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Racconti di DominazioneRacconti sull'Autoerotismo

La spirale del degrado

By 15 Agosto 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Il video scorreva sullo schermo, per la terza volta dalla mattina di quell’afosa giornata di metà luglio.
Erika era di nuovo lì, a fissare il monitor del suo portatile, chiusa e sola nella sua camera, completamente rapita da quelle immagini che l’avevano stregata sin dalla prima volta che le aveva visionate, circa un mese prima.
Continuava a guardare e riguardare quei video, era entrata in un loop, una sorta di dipendenza. Non appena trovava del tempo libero, la mattina appena sveglia e ancora assonnata, dopo colazione, il pomeriggio prima di uscire o la sera prima di andare a dormire, accendeva il suo computer ed iniziava a fantasticare.
In tutto questo, era ben consapevole che qualcosa non andasse, nel suo comportamento. Sapeva che non era normale passare degli interi pomeriggi nella sua stanza, perdendo l’interesse ad uscire con le amiche per godersi l’estate ed il meritato riposo dagli esami universitari.
Sapeva che non era normale svegliarsi in piena notte ed avere come primo pensiero quello di accendere di nuovo quel maledetto portatile, mettere le cuffie e restare sveglia fino all’alba o oltre. Sapeva che non era normale che ripensasse a quelle scene quando usciva a fare shopping, o andava a casa delle sue amiche, o magari al cinema o ad accompagnare sua madre a fare la spesa.
Iniziava a dubitare che non ci fosse altro modo di definire il suo comportamento se non come ossessione e dipendenza.
Aveva un problema, serio. Ed aveva paura.
Paura di non poterne più uscire, paura che questa sua ossessione condizionasse i suoi risultati universitari, come era successo con l’ultimo esame che aveva affrontato meno di quattro settimane prima.
Sì, perch&egrave Erika era una studentessa modello, brillante, diplomata col massimo dei voti e con una media superiore al 28 al secondo anno di giurisprudenza. Media che avrebbe potuto essere più alta se non avesse toppato maldestramente l’ultimo esame del secondo anno, accettando un misero 21. Cosa le era successo, si chiedeva? Perch&egrave aveva preferito perdere tempo dietro a quel computer piuttosto che studiare come aveva sempre fatto? Perch&egrave ogni volta che provava a studiare la sua mente iniziava a vagare, in costante ricerca di quelle immagini? Forse era solo stanca, aveva dato moltissimo nel suo percorso di studi e non ce la faceva più. Aveva bisogno di una pausa.
Forse per quello aveva accettato il voto più basso che avesse ricevuto dall’inizio della sua carriera universitaria.
Ma sì, forse era solo esausta e voleva chiudere i maledetti libri per godersi l’estate.
O forse no.
Forse era diventata incapace di concentrarsi su altro. Forse aveva risvegliato qualcosa dentro di lei che la stava logorando lentamente, rendendola schiava delle sue fantasie più recondite.

Sullo schermo, intanto, una donna bionda sulla quarantina, con un fisico lontano dall’essere una modella, stava in piedi all’interno di una stanza che sembrava un ripostiglio o una cantina, completamente nuda, con un’asta piuttosto lunga attaccata mediante degli anelli alle caviglie, in modo da mantenere le gambe costantemente divaricate, col trucco scuro oramai sciolto dalle lacrime e due piccole mollette argentate applicate ai capezzoli, legate da una piccola catena metallica con al centro un peso, che trascinava in basso le sue mammelle già cadenti.
Dietro di lei, un uomo sulla cinquantina, sovrappeso e vestito di scuro, le carezzava la schiena per poi percuoterle i glutei, con una sorta di barra di cuoio, larga circa 5 centimetri, che saettava e schioccava sulle natiche della donna, sistematicamente seguita da grida di dolore che scemavano in lamenti e piagnistei.
Erika oramai conosceva bene quella donna, l’aveva vista in quel video una miriade di volte, aveva ascoltato le sue grida in cuffia, per non farsi sentire da nessuno, e sapeva esattamente che aspetto avrebbe avuto il suo sedere, di lì a qualche secondo, quando sarebbe stata fatta girare per lasciare che la persona al di là dello schermo ammirasse i suoi glutei infuocati dalle sferzate dell’uomo.
Erika sapeva che i polsi le sarebbero stati legati dietro la schiena, sarebbe stata fatta inginocchiare, per praticare un furioso rapporto orale all’uomo, che avrebbe afferrato e mosso con entrambe le mani la bionda testa avanti ed indietro sul suo membro ad una velocità e profondità che le sembravano assurde e pericolose, provocando nella donna conati di vomito e colpi di tosse.

Erika sapeva tutto, ma nonostante ciò, non si stancava mai di guardarla mentre l’uomo, inespressivo, le teneva la testa con le mani, spingendola verso di se fino a farle ingoiare anche l’ultimo centimetro della sua carne, trattenendola per diversi secondi, fino a ch&egrave lei non iniziasse a tossire in modo soffocato ed a tirarsi indietro per poter nuovamente respirare, lasciando lunghi fili di saliva ad unire la sua bocca e quella verga.

Nonostante sapesse tutto, Erika continuava costantemente a bagnarsi ed ad immaginare di essere lì, al posto della donna bionda sulla quarantina col fisico lontano dall’essere una modella, proprio come il suo.
Certo, lei era più giovane, aveva la metà degli anni ed una pelle più liscia e soda, anche se, come lei, aveva una pancia un po’ abbondante e sporgente, i fianchi un po’ larghi, le cosce tornite e un po’ di cellulite alla base dei glutei.
Ma il suo seno era più bello, ne era convinta. Una bella quinta misura piena, ovviamente un po’ cadente, viste le dimensioni, ma liscio, morbido e senza grinze o venature visibili, visti i suoi 21 anni, coi capezzoli rosa belli carnosi e le areole chiare e regolari.
Proprio su quei capezzoli indugiavano ora le sue dita, una volta scanzate le spalline della sua cannottierina da notte, larga e leggera, abbassata fin sotto la base delle sue mammelle.
Pollice ed indice si stringevano meccanicamente su quella carne ormai turgida e sporgente, quando l’uomo sullo schermo sollevava il peso attaccato alla catenella che univa le mollette, per poi lasciarlo cadere improvvisamente, provocando nella poveretta grida e pianti di disperazione.

Erika, in simbiosi, stringeva forte le dita e tirava, a volte affondando le unghie, come a voler richiamare quelle sensazioni su di lei ed a voler urlare quel piacere perverso misto a dolore, mentre gli umori iniziavano nuovamente ad uscire dalla sua vulva ed essere assorbiti dalle mutandine leggere, per la terza volta in quella calda giornata di metà luglio.

Voleva disperatamente essere quella donna bionda, anche quando l’uomo la faceva inginocchiare, la posizionava a novanta gradi, si sedeva a cavallo al contrario su di lei, facendole appoggiare il viso a terra e tenendole il sedere all’insù rivolto verso la telecamera per poi afferrarle i glutei con decisione a mani piene, allargandoli fino a rivelare l’ano e le grandi labbra, umide.

Erika si chiedeva che cosa avrebbe visto se al posto della bionda ci fosse stata lei, soprattutto quando l’uomo avrebbe iniziato a tirare quella pelle arrossata al massimo, fino a deformare lo sfintere ed a schiudere le labbra vaginali.
Si chiedeva come si sarebbe sentita, ad essere mostrata così oscenamente al pubblico, chiunque fosse.
Con questa domanda in testa, inconsciamente, mentre continuava ad accarezzare la base ormai sudata dei suoi seni ed a torturare i suoi capezzoli, iniziava a muovere il bacino avanti e indietro, strusciando le cuciture delle mutandine umide sulla sedia e sulla sua pelle sensibile.

Nei pochi momenti di lucidità, quando vedeva quei video, si chiedeva come avesse fatto a ridursi in quello stato.
Lei che raramente pensava al sesso, poco di più ai ragazzi, alla cura del suo fisico un po’ trascurato e molto di più ai suoi studi, alla lettura e all’arte, era diventata come uno dei tanti giovanotti pervertiti che tanto snobbava, una regolare consumatrice di pornografia, che passava buona parte delle sue giornate a masturbarsi vedendo video su internet, mentre le sue amiche uscivano, andavano al mare o semplicemente in giro. Di certo nessuna di loro avrebbe mai sospettato minimamente che quando diceva ‘oggi non esco, devo aiutare mamma’ o ‘stamattina passo in biblioteca e probabilmente farò tardi’ o ‘stasera sono veramente stanchissima, non ce la faccio’, in realtà stesse seduta nella sua stanza, rapita dalla sua nuova droga.
In quei pochi attimi di lucidità, si vergognava di se stessa, arrossiva e si bloccava, voleva chiudere quel portatile e dimenticare tutto, uscire e tornare ad essere quella di sempre, ma il suo corpo non rispondeva, le mani poi riprendevano instintivamente ad accarezzare le sue grosse mammelle, per cercare nuovamente quel piacere perverso e la vergogna svaniva.

Intanto, sullo schermo, la donna veniva fatta sedere su una poltrona di pelle, i polsi bloccati dietro lo schienale, i piedi poggiati anch’essi sulla poltrona, il bacino scivolato in avanti e le cosce divaricate, legate insieme alle caviglie e bloccate con delle corde in maniera tanto efficace quanto incomprensibile.
L’uomo iniziava quindi ad accarezzarle la vagina, facilmente accessibile ed umida, insistendo sul clitoride e provocandole gemiti e chiare espressioni di piacere.

Erika, a quel punto, poggiava anche lei i piedi ai lati della sedia e con un piccolo sforzo faceva leva su di essi e sullo schienale per sollevare il sedere, per poi infilare le dita tra gli elastici delle sue mutandine e farle scorrere via fino alle ginocchia, liberando il suo sesso caldo e umido.
Senza slip si sentiva completamente libera e rilassata.
Aveva preso l’abitudine di sfilarsele durante la notte, per godere della poca aria fresca che ogni tanto entrava dalla sua finestra socchiusa. A volte, quando era sola, dopo la doccia, girava completamente nuda per casa, senza preoccuparsi di essere vista da fuori. Un mese prima, pudica com’era, non se lo sarebbe mai sognato di uscire dal bagno senza accappatoio, ma ora ne traeva piacere e relax. Sembrava come se un suo lato esibizionista avesse iniziato a mostrarsi.

Seduta sulla sua sedia, vedeva nitidamente la macchia dei suoi umori sugli slip e percepiva distintamente il suo odore pungente, ma non fastidioso, chiedendosi se potesse piacere ad un uomo.
Una mano intanto risaliva dalla coscia e tornava ad accarezzare una delle sue abbondanti e pallide mammelle, partendo dal basso, quasi a soppesarla, per indugiare poi intorno al capezzolo, disegnando l’areola ora più scura e raggrinzita, per poi spingerlo e affondarlo nella morbida carne, ritmicamente.

La bionda del video continuava a ricevere piacere e supplizio dalla mano dell’uomo, in un crescendo di gemiti, mentre lui afferrava il clitoride tra pollice ed indice stringendolo e a torcendolo, trasformando il volto della donna dall’estasi al dolore, provocando violente contrazioni del suo corpo nudo e lucido, accompagnate da lamenti via via più forti. La continua ed insistente tortura doveva aver sensibilizzato la zona.

L’altra mano di Erika, intanto, scendendo dal collo, accarezzava la pelle tra i seni e continuava il suo percorso fino ad incontrare la cannottiera, abbassata sotto di essi, afferrandola e riducendola ad una piccola striscia di tessuto, scoprendo completamente il monte di venere pronunciato e poi tutta la pancia. Piccole goccioline di sudore erano comparse sulla sua fronte.
Fuori faceva caldissimo e dentro la sua eccitazione cresceva sempre di più, mentre la mano mollava la cannottiera umida di sudore e iniziava una lenta discesa.

Adorava quel momento. Adorava sentire la morbidezza della sua pelle in quella zona, apriva la mano come a volerne assaporare ancora di più, affondandola e spingendola sempre più in basso, fin dove iniziava a percepire la soffice peluria del suo sesso.

A differenza della donna bionda del video, Erika non si depilava mai completamente, per paura di irritarsi o che la ricrescita diventasse troppo ruvida e fastidiosa, con le mutandine addosso.
Prima di andare al mare, provvedeva sempre a togliere la peluria lateralmente, per evitare che uscisse dal costume, mentre si limitava ad accorciare il resto. Da quando aveva iniziato a vedere quei video, però, si era spesso chiesta che sensazione le avrebbe dato al tatto, una pelle completamente liscia.

L’uomo nel video intanto si era abbassato e, continuando a stuzzicare quel clitoride ormai gonfio e irritato, aveva aggiunto la seconda mano a quel gioco perverso, iniziando ad affondare due dita dentro la vulva umida, con movimenti decisi e ritmati, alternando la penetrazione allo stritolamento del clitoride.

La mano di Erika continuava il suo percorso inesorabile, raggiungendo finalmente le grandi labbra e premendo due dita al loro interno.
Sentirsi così vergognosamente bagnata la imbarazzava e al tempo stesso la eccitava ancora di più.
Avrebbe dovuto essere al mare con le amiche, invece, dopo aver saputo che sua madre sarebbe stata fuori casa fino a sera, aveva deciso di inventare la scusa del ciclo per godere di se stessa e del suo corpo per l’intera giornata. Puro egoismo. Pura perversione. Cosa era diventata? A quel pensiero l’eccitazione montava ancora di più e le dita schiudevano le grandi labbra gonfie e fradice, strappandole un gemito sommesso.

Pensando alle amiche al mare, si immaginò sulla spiaggia, completamente nuda, seduta sul suo asciugamano con i polsi dietro la schiena legati all’ombrellone, le gambe tenute completamente spalancate da due bagnanti e la sua vulva a totale disposizione di un uomo sulla cinquantina che la masturbava con due dita, di fronte ad un folto gruppetto di persone anziane che si godevano la scena con un’erezione ben in vista, o che si masturbavano davanti a lei senza alcuna vergogna. Immaginò anche le sue amiche lì di fronte a lei, che la osservavano disgustate da tanta oscenità.

Da quando si dedicava a quei video, Erika aveva iniziato sempre più spesso ad avere fantasie miste tra esibizionismo, sottomissione ed umiliazione. L’immaginare di essere esposta e mostrata nella sua intimità agli sguardi di sconosciuti, l’essere trattata senza riguardo, come un oggetto sessuale per il piacere e la depravazione di uomini col doppio dei suoi anni, la faceva eccitare come nessun’altra cosa. Si sentiva perversa. E le piaceva.
Con questi pensieri in testa, le sue dita, dopo aver schiuso il suo fiore, avevano finalmente trovato il clitoride, già gonfio e teso.

Le piaceva affondare il dito medio tra la piccole labbra, raccogliere i suoi umori e spalmarli poi sul suo bottoncino. Era molto sensibile lì, anche perch&egrave lo aveva già stuzzicato due volte durante la mattinata, ma gli umori lenivano l’irritazione, aiutando il dito a scivolare su quella carne viva attenuando il bruciore.
Anche l’altra mano raggiunse il suo sesso, l’indice ed il medio circondarono il clitoride e tirarono giù la pelle che lo racchiudeva, facendolo svettare tra le grandi labbra e rendendolo più accessibile alle sue attenzioni ed alla sua vista.

Ora Erika non guardava più il video, ma si concentrava sul suo clitoride gonfio e arrossato, accarezzandolo piano, dalla base alla punta, senza riuscire più a tenere a bada i suoi gemiti.

I suoi piedi, costretti sulla sedia stretta, si erano indolenziti, così li aveva appoggiati a terra, facendo cadere le mutandine, per poi tirarli di nuovo su, appoggiandoli entrambi sul tavolo.
La sua posa era ancoraa più oscena ora, il computer con le immagini di un filmino porno sul tavolo in mezzo alle sue gambe spalancate, lei senza mutandine e con la cannottiera abbassata sotto i seni mentre si accarezzava il clitoride in preda ad un’eccitazione incontrollata, con gli umori che avevano iniziato a colarle tra i glutei ed a bagnare la sedia.

Un gemito prolungato riportava la sua attenzione al video, dove la donna, oramai quasi all’apice del piacere, veniva penetrata con forza dall’intera mano dell’uomo.
Erika era rimasta incredula la prima volta che aveva assistito a quella pratica, che poi aveva scoperto chiamarsi ‘fisting’.
Non credeva possibile che un’intera mano potesse entrare in quella fessura apparentemente così stretta. Si chiedeva cosa si sentisse al tatto, una volta arrivati così in profondità e che cosa provasse una donna ad essere esplorata così in profondità.

L’uomo aveva accelerato i suoi movimenti, la donna rispondeva con un lunghissimo gemito, ritmato dagli affondi di quella mano dentro di lei.
Erika aveva iniziato ad afferrare e stringere il clitoride irritato tra le sue dita umide, per poi raccogliere nuovamente umori, lubrificarlo e ricominciare, ormai al limite del piacere.

Finalmente arrivava l’orgasmo per la donna del video. Quella era la sua scena preferita, che non avrebbe mai dimenticato.
Non appena la donna iniziava a godere, scuotendosi e gemendo, l’uomo afferrava la catenella che univa le mollette ai suoi capezzoli e con uno strattone le staccava entrambe, senza mai smettere di penetrarla con la mano, provocando nella donna un urlo lancinante che aveva sconvolto Erika nel profondo.
Era un grido di piacere divino e dolore lancinante insieme, che le faceva venire la pelle d’oca.
La prima sera che aveva assistito a quella scena, aveva sognato di essere lei ad urlare così, svegliandosi completamente fradicia per poi masturbarsi furiosamente come mai aveva fatto prima. Da lì era iniziata la sua ossessione, il suo lento cambiamento. Prima di quel giorno sarebbero potute passare settimane senza che lei sentisse il desiderio o la necessità di toccarsi. Dopo quell’esperienza, aveva iniziato a masturbarsi sempre più frequentemente, arrivando anche a farlo per quattro o cinque volte in un solo giorno.
Erika si chiedeva cosa si provasse, durante gli spasmi e le scariche dell’orgasmo, a sentire un dolore così forte.

Su quella scena, come le succedeva spesso, anche lei iniziava a venire, spalancando la bocca come a voler far uscire tutto il suo piacere, e scaricandosi in un profondo e liberatorio gemito, mentre il suo corpo si muoveva in preda a contrazioni muscolari e tremori, le gambe tornavano a poggiare a terra e la sua testa si piegava indietro, appoggiata alla sedia.
Ormai in un bagno di sudore, si gustava l’ultima scena del filmato, dove la donna veniva rinchiusa in una stretta gabbia di metallo e l’uomo se ne andava spengendo la luce, lasciandola sola al buio, come fosse un oggetto inanimato.
Nel profondo avrebbe voluto essere in quella gabbia, in attesa che l’uomo tornasse e la usasse di nuovo, come una bambola, e la facesse godere ancora ed ancora.

Questa era Erika, ora.
La ragazza intelligente e simpatica, fin troppo matura e seria per la sua giovane età, che vestiva classico e mai provocante o volgare, che non curava molto il suo aspetto esteriore, spesso senza trucco e con gli occhiali al posto delle lenti e i capelli marroni spesso legati dietro, a cui piaceva leggere racconti romantici e poesie, e che adorava guardare scadenti filmini pornografici a sfondo sadomaso e sottomissione e masturbarsi sognando di esserne protagonista.

Si ricompose e chiuse la finestra del browser.
L’annuncio ricomparve.

‘Padrone maturo, 53 anni, con 20 anni di esperienza reale, cerco nella mia città una giovane donna di età compresa tra i 20 e i 30 anni, anche sposata, di buona cultura, intelligente e vogliosa di intraprendere un percorso da schiava sotto la mia guida, disponibile alla sottomissione completa ed a sacrificare la propria dignità per pratiche fuori dallo standard.
Massima discrezione e pulizia. Compresi certificati medici.’

Il numero di telefono era già sul cellulare di Erika.
Con un nodo in gola, sospirò e si fece coraggio, dopo esserci andata vicino diverse volte, stavolta toccò finalmente lo schermo del suo smartphone.

‘Chiamata in corso…’

Aveva toccato il fondo, pensava, ingenuamente…

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