volte, ma mi scansavo, così lui veniva sempre per conto suo, questa volta invece era stato come se l’avesse fatto nella mia vagina.
Me lo ha lasciato dentro. Lo sento ansimare per lo sforzo, mentre solo ora realizzo di avere la bocca piena di sperma.
‘Succhia, succhia!’
Ed io ubbidisco, finendo così per inghiottire tutto, quasi senza accorgermene.
Quando lo ha tirato fuori era ancora un po’ sporco, così mi ha ordinato di leccarlo, ed io ho tirato fuori la lingua e glie l’ho ripulito.
Ho compreso l’enormità di quanto successo, solo il pomeriggio, mentre tornavo a casa: mi sono fatta toccare e mi è piaciuto, poi gli ho fatto un pompino, di mia iniziativa, visto che gli ho sbottonato i pantaloni. Come se non bastasse mi è venuto in bocca, ho inghiottito tutto e, per finire in bellezza, glie l’ho leccato davanti alla telecamera.
Già, la telecamera, avrà registrato tutto anche questa volta?

La certezza l’ho avuta la mattina seguente, quando ho ritrovato la pennetta sulla tastiera del computer. Questa volta niente foglietto, ma tanto so già cosa contiene.
La cosa che più mi ha sconvolto è stata la parte in cui lui, stretto a me da dietro, mi carezza i seni e mi bacia il collo.
Non mi ero mai vista in una situazione del genere e la mia espressione di piacere, con le labbra socchiuse e gli occhi spalancati, mentre muovevo il bacino, come a cercare il contatto con il suo pene che iniziava a drizzarsi, mi ha veramente spaventata.
Sono veramente una troia? Per cercare il piacere sono disposta ad andare con un uomo così vecchio e brutto?
Ma no, Arianna, sei stata costretta, il ricatto, la telecamera ‘
Nel filmato non c’è audio, ma mi sembra di sentire i miei gemiti di piacere mentre i capezzoli mi diventavano gonfi e duri.
E poi il pompino. Si era messo in modo che la telecamera ci inquadrasse di profilo, uno di fronte all’altro, così si vede bene la mia bocca che lo accoglie, il movimento che io faccio con la testa ed il collo, è come una dolce masturbazione eseguita con le labbra, come avevo imparato bene con mio marito.
E poi la fine, dal mio punto di vista non potevo certo vedere bene. Le sue mani che mi stringono le guance con il suo bacino si muove avanti e indietro mentre si svuota nella mia bocca.
Quando lo ha tirato fuori, si è formato per un attimo un piccolo collegamento tra il suo pene e la mia bocca, un filo sottile di sperma o saliva, o tutti e due, che si è spezzato subito, anche perché io mi sono mossa, ho tirato fuori la lingua ed ho reso a leccarglielo.
Ho passato tutta la giornata nell’angoscia.
Arianna, ma che ti sta succedendo? Cosa stai diventando?
O sei sempre stata così?
Ecco, ora mi chiamerà, io andrò da lui e ricomincerà tutto come ieri, e magari questa volta raggiungerò l’orgasmo anch’io.
No, non devo, quest’uomo mi fa schifo, mi deve far schifo, anche se mi tocca.
Arianna, non è colpa tua, ti ha toccata da dietro, tu non lo vedevi, magari hai immaginato che le mani fossero quelle di tuo marito.
è così?
Non lo so, non so più niente ormai.
L’unica cosa certa è che non mi ha chiamata e non ho dovuto (?) fargli altri pompini.

La settimana è finita senza altri problemi, o almeno è quasi finita, perché venerdì, al momento di andar via:
‘Arianna, dovresti venire domani mattina, perché c’è un po’ di lavoro da finire.’
‘Ma domani è sabato, la ditta è chiusa di sabato.’
‘Lo so, però io sono il principale, queste sono le chiavi, quando hai finito, chiudi a te ne vai a casa.’
Io sono tornata a casa, con le chiavi nella borsetta, pensando a cosa succederà domani.
Non mi piace per niente la faccenda, però non potevo certo dirgli di no. Mio marito ha trovato strano che andassi al lavoro di sabato, ma la cosa è finita lì, perché lui non sospetta nulla.
La faccenda mi piace poco, visto che sarò sola e quel grande magazzino, pieno di angoli bui alimenta le paure che avevo da bambina, e che ora riemergono prepotentemente.
Ma no, Arianna, una volta che ti sei chiusa dentro non correrai alcun rischio.
E se venisse lui?
No, ieri mi ha detto che aveva da fare e sarebbe andato in città.
Alla fine sono andata ala lavoro.
Ho faticato un po’ a trovare la chiave giusta, quella del portoncino in ferro che non si usa quasi mai perché in genere tutti entrano ed escono dal grande cancello carrabile.
Proprio perché non si usa ho faticato anche a far girare la chiave nella serratura e ad aprire il cancello, evidentemente inchiodato da morchia e schifezze varie.
Una volta trovato il quadro generale della corrente ho acceso le luci e chiuso la porta da dentro con due giri. Nessuno mi disturberà.
Ora che il magazzino è vuoto e silenzioso, i miei passi che salgono lungo la scaletta in ferro, mi sembrano molto più rumorosi.
Una volta arrivata su, noto, nella prima stanza, quella del principale, un vecchio divano di finta pelle rossa, che prima non avevo mai visto, ma non do troppo peso a questo particolare e mi ritiro nella mia stanzetta.
Mi immergo subito nel lavoro, beh non aveva tutti i torti il signor Vito: c’era un bel po’ di arretrato.
Noto appena il tonfo ovattato che arriva da lontano.
è caduta qualcosa, oppure è entrato qualcuno?
Mi alzo e torno nella prima stanza, quella grande, perché ha una parete vetrata che affaccia sul magazzino e lo vedo.
Accidenti, ma non doveva essere in città?
Cammina veloce e si sta dirigendo verso la scala in ferro.
Qualcosa mi fa pensare che sono in trappola e, istintivamente, mi rifugio nella mia stanza.
Non serve a nulla perché non ci sono altre vie d’uscita, oltre la scala che lui ora ha iniziato a salire.
Sento il rumore del suo passo greve ed anche le vibrazioni che la scala trasmette alla struttura del soppalco dove si trova l’ufficio.
‘Arianna, Arianna. Ci sei?’
Sto imparando a riconoscere dal tono della voce, quando vuole da me quello.
Mi affaccio titubante alla porta.
‘Vieni qui.’
Mi viene da piangere per la rabbia, sono stata una stupida, questa me la potevo proprio risparmiare, bastava dirgli che avevo da fare. E poi siamo soli, ha tutto il tempo per farmi quello che vuole.
‘Su, datti da fare’, mi dice indicando platealmente con la mano la patta dei pantaloni.
Non posso fare altro che aprirglieli, le mie dita questa volta si muovono più rapidamente, cose se ormai, conoscessero la strada ‘
Oggi ce l’ha già bello duro, mi viene da pensare che, avendo orchestrato tutto dal giorno prima, era già eccitato mentre faceva la strada da casa al magazzino, pregustando il pompino che gli avrei fatto.
Mi inginocchio ed inizio a lavorarlo mentre lui allarga un po’ le gambe e si prepara a godere il servizio che gli farò.
Ma questa volta è destino che debba andare in maniera diversa.
All’improvviso me lo sfila letteralmente dalle labbra.
‘Basta così, adesso spogliati.’
Io sono rimasta ferma, stupita, in ginocchio, con le labbra aperte ed il sapore del suo pene poco lavato in bocca.
‘Ma sei stupida? Spogliati, oggi non c’è nessuno ed abbiamo più tempo.
No questo no, non voglio farmi scopare da quest’uomo. Lo supplico, mi metto a piagnucolare ma lui rimane impassibile.
‘Devo mandare in giro quei bei filmati?’
Io sono lì, inginocchiata davanti al suo pene, piangente e disperata e per commuoverlo faccio l’unica cosa che mi sembra possibile: glie lo prendo di nuovo tra le labbra ed inizio a succhiarlo disperatamente, nel tentativo di fargli cambiare idea.
‘Se non ti spogli subito, i vestiti te li tolgo io.’
Ormai sconfitta, lascio perdere il suo pene, mi alzo e mi dirigo verso la mia stanza.
‘Ma dove cazzo vai? Ti devi spogliare.’
‘Lo faccio nella mia stanza’, rispondo io con filo di voce.
‘Tanto sempre qui da me, nuda, devi tornare.’
Accosto la porta ed inizio a togliermi le scarpe ed i calzini.
Il contatto con il linoleum sporco e consumato del pavimento non è per niente piacevole, poi continuo con la maglietta ed i pantaloni, che lascio a cavallo della spalliera della sedia.
Mi tremano le mani mentre sgancio il reggiseno, poi, dopo aver sistemato i capelli sulle spalle esco dalla stanza.
Ho tenuto, in un disperato tentativo di salvare un minimo di pudore, il piccolo slip nero.
‘Ma cosa cazzo pensi di fare con le mutande?’
Ci ho provato ma mi è andata male, anzi è stato anche peggio, perché ora me le devo togliere davanti a lui.
Lo vedo arraparsi sempre più mentre faccio scorrere le mutandine lungo i fianchi, scoprendo prima i peli pubici e poi la vagina.
Lui segue interessato, a distanza, la discesa dell’indumento prima lungo le cosce, poi, superate le ginocchia, attraverso i polpacci e le caviglie.
Si avvicina a me solo quando lo slip è finito sul pavimento.
La stessa presa forte della prima volta, che mi immobilizza i polsi, poi vengo trascinata verso il divano.
Ora è tutto chiaro.
è dietro di me, con una mano mi tiene bloccati i polsi e con l’altra mi accarezza i seni, poi inizia a baciarmi il collo.
I suoi gesti sono ruvidi, volgari, come ogni cosa in lui, ma non vedendolo, l’effetto è meno brutto e alla fine mi rilasso.
La mano che mi stringe i polsi allenta la presa, poi mi lascia libera.
Ora mi sta carezzando il sedere, mentre mentre mi sussurra in un orecchio che ho un culetto piccolo ma succulento.
Come gli è uscita questa parola? Forse l’avrà sentita in qualche film, perché non è da lui.
Poi, all’improvviso, smette di toccarmi il sedere e mi trovo la mano davanti alla faccia, con le dita strette a pugno ed il pollice alzato.
‘Su, succhialo!’
Non capisco.
‘Succhialo bene, vedrai che sarà meglio per te.’
Il signor Vito ha le mani grandi e tozze ed il suo pollice in bocca mi fa pensare un po’ al pene, come dimensioni, a parte i calli che rendono il contatto meno piacevole.
Questo pensiero sparisce subito dalla mia mente perché lui sfila di colpo il pollice dalle mie labbra e mi costringe a salire sul divano.
Ora sono lì sopra, a quattro zampe, come un cane, con le mani e le ginocchia che affondano nella finta pelle che ricopre la gomma piuma mezza sbriciolata dal tempo.
Non mi sono mai piaciuti i divani in finta pelle, gelidi d’inverno, caldi ed appiccicosi d’estate.
Capisco perché mi ha fatto succhiare il pollice: senza alcun avvertimento me lo infila in mezzo alle chiappe e lo spinge con forza.
Io grido, perché fa male, cerco di rimettermi in piedi, ma lui mi preme sulla schiena, mentre lo ruota in un verso e nell’altro per farlo entrare meglio.
Lo sento dolorosamente dentro, con la giuntura del dito, leggermente piegata, che forza i miei tessuti non abituati a questo trattamento, mentre le altre dita aderiscono alla mia schiena.
Quando è sicuro di avermelo conficcato per bene, fa uno strano movimento con la mano, ruotandola di 180 gradi e mi ritrovo le altre quattro dita a contatto della vagina, mentre il pollice rimane conficcato dietro.
Emetto un grido di sorpresa, perché lui ha iniziato a carezzarmi, prima il ciuffetto di peli pubici, poi le labbra del mio sesso.
Intanto continua a baciarmi sul collo, ogni tanto si interrompe e mi dice qualcosa riguardo al mio culetto, o alla mia fichetta calda.
Non è affatto calda, vecchio maiale, è stretta e secca e così resterà, perché sei un porco schifoso, penso io, mentre, ahimé la sento cominciare ad aprirsi.
Perché? Grido dentro di me. Non ti aprire, non ti aprire!
Lui se n’è accorto, ora la sua mano aumenta la pressione e si inoltra all’interno, mentre mi scappa un sospiro.
Mi passa un pensiero per la testa: che male c’è Arianna, se provi piacere, tanto non puoi evitarlo. Lo scaccio, non sono una troia, ma lui continua a toccarmi ed è difficile.
Poi, di colpo, toglie la mano, dietro sono tutta indolenzita e, quando lo sento salire sul divano alle mie spalle, mi prende la paura che me lo voglia ficcare proprio lì.
Il suo pene largo e tozzo sembra volersi far largo in mezzo alle mie povere chiappe, lo sento spingere per allargarle, allora grido e mi dimeno, ma lui è troppo forte per me e continua a tenermi giù, a quattro zampe, come un animale.
Lo sento sfiorarmi l’orifizio rimasto ancora un po’ allargato dal suo pollice, poi prosegue oltre.
Grido quando mi penetra di colpo, senza alcun riguardo, la mia vagina umida oppone ben poca resistenza e lui si accomoda meglio e inizia a muoversi, anzi, sono io che mi muovo, perché mi tiene per i fianchi e mi fa oscillare avanti e indietro.
è venuto quasi subito, mentre io lo supplicavo di tirarlo fuori, perché ultimamente non sto prendendo alcuna precauzione e non vorrei proprio restare incinta di lui, ma al signor Vito non glie ne frega niente di me, ha continuato a farmi muovere, anzi mi ha costretto ad accelerare il ritmo e, alla fine, mi ha sparato tutto dentro.
Mi ha lasciata sul divano, carponi, nuda e sgocciolante.
‘Dai una pulita al divano, prima di andare via’, mi ha detto mentre, richiusi i pantaloni, usciva dall’ufficio.
Ho aspettato che se ne andasse, prima di rialzarmi, ho contato i suoi passi lungo la scaletta di ferro, poi il rumore del portoncino che si chiudeva, e solo allora mi sono alzata.
E se fosse rimasto dentro?
Sono scesa nuda al piano di sotto, con la paura di incontrarlo di nuovo e sono andata in bagno.
Mi sono alzata sulle punte dei piedi e mi sono sciacquata abbondantemente, cercando di eliminare ogni traccia del suo sperma, pur sapendo che serve a poco e devo solo sperare che non succeda.
Cerco di ricordarmi i giorni del ciclo, ma sono troppo confusa, meglio tornare su e rivestirmi, tante volte entrasse qualcuno.
Mi sono ricordata delle sue parole, così, dopo essermi rivestita, ho levato le macchie di sperma dal divano e mi sono rimessa al lavoro.

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