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Racconti di Dominazione

Il ritorno di Padrona Vale

By 7 Ottobre 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Premessa
La storia di Padrona Valentina ebbe inizio nell’ormai lontano 2002.
A quei tempi i siti a sfondo fetish e BDSM erano ancora abbastanza rari e la maggior parte di essi erano poco più di improvvisati blog ‘casalinghi’, in cui venivano pubblicate rozze foto e brevi clip amatoriali. Fra essi ve ne era uno, padronvale.net, che dedicava un piccolo spazio alle storie e ai racconti dei visitatori. Della ragazza che aveva realizzato il sito poco si sapeva e le numerose foto da lei pubblicate non la ritraevano mai in volto.
Fu per il sito di Valentina che iniziai a scrivere i miei primi racconti fetish. Le protagoniste delle mie storie erano due ragazze, una Padrona ‘ di nome Valentina, appunto ‘ e una giovane schiava pronta a tutto pur di omaggiarla. Si trattava di racconti brevi, spesso con trame irreali e sopra le righe, concepiti per un sito in cui l’eccesso rappresentava la norma.
Quel sito oggi non esiste più, ma i racconti di PadronVale, al contrario, sono proseguiti anche grazie a chi, negli anni che seguirono, continuò a proporre trame e a dare suggerimenti per storie sempre nuove.
Con questo libro, Valentina torna a calpestare le pagine dei miei racconti e le schiene delle sue servette. Tuttavia il tempo passa per tutti, e da studentessa universitaria Valentina è finalmente divenuta una donna in carriera a tutti gli effetti. Dirige infatti un istituto per aspiranti estetiste nella sua città e, recentemente, ha assunto una giovane insegnante di anatomia e fisiologia, la timida e riservata Sabrina Romani, voce narrante del libro che state per leggere.
Cosa accadrà fra i corridoi della scuola, però, lo lascio scoprire a voi’

Capitolo 1: Strane abitudini
Erano già alcuni giorni che lavoravo come docente alla Scuola Superiore di Estetica della mia città. L’istituto era ubicato non molto lontano dal quartiere dove risiedevo. Occupava l’intero primo piano di un palazzo settecentesco rimesso a nuovo nel dopoguerra e fra aule, laboratori e uffici amministrativi, contava una quindicina di stanze. Una scuola abbastanza piccola, insomma, ma per quello che avevo potuto appurare estremamente efficiente. Il personale docente era abile e preparato. I corsi erano stati pianificati per fornire un’adeguata conoscenza teorica dell’anatomia e della fisiologia del corpo umano, nonché della legislazione vigente nel campo della professione di estetista. Le esercitazioni erano molto rigorose e le insegnanti potevano fare affidamento su materiale didattico ben fatto e al passo con i tempi.
Nell’istituto della dottoressa Valentina Mancini, insomma, avrei potuto mettere a frutto l’esperienza maturata durante gli anni di studio alla facoltà di biologia. Fino a quel momento mi ero trovata molto bene anche per quanto riguardava il rapporto con le altre docenti. Erano tutte giovani donne molto motivate, l’esatto contrario di quanto mi era capitato di vedere durante le mie brevi supplenze nella scuola pubblica. Anzi, dirò di più, sembrava che alcune di loro avessero scambiato la scuola per una sorta di seconda casa! L’insegnante di dermatologia, per esempio’
Si chiamava Barbara Troisi e non dimostrava più di trent’anni. A qualunque ora mi presentassi all’istituto, lei era già lì. E quando me ne andavo, ben dopo il termine delle lezioni, spesso la trovavo a colloquio con la Direttrice. Di cosa discutessero le due donne per me era un mistero. Si chiudevano nell’ufficio della dottoressa Mancini per intere giornate e ne uscivano solamente a buio inoltrato.
La Direttrice era una donna superba, oserei dire maestosa: lunghi capelli castani lisci, un viso di porcellana e due occhi grigi profondi come l’oceano. Vestiva sempre tailleur di fattura assai pregiata e la sua innata eleganza rappresentava fonte d’ispirazione per tutte noi, che lavoravamo presso la scuola. Alcune delle insegnanti, a dire il vero, sembravano nutrire per lei qualcosa che andava ben al di là della semplice ammirazione.
Una sera, mentre mi accingevo a tornare a casa, passai per caso davanti alla porta dell’ufficio della Direttrice. Con la coda dell’occhio notai che l’uscio era solo socchiuso e che dall’interno non filtrava alcuna luce. Eppure ero sicura di avere visto entrare la professoressa Troisi subito dopo la fine delle lezioni! Cosa stava accadendo in quella stanza buia?
La faccenda mi incuriosì più di quanto non avrebbe dovuto e, contraddicendo ogni più elementare regola in fatto di privacy, mi avvicinai e accostai l’orecchio alla fessura. Da dentro non udii provenire alcun suono, neppure un bisbiglio. L’ufficio sembrava essere deserto, così mi feci coraggio, spinsi la porta ed entrai. Non vidi anima viva.
‘Questa poi’!’ mi dissi. Dove poteva essere andata la professoressa Troisi? E che fine aveva fatto la Direttrice?
In quel momento avvertii un leggero schiocco provenire da quello che supponevo essere un semplice sgabuzzino per l’archiviazione delle pratiche. Mi avvicinai in silenzio. Avevo fatto trenta, tanto valeva fare trentuno. Ma quando mi chinai per sbirciare dal foro della serratura, ciò che vidi mi fece trasalire. Altro che deposito per cartolari ormai inutilizzati! La stanza, un ampio vano di forma rettangolare, ricordava nell’arredamento un certo privé che, qualche anno addietro, avevo intravisto in un localaccio trash di Milano. Si trattava di un ritrovo dove gli appassionati di sadomasochismo della città erano soliti incontrarsi per organizzare feste molto ‘particolari’.
Il mio sguardo si spostò da una piccola gogna in legno a una grossa croce di Sant’Andrea, con tanto di polsiere e cavigliere che penzolavano dalle estremità. Sulla rastrelliera erano disposte fruste di ogni tipo e dimensioni, dai semplici frustini da equitazione a veri e propri staffili in stile Indiana Jones e il tempio maledetto. Una scarpiera occupava da sola quasi un’intera parete. Sapevo che la Direttrice aveva un’autentica passione per le scarpe, ma non pensavo che ne possedesse tante! Dovevano esservene almeno un migliaio di paia!
Infine vi era il trono, una grande sedia di legno con tanto di poggiaschiena intarsiato. Valentina Mancini se ne stava comodamente seduta sullo scranno, si era tolta la gonna e la giacca e una delle sue gambe snelle penzolava sensualmente dal bracciolo rivestito di velluto rosso. Non portava slip e la sottile camicetta di seta, ora completamente sbottonata, esaltava il suo fisico da nuotatrice.
La professoressa Troisi era inginocchiata davanti alla Direttrice. Aveva le mani legate dietro la schiena e la fronte che sfiorava il pavimento, a pochi centimetri dal sedile. La dottoressa Mancini stava giocherellando con una bacchetta di legno lunga un metro e, apparentemente, sembrava non degnare di uno sguardo la mia collega. L’assoluto silenzio continuò per qualche minuto. L’unica luce che rischiarava il dungeon proveniva dal soffitto ed era poco più di un chiarore rosato. Improvvisamente l’asta della Direttrice colpì il fianco destro di Barbara e quella, senza emettere un lamento, sollevò la parte superiore del corpo e si sporse verso le parti intime della Direttrice.
‘Leccami’, ordinò la dottoressa Mancini, poi si accomodò meglio sulla sedia e appoggiò gli incavi delle ginocchia sulle spalle di Barbara. Quest’ultima, fedele come una cagnolina, dischiuse le labbra e iniziò a leccare il sesso della Direttrice. La professoressa Troisi era considerevolmente più piccola e leggera di Valentina. In quella posizione, poi, la sua silhouette appariva più esile che mai. In un breve istante la sua testolina bionda scomparve tra le gambe della Padrona e, senza che me accorgessi, iniziai a seguire il lento movimento del suo busto che si fletteva ritmicamente avanti e indietro.
Sbalordita, rimasi a osservare quella scena. Sebbene non riuscissi a staccare gli occhi dalle due donne, una parte della mia coscienza mi supplicava di essere prudente. Cosa sarebbe accaduto se fossi stata scoperta dalla Direttrice? Non lo sapevo, ma con ogni probabilità sarei stata licenziata in tronco. Piuttosto, era mai possibile che le altre professoresse ignorassero completamente quanto stava accadendo nella scuola? Con la dovuta discrezione, avrei dovuto fare qualche domanda in giro.
Mentre questi pensieri affollavano la mia mente, la Direttrice lasciò i capelli di Barbara e si sporse con il bacino in avanti. Libera dalla stretta della donna, credevo che la professoressa Troisi sarebbe indietreggiata quanto bastava almeno per riprendere fiato. Barbara, al contrario, non fece niente di tutto ciò. Avanzò ancor più verso la Padrona e iniziò a leccare lo spazio fra la vagina e il solco fra le natiche, che adesso sporgevano per una buona metà dal sedile della poltrona. I mugolii di libidine che la sua bocca emetteva non lasciavano spazio a dubbi: ciò che stava accadendo in quella stanza piaceva a entrambe. L’una godeva nel dominare, l’altra nell’essere dominata.
Stando bene attenta a non farmi scoprire, spinsi leggermente la porta e cercai un punto di osservazione più comodo. Mi accucciai sul pavimento e seguii gli eventi senza emettere un fiato.
In quel momento la Direttrice iniziò a gemere e a ondeggiare i fianchi. Le sue mani scivolarono sul suo seno, poi sui fianchi, poi afferrò nuovamente i capelli di Barbara e li strattonò senza clemenza. La mia collega rivolse lo sguardo verso la donna e ciò che riuscii a scorgere nei suoi occhi non era né repulsione né, tantomeno, disprezzo. Senz’ombra di dubbio quello che stava facendo le piaceva da morire. Nel suo sguardo c’erano ammirazione, devozione e un po’ di soggezione.
‘Apri la bocca’ ordinò la dottoressa Mancini, e Barbara obbedì prontamente. La donna le sputò due volte in gola e le spinse nuovamente la faccia fra le cosce. Questa volta fu lei a imporre il ritmo alla mia collega. Le schiacciò la bocca sul suo sesso e la costrinse a scivolare fino al suo culo perfetto, poi la fece tornare indietro. Grosse gocce di sudore iniziarono a colarle dal ventre, dalle braccia e dalle cosce. A ogni affondo, i mugolii di libidine salivano gradualmente di forza e di profondità.
Rimasi stupita più che altro dall’ardore con cui Barbara leccava la figa della sua Padrona. Il piacere che provava era tangibile. Era arrivata persino a farsi strappare i curatissimi capelli e a farsi sputare in bocca.
Al culmine dell’orgasmo vidi la Direttrice sollevare una gamba, indicando il soffitto con la punta del piede. La testa di Barbara fu come schiacciata fra le cosce della Padrona e la sua faccia scomparve sotto le mani della nostra dirigente scolastica. Per un tempo che non saprei quantificare, la professoressa Troisi rimase in quella posizione a leccare il sesso dell’altra donna. Il suo gracile corpo, schiacciato dalle gambe abbronzate della Direttrice, era appena distinguibile. Poi, con un rantolo soffocato, Valentina venne copiosamente nella bocca di Barbara. Lo capii dai suoi gemiti, che per un momento parvero spezzarsi per poi trasformarsi in un ansimare profondo e irregolare.
‘Brava, leccapiedi, mi hai fatta godere’ si complimentò la Direttrice. ‘Ora dai, continua a succhiare’.
Barbara non indietreggiò. Sebbene il suo lavoro fosse terminato, continuò alacremente a leccare la vagina della Padrona. Ripulì minuziosamente il boschetto di peli neri che le ornava il sesso e fece per scendere nuovamente verso il solco fra le natiche.
‘Apri la bocca, stupida!’ ordinò la donna.
Barbara sollevò gli occhi e fece quanto le era stato imposto.
‘Ti si è seccata la lingua ‘ disse la Direttrice, prendendo a sputare nella sua gola più e più volte ‘ Tieni. Deliziati. Non sopporto che mi si lecchino i piedi con la lingua secca’
‘Sì, Padrona’ mormorò Barbara con voce vibrante di eccitazione e riconoscenza.
La Padrona si voltò, appoggiò le ginocchia sul sedile dello scranno e le indirizzò sul volto il culo perfetto. Con una mossa elegante si tolse la camicetta, rimanendo con indosso solo un minuscolo reggiseno nero. Barbara si tuffò letteralmente tra le sue chiappe e, senza esitare, iniziò a riempirle di baci e colpetti di lingua. Ma evidentemente la Direttrice non si ritenne soddisfatta, così si voltò per metà e le afferrò la chioma con una mano.
‘Lecca!’ ordinò spingendo il viso di Barbara prima sul suo culo e poi sui talloni. Le piante dei piedi erano un poco impolverate, o almeno così mi sembrò di vedere da dietro la porta del dungeon. Ciò nondimeno la lingua di Barbara non esitò a leccar via la sporcizia depositatasi fra le dita e sui calcagni.
Provo vergogna nel confessarlo, ma in quel momento uno strano calore mi pervase l’inguine. Che cosa mi stava prendendo? Era l’ebbrezza provata nello spiare due amanti lesbiche a farmi godere? Oppure provavo un sottile, inspiegabile piacere nel guardare una collega che si umiliava davanti alla nostra superiore?
Mi scossi dal torpore nel quale stavo sprofondando e mi rimisi in piedi un attimo prima di udire un suono di passi leggeri provenire dal corridoio. Se non me ne fossi andata all’istante avrei finito con il farmi scoprire, mi dissi. Sgattaiolai via in fretta e furia dall’ufficio e grazie all’oscurità riuscii a raggiungere l’aula di trucco senza essere vista.
Ancora non sapevo che di lì a qualche giorno i segreti della Scuola di Estetica mi avrebbero letteralmente travolta.

Continua su’ http://www.eroscultura.com/prodotto/il-ritorno-di-padrona-vale-la-scuola/

tom

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