Skip to main content
Racconti di Dominazione

La soldatessa domata

By 8 Ottobre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Dopo 3 anni di studio di medicina, un bel giorno di aprile mi arrivò un inquietante busta da parte dell’esercito. Riassumendone il contenuto diceva sostanzialmente che poiché lo stato lo richiedeva e visto il tipo della mia istruzione ero stato spostato dal corpo di fanteria dove avevo fatto l’istruzione di base a un corso di ufficiale medico che si sarebbe tenuto, ahimè, l’ormai sempre più prossima estate. All’inizio ero estremamente scocciato, i lunghi pomeriggi al lago e le infinite notti estive si sarebbero tramutate in estenuanti giornate a marciare e studiare l’arte di salvare la vita dopo che qualcuno aveva cercato di strapparla. Più la fatidica data dell’entrata in servizio si avvicinava più l’irritazione si tramutava in una apatica rassegnazione. Il giorno venne e attrezzato di tutto punto come un vucumprà che si era dato al commercio di materiale bellico mi presentai in caserma. La prima impressione non fu troppo cattiva, dopotutto la caserma era moderna e i pochi istruttori con cui avevo già avuto un contatto erano disponibili e cortesi, in fondo l’esercito aveva un disperato bisogno di medici ben formati e quindi, al contrario della scuola reclute, l’ambiente era piuttosto rilassato. Un’altra enorme differenza il mio ultimo contatto con l’esercito era la presenza di alcune ragazze: ce n’erano quattro di cui solo una poteva essere seriamente considerata una femmina. Era piccolina ma col cipiglio fiero, portava i capelli raccolti in una marziale treccia, l’espressione era severa e la bocca stretta. Cercai subito il suo sguardo puntando sul fatto che in divisa ero un vero schianto e che i miei occhi blu scuro di solito affascinavano ma restai deluso: i suoi occhi nocciola incrociarono i miei restando di una freddezza sconcertante e la bocca, per quanto possibile, si strinse in un espressione ancora più grave. Un po’ deluso dal primo contatto cercai di fregarmene e continuare a farmi gli affari miei. Rividi la moretta solo la sera quando l’intera compagnia venne riunita per un lunga e noiosissima teoria. Prima di iniziare la lezione si dovevano svolgere le solite formalità militari, annunciare la compagnia al comandante e tutto il resto, formalità che avevo dimenticato anni ormai e ovviamente, con una fortuna fantozziana, venni chiamato davanti a tutta la compagnia (ovvero circa 150 persone) a fare l’annuncio. La situazione era molto simile a quei sogni dove ti ritrovi in un auditorio universitario e sei in mutande se non completamente nudo, infatti non avevo la più pallida idea di cosa dire o fare. I secondi silenziosi scorrevano interminabili facendo crescere sempre di più il mio imbarazzo, sbirciai brevemente la platea: i volti che ricambiarono il mio fugace sguardo passavano dal sorrisetto compiaciuto di non essere al mio posto allo sguardo compassionevole di chi provava vera pietà per la mia situazione. Incrociai pure lo sguardo della Moretta, per la prima volta sorrideva, ma non era un sorriso piacevole, era il sorriso sadico di un gatto che torturava un topo, quella puttana stava godendo dal vedermi in imbarazzo! Per fortuna il comandante, non senza una serie di duri rimproveri sul fatto che quello era pur sempre l’esercito e che mi dovevo adeguare, mi rimandò al posto per poi chiedere se c’era qualcuno di più competente di me. Quasi incredulo vidi quella troietta saltare su come se qualcuno le aveva morso quel bel culetto e con camminata marziale per quanto possibile per una donna, mettersi di fronte alla compagnia non senza avermi lanciato uno sguardo di disprezzo, fece un annuncio esemplare e perfetto per poi ritornare al posto senza più guardarmi. Puttana.
I giorni seguenti furono un susseguirsi di situazioni umilianti, per quanto avessi una buona preparazione medica e pratica, a livello fisico e delle formalità dell’esercito ero completamente arrugginito, cosa che permetteva a quella zoccola perfettina dagli occhi nocciola di mostrarsi la prima della classe facendomi incazzare come un toro. Per il resto stare li non era così male, anche se ci venne consegnato un tomo di oltre mille pagine sulla medicina d’urgenza da studiare per la fine del corso il mio gruppo era pieno di gente simpatica e in gamba.
La sera della prima libera uscita, subito dopo il congedo, mentre come ogni soldato degno di questo nome andammo tutti nel bar più vicino a provarci con le ragazze del posto e a prenderci una sbronza colossale non potai fare a meno di notare che quella secchiona del cazzo rientrava nelle camerate femminili con il libro. Si poteva essere più irritanti? Tutta la settimana a spezzarci le ossa e quando finalmente ci veniva data la possibilità di goderci una birra ghiacciata quella che faceva? Andava in camera a studiare! Incredulo andai a dedicare una sbronza epica alla stupidità della sciocca morettina.
Quella sera mentre rientravo in caserma pieno come una botte successe qualcosa che mi costò molto caro, infatti all’ingresso c’era un grosso capitano della stazza bovina che urlava qualcosa e in preda alla disinibizione dell’alcool non ebbi un idea migliore che gridarli di stare zitto. Non ricordo più esattamente cosa successe dopo, so solo che il mattino dopo mi risvegliai nella cella della caserma con un occhio dolante. Quando venni rilasciato un ufficiale mi fece sapere che da quel giorno tutte le mie libere uscite le avrei passate in caserma a fare lavori di manutenzione per l’inqualificabile mancanza di disciplina che avevo mostrato. Passò una settimana e si ripresentò la serata di permesso e con grande disappunto guardavo dalla finestra del locale manutenzione i miei compagni che si avviavano allegri verso il bar più vicino. A me venne dato l’incarico infame di pulire i cessi (cosa che mi fece perdere una buona decina d’anni di vita) e poi di ritirare tutti i picchetti di una corsa d’orientamento che si era svolta nel pomeriggio e per insegnarmi la disciplina l’avrei dovuta fare in tenuta da combattimento completa con pistola e giberna (ovvero una specie di gilè con tante tasche dove si tengono caricatori, la maschera antigas, borraccia e tutte quelle balle). Dopo l’immondo lavoro mi diressi all’esterno a cercare i picchetti. Il sole era già tramontato da un pezzo e molti dei punti erano nel boschetto dietro la caserma. Imprecando ogni volta che inciampavo in una radice o che la divisa si impigliava in un ramo cominciai la ricerca finchè qualcosa non attirò la mia attenzione. L’enorme costruzione di cemento della caserma troneggiava ai bordi del bosco e solitaria una finestrona di una camerata al pian terreno era illuminata. Il mio cervello reagì più lentamente delle mie labbra che si inarcarono subito in un sorriso malizioso. Era la camerata delle ragazze. Mi avvicinai stando ben attento a non fare movimenti improvvisi come un felino nella giungla al fine di avere una visione migliore. Arrivai a circa dieci metri dalla finestra e mi appostai dietro un folto cespuglio che mi permetteva una perfetta visuale. La delusione fu bruciante, la camerata era vuota. Bestemmiando sotto voce feci per alzarmi quando improvvisamente la porta si aprì. Questa volta fu il mio uccello a reagire più velocemente del mio cervello. La moretta stava li sull’uscio, con un lungo asciugamano bianco che le copriva il seno e il bacino. I capelli, sciolti e bagnati, le cascavano sulle spalle. Cominciai a massaggiarmi il pene da sopra i pantaloni della tenuta mentre la osservavo ancheggiare verso il suo letto per poi lasciar cadere l’asciugamano. Restai deluso una seconda volta, anche se non più così tanto, infatti sotto l’asciugamano indossava l’intimo. Evidentemente non voleva fare il corridoio che separava la camerata dalle doccie in reggiseno e mutandine e quindi si era coperta. Lo spettacolo era comunque niente male, sebbene l’intimo non fosse di certo di tipo sexy avevo l’occasione di vedere le sue forme che erano sempre ben nascoste dalla divisa. Il seno era molto più abbondante di quello che immaginavo, spingeva impertinente contro il cotone bianco del reggi, a stima avrei detto una terza o una seconda abbondante. Il ventre era piatto senza un filo di grasso, le gambe muscolose e slanciate, il culo, visibile solo per un attimo quando di estese a prendere qualcosa dall’armadietto sopra il letto, mostrava delle natiche rotonde e ben formate, degne di una pallavolista. Dopo che si avvolse i capelli nell’asciugamano con quella specie di turbante di cui solo le donne sono capaci a fare, la guardai mentre si sdraiava sulla pancia nel letto e prendendo il grosso tomo che dovevamo studiare dal comodino cominciò a leggerlo. Un po’ deluso perché speravo di vedere almeno mezza tetta pensai sul da farsi. Ero li in un boschetto con un erezione violenta nei pantaloni e quella ragazza figa quanto stronza che studiava mettendo in mostra quel suo bel culetto, è vero forse era un po’ da disperati ma non vedevo uno spettacolo del genere da ormai 2 settimane e poiché dormire con altri dodici ragazzi non incentivava molto alla masturbazione la mia libido gridava a gran voce vendetta. Con lentezza estrassi il mio uccellone dalla patta della divisa e presi piano piano a menarmelo senza troppa convinzione. Comincia a fantasticare su come fosse quella troietta marziale a letto, sicuramente con un corpo e un viso del genere i ragazzi non le mancavano, sicuramente prendeva cazzi in bocca come tutte le ragazze, chissà se era brava a sbocchinare? Chissà se le piaceva segare cazzi? Chissà se lo prendeva in culo? La osservavo mentre studiava, era perfettamente immobile se non per un lievissimo movimento oscillatorio del culo. Lo fissavo ipnotizzato, immaginando di poter stringere quella chiappe sode tra le mie mani. Di colpo con faccia svogliata lasciò cadere il librone per terra e si mise sulla schiena. Accelerai il ritmo della sega alla vista di quelle due belle tettone che svettavano li davanti. Notai le mani che presero ad accarezzarsi la pancia con studiata lentezza. Ci speravo ma non volevo crederci per scaramanzia, lo volevo con tutto il cuore ma non poteva essere vero. E invece si. Dopotutto non ero l’unico ad avere un piccolo movimento di riservatezza in un luogo dove il concetto di privacy non esiste. La bella moretta, la dama d’acciaio, la puttanella precisina si stava apprestando a farsi un ditalino coi fiocchi. I segni erano inequivocabili, le lunghe carezze sul ventre e sui fianchi, la schiena lievemente inarcata, la mano che distrattamente si passava sul seno. Dovetti interrompere la sega per non venire subito dall’eccitazione quando con la mano destra si abbassò una spallina liberano un seno dall’odiosa stretta del reggi. Il piccolo capezzolo turgido fece capolino e subito si meritò le attenzioni della sua mano che prese ad accarezzarne e a sfregarne la punta. La sua espressione prima neutra cambiò, gli occhi si chiusero e la bocca si schiuse in mentre la fronte si corrugava dal piacere che si stava dando. La mano libera scese e cominciò ad accarezzare la patatina da sopra gli slip di cotone bianco. Al contatto con la mano, come una scossa elettrica, vidi la sua schiena inarcarsi. I movimenti ora erano più decisi e veloci, prese a massaggiarsi il seno con decisione per poi dare dei piccoli pizzicotti sul capezzolo libero mentre l’altra mano con decisione abbassarono lo slip fino alle ginocchia rivelando una bella fighetta rasata quasi completamente se non per una striscia di peli sul davanti. Con decisione prese a strofinarsi la mano sulla figa mentre con l’altra continuava a tormentarsi il capezzolo. Il viso era una maschera di piacere, si mordeva il labbro per non urlare tutto il piacere che stava provando, probabilmente quell’orgasmo l’aveva dentro come me da settimane. Non riuscivo a credere alla situazione: io in un boschetto in tenuta da combattimento completa con l’uccellone in mano mentre la moretta, quella che sembrava meno umana di una macchina, sdraiata su un letto con le gambe piegate, le mutandine alle ginocchia, una tetta fuori e le dita che la masturbavano ferocemente. Improvvisamente smise di toccarsi come se qualcuno l’avesse messa in pausae di riflesso pure io, allarmato, lasciai andare il mio pisellone. Si levò a sedere su letto e aprendo un cassetto trasse una grossa spazzola. Sotto i miei occhi increduli da tanta fortuna la vidi mentre afferrava la spazzola per la parte ‘pelosa’ e lentamente si infilava il manico di plastica nella figa. Dopo un paio di secondi di esitazione richiuse gli occhi e prese a stantuffarsi la figa come una forsennata. L’altra mano prese il capezzolo tra le dita e stringendolo forte iniziò a tirare verso l’alto tutto il seno. Quindi è questo che le piaceva, si eccitava a farsi male! La puttanella ora apriva la bocca in gemiti silenziosi e scuoteva la testa a destra e a sinistra mentre con velocità assurda si ficcava il manico della spazzola nella figa tirandosi il capezzolo.
Non so cosa mi prese, la lussuria che avevo incatenato nei profondi recessi del mio cervello si liberò e prese il controllo completo del mio corpo. Non so come mi ritrovai a correre verso la caserma con l’uccello mezzo fuori. Entrai nella porta. Lungo il corridoio. Svoltai l’angolo e mi ritrovai davanti alla sua porta. Sporco di terra, in tenuta completa, con la patta aperta e il mio grosso uccello in tiro che svettava. Non esitai neanche un secondo, entrai.
Quando la porta si spalancò l’odore di sesso mi pervase le narici, zittendo quel poco di razionalità che mi era restata. Il suo letto distava al massimo due metri da dove mi trovavo, la sua reazione fu felina, scattò in piedi facendo cadere l’asciugamano che le raccoglieva i capelli che improvvisamente liberi le ricaddero sulle spalle. Il seno ondeggiava dal movimento appena fatto e nella mano teneva ancora la spazzola con il manico avvolto dai suoi umori. Il viso era un misto tra furia e spavento, ‘che cazzo fai? Vai fuori!’ mi urlò. Io non dissi nulla, chiusi la porta alle mie spalle e mi avvicinai ‘Vattene stronzo! Ti denuncio! Ti rovino!’ mi gridava ma io continuavo a stare zitto e a venirle in contro. Quando fui a portata di tiro fece per tirarmi una sberla ma gliela bloccai facilmente. La trassi a me e vidi un lampo di paura nei sui occhi e poco convinta cercò di divincolarsi. Le sussurrai nell’orecchio ‘ho visto dalla finestra cosa stavi facendo, piccola puttanella.’ E presi a leccarle il collo. La sentii gemere. ‘Io conosco le ragazze come te, dure, tutte di un pezzo, che non si piegano mai, ma la sai una cosa? Alla fine finite tutte piegate quando incontrate me, prima fate le difficili ma finite sempre in ginocchio con la mia grossa nerchia che si fa strada nella vostra boccuccia.’ A quelle parole non posso fare a meno di notare la pelle d’oca che le è venuta sul braccio. Proseguo ‘quindi puttanella, ora ti inginocchi davanti al tuo padrone e mi ciucci l’uccello da brava cagna’ Lei resta immobile e allora la spingo lentamente per le spalle verso il basso. Cade in ginocchio e mi guarda che la domino dall’alto. Le spingo la testa verso il mio uccello eretto ma lei non apre la bocca. Senza preavviso le tiro una sberla, piano, non più forte di quanto farei a un cane che non vuole ubbidire. Lei ora mi guarda lievemente spaventata ma noto che un gemito eccitato le è sfuggito quando l’ho colpita. Apre la bocca e comincia a lavorarmi il pene. Il movimento è lento e studiato, si infila tutta l’asta in bocca per poi tirarsela fuori come farebbe con un calippo, stringendo le labbra attorno all’asta e lucidandomi la cappella. La mia schiavetta sta facendo un buon lavoro e allora la lodo ‘brava cagna, sai come usare la lingua’ lei non risponde e continua a lustrarmi la cappella. ‘ora basta, succhiami le palle mentre mi seghi’ e lei questa volta senza esitare si estrae il mio uccello dalla bocca e prende a leccarmi le palle mentre la sua manina mi agguanta l’uccello e prende a masturbarmelo con foga. Immaginatevi la scena, la bella moretta, prima tanto marziale e orgogliosa, in ginocchio davanti a uno dei peggiori elementi della compagnia a succhiare palle e a segarmi il cazzo come l’ultima delle baldracche. Colgo l’occasione per farglielo notare: ‘E pensare che quando ci siamo visti mi hai lanciato quello sguardo di disprezzo, ora guardati troietta, davanti al tuo padrone, a sbocchinarmi, sei la mia puttana ora, la mia lucida cappella personale!’ lei con un impeto d’orgoglio si toglie le mie palle dalla bocca e fa per dire qualcosa ma per tutta risposta le ficco il cazzo in bocca e lei come un bambino col ciuccio si quieta subito e riprende a ciucciare. Vedo la sua bella testa mora fare avanti e indietro mentre sento le sue labbra attorno al mio bastone di carne. Ma ora voglio di più, voglio che il mio dominio sia completo. Le sfilo il mio uccellone dalla bocca e la sollevo con forza da terra non senza notare che gli umori le colano lungo la coscia. La prendo e la giro, piegandola a novanta e facendola tenere alla spalliera anteriore del letto. ‘ora troia ti sfondo per bene’ e inizio a strusciare la mia cappella gonfia e bollente all’ingresso delle sue labbra vaginali. La sento tremare dal piacere e sento il calore intenso che emette. Allora con lentezza esasperante, centimetro per centimetro, inizio a entrare dentro di lei. La puttana se ne sta silenziosa mentre il mio grosso uccello si fa strada dentro la sua stretta vagina non senza una certa difficoltà nonostante sia abbondantemente lubrificata. Continuo finchè quelle natiche perfette non colpiscono la mia pancia e allora prendo a stantuffarla senza troppi complimenti, la prendo per il bacino e comincio a fotterla come si deve. Il mio pene entra nelle sue profondità per poi uscire quasi fino in fondo per poi rituffarsi in quel antro caldo e umido. Ma la puttana non vuole darmi la soddisfazione e sta silenziosa se non qualche gemito che le sfugge. Le do una forte sculacciata che le arrossa quel bel culetto perfetto ‘urla puttanella, fai sentire quanto ti piace’ niente. Gliene do un’altra, ancora più forte ‘dai cagna, dillo al tuo padrone che ti piace!’ niente se non un gemito di dolore quando la colpisco. Una terza sculacciata ancora più violenta ‘dai zoccola, dillo che ti piace farti fottere la figa dall’ultimo elemento della compagnia, che ti arrapa da morire essere posseduta come un oggetto!’ e a quelle parole la diga si ruppe, come un fiume in piena grida ‘oh cazzo si! Sono la tua puttana, la tua bambolina, la tua cagna, fottimi e spaccami, fammi sentire quanto sono niente in confronto a te!’ e l’orgasmo le esplode nella figa stringendomi l’uccello in una morsa d’acciaio. Viene una volta, viene due volte, viene tre volte, mentre io continuo a fotterla come un toro ancora con tutta l’imbragatura d’assalto addosso. Alla fine il mio cazzo comincia a contrarsi ritmicamente mi sfilo l’uccello e la giro inginocchiandola. Lei capisce al volo e prende a segarmi forsennatamente finchè non inizio a sborrarle quantità immense di sperma (erano due settimane che non venivano svuotate!!) sul suo dolce visino stravolto dagli orgasmi. Le gambe quasi mi cedono dall’intensità dell’orgasmo. La guardo e lei mi ricambia lo sguardo, cerca di guardarmi con la faccia dura ma con il viso imbrattato del mio seme le riesce difficile. Estraggo un fazzoletto e ripulisco quel poco di seme che mi ha macchiato i vestiti e faccio per andarmene, ma prima di chiudere la porta le dico ‘e non pensare che questa era l’unica volta, da ora in poi tu sei la mia puttana, se non stai al gioco domani avrai tutta la caserma da soddisfare’. E poi richiudo la porta alle mie spalle.

Leave a Reply