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Racconti di DominazioneRacconti Erotici

La lunga notte – cap. 8

By 7 Settembre 2021No Comments

Cap. 8

Il ronzio del cellulare sembra lontanissimo, perso in una nebbia spessa come una coltre di panna.
La mia mano annaspa sul piano del comodino, mentre la testa si sforza per attivarsi. Che accidenti di ore sono? Sul display le cifre indicano le 10 e 37. E lampeggiante, in sincrono con la suoneria, il nome di Francesco.
Rifiuto la chiamata. Ho dormito poco e male, sono stanca, non ho voglia di sentirlo. Pochi secondi e squilla di nuovo. Alla terza chiamata rispondo.
“Che vuoi’?” dico combattendo il pulsare dell’emicrania.
“Buongiorno, ti ho svegliata? Mi spiace, capisco che per te che lavori di notte le dieci e mezza siano l’alba, ma qui in ufficio è dalle otto che si tira la carretta.” ride.
“Francesco, che vuoi da me?” ripeto tra lo stanco e lo scocciato.
“Dai, non devi essere arrabbiata con me. Facciamo così, passa dal mio ufficio per l’una che ti invito a pranzo”
“Non voglio mangiare con te, devi solo lasciarmi in pace, ok?”
“Ehi, ehi, ehi… dobbiamo parlare e a tavola si parla meglio. Abbiamo un segretuccio tutto nostro, abbastanza ben documentato. Io sono sicuro che sia meglio parlarne. All’una da me. In abiti da lavoro”
“Senti stronzo…” ma l’insulto si infrange contro il mutismo del cellulare, ha riattaccato.
Le dita preparano furiose la richiamata, poi finalmente il cervello esce dal suo torpore.
Cazzo, questo è un vero casino. Devo trovare una soluzione, ma non so quale.
Mi alzo e cerco nel mobiletto dei medicinali due aspirine. La doccia come sempre mi rilassa, mi calma e allontana le fitte alle tempie, mentre cerco di riflettere.
Ripenso alle parole della conversazione della sera precedente. Cerco di ricordare quanto possano essere compromettenti, quanto possa essere inequivocabile la situazione, il contesto.
Francesco aveva i cellulari nelle tasche della giacca, la registrazione potrebbe essere confusa, la mia voce irriconoscibile…
Cerco di ricordare. Quello con cui registrava era nella tasca destra, dalla mia parte, abbastanza vicino quindi. Però c’era il tessuto, forse i fruscii dello sfregamento… bisognerebbe sentirla per capire se effettivamente ha qualcosa in mano o no.
Bisogna che vada all’incontro, questo è sicuro.

Una meno cinque, scendo da un taxi di fronte al portone dell’ufficio di Francesco.
Pago i venti euro della corsa con un piede già fuori dell’auto, con la coda dell’occhio incrocio lo sguardo di un passante che fissa la mia coscia, l’autoreggente che sporge dalla mini lo incanta come un cobra.
Attraverso il marciapiede, la porta a vetri mi catapulta nel fresco dell’aria condizionata all’interno dello stabile. Mi appoggio con le spalle alla parete dell’ascensore che sale rapido verso il quinto piano. Lo specchio riflette la mia immagine, i tacchi da 12 slanciano le gambe, velate dalle calze. Tiro più su in vita la mini, portando il bordo inferiore a filo dell’elastico dell’autoreggente. La camicetta bianca, trasparente, non nasconde i miei capezzoli liberi che sfregano lievemente contro il tessuto, irrigidendosi.
Spero possa essere sufficiente a distrarre Francesco, a fargli abbassare la guardia. Per cosa non lo so ancora. Richiudo la giacca di cotone leggero mentre le porte scivolano aprendosi sull’ingresso dell’ufficio.
Eliana, la segretaria è in piedi, sta prendendo la borsa per uscire.
“Buongiorno signora, il dottore è nel suo ufficio, venga, l’accompagno”
Ė una brunetta non tanto alta ma molto ben proporzionata, volto dolce, molto efficiente sul lavoro.
Mi precede lungo il corridoio, bussa alla porta di Francesco.
“Dottore, se non c’è altro io andrei”
Francesco è seduto alla sua scrivania, alza lo sguardo dal computer e mi sorride.
“Vada pure tranquilla signorina, più tardi le lascio la pratica Fanzetti sulla sua scrivania”
Eliana si dilegua in un secondo, mentre Francesco mi squadra compiaciuto. Il suo sguardo mi sta radiografando.
“Bene, sono contento che tu sia venuta, saggia decisione.”
“Tu credi? Non lo so ancora, ma ho deciso di ascoltare quello che hai da dire.” rispondo con un tono seccato, come se della cosa non me ne fregasse nulla.
“Siediti, allora” La mano indica la poltrona davanti a lui mentre i suoi occhi frugano sotto la mia giacca.
“Smettiamola Francesco ‘sto giochetto è durato anche troppo. Che vuoi da me?.”
“Mah, veramente mi pare che il gioco sia appena all’inizio. Sai benissimo che posso sputtanarti con tutti i nostri amici e con le loro mogli, volendo. Non credo che sarebbero così contente di conoscere la tua seconda attività.” Il mio sguardo è fisso sul suo volto.
“A si? E dici alle mogli dei nostri amici che vai a troie la sera? Sarà interessante vederla, questa.”
“Giusto. Ma tanti amici invece potrebbero apprezzare. Chissà, potresti incrementare gli affari, sai che coda su quel viale la sera? Mettiamola così, tu non hai margini di trattativa, per cui farai quello che ti chiedo, quando te lo chiedo, senza fiatare. Mi piace l’idea di poterti scopare quando mi pare ovviamente, ma ho anche bisogno di una troia capace di rapportarsi ad un certo livello per alcuni contatti di lavoro che devo curare, non so se capisci. Direi che per questo sei perfetta.”
Un brivido mi corre lungo la schiena. Cerco di reagire.
“Mettiamola così, come dici tu. Secondo me tu non hai nulla e stai bluffando, la registrazione, ammesso che tu sia riuscito a farla non significa nulla e difficilmente chi l’ascolterà riuscirà a riconoscermi, per cui piantala e vaffanculo.” il mio tono è deciso, forse solo vagamente troppo metallico a tradire la tensione.
La sua risposta è una risata fragorosa. “Così pensi che sia un bluff, brava la mia giocatrice, così mi piaci… Bene, allora sempre restando nella metafora pokeristica non ti resta che venire a vedere… anzi a sentire.”
“Va bene, fammi sentire questa registrazione” rispondo accavallando le gambe e scoprendo la fascia nera dell’elastico della calza.
Il suo sguardo si abbassa automaticamente.
“Certo, però a poker per vedere si paga… e anche qui, mia cara. Altrimenti scelgo io a chi farla sentire.”
Lo guardo con aria interrogativa “Cosa vuoi dire?”
“Che se vuoi veramente ascoltare la registrazione devi avvicinarti, perché dal cellulare si sente poco altrimenti.” dice sornione mostrandomi il telefonino nel palmo della sua mano. “Togliti pure la giacca e vieni qui.”
Resto ferma un attimo a riflettere, poi mi alzo, mi sfilo la giacca e giro intorno alla grande scrivania.
“Ecco brava, ora facciamo così, tu inizia a farmi un bel pompino, ed io, mentre me lo succhi con tanto amore, ti faccio sentire la registrazione.”
“Sei solo un grandissimo bastardo” dico fermandomi.
“Come vuoi, se non ti interessa…” risponde rimettendoselo in tasca e guardandomi.
Lo fisso negli occhi, potrei incenerirlo. “Ok” capitolo abbassando lo sguardo. Ho bisogno di sapere cosa c’è, cosa ha veramente in quel cazzo di cellulare.
Mi guarda senza parlare, sorridendo in attesa che mi muova. Mi avvicino mentre lui ruota la poltrona verso di me. Le mie ginocchia scendono sul pavimento mentre lui giocherella nuovamente con il cellulare.
Le mie mani slacciano la cintura, la zip scivola mentre i pantaloni si aprono. Gli abbasso i boxer, poi senza dire nulla la mia bocca si appropria del suo cazzo.
Sento un mugolio sordo di soddisfazione. Le mie labbra percorrono più volte l’asta già perfettamente dura, una mano si appoggia sui miei capelli, mentre l’altra mi infila nell’orecchio un auricolare.
Continuo a lavorarlo con la lingua sulla cappella, e sento il click di un tasto. Nitida dal piccolo altoparlante arriva la sua voce e quella di Valjet con il suo accento straniero. Poi la mia in distanza che si avvicina.
Le voci sono chiarissime, soprattutto da quando salgo in macchina. C’è tutto il dialogo e la situazione è più che evidente.
La registrazione termina con il mio “Sei un bastardo, un figlio di puttana, un essere ripugnante”.
Per tutto il tempo ho continuato a succhiarlo, ad accoglierlo tra le labbra, a blandirlo con la mia lingua.
“Bene – esordisce posando il cellulare sulla scrivania – se pensi che non abbia nulla puoi anche andartene. Altrimenti finisci bene il tuo lavoro e non sporcare in giro.”
Sono un automa, è chiaro che quella registrazione mi inchioda. Cerco di ragionare ma non ci riesco, mentre la sua carne entra ed esce dalla mia bocca.
Il suo orgasmo mi sorprende mentre sento il cazzo che comincia a riversare fiotti di sperma nella mia bocca. Ingoio continuando a succhiare, fino a quando non sento che la sua erezione comincia a cedere. Un ultimo sussulto e posso abbandonarlo asciugandomi le labbra con il dorso della mano.
Mi rialzo lentamente, mi tremano le gambe.
“La pagherai. Non so come, non so quando, ma la pagherai” non lo dico, è solo il mio pensiero, ma evidentemente il mio sguardo mi tradisce. Le sue parole sembrano quasi una risposta.
“Non prendertela, dai. Chissà, potrebbe persino essere divertente, no?” Ride.
“Stronzo”
“Stronzo?” il suo sguardo adesso si fa duro, nonostante il sorriso sulle labbra. “Ok, ti avevo promesso di portarti a pranzo. E mantengo sempre le promesse.”
Si avvicina, indietreggio di un passo ma una cassettiera alle mie spalle mi ferma. La sua mano si insinua tra le gambe e risale. Le dita trovano il tanga sottile, ne seguono l’elastico e lo abbassano a metà coscia.
“Questo non ti serve, troia. Toglilo pure.”
tremo ma obbedisco mordendomi le labbra, muovo le gambe facendolo scivolare a terra, poi lo raccolgo e lo metto in borsa.
“Bene, è tempo di andare” dice indicando la porta.

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