Skip to main content
Racconti di Dominazione

La cagna di Chiara

By 27 Giugno 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Chiara è una mia compagna di classe ed è anche la mia migliore amica. Chiara è la mia padrona. Scoprii di nutrire per lei un sentimento differente dall’affetto tipico che s’instaura fra due coetanee che frequentano lo stesso liceo. Lei è molto intelligente, si accorse subito della mia naturale propensione alla schiavitù.
In fondo non era giusto. Lei era più alta di me, molto più bella con quella chioma liscia e splendente di capelli castani che le ricadevano fin a mezza schiena, era più brava di me a scuola, aveva i voti più alti, era più brillante, era stimata e adorata persino dai professori. Non era giusto, dicevo, che io e lei fossimo alla pari. Glielo dissi. Lei rimase un po’ titubante, poi si sciolse in fretta.
Si sedette sul divano in sala, eravamo sole in casa.
“Inginocchiati” ordinò.
Io mi gettai ai suoi piedi e glieli baciai. Calzava dei sandaletti che lasciavano scoperto il dorso del piede e le dita e baciai anche quelli. Lei sollevò una gamba.
“Lecca la suola”
La suola era sporca di terra ed altro; non so dove avesse camminato, poteva esserci anche qualcosa che avrebbe potuto farmi male. Chiara mi pigiò la scarpa sul viso.
“Lecca, bastarda!”
Se lo poteva permettere. Ero la sua cagna. Leccai, dal margine al centro, poi succhiai il tacco.
“Toglimi i sandali e leccami i piedi. Anzi no, non ne sei degna. Baciameli. Baciameli finché non ti darò ordine di fermarti”
Le tolsi i sandali, lei si sdraiò sul divano poggiando le caviglie sui braccioli. I suoi piedi sporgevano a mezz’aria e Chiara li muoveva sensualmente.
Li baciai.
Li adorai.
Erano un pochino sudati sulla pianta ma a me sembrò d’abbracciare il paradiso.
Chiara accese la televisione e si guardò un film. A metà del primo tempo mi disse “Basta bacini. Lecca”
Leccai. Mi fermò di nuovo dopo pochi minuti.
“Bene fra le dita. E non dimenticare il tallone”
All’intervallo mi fece smettere, mi costrinse a mettermi a quattro zampe davanti al divano e mi usò come poggiapiedi.
Il film terminò.
“Seguimi a quattro zampe”
Mi condusse in giardino. Camminava scalza sull’erba e a me sembrava che i suoi Divini piedi non toccassero neppure gli steli delle piante.
Mi legò ad un palo e mi frustò.
“Prendi, cagna” urlava, mentre la mia pelle veniva segnata dai morsi della frusta.
Dopo un po’ mi slegò, mi portò su di una panchina ai margini del prato e si sedette.
“Puliscimi i piedi”
Aveva camminato sull’erba e le piante avevano raccolto polvere mescolata a rugiada. Era giusto che fossi io a pulire le sue estremità. Chiara lo sapeva. Ordinò giustamente che lo facessi impiegando la sola lingua.
“Portami le scarpe”
Gliele portai e le calzai ai suoi piedi. Lei mi prese per i capelli e mi trascinò in macchina. Mise in moto e mi portò non so dove, io ero chiusa in bauliera.
“Forza, scendi”
Scesi a quattro zampe, perché ero sicura che dovessi fare così. Mi ritrovai al margine di una strada fuori mano, in mezzo ad un bosco. La macchina era ferma in una piazzola sterrata. Chiara incombeva su di me. Sollevò un piede e calò il tacco alto della scarpa sulla mia mano, facendomi molto male. Quel piede insolente e bellissimo stava schiacciando le falangi ed il mio unico desiderio era chinarmi di più e baciarne le dita.
Chiara stringeva i miei luridi capelli con la sua nobile mano e non mi permise di muovermi.
“Veruska” disse poi.
Una donna alta e bionda, dai lineamenti nordici, venne verso di noi. Calzava stivali alti fino al ginocchio nerissimi ed indossava una pelliccia di infima qualità.
Come Veruska mi arrivò davanti il piede di Chiara che schiacciava la mia mano si sollevò e calò sulla mia nuca. Sfracellò la mia faccia sul terriccio.
“Lecca i suoi stivali” ordinò Chiara.
Veruska mise la punta dello stivale destro sotto al mio viso ed io leccai.
Feci lo stesso con l’altro. Ora Chiara era seduta sulla mia schiena e mi dava schiaffi sulle guance e calcetti sul seno.
“Veruska, siediti un attimo. Riposati”
La prostituta si fermò.
Chiara si alzò e si sollevò la gonna, poi abbassò le mutandine e si accucciò.
“Sdraiati con la schiena a terra e metti la testa sotto di me” ordinò.
Lo feci.
“Apri la bocca”
Chiara mi versò una buona quantità di piscio in bocca, si fece pulire e leccare. Poi venne con entusiasmo nella mia bocca.
“Ora voglio farlo io” s’intromise la prostituta.
Veruska mi faceva schifo, effettivamente, ma Chiara voleva che io la servissi e la riverissi come una schiava perfetta sa fare e non potei sottrarmi ai miei doveri.
Veruska si sfilò gli stivali, mi fece leccare i suoi piedi da baldracca da strada, si fece leccare la passera e mi pisciò in bocca. Poi mi sputò sulla lingua e mi ordinò d’inghiottire.
A quel punto Chiara mi prese per i capelli, sollevò nuovamente la sua corta gonna plissettata e mi schiacciò la faccia fra le sue natiche.
D’istinto presi a baciare e leccare la fessura delle natiche.
“Smetti, bastarda!” esclamò lei.
Appena mi fermai mi scorreggiò in bocca. L’odore m’invase le narici.
“Apri bocca”
Lo feci e lei scoreggiò di nuovo. Rise. Rise anche Veruska. La puttana aiutò Chiara, spingendomi la testa fra le natiche bellissime della mia dominatrice.
“Lecca, che aspetti?!” rispose Chiara stizzita.
Lo feci con immenso ardore. Volevo che la mia amica rimanesse soddisfatta di me e dai gemiti di piacere che udii penso di esservi riuscita.
Purtroppo sul più bello Veruska mi tirò via dal bel culetto di Chiara, spingendo la mia testa fra le sue chiappe lardose e sfatte.
Dovetti baciare anche quelle, perché la prostituta m’incitava con urla volgari e mi avrebbe strappato i capelli se avessi disobbedito. Inoltre era un ordine di Chiara. Quando ebbi soddisfatta la puttana fui allontanata a male parole. Chiara mi afferrò per i capelli e mi sbatté senza complimenti in auto, salutò con cordialità la prostituta e ci allontanammo. Giungemmo ad un edificio basso adibito ad uffici. Lì Chiara mi fece scendere e mi condusse in un piccolo ufficio solitario.
C’era una donna di qualche anno più anziana di me e di Chiara. Evidentemente ci attendeva.
“Ciao Melissa” disse Chiara.
“Oh, la mia cara cuginetta” rispose l’altra “Cosa mi hai portato?”
“Ti presento Letizia, la mia nuova cagnetta”
“Ah, e di che razza è?” chiese Melissa, chiudendo l’ufficio alle sue spalle. Eravamo sole.
“Una cagnolina bastarda”
“Ma fedele?”
“Chissà! E’ buona per leccare i nostri piedi, senz’altro”
“Mettiamola alla prova!” esclamò Melissa facendomi mettere a quattro zampe e pigiandomi un piede sulla testa. Chiara si mise di fronte a me, con la punta dei piedi a pochi centimetri dal mio viso. Sapevo cosa fare. Tirai fuori la lingua e le leccai le dita. Lei mostrò di approvare il gesto muovendo le punte. Il suo risolino arrogante mi fece sentire come la cagna che sono. A turno le due aguzzine si fecero pulire i piedi e le delicate scarpette, mi calpestarono, mi tirarono calci. Erano bellissime, magnifiche, mi dominavano con crudeltà e piacere. Ho provato dolore, in quel momento, ma un amore così intenso nei confronti della padrona Chiarada non poter essere descritto a parole.
Melissa si sedette poi sulla sedia dietro la scrivania, mi obbligò a strisciare sotto al piano del tavolo e da lì mi ordinò “Leccami i piedi finché non avrò terminato di lavorare”
Mentre la mia lingua saettava fra le dita e sul tallone udii le sue mani al lavoro sui tasti della console del computer. Chiara mi guardava da sopra e sorrideva con malizia.
“Quanto ne hai ancora?” chiese alla cugina.
“Un paio d’ore”
“Non me la seccare, che dopo ne ho bisogno anch’io”
“Cosa?”
“La sua lingua. Non mi seccare la sua lingua”
“Non preoccuparti, cara. E’ solo per il sudore. Sai, sto in piedi tutto il giorno. Fra un po’ smetto e la uso come zerbino”
“Ah, allora va bene. Te la lascio. Vado a fare un giro”
Si chinò verso di me.
“Ciao cagna, torno a prenderti dopo. Tratta bene Melissa ed i suoi piedi, fai conto che siano i miei”
“Si Chiara” dissi e mi impegnai ancor più a fondo di prima nel pulire le delicate piante dei piedi di Melissa al fine di dimostrare la mia fedeltà.
La mia dominatrice fu di parola e torno dopo un paio d’ore. Melissa aveva già terminato di lavorare da qualche minuto e nel frattemposi era divertita a cavalcarmi ed a calpestarmi.
Chiara mi riaccompagnò a casa sua e mi portò nella sua camera. Mi fece gattonare come la bestia a quattro zampe che sono sotto la scrivania della sua cameretta e si sedette davanti a me.
“Per domani abbiamo da preparare Fisica e Storia, non è vero?” chiese
“Si Chiara”
“Allora adesso io studio e tu mi lecchi”
“Si”
Prese i libri, mi schiacciò il naso fra le dita dei piedi e disse “Lecca”
Leccai. Dopo un’oretta allontanò le sue bellissime estremità dal mio volto indegno.
“Leccami le gambe, le cosce e quello che sai”
Lo feci con dolcezza. Chiara terminò di ripassare Storia e passò a Fisica. E’ una materiaccia, la Fisica, non l’ho mai digerita. Chiara invece è bravissima. Chiara è bravissima in tutto quello che fa, anche se non ci mette impegno.
Verso le sette di sera la mia amica e padrona terminò di studiare. Fuori era il crepuscolo.
“OK, stupida, è ora di cena. Io vado in pizzeria, tu rimani qui e pulisci tutta la mia camera”
“Si Chiara”
“Però non ho voglia di spendere soldi. Il conto della pizzeria lo pagherai tu”
“Si”
“Facciamo una pizza ed un’aranciata. Quanto potrei spendere?”
“Mmmm….circa quindici euro….”
“Già già…facciamo cinquanta. Tira fuori i soldi”
“Si Chiara”
Se ne andò.
“Buon appetito padrona”
“Fottiti. Pulisci e fallo bene”
“Si, obbedisco”
Mi misi immediatamente al lavoro. Pavimenti, mobili, vetri…pulii ed ordinai utto.
Chiara tornò dopo un paio d’ore, si guardò attorno e disse “Le scarpe me le hai pulite?”
“Quali scarpe?” chiesi
“Troia! Le mie scarpe! Quelle nel ripostiglio!”
“Non sapevo di doverlo fare!”
“Bastarda! Va bene, lo farai dopo. Ora andiamo alla televisione. C’è un programma che m’interessa”
Mi usò come poggiapiedi per tutta la proiezione del film e non mi permise neppure di fiatare. Alle undici di sera, stanca dall’impegnativa giornata di dominazione, la mia padrona decise di concedersi il meritato riposo. Mi portò in bagno, mi pisciò in bocca e si pettinò. Dopo avermi fatto sciacquare faccia e bocca con l’acqua dello scarico del water mi portò in camera sua e mi legò ai piedi del letto.
“Tu sarai il mio zerbino. Infila la testa sotto le coperte e leccami i piedi finché non mi addormento. Resta con la faccia a contatto dei miei piedi. Se stanotte mi sveglierò ti darò un calcio in faccia e tu riprenderai a leccare”
“Si Chiara”
“Si Chiara un cazzo, cagna! Quando siamo sole mi devi chiamare padrona”
“Si, padrona”
“Bene, lecca”
La luce della lampada da tavolo si spense. Infilai la testa sotto le coperte. Al buio leccare i piedi della mia signora mi diede ancora più soddisfazione. Lei continuò a muovere i suoi piedini sul mio volto per qualche minuto, poi i suoi movimenti si fecero da prima languidi (credo di essere riuscita a farla godere), poi lenti e scostanti. Così la mia lingua, da iniziali movimenti frenetici passò a carezze dolci e morbide e poi a bacetti appena accennati.
Mi addormentai.
La mattina successiva mi svegliai con un piede di Chiara in bocca. Che bella sensazione! Lo baciai e lo leccai a lungo senza svegliare la mia padrona, poi andai a preparare la colazione e tornai in camera. Lì ripresi a leccare le divine estremità della mia amica ma con maggior vigore. Chiara si svegliò e fece colazione, tranquillamente e con gusto, mentre io davo sollievo al suo culetto con la mia indegna lingua.
Andammo a scuola e naturalmente fummo interrogate insieme, sia a Fisica che a Storia. La mia eccelsa padrona superò entrambe le prove con il massimo dei voti, io nessuna delle due. Al banco Chiara sorrise con superbia del mio fallimento e sussurrò al mio orecchio “Dopo scuola ti voglio a casa mia. Hai scordato che devi ancora lucidarmi le scarpe, cagna….”

La cagna di Chiara, tre anni dopo
di Tom
tom7520@hotmail.com

Era una di quelle feste in cui si respira un’aria snob di noia e routine, quelle feste degli ex alunni del liceo a cui gli invitati prendono parte più per dovere che non per effettivo interesse. Perché, ad anni di distanza dal diploma, degli ex compagni di classe non gliene importa più nulla a nessuno. Comunque erano tutti lì, Francesco, Marco, Alessandra, Erica e gli altri, intenti a far finta che gli ultimi tre anni non fossero stati anni di promesse non mantenute come per gli altri. Il luogo dell’incontro, un albergo non malaccio a tre stelle sulla Riviera ligure. Alcuni dei partecipanti al ritrovo sul tardi se ne sarebbero andati a casa loro, accompagnati o con mezzi propri. Altri avrebbero trascorso la notte in una delle camere d’albergo.
Verso la mezzanotte alcuni invitati iniziarono ad andarsene. La festa era il massimo della noia, soporifera come un film di Nanni Moretti giudicò qualcuno. Fra i rinunciatari della prim’ora anche la ripetente (ed ex schiava di classe) Letizia, che si alzò dal tavolo traballante per qualche bicchiere di troppo. Alessia, cinica e subdola ancor più di come apparisse in classe tre anni addietro la guardò andar via e con la sua nota aria superba da primadonna sibilò nell’orecchio di Elisabetta ”Guarda quella, in che condizioni’!’-
Elisabetta annuì ”La nostra sguattera leccapiedi proprio non lo regge l’alcool. Come non reggeva la scuola. Hai visto? Tu hai trovato subito un impiego nell’azienda di tuo padre, e io ho un futuro quale ricercatrice universitaria mentre lei si è ridotta a fare la commessa in un negozietto di quarta categoria. Che perdente”-
-‘Hai proprio ragione’- rise Alessia con aria di superiorità ”Perché non la seguiamo in camera? So che passa la notte qui’-
-‘E poi?’-
-‘Poi lo sai benissimo. Tu non hai i piedini indolenziti?’- domandò Alessia.
L’altra sorrise con un’espressione diabolica ”Ora, subito?’-
-‘Fra una mezz’ora. Prima diamole il tempo di mettersi a letto e assopirsi. La leghiamo ed imbavagliamo nel dormiveglia, poi”-
E risero.

Letizia barcollò lungo il corridoio deserto del primo piano (la festa era al pianterreno) dirigendosi alla volta della sua camera. Girò l’angolo e, senza accorgersene, urtò contro una persona. Sollevò lo sguardo verso di lei e impiegò qualche attimo per riconoscere chi fosse.
-‘Letizia Letizia! Hai alzato un po’ il gomito, vedo’- disse una voce melliflua con tono sarcastico
-‘Chiara?’- balbettò Letizia con la voce impastata d’alcool.
-‘Già, proprio io. Mi sono attardata per farmi bella, che te ne pare?’-
Chiara vestiva un abito da sera, elegante ma senza troppe pretese, tutto nero. La gonna le arrivava alle ginocchia, non indossava calze e le scarpe dal tacco molto alto aperte in punta lasciavano scoperte le dita dalle unghie smaltate di rosso corallo.
Letizia non rispose alla domanda, tentò di avanzare oltre la figura imponente dal suo punto di vista della compagna di classe ed ex padrona ma come compì un passo udì l’altra esclamare ”E questo cos’è?’-
Letizia non badò a cosa avesse da urlare Chiara ma quest’ultima la artigliò per i capelli e la costrinse a voltarsi. Forzò il viso di Letizia ad abbassarsi fino al suo addome e mise gli occhi della ex velina di fronte ad una macchia d’unto che risaltava come una medaglia sul tessuto nero del vestito.
-‘Ho chiesto cos’è questo?’- ripeté Chiara.
-‘Eh?!’- Letizia non capiva più nulla.
-‘Brutta stronza. Hai sporcato il mio abito, adesso come faccio ad andare alla festa? Carogna, hai rovinata la mia serata!’-
-‘Mi’mi’ma sono stata io?’- ciangottò la schiava scotendo la testa da una parte e dall’altra. Le gambe le stavano cedendo. Chiara le rifilò uno schiaffo così forte che la fece girare su se stessa come una trottola. Quando si fermò rovinò sul pavimento del corridoio ai piedi della sua arrogante collega.
-‘Certo che sei stata tu! Leccapiedi del cazzo! Dovresti baciare il suolo su cui poggio i piedi ma poi dimostri di non saper fare un accidente! Ma ora ti aggiusto io!’- prese una confusa Letizia per i capelli e la costrinse a seguirla nella sua camera.
Chiuse a chiave la porta dietro di se, sbatté la povera ubriaca sul letto e si voltò verso di lei.
-‘Adesso vediamo un po’ se riuscirai a farti perdonare del tuo sbaglio. Devo punirti, lo capisci anche da sola, anche con quella testolina da sguattera che ti ritrovi. Tuttavia non voglio che tu pensi male di me, sai io non sono cattiva. Se mi farai trascorrere una bella serata ti potrò perdonare’-
-‘Una bella serata? Che’come sarebbe una bella serata?’-
Chiara sorrise malignamente, si diresse verso la finestra con vista sul mare e si sedette comodamente sulla poltrona della stanza.
-‘Vieni qui, striscia fino ai miei piedi’-
Letizia discese dal letto. Cercò di stare in piedi ma ormai l’alcool l’aveva stordita e cadde in ginocchio. Tentò di rialzarsi.
-‘Non ti accaldare. Ho detto ‘striscia’ ai miei piedi, quindi va bene che tu avanzi a quattro zampe. E ora muoviti’-
Letizia obbedì. Si avvicinò e raggiunse la sua temibile padrona che, per nulla impietosita dall’andamento incerto della ragazza, la sovrastava e sorrideva. Quando la schiava le fu proprio davanti lei sollevò una gamba e le puntò contro un piede.
-‘Lecca’-
-‘Cosa?’-
-‘Come cosa? Vedi qualcos’altro davanti a te oltre al mio piedino?’-
-‘Ma”-
Chiara spinse in avanti il piede ed il tacco della scarpa affondò nella bocca di Letizia. La serva restò immobile, troppo sorpresa e ubriaca per reagire, mentre l’altra le schiacciava il naso sotto la suola dell’elegante scarpetta.
-‘Succhia il tacco’- disse e contemporaneamente schiacciò una delle mani di Letizia sotto all’altro piede.
La serva urlò, Chiara ne approfittò per spingere tutto il tacco nella sua bocca.
-‘Obbedisci’-
Letizia obbedì. Succhiò il tacco con un movimento altalenante fuori dentro come si fa con un bell’uccello turgido. La serva si stava dimostrando un’esperta in questo lavoro.
Dopo qualche minuto la padrona fermò la sua ospite ”Ora leccami la suola’-
Letizia iniziò con lente lappate sulla suola, incurante della polvere e del sudiciume non identificato che mandava giù con la saliva. Anche Chiara a dir il vero era poco interessata a quel che la ragazza avrebbe potuto inghiottire, presa com’era dalla pulizia delle sue aristocratiche calzature. Tuttavia le scarpe erano abbastanza nuove ed erano state usate per poco tempo.
-‘Ora l’altra’- disse ”Sollevò il piede che stava torturando la mano di Letizia e glielo pose di fronte al viso, poi calò l’altro sulla mano ancora sana dalla velina. Letizia gemette quando il tacco della scarpa appena lucidata la penetrò sul dorso della mano.
Chiara non allentò la pressione, anzi, ruotò il tacco e sollevò la suola della scarpa per provocarle ancor più dolore.
-‘Se fai velocemente finisci prima e la tortura sarà breve. Perdi tempo in inutili urletti e non finirai mai. Ti avverto, non usciremo da questa stanza prima che le mie scarpe siano pulite. Ora lecca, stupida’-
Letizia obbedì. Era una cagna in mano alla sua cinica e spietata aguzzina, la sbronza non le aveva ottenebrato la mente tanto da non capire questo. Si arrese ai sadici capricci della padrona e leccò da cima a fondo la suola della sua scarpa. Spompinò anche il tacco come aveva fatto precedentemente e solo allora Chiara le lasciò la mano. Pose i piedi ancora calzati sul pavimento davanti a Letizia e disse ”Ora che le suole sono pulite manca solo il dorso delle scarpe. Pulisci anche quello’-
Si adagiò ancor più comodamente sulla poltrona ed attese. Letizia, ormai in balia della sua padrona non poté fare altro che obbedire a quest’ennesimo ordine. Impiegò alcuni minuti e quand’ebbe terminato le scarpe della sovrana erano lucide come il giorno in cui erano uscite dalla scatola. La lingua della velina al contrario era a pezzi.
-‘Brava, quell’aria da santarellina timida e dolce, quell’espressione dolce da brava ragazza che ti ritrovi stuzzica la mia fantasia. Ho da chiederti qualcos’altro’- disse Chiara, togliendosi le scarpe e poggiando con un elegante movimento l’incavo delle ginocchia su uno dei poggiamani della poltrona ”Leccami i piedi’-
Letizia le prese le caviglie e sollevò le estremità della sua crudele proprietaria all’altezza del proprio viso in modo da non farla stancare.
-‘Lecca, lecca, cagna schifosa. Così’ah” gemette Chiara. Ma i suoi erano gemiti di piacere. La lingua della sottomessa le stava dando piacere e non aveva motivi di nasconderlo ”Ora fra le dita, sai dove si raccoglie il sudore? Brava, leccapiedi, così’Ah, vedi come ti trovi bene quando svolgi il lavoro per il quale sei nata? Su, continua, non ti fermare, non ti fermare mai”-
Chiara muoveva i piedini mostrando alla sua nuova schiava i punti in cui voleva farsi leccare. Prima sulla pianta, che era liscia e un poco sudata, poi sui talloni, forti e ben modellati. Infine fece risalire Letizia verso le dita, la costrinse a leccare negli spazi e a prenderle in bocca una per una succhiandole come i tacchi delle scarpe. Sempre più perversa la padrona ordinò alla schiava di leccare e pulire con attenzione lo spazio sotto le unghie fin dove la sua lingua riuscisse ad arrivare. Letizia lucidò una per una le unghie dei piedi di Chiara, la sua lingua fu una limetta che asportò ogni traccia di sporco accumulatosi durante il pomeriggio.
-‘Ora sul dorso, ubriacona’- ordinò la padrona ”risali fino alle mie caviglie, lecca’-
Letizia operava, ormai incapace di prendere alcuna decisione autonoma. Leccava, baciava, adorava quei piedi meravigliosi come fossero opere d’arte. E Chiara la guardava dall’alto, beandosi del senso di potere che le dava quella visione, sorridendo come una predatrice che vede la sua preda ormai perduta fra i suoi artigli.
Infine, quando si fu stancata del degradante servizio della sottomessa piegò le gambe raccogliendole contro il proprio busto. Letizia, sentendosi portar via quelle estremità così attraenti fece per andar loro incontro. Chiara allora distese di colpo le gambe e colpì con entrambi i piedi la faccia della serva. I suoi talloni schiacciarono le labbra che fino a un momento prima le avevano dato tanto piacere, le piante dei piedi colpirono le guance della sottomessa. Letizia fu spinta via e cadde di schiena con un tonfo. Le lacrimavano gli occhi, in bocca un forte sapore di sangue ed il labbro inferiore era tutto intorpidito.
Chiara non attese un attimo, spiccò un salto dalla poltrona e piombò con tutti e due i piedi uniti sulla pancia dell’inferiore, troncandole il respiro. Letizia avvertì che tutta l’aria contenuta nei polmoni se ne andava in un sol colpo, restò boccheggiante a terra con la padrona immobile e sorridente sopra di lei che giocava ad affondare le punte dei piedi nel suo morbido addome, constatando quanto riuscisse a far penetrare le sue estremità nella pancia della sconfitta.
-‘Questo vedrai ti farà riprendere dalla sbronza’.o ti riprendi o schianti definitivamente’-
Iniziò a camminare lungo il corpo di Letizia, il petto, schiacciò le sue tette ben modellate fin a ridurle a oggetti piatti e informi, poi passò alla gola dove vi piantò le dita del piedino destro fino alla radice per constatare se la serva avrebbe reagito ( e quella non reagì),infine la faccia, sulla quale sostò per diversi minuti con tutto il suo peso.
-‘Ti sei ripresa?’- chiese una volta scesa dal corpo della sguattera. Quest’ultima non disse nulla.
-‘A no?’- sogghignò la giovane dea ”In questo caso’terapia d’urto!’-
La prese per i capelli e la fece strisciare verso il bagno. Letizia non gattonava nemmeno più. Strisciava letteralmente dietro ai piedi della sua sovrana che, etera come un fantasma, camminava leggiadra ed aggraziata senza emettere rumore.
La condusse davanti alla tazza del water, le infilò la testa dentro ed abbassò la tavoletta.
-‘Non scalciare, ora. Se per caso mi prendi ti calpesto con i tacchi a spillo fino a spaccarti tutte le ossa’-
Schiacciò il pulsante dello scarico ed un turbine d’acqua gelida e spumeggiante schiaffeggiò la faccia della sguattera. L’acqua entrò nelle narici ed in bocca di Letizia, nelle orecchie e negli occhi. Le tolse l’udito, la vista e la soffocò. Non appena il gorgo di schiuma si fu ritirato Chiara sollevò l’asse e tirò fuori la testa della schiava strattonandola per i capelli.
-‘Sobria? Non ancora, eh? Allora qui ce ne vuole un’altra dose’- fece per rischiaffare il viso della serva per la seconda volta in fondo alla tazza, poi sembrò ripensarci ”Anzi no, ora devo usarlo io il water’-
Sembrò voler tirare via la testa della sottomessa dalla tazza ma di nuovo si fermò a mezz’aria e dopo un momento d’indecisione ritornò a spingere dentro la faccia di Letizia fin a farle toccare col naso l’acqua sul fondo del cesso.
-‘Mi è venuta un’idea migliore’- disse e sollevando la corta gonna abbassò gli slip e andò a sedersi con le sue belle natiche sulla nuca dell’inferiore. Il contatto della pelle del sedere con i capelli bagnati della schiava la fece eccitare. Le orinò abbondantemente in testa, infradiciandole le poche ciocche di capelli ancora asciutte; rivoli di piscio grondarono sulla faccia di Letizia fino a confluire negli occhi, fino a raccogliersi sulle labbra. Le gocce che la raggiunsero in bocca Letizia le deglutì tutte. Il sapore acre della pioggia dorata la risvegliò parzialmente.
Chiara si alzò, si pulì con un po’ di carta igienica che gettò nel water, assieme alla testa della serva e riabbassò la tavola del cesso. Letizia capì cosa stava per succedere e tentò di alzarsi. La padrona sentì che la serva voleva sottrarsi alla giusta punizione alla quale la stava sottoponendo e fermò l’asse ponendovi sopra uno dei suoi aggraziati piedini. Azionò lo scarico. Una volta, due, tre. Ogni volta la reazione di Letizia si faceva sempre più debole. La quinta volta non diede segni di voler reagire. Solo allora Chiara sollevò l’asse. L’inferiore crollò sul pavimento.
La padrona le stuzzicò un po’ il volto con la punta del piede e Letizia, per istinto forse, glielo baciò quando lo ebbe proprio davanti alle labbra ma non si alzò.
-‘Beh, sei perdonata. Mi sono divertita abbastanza. Purtroppo ora devo andare, magari ti mando qualcuno a raccoglierti dal pavimento. Oh, mi raccomando se ti domandano chi ti abbia ridotto in questo stato acqua in bocca, eh? Il mio nome non deve venir fuori!’-
Uscì dal bagno, si rimise le scarpe e se ne andò.
Pochi minuti dopo, la schiava si era ripresa appena un poco ed era riuscita ad alzarsi in piedi, nella stanza entrarono come furie anche Alessia ed Elisabetta.
-‘Abbiamo incrociato Chiara qui fuori. Ci ha detto che ti eri nascosta qui. Ti volevi sbarazzare di noi. Eh? Ma ti abbiamo trovata lo stesso’- disse Alessia con infinito disprezzo nella voce. Elisabetta invece era sorridente, masticava una gomma americana e pregustava le ore a venire.
-‘Mi sembra già sfinita’- disse
-‘Che vuoi che sia?! Sarà ancora sbronza da prima’- disse la sua compagna.
-‘E quei lividi?’-
-‘Mah? Che ce ne importa, dopotutto? Allora, giochiamo o no?’-
Elisabetta si avvicinò alla schiava ormai disfatta, le prese i capelli e le torse il collo, guardandola dall’alto, poi le fece aprire la bocca e le sputò la gomma direttamente sulla lingua.
-‘Ingoia’- ordinò. Letizia, obbediente come aveva imparato a tornare ad essere grazie a Chiara, eseguì. Elisabetta rise ”Si, giochiamo’-

1
1
tom

Leave a Reply