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Racconti di Dominazione

Il doposcuola

By 31 Luglio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Il doposcuola
Di Tom
Per inviare suggerimenti, lodi sperticate, commenti et similia scrivete a tom2075@hotmail.it

Quando tutti gli alti, ragazzi e ragazze, furono usciti dalla classe, Chiara ed Erica rimasero sole in mezzo ai banchi. Le due studentesse avevano l’una diciotto e l’altra diciannove anni e frequentavano l’ultimo anno del liceo classico. Chiara era una bella figliola dai folti capelli nocciola tagliati ad altezza delle spalle. Era alta ed aveva occhi marroni vispi ed intelligenti. Il viso dall’ovale perfetto aveva una carnagione abbronzata e le gote erano lisce come seta. Le gambe snelle e flessuose, addestrate e scolpite come il resto del corpo da anni di ballo e di palestra. Era appena giunto l’inverno ed il Natale stava per bussare alle porte. Chiara indossava un maglione bianco di marca pregiata, una gonna plissettata nera con ricami d’oro sul bordo che le arrivava fin al ginocchio ed un paio di mocassini con il tacco basso. Scarpe quantomeno insolite per una ragazzina del liceo ma a Chiara conferivano un austero senso di maestà.
Erica era di due dita più bassa di Chiara; i suoi lunghi capelli biondi avevano una tonalità di colore giallo canarino come se ne vedono poche in giro.
Il fisico era curato ma non aggraziato come quello di Chiara e d’altra parte il viso non riusciva a nascondere alcune imperfezioni abbastanza significative come un naso non perfettamente dritto, delle labbra troppo sottili e quasi esangui, il mento pronunciato oltre l’ideale. Anche nell’abbigliamento Erica non riusciva a tenere il passo con la compagna: aveva un paio di jeans mezzi scoloriti dal tempo, scarpe da tennis logore, una maglia di lana pesante dalle maniche sfilacciate all’estremità. Colpa dello status sociale, si giustificava Erica pensando alla sua famiglia, padre operaio e madre casalinga adattatasi a svolgere qualche lavoretto saltuario al nero, e a quella di Chiara. I genitori di quest’ultima erano separati. La ragazzina viveva con la madre, manager di un’ importante azienda in periferia. Il padre era scappato, o morto, o era stato cacciato dalla donna. Chiara era sempre piuttosto vaga sull’argomento, né d’altra parte avrebbe potuto essere altrimenti visto che il genitore era uscito dalla sua vita molti anni prima.
Le due ragazze erano state sorteggiate per fare le pulizie di classe quel giorno; a turno, infatti, tutti i ragazzi, due per volta, erano tenuti a riordinare i banchi ed a spazzare il pavimento dopo il termine delle lezioni. Se necessario dovevano anche passare il cencio e spolverare la cattedra e la lavagna.
Si trattava di una nuova direttiva della preside della scuola, che toglieva ogni responsabilità ai già abbastanza sfaticati bidelli del piccolo istituto.
Chiara attese che tutti se ne fossero andati, insegnate compresa, poi si diresse con passo elegante e felino verso la cattedra. I tacchi bassi delle sue raffinate scarpe nere ticchettavano sul pavimento polveroso e disseminato di cartacce scandendo i secondi.
-‘Beh? Non cominci?’- chiese la ragazzina con fare sprezzante ”M’aspetto d’andarmene a casa per le due, oggi’-
-‘Si, Chiara’- rispose Erica a testa bassa. Cominciò a spostare i banchi, spingendoli tutti da un lato della classe. Poi prese granata, ramazza, secchio e detergente. Spazzò velocemente una metà del pavimento sotto lo sguardo attento della bella compagna, la quale aveva disegnato sul volto un sorriso annoiato e beffardo. Passò il cencio e pulì la lavagna.
-‘Mentre aspetti che il pavimento si asciughi da una lucidatine alle mie scarpette’- disse Chiara. Aveva appoggiato le gambe al bracciolo della sedia della cattedra con l’incavo delle ginocchia e le aveva incrociate all’altezza delle caviglie. La gonna era scesa a mezza coscia e Chiara aveva sfilato il mocassino dal piede sinistro. La scarpetta dondolava languidamente sorretta solo dalla punta delle dita.
Erica si avvicinò alla cattedra e s’inginocchiò di fronte all’amica. Il tacco della scarpa mezza tolta le oscillava davanti agli occhi a pochi centimetri di distanza.
Erica sfilò di tasca un fazzoletto di stoffa candido, ancora con le pieghe della stiratura e lo avvicinò alla scarpetta di Chiara. Ma come il fazzoletto venne a contatto con la superficie lucida (e ben poco polverosa) della calzatura Chiara ritirò il piede, infilò al volo la scarpa con un abile colpo di tallone e subito ridiscese le gambe verso la faccia stupefatta di Erica.
La ragazza inginocchiata sentì i tacchi di Chiara che le schiacciavano il mento ed il labbro superiore, mentre le suole colpivano la radice del naso e le sopracciglia.
Erica cadde all’indietro e precipitò sulle natiche, dolorosamente. Vedeva le stelle.
-‘Non hai imparato ancora nulla, stupida!’- esclamò Chiara. Ma nella sua voce il divertimento era più forte dell’ira. ”Quante volte ti devo dire che le mie scarpine vanno pulite solo con la lingua?’-
-‘Scusa Chiara’-
-‘Scusa un cazzo’-
Erica si dispose di nuovo in ginocchio di fronte alla sua vendicativa compagna di classe ed aguzzina.
-‘Abbassa la testa’- ordinò Chiara.
Erica obbedì in silenzio. I suoi occhi erano rivolti verso il pavimento. Chiara distese una gamba e andò a posare la suola della sua scarpa sopra la chioma bionda e lucida dell’amica sottomessa. Premette il piedino schiacciando capelli e testa, ruotò la suola della scarpa fino a sentire i capelli che venivano strappati a causa dello sfregamento. Ne scorse alcuni sulle gambe di Erica che tuttavia non sembrava disposta a reagire.
-‘Hai capito?’- chiese Chiara con tono altezzoso.
-‘Si, Chiara’-
La giovane dominatrice annuì, sollevò il piede e lo andò a piazzare nuovamente davanti al viso di Erica, fermandolo proprio davanti alle sue labbra. La punta della calzatura lambiva minacciosamente la bocca ancora dolorante di Erica.
-‘Muoviti, larva, il pavimento è quasi asciutto e io voglio andar via!’-
Erica non ebbe bisogno di proferir parola. Si avvicinò all’estremità di Chiara, dischiuse le labbra e con cura le leccò le scarpe.
Nel mentre la padroncina sorrideva, ridacchiava e dirigeva gli sforzi della serva mediante secchi movimenti dei piedi. I mottetti canzonatori si sprecavano.
-‘Lecca, lecca bene, sguattera schifosa’- disse ”Vedi le mie scarpine? Cosa credi, che me le sarei fatte pulire col tuo fazzoletto sudicio? Devi aver capito male, le mie scarpe devono brillare’Ecco, lecca anche il bordo della suola. E ingolla la polvere che la tua lingua rimuove, che sennò le scarpine si sporcano di nuovo’ingoia’fammi sentire’bene, così’.continua’-.
Erica si spostò sulla suola mentre Chiara teneva il piedino verticale in modo da esporla meglio alla faccia della serva.
”Ed il tacco, il tacco deve essere lucido, lucido da scintillare al Sole. Eh? Hai capito? Mi ci voglio specchiare! Ora la suola. E’ molto sporca, si lo so. Chissà cosa ci ho calpestato. Ma no me ne importa nulla, devi togliere ogni macchia, è necessario’-
La padroncina scostò d’un tratto le scarpe ed indicò alla compagna di classe e schiava il pavimento. Nella metà nella quale aveva passato il cencio ora le mattonelle erano asciutte.
-‘Sposta i banchi, fai anche l’altra metà della classe’- disse Chiara. Poi, con un calcetto diretto al mento della ragazza sghignazzò ”E fai alla svelta cagna, non ho intenzione di trascorrere qui il resto della mia giornata’-
-‘Si, Chiara’- ripeté Erica e dalla sua bocca quella frase risuonò piatta e priva di sentimento, un po’ come se fosse stata pronunciata da un automa. In pochi minuti spazzò e pulì anche l’altra metà del pavimento. Dispose ordinatamente i banchi e svuotò il cestino dell’immondizia nei bidoni del corridoio. Chiara attese la conclusione del lavoro dell’altra, languidamente seduta alla cattedra, leggendo una rivista di moda. Le sue scarpine dondolavano sulla punta dei piedi, luccicando ancora della lingua e del fervore di Erica. In questo modo Chiara dava sollievo alle sue belle estremità. I suoi piedi, benché apparissero rilassati e freschi in quelle calzature lucide, erano piuttosto provati dall’essere stati chiusi per ore ed ore in così angusti rifugi.
-‘Erica’- disse Chiara, sbuffando con aria annoiata.
-‘Si, Chiara’-
-‘Vieni subito qua’-
-‘S’si’Ho quasi terminato di pulire, così poi possiamo andar via’- uggiolò la serva mentre si avvicinava timidamente alla cattedra, sperando che il termine dei lavori di doposcuola rappresentasse anche la momentanea conclusione delle angherie inflitte da Chiara. Ma la piccola aguzzina, dopo essersi fatta leccare le scarpe, era ormai lanciata. Sapeva di poter pretendere dell’altro.
-‘Toglimi le scarpe’- disse, sottolineando l’ordine con un’oscillazione delle pregiate calzature. Erica fece per sfilarle prendendole per i tacchi poi, certa che Chiara non avrebbe gradito, pose le palme delle mani al di sotto delle suole e sfilò amorevolmente le scarpe, adagiandole sulla pedana sulla quale giaceva anche la cattedra. Era in ginocchio di fronte alla padroncina e teneva le ginocchia sul piano della pedana. Chiara indicò con le dita il bordo di quest’ultima.
-‘Le ginocchia appoggiale sullo spigolo’- disse.
-‘Perché?’- chiese Erica preparandosi a ricevere un calcio in faccia. Non c’era alcuna ragione, infatti, per inginocchiarsi sul bordo della pedana. L’appoggiare le ginocchia sulla sottile line a del bordo era doloroso ed inutile. Nient’altro che un capriccio di una piccola sadica ed innocente aguzzina dall’aria di bambina.
Chiara sollevò un piedino e lo pose all’altezza della fronte di Erica, sfiorò con l’unghia dell’alluce e delle altre dita la radice del naso e le sopracciglia, scese giù lungo le guance e le labbra, giunse infine alla bocca. Appoggiò tutta la pianta del piede sulla faccia di Erica e la strofinò come a volersela pulire sul volto stesso della serva. Erica restò immobile, tuttavia non aveva obbedito all’ordine impartitole.
-‘In ginocchio, ora’-
-‘Lo sono g”-
-‘Sul bordo!’- esclamò Chiara, spingendo ora con più vigore il piedino contro il viso di Erica. La serva sentì che le unghie delle dita, curatissime e smaltate di rosa, le stavano minacciando gli occhi. -‘Ma’Chiara”-
-‘Ma Chiara cosa? Eh, scema? Tanto farai tutto quello che voglio io, lo sai!’- esclamò divertita e maliziosa la bella ragazzina.
Erica indietreggiò, scese con i piedi e con gli stinchi dalla pedana e si accucciò come aveva ordinato Chiara. Il dolore s’impadronì immediatamente di lei, non riuscì a trattenere un urletto. Un’espressione sofferente le si disegnò sul viso arrossato e sudaticcio. Chiara se ne accorse e rise senza trattenersi. Era una risata cristallina, cattiva ed innocente al tempo stesso.
-‘Ora lecca’- disse Chiara ”I miei piedi. Tira fuori la lingua e datti da fare’-
Erica aprì le labbra con una certa indecisione ed accostò con la bocca alle estremità di Chiara. La Padrona le infilò un piedino in bocca con perfetta precisione ”Muoviti, serva, siamo già in ritardo. Dovrei essere già a casa!’-
Allora Erica chiuse gli occhi e si lasciò andare. Il gesto della dominatrice ed il suo rimprovero le avevano tolto ogni inibizione, ogni velo di timidezza e di rimanente vergogna. Ricoprì di baci i piedi di Chiara, li leccò, li accarezzò con le labbra e con la lingua, mentre con le mani ne sosteneva il leggero peso per non far stancare la padroncina. Curò diligentemente lo spazio fra le dita e la più ruvida superficie del tallone, passò alla pianta ed al dorso. In realtà c’era ben poco da leccare, come si accorse da subito la serva, perché i piedi di Chiara erano puliti ed appena velati da un’ombra di sudore. Odoravano di pulito e di rose, come ci si aspetterebbe dai piedini di una fata o di qualche altro etereo e benevolo essere uscito da una fiaba.
Ma Chiara non era una fata benevola.
Mentre Erica leccava lei rideva. Rideva dal piacere che la lingua di una persona pari a lei le arrecava, rideva del senso di superiorità che questo gesto le infondeva e rideva di quell’esserino inferiore e disgraziato che s’inginocchiava al suo cospetto pronto a leccarle le scarpe.
Quando stabilì che il divertimento fosse durato abbastanza sollevò un piede al di sopra della testa di Erica, lo posò sulla chioma della ragazza e premette verso il basso senza remora alcuna, come si fa quando si vuol schiacciare un ragno fastidioso. Erica cadde in avanti e siccome aveva nelle mani l’altro piede di Chiara e lo stava sostenendo, non poté neppure usare la forza delle braccia per rallentare la caduta. Sbatté violentemente il mento sul pianale sotto la cattedra e per un istante rimase lì immobile, tramortita e stupita. Un attimo dopo Chiara sfilò il secondo piede dalle mani della serva e lo pose sopra la testa di Erica, a fianco dell’altro. Sentì i capelli gemere e strapparsi sotto la pressione delle sue estremità. Ancora con il capo di una mugolante Erica sotto di se, Chiara rifletté un istante come assorta nei propri pensieri, poi con uno scatto felino si diede la spinta sui braccioli della sedia e si issò in piedi, gravando con ogni grammo del proprio peso sulla nuca della serva. I lamenti di Erica aumentarono di colpo divenendo piagnistei. Chiara fremette di piacere nel sentire i movimenti ed i singulti sempre più agonizzanti della miserabile schiacciata dai suoi piedi.
-‘Sono molto pesante?’- chiese con vocetta maliziosa. Sollevò prima l’una poi l’altra gamba e strofinò sulla nuca di Erica le piante dei piedi come a voler usare la criniera della compagna a mo’ di zerbino.
-”.no, Chiara’-
Un calcetto col tallone sul collo. Erica emise un verso strozzato.
-‘Padrona Chiara, per te, serva della gleba!’- esclamò con cattiveria Chiara ”Chiamami padrona oppure signorina’-
-‘Si, scusa’padrona Chiara’- gemette Erica al culmine delle sofferenze. Il peso della bella sovrana stava aumentando col passare dei minuti; la schiava sentiva il flusso del sangue nelle vene sul collo che pulsava, la tempia sinistra stretta sotto ai talloni di Chiara doleva, l’altra a contatto col legno del pianale sembrava venisse grattata con la carta vetrata.
La vista si andò offuscando a causa delle lacrime copiose e del dolore.
-‘Chiara’ti prego”-
Chiara la percosse col tallone sulla guancia ed Erica avvertì un forte sapore di sangue in bocca. Un rivolo di una sostanza densa le scivolò fra i molari.
-‘Padronaaaa”-
-‘Che vuoi? Ma insomma!’- esclamò spazientita Chiara.
-‘Non ce la faccio più’-
-‘Resisti, stupida! Sei la mia bambolina. Se io voglio che tu muoia sotto ai miei piedini tu devi farlo e basta!’- rise forte Chiara ”Hai capito, schiava?’-
-‘Ma ‘.non respiro’-
-‘Uffa!’-
Chiara sollevò prima un piedino e lo andò a calzare nella sua scarpetta, poi scese del tutto dal capo della schiava e calzò anche l’altra scarpetta. Mentre aggiustava i piedini nelle comode calzature, proprio a pochi centimetri dal viso di Erica, la schiava scivolò giù dalla pedana svuotata di ogni forza.
-‘Hai visto, bastarda? Sono scesa!’-
-‘G”-
-‘Eh? Che stai ragliando?’-
-‘Grazie, Chiara’-
Erica aveva una leggera escoriazione alla tempia sinistra, proprio sopra un sopracciglio ed un filo di sangue le scendeva da un angolo del labbro. Viso ed abiti erano impolverati e sporchi, in special modo il viso la faceva sembrare una povera demente appena pestata dall’infermiere cattivo di turno.
-‘Fai schifo’- disse Chiara, posando un piede giù dalla pedana. Erica era supina, teneva il capo chino e le guardava le scarpe.
Chiara l’afferrò rudemente per i capelli e le tirò su il viso.
-‘Rispondi’-
-‘Si, Chiara’-
-‘Fai schifo’-
-‘Si, Chiara’-
La padroncina rise.
-‘Apri la bocca’-
Erica eseguì e Chiara si avvicinò alla compagna come a volerle dare un bacio. Invece, quando fu sufficientemente vicina da non poter sbagliare mira, le sputò fra le labbra.
-‘Ingoia’-
Erica ingoiò.
-‘Fai proprio ribrezzo’-
-‘S’si, Chiara’-
Chiara oltrepassò con eleganza la serva, andò al suo banco e raccolse lo zainetto. Si diresse all’uscita quando Erica non si era ancora rialzata.
-‘Allora, non vai a casa?’- chiese la dominatrice.
-‘Si, certo, Chiara’- rispose Erica, cercando di farsi forza e di rimettersi in piedi.
-‘Bene’- rispose Chiara ”Oggi hai impiegato fin troppo tempo per terminare le pulizie di classe. La prossima volta dovrai impiegare almeno dieci minuti di meno’-
-‘Certo, padroncina’-
-‘E non sarai certo esentata dal leccarmi scarpe e piedi. Ti avverto’- sorrise Chiara ”al prossimo turno indosserò quegli stivali al ginocchio che ti piacciono tanto’-
Erica sentì di nuovo le lacrime che le scendevano lungo le guance.
-‘Voglio proprio vedere quanto tempo ti ci vorrà per lucidarli da cima a fondo!’-
-‘Si, padroncina’- singhiozzò Erica.
-‘E stasera alle sei e mezza fatti trovare a casa mia. Ho delle cose da farti fare’-
-Si’-
Chiara se ne andò senza concederle l’opportunità di terminare la frase. Non si voltò neppure quando Erica si accasciò sul pavimento. Alcuni minuti dopo anche la serva riprese parzialmente le forze e si congedò dall’aula pulita.

tom

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