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Racconti di Dominazione

Il duro lavoro di una cameriera

By 27 Dicembre 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Sara frequentava il terzo anno del corso di laurea in Lettere Antiche presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze. Dotata di un quoziente intellettivo nella media, ma anche di una passione e di una volontà considerevoli, aveva superato brillantemente gli esami del biennio e si accingeva a iniziare il nuovo anno accademico con la stessa abnegazione verso lo studio.
Purtroppo i recenti problemi lavorativi del padre, che faceva il commerciante in un paesino vicino a Firenze, dove Sara era cresciuta, l’avevano privata del supporto finanziario necessario per sostenere i costi di vitto e alloggio nel capoluogo toscano, nonché le spese per l’iscrizione e la frequentazione dei corsi universitari. Pertanto, Sara aveva deciso di cercare un lavoretto part time per autofinanziarsi.
La fortuna volle che, nel ristorantino nei pressi di Ponte Vecchio dove lavorava Elisabetta, una collega con cui aveva stretto un ottimo rapporto di amicizia, si fosse liberato un posto di cameriera. Dato che il ristorante si trovava vicino a casa sua, visto che la paga era piuttosto buona e considerato che quel lavoro le avrebbe occupato solo cinque sere alla settimana, decise di fare domanda per essere assunta.
Il giorno seguente, le venne chiesto di presentarsi al locale per un colloquio informale. ‘Indossa qualcosa di provocante’, le consigliò Elisabetta. ‘Il proprietario è un tipo strano, ma non disdegna di sicuro le belle ragazze!’

Il pomeriggio del giorno successivo, Sara fece un giro in centro per acquistare qualcosa di carino. Scelse un paio di jeans a vita bassa, che le aderivano perfettamente alle gambe e al culetto. Poi comprò un maglioncino grigio abbastanza scollato e stretto, in modo che le sue forme tonde non venissero nascoste troppo dagli abiti.
Tornata a casa, si mise addosso i capi appena acquistati e sostituì le scarpe da tennis con un paio di stivali con tacco alto e non troppo sottile. Guardandosi allo specchio, si accorse però che quel maglioncino era troppo scollato: la linea di demarcazione dei suoi seni floridi e giovani era troppo vistosa. Nonostante il suggerimento dell’amica, non voleva apparire come una ragazza facile, disposta a tutto pur di avere quel lavoro. Così, decise di indossare sotto il maglione una camicetta nera elegante. Rimirandosi allo specchio, si rese conto che, anche se vestita più pudicamente di prima, faceva la sua porca figura.
Si truccò delicatamente sul viso, in modo da far sparire le poche imperfezioni della sua pelle. Poi si passò l’eye liner nero sulle palpebre per far risaltare maggiormente i suoi occhi blu cobalto. Si coprì con un cappotto caldo e uscì in strada, bella come il riflesso della luna sull’Arno.

Quando arrivò al ristorante, trovò un paio di camerieri che stavano disponendo i tavoli e le sedie nella sala interna. Sfortunatamente Elisabetta non doveva lavorare quella sera. ‘Peccato, mi sarebbe servito un supporto psicologico’, pensò Sara.
Chiese informazioni a un cameriere della sua età, che gli indicò la strada per arrivare all’ufficio del capo. Giunta di fronte alla porta, Sara si concesse un respiro intenso e bussò.
‘Avanti!’ Una voce bassa, quasi baritonale, la invitò ad entrare. Aperta la porta, Sara venne investita da una fastidiosa coltre di fumo che, a giudicare dal forte odore, doveva provenire da un sigaro acceso. Infatti, qualche attimo dopo vide un uomo seduto di fronte a una scrivania che si gustava un sigaro, apparentemente di origine cubana. Per fortuna era abituata al fumo, essendo il padre un accanito fumatore.
‘Sei Sara?’, le chiese il proprietario del ristorante.
‘Si’, rispose Sara con voce flebile.
‘Ti stavo aspettando. Sei in ritardo.’
Quel rimprovero inaspettato le fece paura. ‘Mi scusi’, si affrettò a rispondere.
‘L’importante è che non capiti negli orari di lavoro. Avvicinati e prendi una sedia.’
Sara ubbidì. Tutto il coraggio che aveva raccolto prima di entrare nella stanza era svanito improvvisamente. Sara non era una ragazza timida, eppure quell’uomo le incuteva un certo timore.
Mentre aspettava che iniziasse a parlare, ebbe modo di studiarlo meglio. Doveva avere una quarantina di anni. Sembrava alto e abbastanza in forma fisicamente. I tratti del viso erano duri, ma regolari, e i capelli brizzolati lo rendevano ancora più affascinante.
L’uomo la scrutava fissandola negli occhi. Sara sostenne quello sguardo per un paio di secondi, poi fu costretta ad abbozzare un sorriso e a girare gli occhi verso il basso.
Finalmente l’uomo di decise a parlare. ‘Elisabetta mi ha parlato bene di te. Sai già quanto dovresti lavorare e quale è l’ammontare della paga, giusto?’
‘Si, Elisabetta mi ha anticipato tutto.’
‘Bene! Allora, se sei d’accordo, potresti iniziare a lavorare domani sera. Non ho niente da dirti, a parte che ci sono alcune regole da rispettare. Primo, come ti ho già detto non sopporto i ritardi. Secondo, la paga è abbastanza alta anche per coprire eventuali errori che si possono commettere. Voglio dire che, se dovessi rompere piatti o bicchieri, il loro costo ti verrà detratto dalla paga. Terzo e ultimo, ti chiederei di vestirti in maniera più sexy. So che non ho alcun diritto a farti questa richiesta, però capisci bene che l’aspetto estetico riveste una notevole importanza nel tuo lavoro. Quindi, se non hai niente in contrario, preferirei che indossassi una gonna invece dei jeans. Va bene per te?’
Sara si sentì costretta ad annuire. Si sentiva quasi ipnotizzata da quel tono di voce.
‘Perfetto! Allora puoi venire domani alle sei. Mi raccomando la puntualità!’
‘Va bene! Grazie, a domani!’
Sara si allontanò da quella stanza con una voglia irresistibile di respirare l’aria del fiume e di mandare giù qualcosa di forte. Il lavoro procedeva abbastanza bene. Le prime settimane Sara era ovviamente impacciata a causa dell’inesperienza, essendo quella la prima volta in vita sua che faceva la cameriera. Fortunatamente, l’amica Elisabetta e gli altri colleghi le avevano fatto capire come destreggiarsi per evitare di commettere errori. Alla fine del primo mese di lavoro, il bilancio era tutto sommato positivo, con solo un paio di bicchieri rotti.
Mentre lavorava, Sara si accorgeva che il proprietario del ristorante la scrutava attentamente. Dopo il primo incontro, era sempre stato abbastanza gentile con lei, ma mai le aveva rivolto un sorriso o un incoraggiamento.
Però c’era qualcosa in lui che l’attirava particolarmente. Ogni volta che le parlava o la osservava, Sara si sentiva come una bambina preoccupata di fare qualcosa che facesse arrabbiare il papà. Eppure, il padre di Sara non era mai stato un genitore severo. Per quale motivo nel suo inconscio si facevano strada quelle sensazioni?
Ne aveva parlato anche con Elisabetta, che l’aveva ascoltata con profonda empatia. ‘Anche a me capita di provare lo stesso, sai?’, le aveva poi confidato. ‘Ma mi piace il suo modo di fare, sembra una persona molto sicura di sé. Ed è anche belloccio, non trovi?’
Si, Sara condivideva quell’opinione. Il capo le piaceva, e anche molto. A parte il suo atteggiamento così duro ma che mostrava una notevole dose di self confidence, Sara lo riteneva molto affascinante. Tra l’altro, lei aveva da sempre nutrito certe pulsioni verso gli uomini più maturi di lei.

Per attirare le attenzioni del capo, Sara aveva seguito il suo consiglio di vestirsi in maniera seducente, seppur non troppo appariscente. Il suo fisico sodo e formoso non le permetteva di vestirsi in maniera troppo provocante, perché avrebbe attirato troppi sguardi indiscreti verso di sé. Però non disdegnava di indossare delle gonnelline e delle camicette eleganti, che enfatizzassero la sua naturale bellezza.
Si era accorta che si eccitava a pensare di avere gli occhi del capo incollati al suo corpo. Desiderava con ardore che le facesse delle avances, o almeno dei complimenti, che invece riceveva abbondantemente da clienti e colleghi. Ma lui rimaneva sempre sulle sue, quasi incurante di quella dipendente che ormai non agognava altro che essere posseduta da lui.
Sara si era informata sul suo conto, venendo a scoprire che era divorziato e aveva due bambini piccoli. Qualche collega un po’ più pettegola aveva anche aggiunto che la ex moglie lo aveva lasciato perché lo aveva colto in flagrante mentre faceva sesso con una ragazza molto più giovane di lui. Quel racconto ebbe in Sara l’effetto di eccitarla maggiormente, spingendola a immedesimarsi nei suoi sogni notturni nella ragazza che aveva avuto la fortuna di fare l’amore con il suo capo.

Un giorno capitò un fatto che diede una svolta radicale alla sua vita.
Un gruppo di ragazzi che avevano cenato a un tavolo che faceva parte della sua zona di competenza si era dileguato senza pagare il conto. Nessuno si era accorto di quel furto, tantomeno Sara, troppo preoccupata a servire tutti gli altri clienti del ristorante. A fine serata, fu però costretta a far presente l’increscioso evento al capo.
Quando Sara finì il racconto, scusandosi anche se in cuor suo credeva di non dover giustificarsi, il capo le disse che le avrebbe detratto dallo stipendio il costo di quella cena. A quelle parole, Sara rimase a bocca aperta.
‘Ma’non è colpa mia’come avrei potuto accorgermene? C’era troppa gente stasera”
‘Mi dispiace Sara, ma queste sono le regole, e tu le conoscevi!’
‘Si, ma’quel conto è astronomico! E a me i soldi servono per l’affitto”
‘Ti capisco, ma non posso fare eccezioni! Che esempio darei agli altri?’
Sara non sapeva cosa rispondere. Aveva lavorato per otto ore ininterrottamente quel sabato sera, era stanca e distrutta psicologicamente. Quindi non poté trattenere le lacrime.
‘C’è qualcosa che posso fare? La prego, quei soldi mi servono davvero!’, disse con le lacrime che le scorrevano copiosamente sul viso.
Il capo parve rifletterci, poi disse: ‘Sara, ti devo pur punire in qualche modo’hai fatto un errore, non puoi passarla liscia’le bambine come te devono imparare dai propri sbagli”
Quella parola, ‘bambina’, ebbe uno strano effetto in Sara.
‘Se non ti insegno come comportarti, non imparerai mai. Lo sai, vero?’
Sara annuì, singhiozzando. Quello che accadde poi sembrò un sogno, un bel sogno.
‘Sono costretto a sculacciarti purtroppo. Vieni qua!’
Sara si avvicinò senza esitare per un solo istante.
‘Girati e poggia le mani alla scrivania!’
Sara ubbidì. Il capo allora le sollevò la gonna e le osservò per qualche istante il culetto tondo, dove la striscia sottile del perizoma rosa si insinuava all’interno delle sue intimità. Poi, con la mano, prese a sculacciarla, prima debolmente poi sempre più forte.
Sara soffriva, quei colpi erano decisi e violenti. Eppure le piaceva.
‘Ecco quello che si meritano le bambine cattive come te!’, diceva il capo, continuando ad arrossarle il culetto.
Sara aveva ancora le lacrime agli occhi, ma la passerina stava cominciando a bagnarsi. Allargò un po’ le gambe per ricevere un po’ di quei colpi nelle zone più erogene. Voleva che le sfilasse il perizoma e la scopasse là, da dietro, con quella stessa forza. Ma dopo un po’ il capo smise di picchiarla.
‘Ora vai! E guai se ti ricapita di fare gli stessi sbagli!’
Sara si abbassò la gonna e, senza guardarlo, uscì dalla stanza.
Tornata a casa, si masturbò violentemente al ricordo di quella scena surreale.

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