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Racconti di Dominazione

la donan della libreria

By 13 Novembre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Non che credesse al destino. Era sempre stato convinto che gli esiti dell’esistere ce li costruiamo noi. Ciascuno di noi. Scegliendo ogni volta l’opzione che riteniamo migliore. Tessendo e ritessendo la tela, migliaia di volte. Ma che qualcosa o qualcuno scombinasse le carte. Un divertito e perverso croupier, magari. Beh iniziava a pensare che fosse possibile, se non probabile. Altrimenti come cazzo si spiegava che fosse finita proprio in quella piazza’Perché era certo che fosse Lei. La osservava dalla soglia della sua libreria, nascosta in un angolo buio della piazza, quasi sempre dimenticata, complice anche l’insegna anonima che nulla rivelava della magia che il negozio squadernava seducente ai pochi temerari che ne varcavano al soglia. Del resto non era lì per quello. Da tempo ormai sapeva di avere una missione. E spesso si era compiaciuto delle variabili infinite di gioco, dei trucchi che il croupier inseriva nella partita per renderla più interessante. Una sola cosa infondo gli importava. Non farsi sconfiggere dalla noia. E Lei. Lì, ondeggiante sui suoi tacchi a spillo dorati, dall’altra parte della piazza. Lei, che percorreva ad ampie falcate lo spazio del marciapiede. E poi lo ripercorreva. Lei che aspirava avida il fumo del sigarillo che stringeva tra le dita, forse un filo tremanti. Forse. Lei era il perfetto antidoto alla noia. L’asso nella manica del suo avversario. La variabile impazzita gettata sul tappeto verde dal croupier. Ma ora lui, il libraio, non doveva avere fretta. Doveva studiare uan strategia per volgere la mossa del suo avversario a suo favore. La donna osservava le spirali di fumo salire lente dalla punta del suo sigarillo. E contava. Presto si era accorta che la cadenza con cui contava il lento ascendere successivo delle spire era identica a quella con cui Lui contava , anzi con cui lui chiamava i suoi colpi. Implorava i suoi colpi. Aveva sorriso. Un sorriso ironico. Una sorta di taglio nella penombra del volto. Un sorriso che non aveva alterato il cupo bagliore dei suoi occhi. Neri come la pece. Era in ritardo. Non era da Lui. Soprattutto non era ammissibile. Lo avrebbe punito. Doveva solo decidere come. Del resto, il lento sinuoso sfregare del bordo delle sue calze di seta contro l’interno delle sue coscie. Era una fonte di ispirazione, bastevole. Certo, a voler ben guardare frustarlo non sarebbe servito. Amava troppo il suono della sua frusta. Il sorriso che compariva negli occhi di lei quando alzava il braccio per colpire. Nemmeno il suo fedele gatto l’avrebbe aiutata stavolta. No era da escludere anche lui. Morderlo poi sarebbe solo servito a farlo pavoneggiare come una giovane puttanella avvolta nel suo neglig&egrave di seta nuovo di zecca. No. Ci voleva qualcosa d’altro. Mentre lanciava occhiate distratte lungo il perimetro della piazza l’aveva notata. Era proprio all’angolo opposto. Quasi nascosta. Strano le fosse sfuggita. Adorava quel tipo di luoghi. Il profumo del cuoio. Il musicale frusciare delle pagine. La polvere accumulata sugli scaffali più alti. La osservava venirgli incontro dietro lo schermo rigato dalla pioggia battente della libreria. Si era decisa dunque. Non che avesse mai realmente dubitato. Ma la pazienza non era realmente mai stata il suo forte. L’elasticità del passo della donna era una gioia per gli occhi. Camminava decisa, armoniosa, quasi musicale nell’incedere. Capiva l’uomo. Ah come lo capiva. Guardandola ora avvolgere, con dita laccate di rosso, la maniglia della porta in una stretta vigorosa e decisa, era certo che quella forza, quel vigore serrassero l’uomo, il suo cazzo e la sua anima nello stesso modo. E si lo capiva. E forse lo invidiava. Solo un po’. Appena Appena. Ma decisamente lo invidiava. Non c’era più tempo ora. Doveva agire. Lei era lì. Si era tolta il cappello. Un borsalino nero che rivaleggiava degnamente con il tono scuro dei suoi corti capelli. Era bella. Ma di questo era stato certo sin dal primo istante in cui l’aveva scorta al di là della piazza. Era magica anche. E di questo infondo era stato meno sicuro. L’aura di seducente malia l’avvolgeva come un mantello e lei la portava con noncurante dignità. Come fosse un’abitudine di lungo corso. Una vecchia compagna. Bene questo avrebbe reso meno semplice il suo compito. E più divertente la vittoria. Perché avrebbe vinto. Ne era certo. ‘Mi scusi ‘ la donna accarezzava con reverente stupore i dorsi rilegati in cuoio e illuminati dalle lettere dorate dei romanzi esposti nel vecchio scaffale di mogano della parete ad est ‘ a quando risalgono questi volumi? Sono anni che non vedo uan tale cura dei particolari in una brossura” Anche la sua voce era perfetta. Roca, bassa ,avvolgente, con una nota ironica costante che rendeva il tono malizioso. ‘ Lei &egrave un’appassionata signora ‘ si decise a rispondere incrociando per la prima volta lo sguardo di Lei e non riuscendo a trattenere un sorriso compiaciuto ‘ e questo riscalda l’anima di un vecchio libraio come me. E’ sempre più raro trovare giovani che apprezzino. Se me lo permette vorrei mostrale uan cosa, che sono certo troverà di suo gusto. Mi segua’. Si inoltrò tra le vecchie scaffalature di mogano stracolme di libri , come i pavimenti e i tavoli sparsi per il piccolo, labirintico spazio fino a raggiungere una porta che apri deciso. ‘Ecco ‘ suggerì alla donna appoggiando lieve una mano alla base della schiena di lei quasi a saggiarne la concretezza della carne ‘ si prenda pure tutto il tempo che vuole. Io sarò di là. Sono certo che qui troverà quello che cerca. Probabilmente anche di più’. La donna non fece in tempo schiudere le labbra per rispondere che il librario si era già eclissato. Si guardò intorno allora. La stanza era spoglia. Solo la riproduzione di uno dei bozzetti di donna di Schiele campeggiava sulla parete di fondo. Sul tavolo di noce massiccio spiccava il cuoio cremisi della rilegatura di un grosso volume. Le lettere dorate stampigliate sul dorso brillavano alla luce della lampada liberty che illuminava con un piccolo cono di luce la scrivania. Si sedette sulla sedia anch’essa di cuoio e legno scuro. Il profumo era intenso, quasi la stordiva e la sensazione del cuoio contro il caldo umidore delle sue cosce nude non contribuiva certo a farle recuperare lucidità. ‘Venere in pelliccia di Leopold Von Masoch, scelta stravagante certamente – sorrideva tra se la donna – ma molto azzeccata. Un conoscitore abile dell’animo femminile il libraio. Indubbiamente’. Si mise sfogliare il libro velocemente, il frusciare delle pagine mandava brividi di piacere lungo l’arco della sua schiena. Cercava un passaggio. Lo ricordava vagamente. Ma sentiva che lì. Proprio in quelle righe c’era la risposta. ”..quello che provo &egrave una sensazione talmente strana. Non credo di essere innamorato di Wanda, o per lo meno, al nostro primo incontro, non ho avvertito nessuna di quelle fulminee vampate con cui si annuncia la passione. Ma sento la trappola che la sua straordinaria, veramente divina bellezza mi tende. Non si tratta di un’inclinazione sentimentale lievitante in me, ma di un vero e proprio processo di assoggettamento fisico, lento ma tanto più totale. Soffro ogni giorno di più, e lei, lei ci ride sopra’. Si le parole di Gregor erano perfette per Lui. E per lei del resto. Avrebbe riso. Lo avrebbe fatto strisciare, supplicare, implorare una sola occhiata. Il semplice sfiorare della punta aguzza della sua scarpa sul corpo di lui. E poi negandogliela avrebbe riso. Richiese il libro di scatto. Il colpo secco fece contrarre in risposta la sua fica. Non si sarebbe toccata. Il profumo della sua voglia lo avrebbe avvolto. Rendendo lo scrosciare della sua risata ancora più crudele. Per Lui. E sublime piacere. Per Lei. Usci dalla piccola stanza. Percorse la libreria con lentezza deliberata. Pregusta il momento. Sorrideva il libraio tra se. Lo smonta e lo rimonta nella sua mente. Lo colora sempre di sfumature diverse. Lo perfeziona. E ne gode. Ogni volta un po’ di più. Ah come invidiava l’uomo adesso. Ora lo invidiava veramente. Senza esitazioni. In modo feroce. Avrebbe davvero voluto essere lui il Savarin di quella donna. Gli stava sorridendo ora. A lui, all’insignificante, vecchio libraio. C’era tutto in quel sorriso. Gratitudine maliziosa e traboccante femminilità. Era il sorriso della Padrona. Di uan cosa sola si rammaricava. Non sarebbe stato lui a vederlo risplendere in tutta la sua potenza. Era per l’uomo della pioggia. Poteva almeno consolarsi con la certezza, che Lui, l’uomo, ne sarebbe stato degno. E con la certezza che Lui, il libraio, avrebbe rifilato una scala reale al dannato croupier. Rideva la donna mentre usciva dalla piccola libreria. Rideva il libraio nel suo piccolo regno, pensando alla prossima missione. Ce n’era sempre un’altra.

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