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Racconti di Dominazione

Il vizio di Matteo

By 25 Agosto 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Matteo era una persona assolutamente normale.
Trentadue anni, statura normale e fisico normale, non particolarmente atletico ma neanche grasso, o peggio, flaccido.
Non fumava, beveva moderatamente tranne, un paio di volte l’anno, in compagnia degli amici.
Conviveva con Lara, una ragazza di due anni più giovane, con cui aveva una normale vita sessuale. Un giorno si sarebbero pure sposati, ma più in là.
Naturalmente non aveva mai avuto a che fare con la giustizia, a parte qualche piccola multa, normale per chi, come lui, girava l’Italia con l’auto, facendo il rappresentante di commercio.
Matteo aveva solo un vizio, un brutto vizio, anche se a lui non sembrava così brutto: ogni tanto gli piaceva avere rapporti sessuali con donne sconosciute e non particolarmente consenzienti. Usando parole diverse, lo si sarebbe potuto definire uno stupratore seriale anche se lui non era affatto d’accordo con questa classificazione.
A parte il fatto che quel seriale gli faceva pensare ad un qualcosa che aveva a che fare con i computer (già, allora ci sono anche quelli paralleli e, perché no, quelli USB), non aveva affatto le caratteristiche di quel tipo di persone, metodiche, che colpiscono sempre nella stessa maniera, donne con determinate caratteristiche, perché magari hanno subito qualche trauma nell’infanzia, o cose del genere.
Lui non aveva particolari preferenze e sceglieva a volte donne molto giovani, altre volte mature. Potevano essere bionde o brune, magre oppure abbastanza in carne. Non operava mai nella stessa zona e le modalità erano sempre diverse.
Le sue mosse erano imprevedibili e la polizia non aveva mai collegato tra di loro i molti stupri che aveva portato a termine negli anni.
Sapeva, lavorando in questa maniera, di rischiare poco, perché solo un caso fortuito avrebbe potuto portare alla sua cattura.
Naturalmente faceva in modo di non farsi vedere bene in faccia dalle sue vittime, anche se sapeva che non è facile fornire un identikit valido, non voleva essere riconosciuto, e poi molte di quelle donne neanche sporgevano denuncia, per vergogna o per paura.
Matteo, su questo aveva anche una sua teoria: era convinto che parecchie di quelle donne, alla fine provassero piacere ad essere prese con la violenza. Di alcune ne era quasi sicuro, ma era convinto che molte altre non lo dessero a vedere, magari solo per non dargli soddisfazione.
A lui piaceva da impazzire, sentire sotto di se un corpo femminile che si dibatteva cercando di impedire che il suo pene la violasse.
Più gli resisteva e più lui si eccitava.
E poi era bellissimo, sentirle, fiaccate dalla lunga battaglia e senza più energie, accettare il loro destino. Allora le entrava dentro con studiata lentezza e per assaporare il gusto di percepire la vagina o l’ano che si apriva al suo sesso vittorioso.
A volte le sentiva godere senza particolare ritegno, assecondando i suoi movimenti, finché, alla fine di tutto, rimanevano confuse, attonite, incapaci di comprendere cosa fosse accaduto.
Ma la maggior parte reagiva con un certo distacco, come per non voler rimarcare qualcosa di spiacevole ma ineluttabile, anche se lui era sicuro che, sotto sotto, erano state bene.
Delle volte aveva pensato, con quelle più reattive, di ripresentarsi una seconda volta, ma era troppo pericoloso, e poi svanita la sorpresa del primo incontro, sarebbe venuto meno gran parte del divertimento.
Con Lara, la sua compagna, non aveva mai fatto nulla di simile. Una volta, aveva provato a proporle, tanto per fare una cosa nuova, di legarle i polsi alla spalliera del letto.
Lei lo aveva guardato come si guarda uno improvvisamente impazzito e gli aveva consigliato di farsi una bella sega sotto la doccia gelata.
Lara era fatta così, una persona semplice e dolce, ma anche dura e diretta, e quando una cosa non le stava bene era no e basta.

La prima volta era accaduto per caso, tanti anni prima.
Matteo aveva solo diciassette anni ed aveva passato una serata con un gruppo di suoi coetanei sulla spiaggia.
Birra, sigarette e qualche canna.
Aveva bevuto parecchio ed anche quella ragazza che era vicina a lui non era stata da meno. Non l’aveva mai vista prima e neanche sapeva il suo nome.
Biondina, con un musetto magro, due occhi tra il verde ed il marrone, le labbra grandi ed i denti sporgenti che gli facevano pensare ad un castoro.
Un corpo acerbo, da adolescente e due gambe magre con i calzini di spugna arrotolati intorno alle scarpe da ginnastica..
Era tardi, e tutti gli altri se ne erano andati, lei era appoggiata alla sua spalla e, piano piano, si era addormentata.
Matteo, sentendo il piccolo seno della ragazza che spingeva sul suo petto aveva cominciato ad eccitarsi. Erano seduti sulla pedana di una cabina dello stabilimento balneare e lui ad un certo punto l’aveva presa delicatamente e l’aveva sdraiata sulle tavole di legno.
Respirava in maniera pesante ed i suoi seni si muovevano ritmicamente sotto la maglietta attillata.
Non si era svegliata quando lui le aveva arrotolato la maglietta fino alle ascelle.
Era senza reggiseno e le sue tettine piccole e bianche, contrastavano con il resto del busto abbronzato.
Non si era svegliata quando aveva cominciato a carezzarle.
Si era svegliata solo quando lui, dopo averle messo le mani sotto la gonna, le aveva sfilato le mutandine.
La sbronza sembrava esserle svanita di colpo ed aveva preso a gridare e scalciare disperatamente.
Lui si era eccitato ancora di più e le si era buttato addosso, soffocando le sue grida con un bacio goffo, mentre cercava di immobilizzarla.
Poi si era ricordato che in tasca aveva un pezzo di corda e, dopo una discreta lotta, era riuscito a legarle i polsi alla balaustra in legno che delimitava la pedana della cabina.
La biondina ora non gridava più, si limitava a piangere sommessamente e dire cose tipo ti prego, non farlo.
Era vergine e, il grido di dolore di lei e la vista del sangue, lo avevano fermato per un momento.
Ma era stato solo un momento ed aveva ripreso a scoparla con tutta l’energia della sua giovane età.
Ormai si era arresa e teneva le gambe larghe mentre Matteo andava e veniva nella sua vagina insanguinata e l’espressione di paura e dolore, lentamente svaniva dal viso della ragazza.
Stava cominciando ad eccitarsi e aveva preso a respirare a bocca aperta, e dalle sue labbra socchiuse, da cui spuntavano i bianchi denti da castoro, uscivano dei lamenti e dei mugolii di tutt’altro genere.
Le era venuto dentro, mentre lei con le ginocchia cercava di tenerlo stretto e vicino.
Erano rimasti qualche minuto fermi, uno sull’altra, poi Matteo si era rivestito ed era scappato via, dopo averle sciolto i polsi.
Aveva passato momenti di angoscia, cercando sui giornali la notizia che avrebbe potuto inchiodarlo. Dopo due giorni il quotidiano locale parlò del terribile stupro di una studentessa sedicenne, avvenuto sulla spiaggia, di notte, ad opera di due balordi, probabilmente extracomunitari. C’erano anche due identikit, che rappresentavano due loschi figuri, probabilmente magrebini. La ragazza, di cui naturalmente non si faceva il nome, era tornata immediatamente in città con la sua famiglia.
Matteo si era chiesto spesso del perché la ragazza non avesse detto la verità ed il motivo, per lui, era uno solo: era stata bene, le era piaciuto.

Quell’esperienza, per Matteo, era diventato un chiodo fisso. Il piacere che aveva provato a scoparsi quella ragazza legata ed impossibilitata a difendersi era per lui qualcosa di indescrivibile.
Aveva venticinque anni quando iniziò a pianificare il suo primo lavoretto fatto per bene. Non poteva certo pensare di andare per istinto, rischiando di farsi beccare.
Visto che faceva il rappresentante, questo gli dava la possibilità, organizzando il suo tempo, di poter studiare bene la sua vittima.
Aveva individuato una signora sui quarantacinque, che aveva un negozio di casalinghi vicino ad un suo cliente. Aveva anche avuto occasione di parlarci.
Non era bellissima ma gli dava l’impressione di una certa sensualità. Capelli neri, lunghi e ricci, su un viso che cominciava a mostrare qualche ruga, seno grande che ancora teneva nonostante l’età, e poi le gambe. Un giorno, che la stava seguendo, l’aveva vista mentre scendeva dall’auto con una gonna lunga con lo spacco. Una folata di vento aveva aperto un attimo la gonna mostrando due gambe lunghe e un po’ storte. Però avevano una bella forma, gli piacevano da morire e la immaginò, sdraiata, con lui sopra, mentre gli stringeva i fianchi con le ginocchia.
Aveva studiato le sue abitudini e poi era andato via.
Non avrebbe certo colpito quando lavorava nella sua città.
Aspettò qualche mese. Si era fermato in un albergo ad un centinaio di chilometri di distanza ed era andato in camera parecchio presto, facendosi notare dal portiere, dicendo che aveva un forte mal di testa e non voleva essere disturbato.
Aveva preso l’auto ed era arrivato giusto in tempo, mentre lei, dopo aver chiuso il negozio, si apprestava a tornare a casa.
L’aveva superata lungo la strada ed aveva parcheggiato su una via laterale, rispetto a dove lei abitava.
Viveva da sola in un villino con il giardino e, quando si era trovata davanti un uomo con il viso coperto ed una pistola in mano, non aveva opposto resistenza.
Era una pistola giocattolo, perfetta riproduzione di una Beretta 7,65, a cui lui aveva tolto il tappo rosso.
La signora non aveva fatto una piega ed era entrata in casa, seguita dal suo assalitore, dicendo, con voce tremante che gli avrebbe dato tutto quello che possedeva.
Si fece legare tranquillamente le mani dietro la schiena e capì cosa quell’uomo volesse da lei, solo quando, dopo averla buttata di traverso sul letto a pancia in giù, le strappò il vestito.
Allora ebbe una reazione imprevista e rabbiosa, che costrinse Matteo ad un lungo corpo a corpo. Era proprio quello che voleva, per eccitarsi meglio.
Quando alla fine riuscì a toglierle, un po’ sfilando ed un po’ strappando, calze e mutandine, era completamente zuppo di sudore e così eccitato che temette di venire dentro i pantaloni prima ancora di cominciare.
Decise di incularla, sia perché aveva due belle chiappe, sia perché così pensava di smorzarne subito un po’ di resistenza, sottoponendola ad una pratica che per lui rappresentava un atto di dominazione nei confronti di quel corpo.
Quando si accorse delle sue intenzioni oppose una strenua resistenza, cercando di scalciare e di muoversi per tenerlo lontano, ma Matteo era una persona paziente e la fece stancare un po’, prima di bloccarle le chiappe ed iniziare a spingerlo dentro.
Quando riuscì ad infilarglielo bene lei emise un grido feroce, poi cominciò a riempirlo di parolacce, ma lui, per niente toccato, anzi, ancora più eccitato, cominciò a muoversi dentro di lei.
Piano piano si era quietata e sembrava assecondare il suo movimento, aspettando la fine.
Marco le venne dentro, era sicuro di averle inondato il culo, e rimase qualche minuto addosso alla donna, mentre sentiva il pene che lentamente si faceva meno duro.
Quando la girò si accorse che era rossa in viso ed aveva la fica, aperta e bagnata, al punto che i peli che la circondavano, erano completamente zuppi.
Aveva goduto da morire, la troia, pensò, ma non voleva darlo a vedere.
Ora però, il suo gioco era scoperto e questa volta si lasciò andare completamente, mentre lui la sbatteva.
Le aveva aperto la camicetta e stava affondando le mani nei suoi seni. Due belle tette grandi, appena un pochino mosce. Le carezzava, ne sfruguliava i capezzoli grandi e scuri, mentre lei gemeva di gioia nelle sue orecchie.
Pensò per un attimo di liberarle le braccia, per farla partecipare meglio, ma era troppo rischioso, perché, se le avesse tolto il passamontagna, l’avrebbe sicuramente riconosciuto.
Ora, come aveva immaginato quel giorno, quando le aveva visto le gambe, gli stava stringendo i fianchi con le cosce. Gli gridava di scoparla di più, più a fondo.
Lei stava venendo e si sentiva completamente inzuppato dagli umori che uscivano dalla sua fica ormai giunta al limite della sopportazione.
La raggiunse mentre lei, ad ogni zampillo di sperma che le entrava dentro emetteva un grido.
‘In bocca, mettimelo in bocca.’
Come non accontentarla.
Cominciava a sentire caldo con quel pesante passamontagna sulla faccia, così si alzò, spense la luce e tornò dopo esserselo sollevato fino alla fronte.
Per un attimo pensò che lei, per vendicarsi, potesse morderlo, ma andò tutto liscio e gli fece un pompino fantastico.
Le allentò un po’ le corde, in modo che potesse liberarsi le mani, ma non subito, e la lasciò sola.
La notizia uscì sui giornali. Evidentemente, dopo che lui se ne era andato, si era pentita.
Per fortuna non l’aveva visto in faccia ed aveva potuto fornire ben poche indicazioni agli inquirenti.

In quegli anni Matteo si era fatto diverse donne. Non sempre era andata bene come con la signora dai ricci neri, ma in genere poteva ritenersi soddisfatto.
Proprio il giorno prima, invece, aveva avuto una delusione.
La persona prescelta, non aveva collaborato per niente.
Una vera signora, alta e bruna, non aveva le grandi tette della sua prima conquista, ma in compenso le gambe lunghe ed il fisico slanciato le davano un gran portamento.
Aveva un’aria altezzosa ed un po’ severa, ma sapeva per esperienza che questo tipo di donne nascondeva spesso ben altro temperamento.
Invece era stato un fallimento su tutta la linea.
Prima era rimasta terrorizzata e paralizzata dalla paura.
Si era fatta strappare i vestiti di dosso senza fare la minima resistenza, limitandosi a singhiozzare sommessamente.
Neanche un’inculata volutamente violenta l’aveva risvegliata dal suo torpore ed aveva subito in silenzio tutto, rimanendo ferma e tremante di fronte a lui, con il suo bel culetto magro, da cui continuava ad uscire sperma misto a tracce di sangue.
L’aveva scopata due volte di seguito e lei non aveva fatto una piega, rimanendo lì, buttata sul letto, come una vecchia bambola di pezza.
Come ultimo atto disperato, aveva provato a metterglielo in bocca.
Le aveva aperto le labbra a forza e lei era rimasta ferma mentre lui iniziava a strofinarglielo sulla bocca.
Aveva desistito quando aveva visto i suoi occhi scuri riempirsi di lacrime ed affacciarsi i primi conati.
Ci mancava solo che gli vomitasse sull’uccello.
Per la prima volta se ne era andato completamente deluso e scornato.
Stava passando con la macchina su una strada di campagna (era una scorciatoia che faceva spesso), quando aveva visto un’auto ferma sul ciglio.
Cric, ruota a terra e una ragazza che si affannava con una grossa chiave a croce.
Sembrava carina: piccolina e formosa, con un caschetto di capelli castani … chissà?
No Matteo, così no. Non si può fare.
D’accordo, ieri è andata male con quella secca befana, sì, perché poi, vedendola da vicino, non era neanche un granché, ma se adesso ci provi senza esserti preparato bene prima, fai una cazzata. Una cazzata veramente pericolosa.
‘Mi scusi posso aiutarla?’
‘Volentieri, ho bucato e c’è un bullone avvitato male.’
Aveva una voce calda ed allegra. Una giovane donna sicura di sé. Fino ad ora.
Era quasi buio e, se non si avvicinava troppo, non serviva il passamontagna.
A due metri di distanza estrasse la pistola e la costrinse a girarsi, facendola mettere con le braccia poggiate sul tetto. Fu facile legarle i polsi e poi calarle in testa il passamontagna.
Fu altrettanto facile farla salire sulla sua station wagon, farla distendere nel bagagliaio e poi legarle anche le caviglie.
Parcheggiò la macchina della ragazza su un viottolo laterale e buttò nella cunetta cric ed attrezzi.
Si fermò, qualche chilometro dopo, lontano della strada, di lato ad un’area picnic.
Cinque minuti dopo la ragazza era adagiata su uno dei tavoli di legno.
Si era difesa bene quando le aveva liberato le caviglie, al punto che era stato costretto a puntarle addosso la pistola.
Aveva le gambe un po’ corte e le cosce muscolose e, quando provò a ficcarglielo, dovette allargarle a forza con le mani.
Aveva scelto bene questa volta e, quando le aveva strappato la camicetta aveva emesso un gemito che prometteva molto bene.
Stava reagendo nel migliore dei modi, mentre lui le toccava i seni grandi e duri.
Ebbe solo un momento di ripensamento e cercò di allontanarlo, stringendo le cosce, ma Matteo le rifilò una raffica di schiaffi sui seni. Vide le sue tette sballottate a destra e sinistra, diventare rosse, poi lei allargò completamente le gambe e lo fece entrare definitivamente.
Si muoveva come una forsennata, sembrava quasi fosse lei a dirigere la danza e, quando ebbero finito cominciò a dire che voleva farlo ancora, che voleva prenderlo in mano e poi fargli un pompino.
Va beh, stasera è tutto improvvisato, e poi ho la pistola, lei non lo sa mica che è finta.
Ora era seduta sul tavolo di legno e glie lo stava carezzando.
‘Per favore, mi prendi la borsetta, mi serve un fazzolettino.’
Gli aveva parlato come se fossero due amici e lui, senza pensarci, aveva raccolto la borsetta da terra e glie l’aveva data.
Era stato un attimo, la ragazza aveva lasciato cadere la borsetta ed ora impugnava a due mani una pistola quasi uguale alla sua.
Dalla borsa semi aperta, finita in terra, spuntava un distintivo che Matteo riconobbe subito, visto che da anni aveva un amico poliziotto.
‘In alto le mani, sono un agente di polizia, questa pistola, a differenza della sua, è vera e carica.’
Quando lo aveva fatto salire in macchina, con i polsi ammanettati, gli aveva pure fatto abbassare la testa, come lui aveva visto fare tante volte, nei filmati del telegiornale.
Era fregato, finito.

Quanti giorni era che si trovava in quella cantina?
Sette, forse dieci, forse di più.
Tutto il giorno seduto su una sedia, con le braccia dietro la schiena, bloccate dalle manette e le caviglie legate alle zampe della sedia.
Doveva resistere fino a sera, senza mangiare, senza bere e, soprattutto, senza andare al cesso, perché la poliziotta non sarebbe arrivata prima che facesse buio.
Il primo giorno si era pisciato sotto, poi aveva imparato a resistere.
La cantina era fredda ed umida e lui completamente nudo.
Quella mattina, come tutte le mattine, lo aveva masturbato.
Sì, lui era sdraiato sul lettino sudicio, con le braccia legate e le gambe aperte, bloccate alla testata del letto da altre due paia di manette (ma quante cazzo di manette hanno ‘sti poliziotti?) e lei si era avvicinata e glie lo aveva preso delicatamente tra le dita.
Lo aveva masturbato una prima volta, fino a vedere il suo sperma zampillare (beh veramente, dopo giorni e giorni di quel trattamento ripetuto, più che altro gocciolava).
Poi si era masturbata lei.
Indossava solo una camicia da notte. Se l’era tolta rimanendo completamente nuda, poi aveva infilato una mano in mezzo alle gambe ed aveva cominciato a toccarsi con una tale voluttà che a Matteo era tornato duro, nonostante tutto.
Allora lo aveva masturbato di nuovo.
Sarebbe impazzito se continuava così.
Solo dopo la terza volta si era avvicinata a lui e gli si era messa a cavalcioni.
Gli aveva spiegato, fin dal primo giorno, che non gli piacevano gli uomini che venivano subito, e con questo trattamento sarebbe durato di più.
Era rosso, duro e secco e gli faceva un male cane, ma lei, implacabile, gli si era messa a cavalcioni e si era impalata.
Aveva ragione, era durato molto, anzi per come si sentiva lui, decisamente troppo.
Lei era soddisfattissima, gridava e gemeva mentre si muoveva come una forsennata, passando da un orgasmo all’altro.
Quando si era alzata, Matteo era quasi svenuto.
‘Il bacino del buongiorno, caro.’
Aveva cominciato a succhiarglielo, sapeva che doveva sopravvivere al pompino del mattino, poi avrebbe avuto tutta la giornata per riposarsi, in attesa di quello che gli avrebbe fatto la sera e la notte.
Ecco, la porta della cantina si era aperta ed era comparsa lei.
Era ancora in divisa.
Gli aveva liberato le caviglie e lui era potuto andare al cesso. Appena in tempo.
‘Una giornataccia caro, stiamo tutti cercando un rappresentante di commercio misteriosamente scomparso da due settimane.
Hanno trovato solo la sua auto abbandonata, con le chiavi nel cruscotto, vicino ad un fiume, e le scarpe sulla riva. Ora stanno scandagliando il fiume. Oggi ho parlato con la sua compagna. Una bella ragazza, poverina, era così triste.’
Matteo guardò nell’angolo, dove lei gli aveva fatto ammucchiare i vestiti, il primo giorno.
Le scarpe non c’erano più.
Ora era sdraiato sul letto e lei si era rapidamente spogliata.
Era carina: piccolina e formosa, con un caschetto di capelli castani e ‘
‘ lo aveva già preso in mano.

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