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Racconti di Dominazione

Il vestito di Marcella

By 8 Giugno 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Quel pomeriggio Marcella si era vista con Giovanna.
Giovanna era la sua amica del cuore, si conoscevano dal tempo delle medie ed erano rimaste sempre molto legate.
Erano due persone di aspetto assolutamente diverso: Giovanna era alta, magra, con un corpo perfetto, una gran chioma di riccioli biondi e due occhi azzurri profondi, Marcella, invece, era piccolina, un po’ cicciottella, con il viso ovale non brutto, ma un po’ insignificante, circondato da capelli scuri e lisci.
Quando erano insieme, i ragazzi notavano subito Giovanna, mentre Marcella passava sempre inosservata.
Ora che avevano entrambe ventisette anni, la situazione non era cambiata, anzi, con il passare del tempo, il corpo perfetto di Giovanna si era un po’ arricchito di curve, mentre quello dell’amica aveva preso qualche chilo di troppo.
Marcella non era grassa, ma aveva una certa tendenza ad avere un po’ più di carne del necessario, almeno secondo gli standard femminili correnti.
Il suo viso ovale era forse un po’ troppo ovale, con appena un accenno di doppio mento.
Il suo seno era un po’ ingombrante, nel senso che le sue tette, grandi e morbide, non assomigliavano affatto a quelle bocce dure e rotonde, frutto di interventi di chirurgia estetica, che tanto andavano di moda. Le sue tette, insomma, tendevano naturalmente a scendere e rimanevano forse un pochino flaccide.
Le sue gambe erano ben modellate ma le cosce erano un po’ troppo grandi, ed anche i polpacci apparivano troppo in carne.
Le mani ed i piedi, piccoli e tozzi, avevano delle dita corte e cicciottelle.
Marcella, quando si guardava allo specchio, non si dispiaceva affatto, anche se si rendeva conto che la maggior parte degli uomini non concordava con il suo giudizio.
Quel giorno aveva indossato il vestito nuovo. Era la prima volta che lo metteva.
Era stato un azzardo comprare quell’abito così particolare, così diverso dalle cose che era solita indossare, ma quando lo aveva visto in vetrina, non aveva saputo resistere. E poi voleva dare una scossa alla sua vita.
Sicuramente era troppo corto e troppo scollato per lei, o almeno per come lei si era sempre vestita.
Quando se lo era infilato, nel bagno di casa sua, si era accorta subito del primo problema: il vestito lasciava completamente scoperte le spalle e non aveva bretelle.
Sicuramente le sue grandi tette sarebbero riuscite a tenerlo su, però doveva assolutamente mettere un reggiseno.
Ne sarebbe servito uno con le bretelline di plastica colorata o, meglio ancora, trasparente, ma lei non lo possedeva.
Aveva provato con dei reggiseni normali, di diversi colori, ma stavano uno schifo.
Cosa fare? Via il vestito o via il reggiseno.
Il vestito le piaceva troppo, con quella stoffa verde a fiorellini, leggera ed un po’ trasparente, e così aveva optato per eliminare il reggiseno, anche se sapeva bene che il ballonzolare dei suoi grandi seni sarebbe stato un discreto problema.
Sotto aveva messo delle calze chiare con una rete abbastanza fitta ed appena accennata.
Non c’era niente di meglio, con quel vestito che lasciava quasi completamente scoperte le cosce, per attirare l’attenzione di tutti sulle sue gambe.
Per finire, delle scarpe con una zeppa altissima, ricoperta di corda intrecciata, aperte dietro e chiuse sul davanti, a parte una grande asola rotonda, che lasciava vedere le dita dei piedi, quelle dita corte e cicciottelle, a cui, per l’occasione, aveva dipinto le unghie con smalti di diversi colori.
Appena uscita in strada aveva capito che forse, questa volta, aveva un po’ esagerato.
Doveva camminare piano e con cautela, per evitare di cadere da quelle scarpe altissime e, soprattutto, per non mettere in movimento i suoi seni, liberi dentro al vestito.
Aveva notato gli sguardi insistenti dei passanti e ne era rimasta lusingata, lei, la piccola Marcella, cicciottella ed insignificante, finalmente oggetto dell’attenzione di tutti.
In metropolitana si era seduta con una certa circospezione, per evitare che il vestito salisse troppo, ma nonostante ciò, diversi uomini, facendo finta di niente, si erano messi a sbirciare, sperando che lei, muovendosi, mostrasse qualcosa di più.
Giovanna l’aveva subito smontata.
‘Ma sei impazzita? Come cavolo ti sei vestita!’
Marcella era rimasta male. Ma come, la sua amica che andava in giro con delle minigonne cortissime, con scarpe dai tacchi incredibili, per non parlare delle sue magliettine, aderenti, trasparenti e terribilmente scollate, faceva la predica a lei, perché una volta si era vestita in maniera un po’ succinta.
‘Marcella, cerca di capire, tu hai un fisico diverso, non puoi mettere in mostra tutta quella roba.’
Avevano discusso a lungo, avevano anche un po’ litigato, poi si erano calmate, e Marcella, ragionandoci un po’ sopra, si era quasi convinta di aver esagerato.
Ora stava tornando a casa. Era buio, anzi era anche abbastanza tardi.
Era decisamente stanca, e poi, non era abituata a quelle scarpe dai tacchi così alti.
Non vedeva l’ora di arrivare a casa e mettersi in pantofole.
Solo un breve tragitto in metropolitana e poi cinque, dieci minuti a piedi.
Cercava di camminare piano, sia per la stanchezza ma, maggiormente per non dare nell’occhio. Un po’ le critiche di Giovanna, un po’ il pensiero che di notte potesse succederle qualcosa di spiacevole, la spingevano a muoversi con cautela, per non dare nell’occhio.
Purtroppo, per quanto provasse a fare piano, le suole ed i tacchi delle scarpe nuove, producevano un rumore evidentissimo, nel silenzio della notte.
Finalmente la metro. Si lasciò cadere a sedere poi, subito dopo, si riprese, assunse una posizione più composta, unì le ginocchia e tirò verso il basso, per quanto possibile, l’orlo del vestito, rimanendo infine con le mani strette contro le cosce.
Sistemò con cura il bordo superiore del vestito e, proprio in quel momento, si accorse che di fronte a lei erano seduti due uomini.
Una strana coppia, entrambi giovani, più e meno trenta trentacinque anni, però diversissimi.
Il primo piccolo e magrolino, portava una lunga zazzera bionda e vestiva in maniera anonima: jeans e maglietta a righe.
L’altro era scuro ed enorme. Un negro gigantesco, con un bel viso, magro, che sembrava scolpito nell’ebano, capelli corti, un po’ crespi e poi un torace largo e poderoso, a malapena coperto da una camicia bianca.
Chissà quanto ce l’ha grande?
Era rimasta stupita del pensiero sconcio che aveva attraversato la sua mente.
Marcella, ma che ti prende? è forse l’effetto di questo vestito.
I due la stavano osservando. Sicuramente, il movimento che lei aveva fatto per sistemarsi l’abito, aveva attirato la loro attenzione.
Stavano guardando le sue gambe, coperte dalle calze a rete chiare.
Troppo grasse?
Il nero aveva abbassato lo sguardo. Stava studiando i suoi piedi. Sicuramente era stato attratto dalle unghie dipinte con smalti di colore diverso: una verde, una gialla, una rossa, ecc…, che spuntavano dal buco sulla punta delle scarpe.
Per un attimo Marcella pensò che assomigliassero a dei piccoli wurstel, corti e cicciotti.
Stavano ridendo di lei? La trovavano ridicola?
Una volta un suo amico le aveva detto un frase che le era rimasta impressa:
‘un uomo guarda con insistenza una donna per due motivi: o la trova molto attraente o veramente brutta.’
No, voleva pensare che in questo caso, fosse il primo motivo.
L’altro nel frattempo, stava spaziando con lo sguardo attraverso tutto il corpo di Marcella.
La faceva con tranquillità, come se fosse la cosa più normale del mondo fare una specie di radiografia alla ragazza che ti siede di fronte in metropolitana.
Lei non riusciva quasi a respirare, le sembrava di sentire le mani di quei due che le frugavano nel vestito, le toccavano le gambe costringendola a farle allargare le cosce.
Era la sua fermata, quasi se l’era lasciata scappare.
Si alzò di scatto ed uscì dalla vettura.
Fuori l’aria si era fatta fresca.
Toc, toc, toc. I suoi tacchi sembravano fare ancora più rumore, a contatto con l’asfalto del marciapiede deserto.
Svoltò sulla strada che l’avrebbe portata a casa e vide, con la coda dell’occhio, sull’altro marciapiede, una grande macchia bianca.
Il negro, che prima era seduto di fronte a lei, era sceso e, sicuramente, la stava seguendo.
Cominciò ad aver paura.
Aveva accelerato l’andatura e sentiva i suoi seni sbattere ritmicamente dentro al vestito, ad ogni passo che faceva.
Non sarebbe servito a nulla andare più veloce, se avesse voluto l’avrebbe raggiunta in pochi metri, ma lui sembrava volersi tenere a distanza, quasi che desiderasse solo tenere la situazione sotto controllo.
Era arrivata all’ingresso del complesso dove abitava. Dopo il grande cancello, sempre aperto, doveva percorrere solo una cinquantina di metri nel giardino e poi, una volta che il portoncino a vetri della palazzina si fosse chiuso alle sue spalle, sarebbe stata al sicuro.
Varcò il cancello e si mise a correre. Era un’imprudenza, se fosse caduta sarebbero stati guai seri.
Aprì il portoncino con la chiave e salì in fretta le due rampe di scale che la separavano dalla porta del suo appartamento.
C’era qualcosa che non andava. Il portoncino, come sempre, aveva emesso il suo solito cigolio e poi ‘ e poi nulla.
Non aveva sentito il rumore della porta che si chiudeva.
Sicuramente la molla si era starata di nuovo oppure ‘ qualcuno era arrivato al portoncino prima che si chiudesse.
Marcella girò rapidamente la chiave nella serratura e la porta si aprì, fu rapidissima a varcare la soglia di casa e ad appoggiarsi alla porta per richiuderla.
Più precisamente, a provare a richiuderla.
Tra la porta e lo stipite c’era un grande sandalo nero, anzi, un grande piede nero dentro un grande sandalo nero.

Marcella provò a spingere la porta, nell’illusione che quel grande piede nero si volatilizzasse, invece, nonostante i suoi sforzi disperati, la porta, in un attimo, si spalancò completamente.
Il negro enorme, che poco prima la osservava, seduto in metropolitana di fronte a lei, ora era entrato in casa sua.
Era sola, sola ed indifesa, in balia di un uomo sconosciuto, enorme e dall’aspetto possente.
Volevi vedere quanto ce l’aveva grosso. Piccola stupida incosciente, eccoti accontentata.
Avrebbe voluto gridare, ma non ne era capace.
‘Mettiti a sedere, stai tranquilla, non ti succederà nulla di brutto.’
Chissà perché era convinta che quell’uomo dovesse parlare con un accento straniero, o magari con la voce dei negri delle barzellette che dicono cose tipo ‘sì badrone’.
Invece si era espresso in un perfetto italiano, con un leggerissimo accento lombardo.
Aveva tirato fuori dalla tasca dei pantaloni un cellulare e stava componendo un numero.
‘Sì, sono a casa di lei.’
‘Certo che si può fare. Il posto mi sembra ideale. Fai presto.’
‘No, non credo proprio che ci creerà problemi, fidati. Ora metti giù e sbrigati. Ti aspetto.’
Marcella era rimasta, per tutto il tempo, seduta sul divano, cercando inutilmente di capire cosa stesse succedendo.
Lui la fissava tranquillo, ma attento, pronto ad intervenire sei lei avesse tentato di fare qualcosa.
Dopo una decina di minuti sentì bussare leggermente alla porta.
Comparve il biondino della metropolitana, trafelato e curvo sotto il peso di due enormi borsoni neri.
Cominciò a tirar fuori, stativi, lampade e microfoni, per finire con una grossa telecamera professionale.
Nel giro di pochi minuti il soggiorno di Marcella si era trasformato in una sala di posa.
Per ultimo tirò fuori un lungo pezzo di corda di nylon rossa e la porse al suo compagno.
Prima che lei potesse rendersi conto di cosa stava accadendo, il negro le aveva passato le braccia dietro la schiena e le stava legando strettamente i polsi tra di loro, mentre l’altro riprendeva la scena da diverse inquadrature.
Marcella gridò con quanto fiato aveva in corpo, o meglio, provò a gridare, ma una enorme mano nera fece in modo che lei emettesse solo una sorta di mugolio soffocato.
Il biondino tirò fuori una specie di pallina da ping pong rossa da cui uscivano due sottili lacci neri.
La mano si scostò dalla bocca di Marcella, il tempo necessario perché lei provasse ad aprire le labbra. Il gigante di colore era stato rapidissimo a ficcarle in bocca la pallina rossa e le stava legando strettamente i lacci dietro la nuca.
Ora l’aveva fatta alzare in piedi e, tenendola da dietro per le braccia legate, la strattonava vigorosamente mentre l’altro riprendeva con la telecamera.
Quando si fu stancato di questo gioco la mise su una poltrona, facendole posare il busto e la testa sulla seduta e lasciandola con le gambe in alto che poggiavano sul bracciolo.
Il negro era scomparso alla sua vista, mentre l’altro, dopo averle arrotolato il vestito fino alla vita, eseguiva dei primi piani delle sue gambe allargate.
Ricomparve il gigante nero.
Era completamente nudo e, senza i vestiti, sembrava ancora più imponente.
Tra le gambe muscolose aveva un pene enorme, parzialmente eretto, ricoperto da un buffo profilattico color fucsia.
Allora Marcella, eri curiosa di vedere quanto ce l’avesse grosso. Ecco, ora sei stata accontentata.
Si avvicinò a lei facendo in modo di lasciar spazio all’altro per riprendere la scena con la telecamera e le afferrò saldamente con le mani il bordo del collant.
Le sua grandi dita scure facevano un forte contrasto contro il colore chiaro delle calze.
Tirò in su con decisione ed il collant si sfilò insieme alle mutandine color carne di Marcella.
Una volta superate le ginocchia fu veramente facile continuare a mettere a nudo le gambe della ragazza.
Sfilò delicatamente le scarpe dai piedi e la liberò completamente delle calze e dello slip.
L’altro si avvicinò con la telecamera, dopo aver spostato una lampada, per illuminare meglio la scena.
Nonostante fosse spaventata a morte, Marcella si rese conto di essere allo stesso tempo eccitata.
Sotto la luce del riflettori, riusciva a vedere il suo sesso che lentamente si apriva.
I peli, bagnati dagli umori che stavano cominciando ad uscire, si erano completamente appiccicati alla pancia ed all’inguine.
Senza nessun preavviso, il gigante le afferrò forte le cosce, sotto le ginocchia, e la tirò a sé, allargandole le gambe.
Quell’affare enorme, di quel colore assurdo e ridicolo, entrò di colpo dentro di lei.
Marcella gridò, o meglio, semi soffocata da quella dannata pallina rossa, emise un verso a metà tra un gorgoglio ed un gemito, che il biondino fu pronto a registrare, avvicinando un microfono montato su un’asta.
Il negro la teneva saldamente, affondando le dita nelle sue grandi chiappe morbide, mentre continuava a muoversi dentro di lei.
Faceva male, la stava sfondando, e lei, per cercare di contenere i danni, cercava di tenere le gambe il più aperte possibile.
Non faceva avanti e indietro troppo velocemente, il suo movimento era abbastanza lento e lei vedeva quel pene enorme entrare completamente nel suo ventre, dilatandole fortemente le labbra della vagina e poi, subito dopo, rifare lo stesso tragitto a ritroso, uscendo quasi completamente dal suo corpo.
Si stava abituando e lentamente, cominciò ad assecondare il movimento dell’uomo.
Lui che aveva capito cosa stava succedendo a Marcella, si fermò un attimo e le tolse la pallina dalla bocca.
La ragazza fece tre o quattro respiri profondi e poi, quando lui glie lo spinse dentro di nuovo, cominciò a gemere rumorosamente.
Il microfono si era avvicinato nuovamente alla sua bocca, mentre la telecamera si dedicava a dei primi piani, alternando la sua vagina rossa, zuppa e dilatata, ed il suo viso stravolto con la bocca aperta che esprimeva allo stesso tempo piacere e dolore.
Lui le infilò le mani nella scollatura del vestito e, dopo averlo un po’ abbassato, le tirò fuori i seni.
Ora le sue grandi tette erano completamente libere, poggiate sulla stoffa verde a fiori del vestito, e si muovevano ritmicamente sotto la spinta dell’uomo che la penetrava con sempre maggior foga.
Marcella gridò, avrebbe voluto avere le braccia libere per stringere, per afferrare quel corpo, enorme, nero e sudato, che la stava possedendo, poi, all’improvviso, lui si irrigidì un momento, per poi riprendere nuovamente, ma spingendo ancora più a fondo.
Sentì il ventre dell’uomo premere forte contro la sua pancia, poi avvertì che qualcosa di nuovo stava succedendo sulla cima del suo pene. Se non avesse avuto quel buffo profilattico, l’avrebbe letteralmente inondata con il suo sperma.
Marcella gridò mentre raggiungeva l’orgasmo, poi si accasciò semi svenuta sulla poltrona.
Doveva essersi addormentata. Era stanca e dolorante. Cercò di guardarsi in mezzo alle gambe. Quell’affare gigantesco, sicuramente doveva averle sfondato la sua bella cosina .
Si accorse di non poterlo fare: l’avevano messa a pancia sotto sul tavolo, con le braccia e le gambe stese ed unite alle quattro zampe del tavolo, legate strettamente con altri spezzoni di quella corda rossa.
Il gigante la guardava e sorrideva. Si era cambiato, nel senso che ora indossava un profilattico verde pistacchio, che stava accuratamente spalmando con della vasellina.
Le passò per la mente un pensiero terribile: aveva sicuramente intenzione di infilargli il suo arnese nel culo. Questo era troppo, non poteva permetterlo, l’avrebbe massacrata.
Ma che poteva fare? Era completamente immobilizzata e si accorse, con disappunto, che le avevano rimesso la pallina in bocca.
Ora si era messo alle sue spalle, mentre il biondino riprendeva le sue smorfie ed i suoi tentativi di dire qualcosa, nonostante la pallina bavaglio.
Delle dita lunghe e forti le allargarono le chiappe e cominciarono a massaggiarla.
Stava spalmando meticolosamente di vasellina anche lei.
Lentamente le dita e la vasellina penetravano nel suo ano.
Ecco, ora si era fermato, anche l’altro si era spostato, sicuramente per riprendere meglio il clou dello spettacolo.
Marcella cominciò a piangere. Aveva paura. Quell’affare enorme l’avrebbe letteralmente sfondata.
Sentì le sue grandi mani poggiarsi sulle sue chiappe.
Lui, contemporaneamente, le allargò forte le natiche e spinse.
Un dolore lancinante, insopportabile.
Aveva gridato? Certamente aveva provato a gridare.
Dentro di sé aveva sicuramente gridato, ma il microfono non doveva aver registrato altro che un mugolio più intenso degli altri.
Un’altra allargata ed un’altra spinta, più forte della prima.
Se continuava così le avrebbe sfondato l’intestino, aveva paura. Maledetto vestito, era tutta colpa sua.
Ora lui aveva cominciato a muoversi. Il ritmo del movimento era simile a prima, ma l’entità era minore, perché ora, nel suo ano, si muoveva con più difficoltà.
Si accomodò meglio e cominciò con le dita a stuzzicarle la vagina, mentre iniziava a spingere più a fondo.
Marcella non avrebbe mai pensato di provare piacere in un simile frangente, invece il lavoro che lui le stava facendo con le dita cominciava ad avere il suo effetto.
Il dolore dietro sembrava un po’ essersi affievolito e, quando le tolsero nuovamente la pallina, non gridò di paura o di dolore, ma cominciò ad emettere dei mugolii di gioia che la sorpresero .
Stava diventando una specie di animale?
L’orgasmo, violento ed improvviso, interruppe i suoi pensieri, poi anche il suo gigante nero la raggiunse, scuotendola fortemente.
‘Brava, sei stata veramente brava. Ora finiamo in bellezza.’
Era davanti a lei, stanco e sudato e sorrideva, mentre si toglieva quell’affare verde pistacchio, qua e là macchiato di sangue.
Marcella capì cosa intendesse per il finale, quando le avvicinò alla bocca quell’enorme cazzo nero.
Lei era sicura che non sarebbe mai riuscita a fare una cosa simile, invece cominciò prima a leccarlo avidamente, poi, lo prese delicatamente tra le labbra. Erano bastate poche toccate per farlo tornare completamente eretto, mentre il biondino saltellava da una parte all’altra, cercando di trovare la migliore inquadratura.
Lo sentiva pulsare, mentre la sua bocca cercava inutilmente di prenderlo tutto.
Cominciava ad imparare ad interpretare le sue reazioni, di quell’uomo e di quel coso spropositato che ora riempiva la sua bocca, fin quasi a soffocarla.
Ora le sembrava fosse diventato ancora più grande, per quanto potesse apparirle assurdo immaginare che potesse crescere ancora.
Sentiva che le pulsazioni erano aumentate e, quando lo strinse un po’ più forte con le labbra, capì che era giunto il momento.
Non avrebbe mai immaginato che un uomo potesse avere così tanto sperma.
Le aveva riempito completamente la bocca, le era finito in gola e poi aveva continuato a zampillare, con forza; sembrava non dovesse mai arrestarsi.
Lui alla fine lo aveva tirato fuori dalla sua bocca, forse perché aveva paura di soffocarla, e le aveva scaricato gli ultimi zampilli direttamente sul viso.
Ora Marcella se ne stava lì, mezza accecata da tutta quella roba biancastra che le aveva ricoperto la faccia, mentre il biondino continuava a riprenderla da vicino.
Dischiuse le labbra e lunghi fiotti di sperma presero ad uscirle dalle bocca.
‘Bravissima! Sei stata bravissima.’
Era finita, ora era veramente finita.
Il suo bel negrone la stava liberando dai lacci che la tenevano bloccata.
Si era messo una specie di accappatoio nero con delle macchie gialle e marrone, che assomigliavano al mantello di un leopardo. Sembrava un pugile che avesse appena conquistato il titolo mondiale.
Senza alcuno sforzo, la sollevò dal tavolo e la prese tra le braccia.
Marcella si lasciò andare: era troppo stanca.
Ma era anche terribilmente eccitata.
Ora erano seduti sul divano, anzi, lui era seduto sul divano, mentre lei era accomodata sulle ginocchia dell’uomo, con la testa appoggiata sul suo petto possente.
L’accappatoio era leggermente aperto sul davanti e Marcella ci infilò dentro il viso e cominciò a leccare le pelle nera dell’uomo.
Si addormentò così, mentre il biondino riprendeva l’ultima scena.
La mattina dopo si svegliò molto tardi. Era nel suo letto, completamente nuda sotto le coperte.
Il dolore proveniente dal suo didietro e le macchie rossastre sul lenzuolo le ricordarono che le vicende di quella notte erano realmente accadute.
Il suo vestito nuovo, che era all’origine della sua strana avventura, se ne stava in bella mostra, dall’altra parte della stanza da letto, poggiato a cavallo dello schienale della poltroncina di fronte al comò.
Marcella rimase a lungo sotto la doccia, poi si vestì.
Una casacca ampia ed accollata, un paio di pantaloni comodi e delle scarpe sportive, basse.
Dopo essersi legata i capelli scuri e lisci con un elastico, si guardò allo specchio.
Era tornata la solita Marcella, cicciottella ed un po’ insignificante, quella che gli uomini neanche notavano.
Era passata circa una settimana, quando trovò una busta nella cassetta della posta.
Non c’era scritto nulla e mancava anche il francobollo.
Appena entrata in casa, l’aprì, incuriosita.
Dentro c’erano sei banconote da cinquanta euro, ed un foglio scritto con il computer:

Sei stata bravissima.
In genere questi servizi li paghiamo di meno, ma il tuo film è venuto veramente bene ed abbiamo deciso di premiarti.
Sicuramente sarai ansiosa di vederti sullo schermo.
Qui di seguito trovi il link alla pagina del tuo servizio.
Ci sono diverse foto ed un paio di spezzoni di filmato, ma se vuoi vedere il lavoro completo, devi scrivere dentro a login ‘marcella83’ (è il nick che ti è stato assegnato).
Alla richiesta di password devi inserire questa

Seguiva una lunga serie di lettere e numeri, in apparenza senza senso.

Ti metto anche un indirizzo email. Se pensi che in futuro vorresti fare altri servizi, puoi contare su di me.

Il tuo Zio Tom

Accese il computer e digitò il link scritto sul foglio.
Era emozionata e sbagliò un paio di volte.
Marcella stai attenta, controlla bene la punteggiatura!
Comparve una pagina con il fondo blu scuro ed un vistoso titolo rosso:

BUSTY YOUNG BRUNETTE, TIED, BALL GAGGED AND HARD FUCKED

Il suo inglese non era perfetto, ma riusciva più o meno a comprendere il senso della frase, e poi le foto, che riempivano la pagina e la ritraevano in diversi momenti della sua performance di qualche giorno prima, erano chiarissime.
Inserì il suo nick dove era scritto login e poi digitò la password. Questa volta stette attenta e non commise errori.
Il filmato, a pieno schermo, era partito.
Interno di una vettura della metro, con una ragazza, vestita in maniera succinta, seduta.
L’inquadratura non era perfetta e le immagini un po’ impastate. Il biondino doveva aver usato una microtelecamera nascosta.
La stessa ragazza che sale la scala mobile, poi in strada. Cammina veloce ed è seguita da un uomo, grande, nero con una camicia bianca.
Cambio di scena: interno di una abitazione.
Ora la qualità delle immagini era migliorata enormemente: il filmato appariva nitidissimo ed i colori erano perfetti.
Marcella si sedette.
Rimase incollata allo schermo per tutto il tempo.
Rivide passare tutti i momenti di quella notte incredibile.
Il cazzo fucsia che la scopava profondamente.
Il cazzo verde pistacchio che le sfondava il culo.
Il cazzo nero, simile ad una grossa stecca di cioccolata, nella sua bocca.
E, per finire, la sua faccia piena di sperma, che le colava lungo il collo, che le usciva dalle labbra semi aperte.
Il tutto con un mucchio di inquadrature diverse, abilmente montate, che ora mostravano l’intera scena, ora si soffermavano sui particolari del suo sesso e del suo ano violati e dilatati, ora mostravano il suo viso, che esprimeva dolore e piacere allo stesso tempo.
Solo quando comparve la parola END, in sovrimpressione alle immagini di lei sul divano, abbracciata al suo gigante nero, Marcella si scosse.
Fece una lunga doccia.
Doveva schiarirsi le idee.
Si accorse di essere eccitata. Rivivere l’esperienza di una settimana prima le aveva fatto uno strano effetto.
Sotto il getto d’acqua della doccia, che stava diventando tiepida, si masturbò a lungo, finché non rimase accucciata in un angolo, nel box doccia.
Da bambina aveva sempre sognato di diventare una grande attrice.
Certo, non era proprio la stessa cosa, ma già sapeva che quella sera avrebbe mandato una email allo Zio Tom.

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